TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO Sezione prima civile Presidente dottor Roberto Bichi rel. est. Giudice dottoressa Orietta Micciche' Giudice dottoressa Serena Baccolini Il Tribunale, cosi' come sovra composto, provvedendo sul ricorso per ricusazione proposto da Giuseppe Oliveto della giudice dottoressa Maria Rosaria Cuomo (procedimento n. r.g. 3502/2014), ha emesso la seguente ORDINANZA 1. Giuseppe Oliveto il 27 maggio 2013 proponeva ricorso ex art. 1 comma 48 L. n. 92/2012, nei confronti di Laborest Italia spa, chiedendo che fosse accertato il rapporto di lavoro subordinato intercorso con la resistente a far data dal 3 ottobre 2011, l'illegittimita' del licenziamento orale intimato, con le conseguenti pronunce. A seguito di riserva assunta all'udienza del 5 settembre 2013 la giudice Cuomo emetteva ordinanza 10 settembre 2013 con cui respingeva le richieste proposte dalla difesa Oliveto. Questi proponeva ricorso ex art. 1 comma 51 L. 92/2012, che era assegnato per l'ulteriore trattazione alla giudice Cuomo. Parte ricorrente con ricorso 16 gennaio 2014, deduce ragione di ricusazione nei confronti della giudice Cuomo quale assegnatario dell'opposizione ex art. 1 comma 51 L. n. 92/2012, sul rilievo che il medesimo giudice ha gia' trattato del tema controverso quale designato alla trattazione del ricorso ex art. 1 comma 48 L. cit.; richiama il precetto di cui all'art. 51 comma 1 n. 4 c.p.c., deducendosi che il giudice ha conosciuto della causa in «una precedente fase del processo». Il ricorrente articola le proprie deduzione prospettando che l'art. 51 comma 1 n. 4, in correlazione con l'art. 1 comma 51 cit., deve essere interpretato attraverso un orientamento che trae ragione d'essere nell'art. 111 Cost., la' dove si pretende la posizione di imparzialita' del giudice. Sostiene che il diverso ampio orientamento giurisprudenziale che ritiene la perfetta ammissibilita' o, comunque, il non divieto del permanere del medesimo giudice-persona nella trattazione del procedimento previsto dalla diposizione ex art. 1 L. n. 92/2012 si porrebbe in contrasto con il precetto costituzionale, cosi' come ricavabile anche da quanto gia' affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 387/1999. Da cio', quindi, la prospettazione di incostituzionalita' delle predette norme, se esse, nel loro dato testuale, prevedano o, comunque, consentano l'identita' del giudice-persona nella fase sommaria-anticipatoria e della eventuale fase successiva ordinaria, a seguito di ricorso ex art. 1 comma 51 L. cit., 414 c.p.c.. 2. Il ricorso per ricusazione ripropone la tematica circa il (preteso) dovere di astensione del giudice assegnatario dell'opposizione ex art. 1 comma 51 L. n. 92/2012 nell'ipotesi in cui abbia gia' trattato del tema controverso quale giudice designato per la decisione del ricorso ex art. 1 comma 48 L. cit. Sulla questione il Tribunale di Milano si e' gia' pronunciato con varie ordinanze reiettive della questione (vedi, tra le altre, Sez 1° civ. 4 aprile 2013, IX sezione civile 19 giugno 2013, Sezione specializzata per l'impresa A 11 luglio 2013 e 21 novembre 2013, conformi all'indirizzo espresso da vari Tribunali: Tribunale di Palermo, ord. 28 gennaio 2013, Tribunale di Bergamo, ord. 25 marzo 2013, Tribunale di Piacenza ord. 12 novembre 2012,) Nei provvedimenti ora citati si e' ampiamente esposto come nella specie non venga in considerazione l'evocata ipotesi di cui all'art. 51, 1° comma n. 4 c.p.c., che prevede l'obbligo di astensione del giudice solo nel caso in cui abbia conosciuto della controversia «in altro grado del processo o come arbitro».: condizione non ravvisabile la' dove, come nella specie, l'istituto processuale e' articolato su di una prima fase sommaria, cui segue una eventuale seconda articolazione oppositiva, secondo uno schema tipico dei procedimenti di opposizione a cognizione ordinaria, nell'ambito nel medesimo grado di giudizio. Orientamento di merito conforme ai principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha avuto modo di evidenziare che l'emissione di provvedimenti