IL TRIBUNALE 
 
    A scioglimento della riserva espressa all'udienza del  15.1.2014,
ha pronunciato la seguente ordinanza (art. 134  Cost.,  23  legge  11
marzo 1953 n. 87) nel procedimento iscritto  al  n.  79495  dell'anno
2013, pendente tra:  Negro  Carlotta,  Cod.  fisc.  NGRCLT76C67D711B,
residente in Paderno Dugnano, alla via  Aurora  n.  21  rappresentate
legale: avv.ti U. Minneci,  S.  Mantovani  -  Domicilio  eletto:  c/o
Studio legale Milano, via Fatebenefratelli  n.  15   -  Procura  alle
liti:    a    margine     dell'atto     di     ricorso     -     PEC:
sabinamariavittoria.mantovani@milano.pecavvocati.it parte ricorrente; 
    Contro 
    Rottapharm S.p.a., in persona del suo procuratore  dott.  Stefano
Bertoletti, con sede operativa in Monza, via Valosa di Sopra  n.  9, 
rappresentate  legale:  avv.ti  G.  B.  Benvenuto,   G.   Bergamaschi
domicilio eletto: c/o Studio legale Milano, via  Fatebenefratelli  n.
15,  procura  alle  liti:  a  margine  dell'atto  di  ricorso,   PEC:
giovanni.benvenuto@milano.pecavvocati.it; parte resistente; 
 
                              In fatto 
 
    Carlotta Negro (informatore medico) - dipendente della Rottapharm
a far data dal 13 gennaio 2003 con  mansioni  di  Product  Manager  e
inquadramento al livello A2  del  CCN  Chimico-Farmaceutico -  veniva
licenziata per giusta causa dalla  societa'  datrice  di  lavoro  con
recesso datoriale del 18 luglio 2012, comunicato alla  dipendente  in
pari  data.  La  Negro  impugnava  tempestivamente  il  licenziamento
dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Milano  (Tribunale  di
Milano, Sezione Lavoro, giudice dr. Rossano Taraborrelli), proponendo
ricorso ex art. 1, comma 48, legge 28 giugno 2012 n. 92.  Il  giudice
adito respingeva l'impugnativa  con  ordinanza  del  27  giugno  2013
(depositata  in  Cancelleria  nella  medesima  data)   ritenendo   la
legittimita' del recesso datoriale, sul presupposto della  fondatezza
della contestazione disciplinare sollevata (indebito  uso,  da  parte
della  dipendente,  del  diritto  al  rimborso  spese).  Il   giudice
riteneva, altresi', proporzionale la sanzione disciplinare,  irrogata
nella forma piu' grave, quella espulsiva. 
    Con atto di opposizione ex art. 1, comma 51, legge 26 giugno 2012
n. 92, depositato in Cancelleria in data 24  luglio  2013,  la  Negro
citava in giudizio la datrice di lavoro affinche'  fosse  pronunciato
l'annullamento dell'ordinanza pronunciata dal Tribunale del Lavoro in
suo sfavore  e,  per  l'effetto,  fosse  accolta  l'impugnazione  del
licenziamento  con  le  statuizioni  consequenziali.  La   Rottapharm
resisteva alla domanda costituendosi in giudizio con memoria  del  31
ottobre 2013. Il fascicolo del  procedimento  di  opposizione  veniva
assegnato  al  dott.  Rossano  Taraborrelli,  il   medesimo   giudice
estensore dell'ordinanza  oggetto  di  impugnazione  da  parte  della
Negro.  Il  giudice  assegnatario  della  causa  fissava  udienza  di
comparizione delle parti in data 13 novembre 2013. 
