IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA 
                           Sezione Penale 
 
 
                              Ordinanza 
                   Ex art. 23, L. 11.3.1953, n. 87 
 
    Il Tribunale monocratico, nel procedimento di  cui  in  epigrafe,
nei confronti di Sperandio Emanuele n. a Legnago il 28.12.1974,  res.
in Ronco all'Adige e via  Conte  Alone,  n.  29,  difeso  di  fiducia
dall'Avv. Stefano Gomiero del foro di Verona; 
    Vista la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  10
bis, D.L.vo  74/2000,  sollevata  in  via  preliminare  dalla  difesa
dell'imputato, e letta la memoria difensiva allegata a sostegno; 
    Sentito il P.M. che si e' rimesso; 
 
                               Osserva 
 
    Rilevanza della questione. 
    La difesa dubita della legittimita' costituzionale  dell'art.  10
bis, D.L.vo 74/00 per contrasto con l'art. 3 Cost. per il trattamento
ingiustificatamente deteriore  riservato  alle  condotte  ivi  punite
rispetto a quello previsto, fino al 17.9.2011, per i piu' gravi reati
di cui agli artt. 4 e 5, D.L.vo cit. e rispetto  a  quello  previsto,
sempre nel medesimo periodo temporale, per il reato di  cui  all'art.
10 ter, D.L.vo 74/00 (cosi' come risultante a seguito della  sentenza
della Corte Cost. n. 80 del 2014). 
    Ritiene dunque  che  l'art.  10  bis,  D.L.vo  cit.  deve  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella  parte  in  cui,  con
riferimento ai fatti commessi fino  al  17.9.2011,  punisce  l'omesso
versamento  da  parte  del   sostituto   d'imposta   delle   ritenute
certificate rilasciate ai sostituiti, per importi non superiori,  per
ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38. 
    La  questione  e'  rilevante  perche'   nel   presente   processo
l'imputato e' stato citato in giudizio per rispondere  del  reato  di
cui all'art. 10 bis, D.L.vo 74/2000 "per aver omesso di versare entro
il  termine  previsto  per  la  dichiarazione  annuale  di  sostituto
d'imposta le ritenute risultanti dalle certificazioni  rilasciate  ai
sostituiti per l'anno 2010, per un ammontare di  euro  60.108,00.  In
Bonavigo (VR) il 22.8.2011". 
    Dunque se la  questione  di  costituzionalita',  che  di  seguito
verra' illustrata, venisse accolta l'imputato dovrebbe essere assolto
perche' il fatto contestatogli  non  costituirebbe  piu'  reato.  Non
sussistono del resto ragioni per un proscioglimento immediato ex art.
129 c.p.p. 
    Non manifesta infondatezza della questione. 
    Per illustrare la  non  manifesta  infondatezza  della  questione
occorre prendere le mosse dalla sentenza della  Corte  Costituzionale
n. 80 dell'8.4.2014, che ha dichiarato, per  violazione  dell'art.  3
Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10  ter  del  D.L.vo
74/2000, nella parte in cui, con riferimento ai fatti  commessi  sino
al 17.9.2011, punisce l'omesso versamento dell'IVA,  dovuta  in  base
alla relativa dichiarazione annuale, per importi non  superiori,  per
ciascun periodo d'imposta, ad 103.291,38. 
    Nella sentenza la Corte evidenzia innanzitutto che la  previsione
punitiva di cui all'art. 10 ter cit. "protegge l'interesse del  fisco
alla riscossione dell'imposta cosi' come autoliquidata  dallo  stesso
contribuente", in quanto presupposto della sua applicazione e' che il
soggetto di imposta abbia presentato la  dichiarazione  annuale  IVA,
dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza
che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della  somma
ivi indicata come dovuta. 
    A fronte  di  cio'  la  Corte  rileva  un  evidente  "difetto  di
coordinamento" tra la soglia di punibilita' del reato de quo e quelle
relative ai reati di cui agli artt. 4 e 5, D.L.vo cit.  (prima  delle
modifiche legislative intervenute nel settembre  2011),  "foriero  di
sperequazioni   sanzionatorie   che,   per    la    loro    manifesta
irragionevolezza,    rendono    censurabile     l'esercizio     della
discrezionalita'  pure  spettante  al  legislatore  in   materia   di
configurazione delle fattispecie astratte di reato". 