di urgenza o a cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che e' chiamato a decidere il merito della causa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non puo' in nessun modo pregiudicarne l'esito, ne' determina un obbligo di astensione o una facolta' della parte di chiedere la ricusazione (Cass. n. 422/2006). Principi interpretativi rispondenti all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale cui fu rimessa la questione della conformita' dell'art. 51, 1° comma n. 4 c.p.c. al dettato costituzionale (v. sentenza n. 326/1997 e Ordinanza n. 168/2000). Orientamento che ha trovato ulteriore riscontro, di particolare rilievo, anche avuto riguardo specifico alle ipotesi di opposizioni proposte avanti il giudice dell'esecuzione avverso atti esecutivi dallo stesso anteriormente adottati (v. Cass. n. 5510/2003), ovvero, abbia gia' conosciuto del contenzioso, nel medesimo grado, adottando provvedimenti a cognizione sommaria o cautelare (v. SS.UU. Cass. n. 1783/2011, Cass. n. 18047/2008). Quadro giurisprudenziale di riferimento che trova indiretto conforto, nella constatazione che il legislatore quando ha voluto introdurre, nell'ambito del medesimo grado di giudizio, un'ipotesi di incompatibilita' lo ha espressamente previsto (v. art. 186 bis disp. att. cpc., introdotto dalla L. n. 69/2009), trovando, in difetto, applicazione il principio della persistenza del medesimo giudice durante il procedimento di primo grado, ancorche' articolato in possibili momenti processuali, scanditi dall'adozione di provvedimenti di natura decisoria. Ed invero, la proposta ricusazione muove da una ricostruzione del sistema processuale civile che, implicitamente, sembra mutuare principi ad esso non riconducibili e elaborati nell'ambito degli istituti propri del processo penale, in rapporto alle regole pretesamente desumibili dagli artt. 24 e 111 Cost.. Infatti, nell'ordinamento processuale penalistico - tendenzialmente secondo l'attuale sistema - il giudice che decide deve arrivare al dibattimento senza conoscere il materiale istruttorio e la vicenda che ha coinvolto i soggetti che giudichera', deve essere stato estraneo agli atti antecedenti del procedimento: meccanismo che esclude di per se' che il giudice possa avere una qualche pre-cognizione, anche nel medesimo grado di giudizio, del thema decidendum. L'impostazione di un tale sistema processuale muove da scelte che appaiono incompatibili con il processo civile, nella forma moderna conosciuta da tutti i sistemi al nostro assimilabili. Infatti, nella procedura civile la costante cognizione - nel medesimo grado di giudizio - da parte dello stesso giudice dei vari profili in cui puo' atteggiarsi la vicenda processuale, anche se comportano, in corso di causa, l'adozione di provvedimenti cautelari, sommari o anticipatori, e' addirittura un valore perseguito (cfr. art. 174 c.p.c.). Valore che rappresenta, anche sotto il profilo funzionale, la condizione affinche' possa operativamente esistere una giurisdizione civile rispondente proprio ai precetti costituzionali di cui agli artt. 97 e 111 Cost., avuto riguardo alla necessita' di una ragionevole durata del processo. Inoltre, un processo in cui il giudice che ha emesso un provvedimento non meramente ordinatorio o a cognizione sommaria, diventa automaticamente «parziale» e deve quindi astenersi dalla trattazione della causa, con la conseguente sua sostituzione con altro giudice, sarebbe pressoche' impossibile. Infatti una tale opzione comporterebbe - in considerazione della serie di provvedimenti di natura decisoria e anticipatoria che e' chiamato ad adottare il giudice del lavoro e, piu' in generale, il giudice civile (dalla concessione della provvisoria esecuzione, all'adozione di provvedimenti di urgenza e cautelari ante causam o in corso di causa, alla definizione della rilevanza e ammissibilita' dei mezzi istruttori, all'emissione dei provvedimenti ex artt. 186 bis e segg. ecc.) - un processo che va da giudice a giudice per l'adozione di qualsiasi provvedimento non ordinatario, una impossibilita' gestionale dei ruoli