    Con ricorso depositato in Cancelleria in data 31 ottobre 2013, la
Negro presentava istanza di ricusazione del  dott.  Taraborrelli,  ai
sensi dell'art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. La ricorrente riteneva  che
il  magistrato  designato  per  la  definizione   del   giudizio   di
opposizione ex art. l comma 51, l.  92/2012  non  potesse  essere  lo
stesso che aveva definito gia' la prima  fase  del  procedimento,  ai
sensi dell'art. 1 commi 48, 49, 1. 92/12. Il Presidente della Sezione
Lavoro, con atto del 14 novembre 2013, rimetteva  il  fascicolo  alla
Presidente del Tribunale la quale, con provvedimento del 15  novembre
2013,  assegnava  il  procedimento  alla  Sezione  Nona  Civile.   Il
Presidente  della  Sezione   designata   per   la   trattazione   del
procedimento di ricusazione, fissava,  con  decreto  del  19.11.2013,
udienza  in  data  15  gennaio  2014  con  provvedimento  che  veniva
comunicato alle  parti  del  processo,  in  data  25  novembre  2013,
mediante avviso  telematico,  nonche'  in  busta  chiusa  al  giudice
ricusato, in data 25 novembre 2013. Nelle more,  all'udienza  fissata
dal giudice  del  lavoro,  in  data  13  novembre  2013,  comparivano
entrambe  le  parti  del  processo.  Il  magistrato  (dott.   Rossano
Taraborrelli),  preso  atto  della  ricusazione  richiesta  nei  suoi
confronti, sospendeva il processo con ordinanza del 13.11.2013. 
    In data 15 gennaio 2014, veniva tenuta dinanzi a questo Collegio,
l'udienza fissata con decreto presidenziale  del  19  novembre  2013.
Entro il termine concesso, non pervenivano osservazioni da parte  del
giudice  ricusato.  Non  interveniva  nel  processo  la   Rottapharm.
Compariva, invece, all'udienza, la parte ricusante che insisteva  per
l'accoglimento del ricorso producendo pronunce giurisprudenziali.  Il
Collegio riservava la decisione. 
 
                             In diritto 
 
    E' intenzione di questo Tribunale rimettere gli atti del processo
alla Corte  costituzionale:  il  Collegio  giudica  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
degli art. 51, comma I, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51,  legge  28  giugno
2012 n. 92 (disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro
in una prospettiva di crescita), nella parte  in  cui  non  prevedono
l'obbligo di astensione  per  l'organo  giudicante  (persona  fisica)
investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma I,  l.  92/12
che abbia pronunciato l'ordinanza ex art. 1, comma 49, l. 92/2012, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. 
    In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza 
 
                               Osserva 
 
    [1]. Rilevanza.  In  punto  di  rilevanza,  la  questione  e'  da
considerarsi  senz'altro  rilevante.  La   parte   introduttiva   del
procedimento  richiede  al   Collegio   di   volere   accogliere   la
ricusazione, ex art. 52 c.p.c., ritenendo che  il  giudice  investito
del procedimento di opposizione ex  art.  1,  comma  51  cit.  avesse
l'obbligo di astenersi ex art. 51 comma I, n. 4 c.p.c. L'accoglimento
della  richiesta  della  Negro,  dunque,  presuppone  che  il   dott.
Taraborelli avesse  l'obbligo  di  astenersi  nel  giudizio,  poiche'
magistrato che aveva conosciuto della  medesima  causa  in  un  altro
grado del procedimento. Il citato  presupposto  non  sussiste,  nella
vigente formulazione normativa degli artt. 51, comma I, n. 4 c.p.c. e
1, comma 51, legge 28 giugno 2012 n. 92 
    La previsione oggetto  di  scrutinio  in  questo  giudizio -  per
quanto qui interessa - istituisce l'obbligo di astensione del giudice
nel caso in cui abbia «conosciuto  della  causa  come  magistrato  in
altro grado del processo». Si tratta di un formante  legislativo  che
il Collegio non puo' estendere a casi non espressamente previsti  dal
Legislatore.  I  casi  di  astensione  obbligatoria  del  giudicante,
incidendo sulla capacita' del giudice,  determinando  una  deroga  al
principio del giudice  naturale  precostituito  per  legge,  sono  di
stretta  interpretazione  e  non  sono   pertanto   suscettibili   di
applicazione per via d'interpretazione analogica  (Cass.  Civ.,  Sez.
