LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento promosso da M.M. e G.M., in proprio e quali genitori esercenti la podesta' sul figlio minore V.; avv. Susanna Schivo reclamante; Avverso il decreto del Tribunale di Genova, in composizione collegiale, depositato in data 25 gennaio 2013 e con il quale e' stato rigettato il ricorso proposto in opposizione al provvedimento prot. n. 107740 del 2 aprile 2012 reso ai sensi dell'art. 7 del d.P.R. n. 396/2000 dall'Ufficiale dello Stato civile del Comune di Genova. Con provvedimento 22-25 gennaio 2013 il Tribunale di Genova ha rigettato il ricorso proposto ai sensi dell'art. 95 d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 contro il rifiuto opposto dall'Ufficiale dello stato civile del Comune di Genova di attribuire al figlio V., nato in Genova il 23 marzo 2012 anche il cognome materno. Ha argomentato tale provvedimento sostenendo che l'attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo non e' prevista da alcuna specifica norma di legge, ma e' presupposta da una serie di disposizioni regolatrici diverse. Ha affermato che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo avente copertura costituzionale assoluta, richiamando la pronuncia della Suprema Corte 26 maggio 2006 n. 12.641. Ha riferito l'orientamento secondo cui non potrebbe essere attribuito in Italia un cognome diverso da quello riconosciuto dallo Stato di appartenenza perche' cio' arrecherebbe grave pregiudizio all'identita' della persona a cui invece va attribuita tutela assoluta. Trattandosi nel caso di specie di formazione dell'atto di nascita e non di trascrizione di atto formato in altro stato, non sussiste l'esigenza della tutela di un nome gia' in precedenza acquisito. Ha escluso la sussistenza della prospettata questione di legittimita' costituzionale avendo la Corte costituzionale con sentenza 61/2006 dichiarato inammissibile la questione relativamente alle norme che prevedono che il figlio nato dal matrimonio acquisti automaticamente il cognome paterno in quanto la soluzione richiesta avrebbe comportato un'operazione manipolativa esorbitante dai propri poteri. Ha infine osservato che la richiesta formulata dai ricorrenti di aggiungere al patronimico paterno quello materno non sarebbe neppure conforme alla legislazione Brasiliana nella quale sarebbe il cognome paterno a posporsi a quello materno. Contro questo provvedimento hanno proposto reclamo i coniugi G., denunciando l'incoerente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione del provvedimento del tribunale, che avrebbe altresi' omesso di pronunciare sui motivi posti a fondamento del ricorso. Venendo a contrastare le argomentazioni del provvedimento gravato, con il primo motivo affermano che l'orientamento della Suprema Corte del 2006, richiamato, dal tribunale e' ormai superato, invocando un orientamento di legittimita' oltre che della Corte costituzionale piu' recente che vedrebbe tale norma implicita in contrasto con gli articoli 2, 3 e 29 comma 2, nonche' con l'art. 117 comma 1 della nostra carta costituzionale come interpretato dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale. Fanno riferimento anche a fonti regolamentari oltre che al d.P.R. 54/2012 che attribuisce il diritto di chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno e sostengono che non si comprende come tale richiesta non possa essere avanzata da entrambi i genitori. Con il secondo motivo, i reclamanti contrastano l'affermazione del primo giudice secondo cui nel caso in esame di formazione dell'atto di nascita non sussisterebbe l'esigenza di tutela di un nome gia' in precedenza acquisito, osservando l'inconferenza di tale argomentazione, dal momento che il minore ha due Stati di appartenenza essendo sia cittadino italiano che brasiliano dalla nascita, per cui esiste il diritto alla tutela della propria identita' personale che non puo' che essere unica in entrambi paesi. Nella specie, infatti il minore e' effettivamente identificato in due modi diversi nei due paesi. Con il terzo motivo, lamentano l'errore del tribunale nell'aver negato l'esistenza della questione di legittimita' costituzionale per essere stata gia' scrutinata dalla Corte Costituzionale. Osservano che la medesima pronuncia citata dal tribunale, n. 61/2006, aveva affermato che l'attuale sistema di attribuzione del cognome, retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non era piu' coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna. Censurano, ancora, la pronuncia per avere omesso di considerare che la sentenza citata e' antecedente alla piu' recente giurisprudenza costituzionale sull'art. 117 comma 1 Cost., in forza del quale