e dell'Ufficio, sino al concreto pericolo dell'impossibilita' dell'effettivo esercizio della giurisdizione. Principi processualistici e costituzionali che sono stati efficacemente espressi dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 169/2000, che avuto riguardo a provvedimenti decisori assunti al termine dell'istruttoria (art. 186-quater c.p.c.), ha ritenuto di escludere ogni loro rilevanza ex art. 51 c.p.c., affermando che, ove richiesto di emanare successiva sentenza, il giudice non deve «inevitabilmente ripercorrere l'identico itinerario logico-decisionale gia' seguito, dovendo prendere in considerazione le ragioni ulteriormente svolte dalle parti in sede di comparsa conclusionale, memoria di replica, discussione orale.... meccanismo che offre alle parti una garanzia di maggiore ponderazione del contenzioso»: «qualunque sia il contenuto della sentenza, il meccanismo processuale in parola, lungi dal violare il diritto di difesa per eventuale incidenza della forza della prevenzione nel giudizio del decidente, offre alle parti una garanzia di maggiore ponderazione del contenzioso in sede decisoria, salvaguardando nel contempo l'esigenza di un pieno rendimento dell'attivita' giurisdizionale, secondo il principio di concentrazione degli atti e di economia endoprocessuale (cfr. sentenza n. 363 del 1998), che esige appunto la continuita' del medesimo giudice nel condurre il processo fino alla decisione conclusiva». 3. Tale conclusione non puo' essere disattesa sul rilievo di una specificita' del giudizio giuslavoristico, attraverso una estensione dei principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 387/1999 in tema di applicazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori. Ipotesi, all'evidenza, affatto diversa rispetto a quella introdotta dall'art. 1 commi 48 e segg. L. cit.. Infatti, nelle ora citate disposizioni, e' prevista una fase sostanzialmente a cognizione sommaria, anche sotto il profilo istruttorio (il giudice «procede....agli atti di istruzione indispensabili...»), cui segue un'eventuale fase oppositiva che non si struttura quale impugnazione dell'ordinanza emessa ex art. 1 comma 49, ma determina l'instaurazione di un giudizio ordinario di cognizione in materia di lavoro. La disposizione e' inequivoca in tal senso «...puo' essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all'art. 414 c.p.c.» (comma 51) introducendosi, quindi, una cognizione piu' ampia e piena, che puo' abbracciare domande nuove, sia pur fondate sui medesimi fatti costitutivi, ovvero domande nei confronti di eventuali litisconsorti o garanti ovvero la proposizione di domande riconvenzionali, con istruttoria piena non vincolata alle mere acquisizioni «indispensabili» acquisite in via d'urgenza e sommaria. La morfologia strutturale dell'istituto in questione corrisponde integralmente al codice genetico tipico dei procedimenti bifasici in cui l'unico processo di merito e' scandito in due fasi: una preliminare e sommaria e una eventuale (se c'e' opposizione) di cognizione ulteriore e piena, adottandosi, quindi una forma processuale tipica delle opposizioni o corrispondente ai modelli procedimentali che prevedono provvedimenti interinali a contenuto decisorio ma cedevoli nell'eventuale successivo fase di giudizio. Quanto ora esposto evidenzia che la giurisprudenza prevalente in tema di interpretazione del sistema processuale ex art. 1 commi 48 e segg. L. cit. e 51 comma 1 n. 4 c.p.c. non individua alcuna preclusione a che sia mantenuta l'identita' del medesimo giudice-persona nelle due fasi e, tanto meno, quindi - in via di primo approccio interpretativo metodologico sotto il profilo costituzionale - sia consentita una interpretazione che muovendo dall'art. 111 Cost., imponga l'obbligo di astensione del giudice. 