IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva espressa all'udienza del 10 dicembre 2013, ha pronunciato e seguente ordinanza, artt. 134 Cost., 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento iscritto al n. 22147 dell'anno 2013, pendente tra E.K.M., nata a Khenifra (Marocco) e residente in Milano, rappresentante legale: avv. Giorgio Rossari, domicilio eletto: presso studio legale Milano, via Vivaio n. 6, procura alle liti: a margine dell'atto di ricorso, parte attrice; Contro D.B.R., codice fiscale (non indicato dall'attrice), nato a Milano e residente in Milano, notificazione: presso residenza, ai sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile, parte convenuta contumace; E con l'intervento dell'ufficio di Procura avente ad oggetto: separazione giudiziale, art. 151 del codice civile. In fatto I coniugi E.K.M., nata a Khenifra (Marocco), e D.B.R., nato a Milano, contraevano matrimonio civile in Milano, in data 6 luglio 2005, con atto trascritto nei registri dello stato civile di Milano. Dall'unione non nascevano figli. Con ricorso depositato in Cancelleria in data 25 marzo 2013, la E.K. richiedeva pronunciarsi la separazione giudiziale dal marito allegando la definitiva rottura dell'affectio coniugalis. Richiedeva la liquidazione delle spese processuali, solo in caso di opposizione alla domanda da parte del coniuge. Nulla chiedeva per se' a titolo di mantenimento. Il presidente f.f. fissava l'udienza in data 1° ottobre 2013. All'udienza ex art. 708 del codice di procedura civile, non compariva il D.B. nonostante la regolarita' della notificazione, perfezionatasi ex art. 140 del codice di procedura civile. Il presidente f.f. autorizzava i coniugi a vivere separati e fissava l'udienza ex artt. 709-bis, 183 del codice di procedura civile, in data 10 dicembre 2013. La parte attrice depositava memoria integrativa in data 21 novembre 2013 insistendo per la pronuncia di separazione. All'udienza di prima comparizione, tenuta in data 10 dicembre 2013, il marito restava contumace, nonostante la regolarita' della notifica, perfezionatasi in mano della madre convivente. L'avvocato della parte attrice richiedeva fissarsi udienza ex art. 189 del codice di procedura civile. Il giudice istruttore riservava la decisione. Il Tribunale, cio' detto, ritiene di dovere rimettere gli atti alla consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 189 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che «il giudice puo' decidere la causa ai sensi dell'art. 281-sexies». In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. Osserva Quanto segue. 1. - In punto di rilevanza, la questione e' da considerarsi senz'altro rilevante. All'esito dell'udienza ex art. 183 del codice di procedura civile, essendo la causa matura per la decisione, e' precipua intenzione di questo Tribunale fissare udienza dinanzi al collegio per la discussione orale della causa, ai sensi dell'art. 281-sexies del codice di procedura civile, al fine di accelerare la fase decisoria, tenuto conto della evidente semplicita' della materia del contendere. Possibilita' affatto preclusa dall'impianto organizzativo dell'ufficio (anche cd. tabellare), in quanto le udienze dinanzi al collegio sono fisse per previsione presidenziale con programmazione annuale. Ad esempio, nel caso di specie, la prima udienza collegiale utile e' del 12 dicembre 2013. La scelta per il modulo decisorio succitato e', tuttavia, preclusa dall'attuale sistematica del codice di rito. La separazione giudiziale rientra tra le controversie nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale (artt. 50-bis, comma I, 70, comma II del codice di procedura civile): non sono, dunque, applicabili al procedimento le disposizioni di cui al libro II, titolo I, capo III-bis (procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica). In particolare, e per quanto qui esclusivamente interessa, non e' applicabile l'art. 281-sexies del codice di procedura civile, che prevede la decisione a seguito di trattazione orale. Infatti, l'art. 189 del codice di procedura civile, prevede che il giudice istruttore possa rimettere le parti dinanzi al collegio esclusivamente a norma degli artt. 187 o 188 del codice di procedura civile e, dunque, secondo il modello decisorio ordinario di' cui agli artt. 275 e seguenti del codice di procedura civile. Ne consegue che il procedimento a decisione collegiale - esaurita l'istruttoria - puo' concludersi esclusivamente a seguito della concessione dei termini ex art. 190 del codice di procedura civile e, dunque, mediante le appendici scritte conclusive. Reputa questo ufficio che la preclusione in parola sia sospettabile di incostituzionalita', per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.; contrasto all'evidenza che non puo' essere risolto in via interpretativa. In punto di non manifesta infondatezza, la questione non si palesa manifestamente infondata in relazione ai profili che vengono a breve ad essere illustrati. 