Un. , 8 ottobre 2001 n. 12345, Rv. 550812). Ebbene,  la  declaratoria
di astensione obbligatoria trae linfa dalla  conoscenza  della  causa
che il giudice ha avuto  in  altro  «grado  del  processo»,  concetto
tecnico-giuridico nell'ambito del quale non puo' essere collocata  la
fase sommaria istituita dalla l. 92/12 nel suo art. 1 comma  49  cit.
La legge 28 giugno 2012 n.  92,  nei  commi  47  e  ss  dell'art.  1,
tipizza, infatti, un classico modello procedimentale cd. bifasico  in
cui ad una fase necessaria a carattere prettamente sommario segue una
fase eventuale a cognizione piena, destinata  a  concludersi  con  un
provvedimenti suscettibile di passare in giudicato. Nel  corso  della
prima fase, il giudice «sentite le parti e omessa ogni formalita' non
essenziale al contraddittorio, procede  nel  modo  che  ritiene  piu'
opportuno agli atti  di  istruzione  indispensabili  richiesti  dalle
parti o disposti d'ufficio, ai sensi  dell'art.  421  del  codice  di
procedura civile, e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva,
all'accoglimento o al rigetto  della  domanda».  Avverso  l'ordinanza
conclusiva della prima fase e' ammessa  opposizione  con  ricorso  ex
art. 414 c.p.c. che instaura la fase di merito dove, procedendo nelle
forme di  piena  cognitio,  il  giudice  definisce  il  processo  con
sentenza (suscettibile di impugnazione mediante reclamo dinanzi  alla
Corte  di   Appello).   La   morfologia   strutturale   dell'istituto
processuale introdotto dalla legge n.  92/2012  corrisponde,  dunque,
integralmente al codice genetico tipico dei procedimenti bifasici, in
cui  l'unico  processo  di  merito  e'  scandito  da  due  fasi:  una
preliminare sommaria, e  una  (eventuale:  se  c'e'  opposizione)  di
cognizione piena. Si versa,  in  buona  sostanza,  nell'ambito  delle
forme  procedimentali  che  prevedono  provvedimenti   interinali   a
contenuto decisorio, cedevoli nel corso del  successivo  giudizio  di
merito. In ipotesi del genere,  e'  notoriamente  escluso  che  possa
trovare applicazione l'obbligo dell'astensione, tant'e'  che,  quando
il Legislatore ha voluto esprimere una riserva, lo ha fatto  in  modo
espresso  (v.  ad  es.,  art.  186-bis  disp.  att.  c.p.c.  per   la
trattazione delle opposizioni in materia esecutive,  come  introdotto
dalla legge 18 giugno 2009 n. 69). In  questi  termini,  si  e'  gia'
espressa la giurisprudenza di questo Tribunale (Trib. Milano, sez.  I
civ., ordinanza 11 ottobre 2013 -Pres.,  est.  Roberto  Bichi;  Trib.
Milano, sez. I civ., ordinanza 19 giugno 2013 - Pres. Servetti,  est.
Buffone; Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza  20  novembre  2013  -
Pres. Servetti, est. Muscio). Per le  considerazioni  svolte,  stante
l'attuale tenore delle norme da applicare  all'odierno  processo,  il
dr. Taraborrelli non aveva l'obbligo di astensione  e,  pertanto,  la
domanda di ricusazione dovrebbe essere rigettata;  potrebbe,  invece,
essere accolta per  effetto  dell'accoglimento  della  qui  sollevata
eccezione di incostituzionalita'. 