    Ed invero  l'art.  5,  D.Lvo  cit.  inizialmente  puniva  con  la
reclusione da 1 a 3 anni l'omessa presentazione  della  dichiarazione
annuale dei redditi o IVA, al fine di evadere dette  imposte,  quando
l'imposta evasa fosse  superiore,  con  riferimento  a  talune  delle
singole imposte, ad € 77.468,53. 
    L'art. 4, D.L.vo cit. a sua volta puniva, sempre ab origine,  con
la medesima pena dell'art. 5, la presentazione di  una  dichiarazione
dei redditi o IVA infedele,  al  fine  di  evasione  fiscale,  quando
l'imposta evasa fosse superiore ad € 103.291,38. 
    Cio' comportava, secondo il giudizio della Corte, una conseguenza
palesemente illogica, nel caso in cui l'IVA dovuta  dal  contribuente
si situasse nell'intervallo tra la soglia di punibilita' dell'art. 10
ter da un lato e quelle degli artt. 4  e  5  dall'altro,  poiche'  ne
conseguiva  un  trattamento  deteriore  per  chi  aveva  regolarmente
presentato una  fedele  dichiarazione  IVA  senza  versare  l'imposta
dovuta e autoliquidata, rispetto a chi non aveva  neanche  presentato
la dichiarazione o l'aveva  presentata  inveritiera,  senza  comunque
versare l'imposta. 
    Ed infatti, con riguardo all'art. 5 cit., nel caso in  cui  l'IVA
dovuta dal contribuente eccedesse i 50.000 euro ma non  i  77.468,53,
"veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente
la dichiarazione IVA, senza versare l'imposta dovuta, rispetto a  chi
non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari  l'imposta.
Nel primo caso il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di
omesso versamento IVA, stante il superamento della soglia, mentre nel
secondo sarebbe rimasto esente da pena, non  risultando  superata  la
soglia". 
    E parimenti, nel confronto con l'art. 4 cit.,  nel  caso  in  cui
l'IVA da versare si collocasse tra i  50.000  e  i  103.291,38  euro,
"fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una
dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della
soglia), rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente  la
propria  situazione  in  dichiarazione,  salvo  poi  a  non   versare
l'imposta di cui si era riconosciuto debitore". 
    La Corte osservava  quindi  che  "la  lesione  del  principio  di
uguaglianza  ...  e'  resa   manifesta   dal   fatto   che   l'omessa
dichiarazione e  la  dichiarazione  infedele  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del fisco, rispetto all'omesso versamento dell'IVA: e  cio'
nella  stessa  considerazione  del  legislatore,  come   emerge   dal
raffronto delle rispettive pene edittali". 
    Il  sistema  sopra  delineato  rivelava  dunque  un'irragionevole
disparita' di trattamento, stabilendo  un  trattamento  sanzionatorio
meno favorevole per condotte  "trasparenti",  in  cui  l'inadempienza
tributaria e' resa palese dallo stesso contribuente ed immediatamente
percepibile per il Fisco, quindi  meno  lesive  degli  interessi  del
fisco stesso rispetto a condotte piu' insidiose (come quelle  di  cui
agli artt. 4 e 5 cit.) poiche' idonee  ad  ostacolare  l'accertamento
dell'evasione. 
    Ed invero,  plausibilmente  proprio  per  far  venire  meno  tale
incongruenza, con D.L. n. 138/2011 (conv. in L. 14.9.2011, n. 148) il
legislatore e' intervenuto riducendo la  soglia  di  punibilita'  dei
reati  di  omessa  dichiarazione   e   di   dichiarazione   infedele,
rispettivamente ad 30.000 (importo inferiore a  quello  dell'art.  10
ter) e ad e 50.000 (importo uguale a quello dell'art.  10  ter).  "In
tal modo", osserva la Corte "la distonia e' venuta meno". 
    Tali modifiche tuttavia, essendo  di  segno  sfavorevole  al  reo
(all'abbassamento delle soglie corrisponde, infatti,  un  ampliamento
dell'area di rilevanza penale), risultano applicabili ai  soli  fatti
successivi alla data di entrata in vigore  della  relativa  legge  di
conversione (17 settembre 2011). 