possono considerarsi «interposte», ai fini del giudizio di incostituzionalita' delle norme interne, le norme del panorama normativo internazionale e comunitario, tra l'altro ulteriormente mutato. Richiamano le raccomandazioni del consiglio d'Europa, le varie pronunce della corte europea dei diritti dell'uomo, la convenzione di Nevv York, la legge del 2008 con cui l'Italia ha ratificato il trattato di Lisbona, interventi normativi tutti volti ad assicurare la parita' uomo donna. Con il quarto motivo, lamentano l'errore del tribunale nell'aver affermato che la richiesta formulata dei ricorrenti non rispetterebbe neppure il diritto brasiliano, sostenendo che non vi sarebbe alcun ostacolo a posporre il nome materno a quello paterno poiche' il quadro normativo di riferimento cosi' come quello italiano nulla prescrive sul punto. Aggiungono che la mamma di V. ha intenzione di unificare la propria identificazione nei due Stati alla luce della circolare interpretativa del Ministero dell'interno 14/2012. Con il quinto motivo, i reclamanti denunziano la violazione dell'art. 96 comma 2 del d.P.R. 396/2000, che prescrive al tribunale di sentire gli interessati prima di provvedere. Denunziano, inoltre, l'omessa pronuncia sui motivi posti a fondamento dell'istanza di rettificazione ed in particolare: A) diritto del minore con doppia cittadinanza al cognome paterno e materno, dal momento che la cittadinanza italiana di V. comporta automaticamente l'acquisto dello status di cittadino europeo e l'applicabilita' delle norme di principi del trattato istitutivo della comunita' europea; B) diritto della madre, con il consenso del marito, di trasmettere il proprio cognome al figlio legittimo e diritto di quest'ultimo di assumere il cognome della madre. Sulla base di tali argomentazioni chiedono, pertanto, che, qualificata la norma di attribuzione automatica del solo cognome paterno al figlio legittimo come una norma consuetudinaria contra legem, non se ne tenga conto, accogliendo la legittima istanza di rettificazione proposta. In via subordinata, chiedono, una volta qualificata la norma di attribuzione automatica del solo cognome paterno al figlio legittimo come una norma implicita nell'ordinamento, di fornirne un'interpretazione costituzionalmente orientata o, qualora cio' venisse ritenuto esorbitante dai limiti dell'attivita' interpretativa, di sollevare l'incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 2, 3 e 29 comma 2, 117 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la facolta' per la madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi e per questi di assumere il cognome materno nonostante il consenso di entrambi i genitori sul punto. Il P.G. ha concluso, chiedendo il rigetto del reclamo. All'odierna udienza, parte ricorrente si e' riportata agli atti. Sciogliendo la riserva, la Corte Osserva quanto segue. Va Premesso che, come ha ricordato il primo giudice, alla luce di autorevoli precedenti giurisprudenziali di legittimita', la norma sull'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, anche in presenza di una diversa contraria volonta' dei genitori, non e' prevista da alcuna specifica norma di legge ma e' desumibile dal sistema normativo, in quanto presupposta dagli articoli 237, 262 e 299 c.c. nonche' dal R.D. n. 1238/1939, art. 72, comma 1 e, ora, dal d.P.R. 396/2000, articoli 33 e 34. E' stato anche detto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 61/2006 che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome e' retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potesta' maritale, non piu' coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna. Ne' puo' obliterarsi il vincolo - al quale i maggiori Stati europei si sono gia' adeguati - posto dalle fonti convenzionali, e, in particolare, dall'art. 16, comma 1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome...». In proposito, vanno, parimenti, richiamate le raccomandazioni del Consiglio d'Europa n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998, e, ancor prima, la risoluzione n. 37 del 1978, relative alla piena realizzazione della uguaglianza tra madre e padre nell'attribuzione del cognome dei figli, nonche' una serie di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, che vanno nella direzione della eliminazione di ogni discriminazione basata sul sesso nella scelta del cognome (16 febbraio 2005, affaire Unal Teseli c. Turquie; 24 ottobre 1994, affaire Stjerna c. Finlande; 24 gennaio 1994, affaire Burghartz c. Suisse).». Tuttavia, la Corte costituzionale ritenne che la questione esorbitasse dalle proprie prerogative. Infatti, cosi' fu affermato nella sentenza «l'intervento che si invoca