4. Gia' in altra ordinanza di rimessione della questione alla Corte costituzionale di questo Tribunale (IX sez. civile, Ordinanza 27 gennaio 2014, pres. Manfredini, est. Buffone), riguardo alla ora evocata problematica si e' sottolineato che se e' vero che in linea di principio le leggi si dichiarano incostituzionali perche' e' impossibile darne interpretazioni «secundum Constitutionem» e non in quanto sia possibile darne interpretazioni (pretesamente) incostituzionali, e' anche vero che esiste un preciso limite all'esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico: il giudice non puo' «piegare la disposizione fino a spezzarne il legame con il dato letterale». Ed infatti il potere riconosciuto al giudice ordinario di interpretare la disposizione, cosi' operando, in tale fase ordinaria, la reductio ad legittimatem ope iudicis, non fa venir meno il quadro di riferimento costituzionale, che prevede un controllo centrale di costituzionalita' delle leggi. Va considerato che l'interpretatio secundum Constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l'interpretazione «altra» sia «possibile», cioe', praticabile: differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche dinnanzi a norme «chiare» ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. Svolte queste considerazioni, reputa pertanto il Tribunale che il dato normativo non si possa prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo. In particolare, come gia' sovra ricordato, il Tribunale esclude che possa applicarsi il principio ricavabile dalla sentenza n. 387 della Corte costituzionale, depositata il 15 ottobre 1999. Infatti, sarebbe arbitrario un giudizio di assimilazione tra il caso trattato dalla Consulta nella decisione citata e quello sottoposto a questo Collegio. Puo' osservarsi, inoltre, richiamandosi quanto evidenziato nella ordinanza 27/1/2014 che «il giudizio previsto dall'art. 28, legge 20 maggio 1970 n. 300, infatti, ha la funzione esclusiva di reprimere la condotta antisindacale e, pertanto, oggetto del processo e' la violazione del diritto dei lavoratori all'attivita' sindacale e allo sciopero, tant'e' che il provvedimento conclusivo del rito (se positivo) comporta la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. Si tratta, inoltre, di una procedura attivata su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse. Ambito processuale del tutto differente da quello regolato dalla l. 92/12 in cui, invece, il procedimento ha ad oggetto un determinato rapporto di lavoro in un giudizio che vede confrontarsi parti legate da rapporto negoziale, con un ambito di cognizione ben piu' ampio e complesso, in cui anche la conclusione del giudizio e' aperta ad una variegata ricchezza di soluzioni giudiziali. Pertanto: nel primo rito, la pronuncia ha, di fatto, vocazione sanzionatoria e l'ambito di cognizione e' limitato e ristretto cosicche' non si assiste invero, a due fasi «in senso tecnico», ma ad una sanzione ed alla sua impugnazione. Da qui la sostanziale assimilabilita' di quella fase ad un vero e proprio «grado» del giudizio. Quanto non accade nel rito ex lege 92/12. In questo caso, il procedimento resta unico ma scandito da due fasi in cui, nella prima, il rapporto di lavoro e' oggetto di una pronuncia celere e ad istruttoria «approssimativa» che, se non soddisfacente a giudizio di una o entrambe le parti, viene accantonata per dare ingresso alla seconda (delle citate fasi) in cui il processo gode della pienezza dei rimedi, degli strumenti, dei tempi. La diversita' ontologica tra i due riti e' pure resa palese dal dettaglio di disciplina che assiste il procedimento ex lege 92/12 in cui, nei commi da 47 a 69, il Legislatore disciplina in modo dettagliato: fase sommaria, fase a cognizione piena, giudizio di appello procedimento di Cassazione. Deve pure essere rilevata la particolare singolarita' del caso giudicato da Corte Cost. 387/1999: in quella fattispecie, infatti, erano state le sopravvenienze normative a creare una aporia nel formante legislativo originale. Si vuol segnalare che, nel sistema originario del procedimento di repressione della condotta antisindacale, era prevista una fase davanti al Pretore, il quale decideva in ordine alla richiesta di emissione del decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, ed una eventuale opposizione avanti al Tribunale. Successivamente, la struttura nata