IL CONSIGLIO DI STATO In sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4772 del 2013, proposto dalla societa' Nicotra Energia Srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Sandulli e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso la prima in Roma, corso Vittorio Emanuele 349; Contro Gestore di Servizi Energetici (Gse), rappresentato e difeso dall'avv. Aristide Police, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via di Villa Sacchetti 11; Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma, Sezione III ter, n. 03776/2013, resa tra le parti, concernente denegato accesso agli incentivi, di cui al decreto del ministero dello sviluppo economico in data 19 febbraio 2007 e applicazione dell'art. 43, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore di Servizi Energetici (Gse); Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Sandulli e Police; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: Fatto Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III ter, n. 3776/13 del 15 aprile 2013 (che non risulta notificata) e' stato respinto il ricorso proposto dalla societa' Nicotra Energia S.r.l. avverso il provvedimento n. GSE/P20110030087 del 10 giugno 2011, con cui il Gestore dei Servizi Energetici Spa (GSE) dichiarava decaduta la citata societa' dal diritto alle tariffe incentivanti, nonche' avverso i provvedimenti GSE/P20110068217 del 27 ottobre 2011 e GSE/P20120108029 del 20 giugno 2011, di conferma della decadenza e di esclusione dalla concessione di ulteriori incentivi per dieci anni, per mancato completamento dell'impianto entro il 31 dicembre 2010. Nella citata sentenza si sottolineava come gli atti impugnati fossero stati emessi in applicazione dell'art. 2 sexies del d.l. 25 gennaio 2010, n. 3 (convertito in legge 22 marzo 2010, n. 41) e dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, implicanti accesso alla tariffa incentivante solo in caso di completamento dell'impianto fotovoltaico, in termini strutturali ed elettrici, entro la data sopra indicata (31 dicembre 2010), con relativa messa in esercizio entro il 30 giugno 2011. In rapporto a detto contesto normativo, le censure di violazioni procedurali (come quella riferita all'art. 10 bis, della legge n. 241/90), cosi' come di erroneo apprezzamento dei fatti sarebbero state infondate, non risultando mai comunicata al gestore la necessita' di intervenire sull'installazione gia' completata, in modo tale da far venire meno (al momento dell'ispezione) l'attitudine della stessa ad entrare in funzione; dagli atti ispettivi, inoltre, sarebbero emerse numerose carenze dell'impianto, sotto il profilo strutturale ed elettrico, mentre gli eventi meteorici segnalati non avrebbero avuto carattere di eccezionalita', di modo che le segnalate difficolta' di drenaggio sarebbero state, eventualmente, indice di carenze progettuali. Nella medesima sentenza si afferma che la differenza di regime sanzionatorio, per le sole tariffe riconosciute in via transitoria dal citato art. 2 sexies, troverebbe giustificazione nella coesistenza temporale di due regimi di incentivazione, per la realizzazione di impianti fotovoltaici, con condizioni di particolare vantaggio per i soli impianti ultimati entro la fine del 2010: quanto sopra allo scopo di sollecitare gli imprenditori, con iniziative in avanzato stato di realizzazione, a raggiungere in tempi brevi l'obiettivo di immettere energia pulita nel sistema elettrico nazionale. Le misure punitive, previste per le imprese che non rispettassero le regole imposte, avrebbero avuto dunque finalita' "non solo afflittiva, ma soprattutto di deterrenza dal formulare richieste improprie in assenza dei requisiti di legge": nessuna applicazione estensiva o analogica delle norme, rilevanti nel caso di specie, sarebbe dunque possibile. Non vi sarebbe stata, inoltre, applicazione retroattiva delle misure in questione, risultando presentata la richiesta di incentivi, nel caso di specie, il 22 luglio 2011. Avverso la predetta sentenza e' stato proposto l'atto di appello in esame (n. 4772/13, notificato il 18 giugno 2013), con ampia ricostruzione della situazione normativa e di fatto, rilevante nella situazione in esame. Le censure prospettate investivano in parte la legittimita' della decadenza e della relativa conferma, in parte la violazione dell'art. 10 bis, della legge n. 241/1990, in parte il provvedimento sanzionatorio del 20 giugno 2012, prevalentemente per incostituzionalita' e contrasto con la disciplina comunitaria, sotto molteplici profili, della norma applicata (art. 43, del decreto legislativo n. 28/2011). Il Gestore dei Servizi Energetici - GSE Spa, costituitosi in giudizio, ribadiva in dettaglio la completezza dell'istruttoria ed eccepiva, in via preliminare, la parziale inammissibilita' o improcedibilita' dell'azione dell'appellante, data l'intervenuta accettazione senza riserva della tariffa incentivante, di cui al decreto ministeriale 6 agosto 2010 (cosiddetto Terzo Conto Energia). La previsione dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28/2011, in ogni caso, non risulterebbe irragionevole ne' sproporzionata, tenuto conto del rilevante interesse pubblico sotteso al rispetto delle norme sull'accesso ai benefici economici e dell'esigenza di neutralizzare condotte fraudolente di operatori economici, che dichiarassero la sussistenza di una condizione nei fatti non veritiera e, quindi, per reprimere tentativi di frode in pregiudizio all'erario, in forma di indebito conseguimento di risorse pubbliche. Il medesimo art. 43, del citato decreto legislativo, inoltre, imporrebbe non una sanzione in senso proprio, ma un "requisito soggettivo di onorabilita'", la cui mancanza non potrebbe non ritenersi preclusiva dell'invocato incolpevole affidamento. Con sentenza parziale n. 3024 del 12 giugno 2014 sono state respinte l'eccezione di acquiescenza, formulata dal GSE, e quella di difetto di presupposti per mancanza della richiesta di incentivi, formulata dalla societa' appellante; si e' accertato in fatto che i lavori non erano stati effettivamente conclusi entro il 31 dicembre 2010 e si e' riservata a separata ordinanza la rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011. Diritto 1. La controversia in esame si inscrive nell'ambito delle vicende relative agli incentivi per la realizzazione di impianti fotovoltaici, previsti originariamente dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'), il cui art. 7 demandava a successivi decreti la definizione dei criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare, anche