2. - In punto di ammissibilita' della questione, una interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. E' noto a questo tribunale che tra i diversi significati giuridici astrattamente possibili il giudice deve selezionare quello che sia conforme alla Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale, infatti, e' legittimo solo allorquando nessuno dei significati, che e' possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65, in Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea di principio, le leggi si dichiarano incostituzionali perche' e' impossibile darne interpretazioni «secundum Consfitutionem» e non in quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche vero che esiste un preciso limite all'esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico: il giudice non puo' «piegare la disposizione fino a spezzarne il legame con il dato letterale». Ed, in tal senso, di fatto, vi sarebbe il rischio - dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere una competenza che al giudice odierno non compete, se non altro perche' altri organi, nell'impalcatura Costituzionale (come l'adita Corte delle leggi), sono deputati ad espletare talune funzioni ad essi esclusivamente riservate. Ma vi e' di piu': l'interpretatio secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l'interpretazione «altra» sia «possibile», cioe', praticabile: differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche dinnanzi a norme «chiare» ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. Svolte le considerazioni riportate, reputa l'odierno giudicante che il dato normativo non si possa prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo. Rimane, pertanto infruttuoso il doveroso tentativo da parte dell'odierno giudice di individuare un'interpretazione compatibile con la Costituzione (Corte Cost. ord. n. 427/2005; ord. n. 306 del 2005). 3. - Cosi' introdotta, nel rito, la questione sollevata, nel merito disposizione e' sospettata di incostituzionalita' per violazione dell'art. 3 della Charta Chartorum (sub specie di principio di ragionevolezza e uguaglianza) e dell'art. 111 Cost. Come noto, il modulo decisorio della discussione orale (art. 281-sexies del codice di procedura civile) e' stato riservato, sin dalla sua introduzione, esclusivamente al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. In tempi recenti, tuttavia, il legislatore ha ritenuto necessario ed opportuno estenderne il fascio applicativo. Dapprima, mediante manipolazione dell'art. 429, comma c.p.c. per quanto concerne il rito cd. lavoro (vedi art. 53, comma 2, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge n. 133/2008), prevedendo la definizione della controversia mediante discussione orale seguita dalla sentenza con contestuale motivazione. In seguito, mediante introduzione del modulo decisorio accelerato anche al giudice dell'impugnazione. La legge 12 novembre 2011, n. 183, infatti, modificando gli artt. 351 e 352 del codice di procedura civile, ha previsto la possibilita' della decisione mediante discussione orale ex art. 281-bis del codice di procedura civile, anche davanti al giudice di appello (quindi, in caso di competenza della Corte, un organo collegiale), sia nell'intercapedine ex artt. 283, 351 comma I del codice di procedura civile (udienza per la discussione sulla cd. inibitoria), sia nello sviluppo fisiologico della procedura di gravame: ai sensi dell'art. 352, ultimo comma del codice di procedura civile, «quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice puo' decidere la causa ai sensi dell'art. 281-sexies». La scelta legislativa e' stata, peraltro, nel senso di rendere maggiormente agevole il ricorso al modulo della decisione orale, rispetto alle condizioni in presenza delle quali, la giurisprudenza l'ammetteva (vedi Cass. Civ. 