    [2]. Ammissibilita'. In punto di ammissibilita' della  questione,
una interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. E' noto a questo
Tribunale che  tra  i  diversi  significati  giuridici  astrattamente
possibili, il Giudice deve selezionare quello che sia  conforme  alla
Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale,  infatti,
e'  legittimo  solo  allorquando  nessuno  dei  significati,  che  e'
possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle
censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65  in
Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea  di
principio,  le  leggi  si  dichiarano  incostituzionali  perche'   e'
impossibile darne interpretazioni «secundum Constitutionem» e non  in
quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche
vero che esiste  un  preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo
salvifico della norma a livello  ermeneutico:  il  giudice  non  puo'
«piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale». Ed, in tal senso,  di  fatto,  vi  sarebbe  il  rischio -
dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere  una
competenza che al Giudice a quo non compete,  se  non  altro  perche'
altri Organi, nell'impalcatura  Costituzionale  (come  l'adita  Corte
delle Leggi), sono deputati ad  espletare  talune  funzioni  ad  essi
esclusivamente riservate. Ma vi e' di piu': l'interpretatio  secundum
constitutionem presuppone, indefettibilmente,  che  l'interpretazione
«altra» sia  «possibile»,  cioe',  praticabile:  differentemente,  si
creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche  dinnanzi
a norme «chiare» ogni giudicante adito potrebbe  offrire  uno  spunto
interpretativo diverso. Rischio ancor piu' pericoloso dove la materia
sia governata  dal  principio  di  tipicita'  normativa,  poiche'  la
estensione della regola, a casi  non  previsti  dal  Legislatore,  si
tradurrebbe in una ingerenza non ammessa, da parte del giudice, nelle
scelte riservate al potere legislativo. Svolte queste considerazioni,
reputa pertanto l'odierno Giudicante che il  dato  normativo  non  si
possa prestare ad interpretazioni diverse da quella  emergente  dalla
mera lettura del testo. In particolare, questo Collegio  esclude  che
possa applicarsi, al caso di specie, il  principio  ricavabile  dalla
sentenza n. 387 della Corte costituzionale, depositata il 15  ottobre
1999 (interpretativa di rigetto),  come  ad  esempio  ritenuto  dalla
Corte di Appello di Milano, nella sentenza n. 1577  del  13  dicembre
2013, versata in atti dalla parte  ricorrente.  In  primo  luogo,  il
giudizio di comparazione, tra il caso trattato dalla  Consulta  nella
decisione citata e quello sottoposto a questo Collegio,  si  conclude
nel senso di escludere affinita' tra le fattispecie, tale da  indurre
a  ritenere  applicabile  la  medesima  proposizione   interpretativa
(distinguishing). Il giudizio previsto dall'art. 28, legge 20  maggio
1970 n. 300, infatti,  ha  la  funzione  esclusiva  di  reprimere  la
condotta antisindacale  e,  pertanto,  oggetto  del  processo  e'  la
violazione del diritto dei lavoratori all'attivita' sindacale e  allo
sciopero, tant'e'  che  il  provvedimento  conclusivo  del  rito  (se
positivo) comporta la cessazione del comportamento illegittimo  e  la
rimozione  degli  effetti.  Si  tratta,  inoltre,  di  una  procedura
attivata  su  ricorso  degli  organismi  locali  delle   associazioni
sindacali nazionali che vi abbiano interesse. Ambito processuale  del
tutto differente da quello regolato dalla 1. 92/12 in cui, invece, il
procedimento ha ad oggetto un determinato rapporto di  lavoro  in  un
giudizio che vede confrontarsi parti legate  da  rapporto  negoziale,
con un ambito di cognizione ben piu' ampio e complesso, in cui  anche
la conclusione del giudizio e' aperta ad una variegata  ricchezza  di
soluzioni giudiziali. Pertanto: nel primo rito, la pronuncia  ha,  di
fatto, vocazione sanzionatoria e l'ambito di cognizione e' limitato e