geneticamente con la previsione di due giudici diversi, era stata manipolata in conseguenza della riunificazione della competenza in capo al giudice monocratico. Da qui l'intervento della Consulta nel senso di ammettere spazi per una interpretazione secundum constitutionem». Ed allora, come gia' in precedenza motivato, questo tribunale deve declinare la richiesta del ricusante di estendere, alla fattispecie odierna, il principio di diritto espresso nella citata sentenza interpretativa di rigetto della Consulta. processuale). Alla luce del ragionamento sin qui svolto, deve affermarsi che il rito ex lege 92/12 non prevede che il giudice delle due fasi debba essere diverso e questa previsione non puo' nemmeno ricavarsi per via interpretativa attingendo al vago meccanismo dell'interpretazione costituzionalmente orientata, giacche nel nostro ordinamento processuale positivo la cognizione del contenzioso da parte dello stesso giudice non determina, nel medesimo grado di giudizio, la sua non imparzialita'. 5. Giunti a questo punto dell'iter argomentativo, questo Tribunale, tuttavia, ritiene che sia necessario consentire l'accesso alla valutazione della Corte Costituzionale dei temi proposti dal ricusante. Infatti il Tribunale non ignora - come evidenziato dalla parte ricusante - il rilievo che possono assumere i diversi esiti interpretativi richiamati e cui e' giunta altra minoritaria giurisprudenza (v. Corte d'appello di Milano nella sentenza n. 1577/2013 - avuto riguardo alla diretta applicabilita' dei principi ricavabili dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 387/1999-: Corte territoriale che ha dichiarato la nullita' della sentenza emessa dal Tribunale sezione lavoro, in quanto emanata dal medesimo giudice persona in violazione dell'obbligo di astensione); inoltre questo giudice rileva l'estrema importanza di una conclusiva e autoritativa determinazione della Corte costituzionale al fine anche di individuare i concreti riflessi ordinamentali e organizzativi che ne derivano nella gestione del processo del lavoro. In tale prospettiva, gli argomenti svolti dal ricusante assumono una loro non manifesta infondatezza e ammissibilita', potendosi ipotizzare che ancorche' il rito qui esaminato sia diverso, strutturalmente e funzionalmente, dal rito disegnato nell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, non puo' escludersi che, in questa fattispecie, la previsione di un «giudice persona fisica unico» ponga dubbi di costituzionalita'. La particolare struttura procedimentale, introdotta dalla L. n. 92/12, pur mirando a costituire un procedimento scandito da due fasi - di cui una urgente e sommaria e l'altra di piena cognizione - pur non istituendo, in senso tecnico, un «grado» di giudizio, configura una struttura processuale in cui la seconda delle fasi puo' assume-secondo il ricusante e la citata giurisprudenza d'appello- valore impugnatorio con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae. In tale prospettiva, puo' prospettarsi la violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, per la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale, sotto il profilo di esclusione della imparzialita' del giudice. 6. Palesemente sussistente e' la rilevanza della questione, giacche, esclusa allo stato la ricorrenza di un'ipotesi di astensione obbligatoria che giustifichi l'accoglimento della richiesta di ricusazione, ove fosse accertata la non rispondenza ai precetti costituzionali dell'art. 51 c.p.c. in correlazione con l'art. 1 comma 51 L. 92/2012, questo Collegio sarebbe tenuto ad accogliere il ricorso della parte. Per quanto sin qui osservato, si rimette alla valutazione della Corte adita la questione di incostituzionalita' degli art. 51, comma I, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51, legge 28 giugno 2012 n. 92 (disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui non prevedono l'obbligo di astensione per l'organo giudicante (persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma I, l. 92/12 se abbia gia' pronunciato l'ordinanza ex art. 1, comma 49, l. 92/2012.