con la ordinanza di rimessione richiede un'operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte. Ed infatti, nonostante l'attenzione prestata dal collegio rimettente a circoscrivere il petitum, limitato alla richiesta di esclusione dell'automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nelle sole ipotesi in cui i coniugi abbiano manifestato una concorde diversa volonta', viene comunque lasciata aperta tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente a detta volonta' - con la conseguente necessita' di stabilire i criteri cui l'ufficiale dello stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo - ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all'atto della nascita di ciascuno di essi. Del resto, la stessa eterogeneita' delle soluzioni offerte dai diversi disegni di legge presentati in materia nel corso della XIV legislatura (...) testimonia la pluralita' delle opzioni prospettabili, la scelta tra le quali non puo' che essere rimessa al legislatore.». Le problematiche sottese alla pronuncia di incostituzionalita' evidenziate dalla sentenza citata hanno indotto il primo giudice ad escludere la possibilita' di un nuovo ricorso al vaglio costituzionale. Tuttavia, ritiene questa Corte che le argomentazioni sviluppate dalla Corte di cassazione con l'ordinanza 22 settembre 2008, citata dalla stessa parte reclamante, giustifichino una nuova remissione alla Corte Costituzionale alla luce di fatti nuovi emersi successivamente alla pronuncia n. 61/2006. Cosi' si legge nell'ordinanza citata: «3.2. Con le sentenze n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 la Corte costituzionale ha affermato che il nuovo testo dell'art. 117 Cost., comma 1, colmando la lacuna esistente nella disciplina previgente, in conseguenza della quale "la violazione di obblighi internazionali derivanti da norme di natura convenzionale non contemplate dall'art. 10 Cost. e dall'art. 11 Cost. da parte di leggi interne comportava l'incostituzionalita' delle medesime solo con riferimento alla violazione diretta di norme costituzionali" (cosi' la sent. 348/2007), ha previsto l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme con la conseguenza che la norma nazionale con le stesse incompatibile viola per cio' stesso l'art. 117 Cost., comma 1, perche' la norma convenzionale, alla quale la norma costituzionale fa rinvio "mobile", "da' vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata "norma interposta" (sent. 348/07). Ora, poiche' nessuna delle norme convenzionali indicate al precedente paragrafo rientra nella sfera di applicazione degli articoli 10 e 11 Cost. (che il Patto internazionale sui diritti civili e politici, benche' approvato dall'assemblea dell'ONU, non abbia natura di norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, in quanto di formazione convenzionale e non consuetudinaria, e' stato affermato da Corte cost. n. 15 del 1996, con considerazioni immediatamente applicabili anche alla convenzione di New York del 18 dicembre 1979, mentre, per l'esclusione delle norme CEDU dalle fattispecie di cui agli artt. 10 e 11 Cost., cfr. le citate sentenze nn. 348 e 349/2007), ne deriva che la possibilita' di utilizzarle come norme interposte e quindi come parametri del giudizio di costituzionalita' delle norme interne (non presa in considerazione dalla sentenza n. 61 del 2006) e' sorta soltanto a seguito dell'approvazione del nuovo art. 117 Cost., comma 1, cosi' come interpretato con le sentenze nn. 348 e 349/2007. Quindi solo attualmente il giudice ha la possibilita' di percorrere la duplice alternativa strada dell'interpretazione della norma sull'applicazione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, anche in caso di concorde difforme volonta' dei genitori, in senso costituzionalmente orientato al rispetto dei parametri desumibili dalle norme convenzionali indicate al paragrafo precedente ovvero, nel caso in cui ritenga che il testo della norma (nella specie, come rilevato, si tratta tuttavia di norma implicita nel sistema) non consenta questa operazione ermeneutica, di valutare se non sia manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale della norma stessa. 