ristretto cosicche' non si assiste  invero,  a  due  fasi  «in  senso
tecnico», ma ad una sanzione ed alla  sua  impugnazione.  Da  qui  la
sostanziale assimilabilita' di quella  fase  ad  un  vero  e  proprio
«grado» del giudizio. Quanto non accade nel rito ex  lege  92/12.  In
questo caso, il procedimento resta unico una scandito da due fasi  in
cui, nella prima, il rapporto di lavoro e' oggetto di  una  pronuncia
celere e ad istruttoria «approssimativa» che, se non soddisfacente  a
giudizio di una o entrambe  le  parti,  viene  accantonata  per  dare
ingresso alla seconda (delle citate fasi) in  cui  il  processo  gode
della pienezza dei rimedi, degli strumenti, dei tempi. La  diversita'
ontologica tra i due riti  e'  pure  resa  palese  dal  dettaglio  di
disciplina che assiste il procedimento ex  lege  92/12  in  cui,  nei
commi da 47 a 69, il Legislatore disciplina in modo dettagliato: fase
sommaria, fase a cognizione piena, giudizio di  appello  procedimento
di Cassazione. Deve pure essere rilevata la particolare  singolarita'
del caso giudicato da Corte Cost. 387/1999:  in  quella  fattispecie,
infatti, erano state le sopravvenienze normative a creare una  aporia
nel formante  legislativo  originale.  Si  vuol  segnalare  che,  nel
sistema originario del procedimento  di  repressione  della  condotta
antisindacale, era prevista una fase davanti  al  Pretore,  il  quale
decideva in ordine alla richiesta di emissione del decreto ex art. 28
della legge n. 300 del 1970, ed una eventuale opposizione  avanti  al
Tribunale. Successivamente, la struttura nata  geneticamente  con  la
previsione  di  due  giudici  diversi,  era   stata   manipolata   in
conseguenza della riunificazione della competenza in capo al  giudice
monocratico.  Da  qui  l'intervento  della  Consulta  nel  senso   di
ammettere spazi per una interpretazione  secundum  constitutionem.  A
ben vedere,  allora,  nel  caso  sottoposto  al  giudizio  di  questo
Collegio, le circostanze sono del tutto differenti: in  questo  caso,
il rito nasce ab origine come affidato al medesimo  giudice  per  una
scelta precisa del  Legislatore.  Altro  elemento  significativo  per
escludere il richiamo a Corte Cost. 387/99, e'  che  il  Legislatore,
consapevole  dell'intervento  della  Consulta  del  1999,  non  abbia
comunque inteso affermare la necessita' di un giudice diverso per  il
rito ex lege 92/2012, nel complesso di un articolato normativo in cui
sono    espressamente    previste    finanche    disposizioni     per
l'organizzazione tabellare dell'ufficio giudicante (v. art.  1  commi
65, 66, l. 92/12). Il «Legislatore consapevole» (v. Cass. civ.,  sez.
III, 24 agosto 2007, n. 17958), insomma, ha escluso la necessita'  di
un  giudice  (persona  fisica)  differente  per  la  trattazione  del
giudizio di opposizione. All'esito dello scrutinio condotto,  risulta
inappagante il tentativo di interpretazione conforme a  Costituzione,
ravvisandosi  nelle  norme  impugnate  una   precisa   volonta'   del
Legislatore. In  senso  rafforzativo  delle  considerazioni  sin  qui
svolte, questo Collegio non puo' non segnalare come l'estensione  per
analogia, alla fattispecie odierna, del principio di diritto espresso
nella citata  sentenza  interpretativa  di  rigetto  della  Consulta,
lascerebbe comunque irrisolta la quaestio juris sottesa  al  giudizio
di opposizione previsto dalla l. 92/12, sottraendo al  Giudice  delle
Leggi quel potere di giudizio - su casi quali quello qui  trattato  -
che contribuisce a salvaguardare  l'interesse  pubblico  fondamentale
alla certezza del diritto (soprattutto processuale).  Alla  luce  del
ragionamento sin qui svolto: il rito ex lege 92/12 non prevede che il
giudice delle due fasi debba essere diverso e questa  previsione  non
puo' nemmeno ricavarsi per via interpretativa attingendo al bacino di
Corte Cost. 387/99. 
    [3]. Merito. Ritenuto che - per i motivi sin qui illustrati - gli
art. 51, comma I, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51, legge 28 giugno 2012  n.