    Ne  conseguiva  che  per  i  fatti  precedenti,  la  lesione  del
principio di uguaglianza continuava a sussistere. Da qui la pronuncia
di incostituzionalita'  dell'art.  10  ter,  D.L.vo  cit.,  che,  per
rimuovere  la  suddetta  disuguaglianza,  con  riferimento  ai  fatti
anteriori al 17.9.2011, ha elevato la soglia di punibilita' del reato
de qua, allineandola alla piu' alta  fra  le  soglie  di  punibilita'
delle   violazioni   in   rapporto   alle   quali   si    manifestava
l'irragionevole disparita' di trattamento, ossia quella relativa alla
dichiarazione infedele. 
    Premesso tutto  cio'  si  ritiene  che,  per  ragioni  del  tutto
analoghe, la lesione del principio di uguaglianza, sancito  dall'art.
3 Cost., sussista anche con riguardo alla fattispecie di cui all'art.
10 bis, D.L.vo cit., sia nel raffronto con i reati di cui agli  artt.
4 e 5, D.L.vo cit. nella formulazione previgente, sia  nel  raffronto
col reato di cui all'art. 10 ter, D.L.vo cit., cosi' come  risultante
a seguito della citata sentenza della Corte Cost. n. 80 del 2014. 
    L'art. 10 bis, D.L.vo 74/00 (introdotto dall'art. 1, co. 414,  L.
30.12.2004, n. 311) punisce con la reclusione da 6  mesi  a  2  anni,
l'omesso versamento di ritenute effettuate e  certificate,  entro  il
termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale  di
sostituto d'imposta, per  un  ammontare  superiore  ad  € 50.000  per
ciascun periodo d'imposta. 
    L'art. 10  ter,  D.L.vo  74/00  (inserito  nel  medesimo  decreto
dall'art. 35, co. 7, D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. nella L.  4.8.2006,
n. 248), in relazione al reato tributario di omesso  versamento  IVA,
richiama testualmente la disposizione dell'art. 10 bis applicando  la
stessa soglia di punibilita'  (50.000  euro)  ed  uguale  trattamento
sanzionatorio al contribuente che non versi il debito IVA, dovuto  in
base alla dichiarazione annuale  regolarmente  presentata,  entro  il
termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo  d'imposta
successivo. 
    Come  evidenziato  anche  dalla  S.  C,  a  sezioni  unite,   "la
fattispecie di cui all'art. 10 ter e' modellata esattamente su quella
di cui all'art. 10 bis prevedendo la stessa pena, la stessa soglia di
punibilita' e un  momento  consumativo  del  reato  collegato  ad  un
termine di adempimento ben determinato" e quindi il comportamento del
soggetto  che  non  versa  l'IVA  e'  del   tutto   "assimilato   dal
legislatore, sotto il profilo sanzionatorio,a  quello  del  sostituto
d'imposta che non versa le ritenute risultanti  dalla  certificazione
rilasciata ai sostituiti" (v. Cass. pen.,  sez.  un.,  28.3.2013,  n.
37424). 
    Le due fattispecie hanno eguale struttura.  Entrambi  sono  reati
omissivi propri, istantanei e  di  mera  condotta,  con  uguale  bene
giuridico  -  l'interesse  dell'Erario  alla  corretta  e  tempestiva
riscossione  delle  somme  dovute  dal   contribuente,   cosi'   come
autoliquidate o certificate dal medesimo  -  ed  entrambi  richiedono
l'elemento soggettivo del dolo  generico,  diversamente  dalle  altre
fattispecie criminose considerate nel  D.L.vo  n.  74/2000,  tra  cui
l'omessa dichiarazione ex art. 5 e la dichiarazione infedele ex  art.
4 che richiedono il dolo specifico del fine di evadere le imposte. 
    Non pare dubbio dunque che i reati di omessa dichiarazione  (art.
5) e  di  dichiarazione  infedele  (art.  4)  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del fisco, non solo rispetto all'omesso versamento dell'IVA
ma anche rispetto all'omesso versamento  delle  ritenute  certificate
dei sostituti d'imposta, e cio' anche  "nella  stessa  considerazione
del legislatore, come emerge  dal  raffronto  delle  rispettive  pene
edittali". 
    Anche nell'ipotesi dell'art. 10 bis, D.L.vo cit. la condotta  del
contribuente e' in qualche modo  trasparente  (qui  la  somma  dovuta
all'Erario non e'  autoliquidata  in  dichiarazione,  come  nel  caso
dell'IVA, ma  comunque  e'  certificata,  e  quindi  dichiarata,  dal
sostituto  d'imposta  ai  soggetti  sostituiti  e  dunque  facilmente
accertabile dal fisco) e di certo meno  lesiva  degli  interessi  del
fisco rispetto alle condotte piu' insidiose  (perche'  fraudolente  o
occulte) previste negli artt. 4 e 5 cit., per  cui  e'  irragionevole
che, per i fatti commessi fino al  17.9.2011,  sia  operante  per  il
reato ex art. 10 bis, D.L.vo cit.  una  soglia  di  punibilita'  piu'
bassa rispetto agli altri due reati. 