6205/2009). In tal modo, tuttavia, si e' creata una aporia nell'impalcatura codicistica in quanto il giudice in composizione collegiale (la Corte di appello) puo' beneficiare della discussione orale ex art. 281-bis del codice di procedura civile, in secondo grado e non puo' farlo, invece, in primo grado (tribunale in composizione collegiale). Peraltro, il modello di decisione «immediata», a seguito di discussione orale e' divenuto, di fatto, lo strumento generale di definizione delle controversie e si rintraccia, infatti, anche nelle normative speciali (vedi ad es., art. 23, legge n. 689/1981 e art. 152, decreto legislativo n. 196/2003 come recepiti, dopo l'abrogazione, nel decreto legislativo n. 150/2011) e soprattutto in tutte le cause definite mediante procedimento sommario di cognizione, ormai modello processuale largamente diffuso (vedi decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150). Orbene, e' noto come la decisione a seguito di trattazione orale sia divenuta, dunque, nell'ultimo decennio, uno dei principali e piu' importanti strumenti di organizzazione e razionalizzazione del ruolo ed attuale oggetto privilegiato nei protocolli di udienza adottati dagli uffici giudiziari italiani (nell'ambito delle cd. prassi virtuose). Non stupisce che la dottrina, proprio in tempi recenti, abbia inquadrato l'art. 281-sexies del codice di procedura civile, nell'ambito delle misure «atte a garantire la ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.» ed abbia affermato che il modello di decisione introdotto dalla norma citata possa essere «considerato il piu' coerente rispetto al parametro costituzionale del giusto processo». Il criterio di preferenza si fonda sulla constatazione che una decisione che segua immediatamente la discussione orale non consente la dispersione del sapere proveniente dalla preparazione della deliberazione e delle difese delle parti e, soprattutto, accelera la fase decisoria e riduce in modo significativo la durata del processo. Esigenza di accelerazione sempre piu' avvertita al fine di prevenire ed evitare le responsabilita' dirette dello Stato per la irragionevole durata dei procedimenti civili (e sul punto, infatti, e' recente l'intervento del legislatore proprio in materia di legge cd. Pinto: vedi legge 7 agosto 2012, n. 143, di modifica della legge n. 89/2001). Ebbene, in un mutato contesto ordinamentale, cosi' brevemente ricostruito, la preclusione del modulo di decisione ex art. 281-sexies del codice di procedura civile per le cause collegiali in primo grado non appare giustificabile mediante alcun criterio oggettivo che riveli ragionevolezza e si traduce in una previsione priva di coerenza razionale con il sistema processuale vigente e, soprattutto, in una omissione normativa che impedisce l'attuazione ed il rispetto del principio del giusto processo. Si tratta di una lacuna normativa che crea pure una distinzione priva di giustificazione e, dunque, uno strappo nel principio di uguaglianza: infatti, se per alcune controversie la ragionevole durata e' garantita mediante l'applicazione della decisione a seguito di trattazione orale, per altre, alla luce della sola diversa composizione dell'organo giudicante - e limitatamente al primo grado - questa possibilita' non e' praticabile. Questo tribunale non ignora l'insegnamento costante della Corte costituzionale, in tema di normative processuali e, cioe', il costume pretorile per cui «nella disciplina degli istituti processuali vige il principio della discrezionalita' e insindacabilita' delle scelte operate dal legislatore» (vedi, da ultimo, Corte cost., sentenza 16 gennaio 2013, n. 10) pero' pure non ignora che un sindacato e' comunque ammesso in caso di «manifesta irragionevolezza» (ex multis, ordinanze n. 174 del 2012, n. 141 del 2011, e n. 164 del 2010) che reputa ricorra nel caso di specie. 4. - Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza e il principio di uguaglianza, difesi dall'art. 3 della Charta Costituzionale, e con il principio del giusto processo ex art. 111 Cost. 5. - Petitum. Per quanto sin qui osservato, e' auspicabile un intervento della Corte adita che dichiari costituzionalmente illegittimo l'art. 189 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che «il giudice puo' decidere la causa ai sensi dell'art. 281-sexies». Alla luce di tutte le considerazioni svolte, il tribunale di Milano, sezione nona civile.