4. Il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo dei ventisette membri dell'Unione europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull'Unione e quello istitutivo della Comunita' europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (la parita' tra donne e uomini e' oggetto dell'art. 1 bis e la lotta alla discriminazione e la promozione della parita' e' oggetto dell'art. 2, comma 3, secondo periodo del trattato sull'Unione) (l'art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000 dai presidenti del parlamento europeo, del consiglio e della commissione e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (l'art. 7 afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l'art. 21 vieta ogni discriminazione fondata sul sesso; l'art. 23 assicura la parita' tra uomini e donne) e prevede l'adesione alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto 11 dell'Unione. Con la ratifica del trattato di Lisbona, di cui alla legge 2 agosto 2008, n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada all'applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque al controllo di costituzionalita' che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario non puo' essere escluso: a) quando la legge interna e' diretta ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza dei trattati della comunita' in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi; b) quando venga in rilievo il limite del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona; c) quando si ravvisa un contrasto fra norma interna e direttiva comunitaria non dotata di efficacia diretta (Corte Cost., 13 luglio 2007, n. 284).». Il dissonante comune sentire rispetto alla normativa implicita, tradottosi nelle eloquenti affermazioni contenute negli autorevoli, sia pure formalmente contrari, provvedimenti della Corte Costituzionale, che gia' con l'ordinanza n. 176 del 1988 si era espressa affermando «possibile, e probabilmente consentaneo all'evoluzione della coscienza sociale la sostituzione della regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, piu' rispettoso dell'autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall'art. 29 costituzione, anziche' avvalersi dell'autorizzazione a limitare l'uno in funzione dell'altro" e, quindi, con la sentenza n. 61 del 2006 ha fatto affermazioni ancor piu' incisive circa l'anacronistica legislazione, impone, alla luce dei due eventi normativi consistenti, da un lato, nella modifica dell'art. 117 Cost. e, dall'altro, nella ratifica del trattato di Lisbona, una nuova rimessione alla Corte costituzionale apparendo fondato il sospetto di incostituzionalita' della norma implicita laddove prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volonta' dei genitori. Tale disciplina si trova in palese contrasto con l'art. 2 Cost., come violazione del il diritto all'identita' personale, che trova il primo ed immediato riscontro proprio nel nome e che nell'ambito del consesso sociale identifica le origini di ogni persona, con l'evidente diritto del singolo individuo di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali e della madre di poter trasmettere il proprio al figlio, con l'art. 3, come violazione del fondamentale diritto di uguaglianza e pari dignita' sociale dei genitori nei confronti dei figli, con l'art. 29 comma 2, come violazione del diritto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, che non si pone in contrasto con l'esigenza di tutela dell'unita' familiare, non potendosi ragionevolmente giustificare con quest'ultima l'obbligatoria prevalenza del cognome paterno, e con l'art.117 comma 1 (cosi' come interpretato con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale) della Costituzione, costituendo le norme di natura convenzionale gia' citate parametri del giudizio di costituzionalita' delle norme interne. Nell'ordinanza del 2006 del Supremo Collegio ampiamente citata, si sottolineano altresi', tre aspetti di singolare rilievo ed in particolare a) il fatto che nei panorama degli ordinamenti contemporanei la soluzione al problema dell'attribuzione del cognome al figlio legittimo data dalla normativa italiana appaia quasi del tutto isolata; b) il fatto che alcuni giudici di merito abbiano operato scelte conformi alle richieste concordi dei genitori; c) il fatto che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con decisione del 25 gennaio 1999 n. 63, abbia ritenuto illegittimo il rifiuto dell'autorita' amministrativa di consentire l'aggiunta del cognome materno a quello paterno, in caso di consenso di entrambi genitori di uso di tale cognome nel contesto familiare, scolastico, sociale, anche con riferimento all'evoluzione della coscienza sociale del contesto europeo, ed inoltre con parere del 17 marzo 2004 n. 515, nell'ambito di un procedimento iniziato con ricorso straordinario al Capo dello Stato, abbia ritenuto fondata la richiesta al Ministro dell'interno, concordemente formulata dai genitori, per il cambiamento del cognome del figlio legittimo con l'attribuzione del cognome materno. Pertanto, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale e va disposta la sospensione del procedimento camerale in corso.