    Dunque, le stesse ragioni di disuguaglianza che la Corte Cost. ha
rilevato per le condotte punite  ex  art.  10  ter,  D.L.vo  cit.  si
ritiene che  valgano  parimenti  per  le  condotte  punite  ai  sensi
dell'art. 10 bis, D.L.vo cit., non essendo sufficiente a giustificare
la disparita' di trattamento la circostanza che si tratta  di  debiti
fiscali di natura diversa (in un caso l'IVA e nell'altro le  ritenute
effettuate dai sostituti d'imposta), posto che  in  entrambi  i  casi
l'interesse tutelato e' quello dell'Erario di  ricevere  nei  termini
previsti dalla legge gli importi dovuti dal soggetto d'imposta. 
    Ma profili di disuguaglianza e di disparita'  di  trattamento  si
rilevano anche ponendo a confronto direttamente l'art. 10 bis, D.L.vo
cit. con l'art. 10 ter, D.L.vo cit. cosi' come modificato dalla Corte
Costituzionale. 
    Per quanto  gia'  detto  sopra,  il  legislatore  ha  chiaramente
considerato sullo stesso piano di  gravita'  le  due  fattispecie  di
reato e ha inteso punirle nello stesso  modo,  tanto  che,  oltre  ad
avere una stessa struttura, i due reati sono  puniti  con  la  stessa
pena e hanno (o meglio avevano in  origine)  la  medesima  soglia  di
punibilita'.  L'intervento  della  Corte  Cost.,  che,  per  i  fatti
commessi fino al 17.9.2011, ha innalzato la soglia di punibilita' del
reato ex art. 10 ter (per  eliminare  la  disparita'  di  trattamento
rispetto ai reati ex artt. 4 e 5, D.L.vo cit.), ha dunque  comportato
un evidente  disallineamento  tra  i  due  reati,  perche'  -  sempre
limitatamente ai fatti commessi entro il  suddetto  limite  temporale
-l'omesso versamento delle ritenute certificate e' punito gia' se  si
supera la soglia di 50.000 curo, mentre l'omesso versamento  dell'IVA
dichiarata e' punita solo se si supera la soglia, ben piu' rilevante,
di 103.291,38 euro. 
    Vi e' dunque una irragionevole disparita' di trattamento, sebbene
temporalmente limitata, rispetto a condotte di reato che  sono  state
considerate invece dal legislatore del tutto assimilabili  sul  piano
della lesivita' degli interessi del fisco e che pertanto erano  state
parificate  in  tutti   gli   elementi,   compreso   il   trattamento
sanzionatorio. 
    L'irragionevolezza  dell'attuale  assetto  normativo  si   coglie
ulteriormente  nel  rilievo  che,  per  le  condotte  successive   al
17.9.2011, i due reati - ex art. 10 bis e  10  ter,  D.L.vo  74/00  -
tornano ad essere nuovamente perfettamente  equivalenti  e  allineati
(con la medesima soglia  di  punibilita'  di  50.000  euro).  Il  che
significa che il trattamento per chi commette fatti rientranti  nelle
due norme incriminatrici e' del tutto identico se le condotte vengono
realizzate successivamente al 17.9.2011, mentre il trattamento di chi
commette un fatto ex art. 10 bis e chi un fatto ex  art.  10  ter  e'
significativamente diverso se le condotte sono state commesse fino al
17.9.2011. Ed e' evidente che non vi sono ragioni  che  giustifichino
tale anomala e diseguale disciplina. 
    Solo un ulteriore intervento della  Corte  Costituzionale  -  che
dichiari l'illegittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  10  bis,
D.L.vo cit. nella parte in cui, con  riferimento  ai  fatti  commessi
fino  al  17.9.2011,  punisce  l'omesso  versamento  delle   ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai  sostituiti  anche  per
importi non superiori ad euro 103.291,38 - puo' dunque ricondurre  ad
equita' il complessivo sistema  dei  reati  tributari  delineato  dal
D.L.vo 74/2000.