92, allo stato, consentano (e non vietino) che il giudice della  fase
urgente (art. i comma 49 cit.) possa essere anche giudice della  fase
di opposizione (art. 1 comma 51 cit.), questo  Tribunale,  pur  nella
consapevolezza  dei  principi  espressi  dalla  corte  Costituzionale
riguardo a tali temi processuali (v. ord.  n.  168/2000)  ritiene  di
dovere prospettare la questione di incostituzionalita' delle suddette
norme tenuto conto, comunque, del  rilievo  che  possono  assumere  i
diversi esiti interpretativi cui e'  giunta  la  Corte  d'appello  di
Milano  nella  sentenza  n.   1577/2013   e   i   concreti   riflessi
ordinamentali e organizzativi che  ne  derivano  nella  gestione  del
processo del lavoro, per violazione degli  artt.  3,  24,  111  della
Costituzione. In tale prospettiva puo' ipotizzarsi che il  fatto  che
il rito qui esaminato sia diverso, strutturalmente e  funzionalmente,
dal rito disegnato nell'art. 28  dello  Statuto  dei  Lavoratori,  in
quanto assimilabile ai procedimenti bifasici,  non  esclude  che,  in
questa fattispecie, la  previsione  di  un  «giudice  persona  fisica
unico»  si  ponga  in  contrasto  con  la  Carta  Costituzionale.  La
particolare struttura procedimentale, introdotta dalla l. 92/12,  pur
mirando a costituire un procedimento scandito da due  fasi -  di  cui
una urgente e sommaria  e  l'altra  di  piena  cognizione -  pur  non
istituendo, in senso tecnico, un «grado» di giudizio, mette mano,  di
fatto, ad una volta processuale in cui la  seconda  delle  fasi  puo'
assume valore  impugnatorio  con  contenuto  sostanziale  di  revisio
prioris instantiae. 
    Cio', in particolare, risulta nel caso di specie.  Nell'ordinanza
del 27 giugno 2013, il giudice chiamato anche a definire la  fase  di
opposizione, nel rispetto delle previsioni della l. 92/12, non si  e'
limitato ad una tutela  fondata  su  una  prima  «lettura  della  res
iudicanda», mediante  poverta'  di  accertamenti  istruttori,  ma  ha
compiutamente esaminato tutti i profili di merito contesi, sindacando
i  motivi  del  licenziamento,  la  proporzionalita'  della  sanzione
disciplinare e, in particolare, portando a termine in modo  esaustivo
l'accertamento in ordine al fatto storico da cui ha tratto  linfa  il
recesso datoriale. La riproposizione del medesimo tema di indagine al
giudice  dell'opposizione  comporta,  dunque,  sostanzialmente,   una
richiesta al giudice stesso di riesprimere, in riedizione, il proprio
convincimento. La dinamica procedimentale  cosi  confezionata  sembra
comportare, in primis, violazione dell'art.  3,  primo  comma,  della
Costituzione, per la irragionevole diversita' di disciplina  rispetto
all'ipotesi,    sostanzialmente    simile,     prevista     dall'art.
669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ., che ha  introdotto  un
caso di  incompatibilita'  del  giudice  in  una  ipotesi  abbastanza
analoga, per essere adottata quale tertium comparationis. Deve  anche
essere  denunciata  la  violazione  degli  artt.  24  e   111   della
Costituzione, per la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale,
sotto il profilo di esclusione della imparzialita' del giudice. 
    [4]. Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene  che
le norme censurate siano sospettabilita' di  incostituzionalita'  per
violazione degli artt. 3, 24, 111, Cost. 
    [5]. Petitum. Per quanto  sin  qui  osservato,  si  rimette  alla
valutazione della Corte adita  la  questione  di  incostituzionalita'
degli art. 51, comma I, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51,  legge  28  giugno
2012 n. 92 (disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro
in una prospettiva di crescita), nella parte  in  cui  non  prevedono
l'obbligo di astensione  per  l'organo  giudicante  (persona  fisica)
investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma I,  l.  92/12
se abbia gia'  pronunciato  l'ordinanza  ex  art.  1,  comma  49,  l.
92/2012.