per quanto riguarda le modalita' per la determinazione dell'entita' della specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio. In attuazione di tale norma sono stati emanati i decreti ministeriali in data 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011 (denominati, rispettivamente, primo, secondo, terzo e quarto conto energia), con i quali, in particolare, sono state determinate le condizioni di erogazione delle suddette tariffe ed e' stato affidato al Gse il compito di controllare le dichiarazioni rese dai richiedenti e di provvedere all'assegnazione degli incentivi. Il secondo conto energia, che qui rileva, ha previsto l'erogazione dei benefici per gli impianti entrati in esercizio in data successiva alla deliberazione dell'Autorita' per l'energia elettrica e il gas n. 90/2007 e fino al 31 dicembre 2010. In sostanziale coerenza, l'art. 2 sexies del decreto legge 25 gennaio 2010 n. 3, introdotto dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41 ha riconosciuto il beneficio a tutti soggetti che avessero concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico ed avessero "inviato la richiesta di connessione dell'impianto di produzione entro l'ultima data utile affinche' la connessione" fosse realizzata entro il 31 dicembre 2010. Poiche', peraltro, l'entrata in esercizio scontava l'autorizzazione del gestore di rete alla connessione e alla realizzazione dell'impianto, per la quale erano necessari tempi lunghi e non preventivabili, sottratti alla disponibilita' del soggetto richiedente, l'art. 1 septies del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, convertito nella legge 13 agosto 2010, n. 129, modificando tale art. 2 sexies ha esteso la possibilita' di usufruire delle tariffe previste dal secondo conto energia a tutti gli impianti che alla data del 31 dicembre 2010 avessero completato i lavori di realizzazione dell'impianto e fossero poi entrati in esercizio entro il 30 giugno 2011, ponendo quale condizione, oltre a quelle gia' previste dall'art. 5, del decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 (tra le quali la presentazione della richiesta del beneficio entro sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell'impianto), la comunicazione al gestore della rete e al Gse della fine lavori entro la suddetta data del 31 dicembre 2010, asseverata dalla dichiarazione di un professionista. Per il caso di false dichiarazioni, l'art. 11 del suddetto decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 prevedeva la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante per l'intero periodo per la quale e' prevista, mentre il decreto legge n. 105 del 2010 non contiene una specifica disposizione in tal senso; peraltro, il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ha esplicitamente posto, all'art. 23, terzo comma il seguente principio: "Non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorita' e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci. Fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonche' ai seguenti soggetti: a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; b) il soggetto responsabile dell'impianto; c) il direttore tecnico; d) i soci, se si tratta di societa' in nome collettivo; e) i soci accomandatari, se si tratta di societa' in accomandita semplice; f) gli amministratori con potere di rappresentanza, se si tratta di altro tipo di societa' o consorzio. Di tale regime, riprodotto nel quarto conto energia di cui al decreto ministeriale 5 maggio 2011, l'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011 ha previsto l'applicazione anche alle situazioni pregresse. La norma appena richiamata infatti dispone che "fatte salve le norme penali, qualora sia stato accertato che i lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame della richiesta di incentivazione ai sensi del comma 1, dell'art. 2-sexies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, e successive modificazioni, il GSE rigetta l'istanza di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione dagli incentivi dagli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione. Con lo stesso provvedimento il GSE dispone l'esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell'accertamento, della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonche'" dei soggetti elencati dal precedente art. 23. 2. Nella fattispecie in esame, la societa' Nicotra Energia ha presentato entro il 31 dicembre 2010 la comunicazione di fine lavori ai sensi dell'art. 1 septies del d.l. n. 105 del 2010 per l'impianto sopra indicato; il Gestore, dopo il sopralluogo di competenza effettuato il 3 marzo 2011, ha rilevato la mancata prova della realizzazione dell'impianto fotovoltaico con componenti non impiegati per altri impianti ed ha, di conseguenza, dichiarato la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti. Il 27 ottobre 2011 il Gse ha poi disposto, ai sensi dell'art. 43, decreto legislativo n. 28 del 2011, l'esclusione della societa' Nicotra Energia dalla concessione degli incentivi per un periodo di dieci anni. 3. Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. 4. Respinte con la sentenza parziale le eccezioni preliminari, ai fini della risoluzione della controversia in esame e' pregiudiziale sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011. 5. Il giudizio di rilevanza impone di interpretare la suddetta disposizione anche al fine di valutare la possibilita' di fornirne una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da ultimo, Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel senso che la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del completamento di due fasi temporalmente separate: la prima, costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro il 31 dicembre 2010; la seconda fase, successiva all'entrata in esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla richiesta di incentivi da presentare al GSE entro il successivo termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza di un fatto illecito a formazione progressiva. Ad avviso di questo collegio, invece, il fatto illecito si perfeziona in un unico contesto temporale nel momento in cui l'impresa presenta la comunicazione di fine lavori (incompleta o falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. Tale esito interpretativo e' l'unico possibile per le seguenti ragioni. In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa rilevante e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che sussistono due richieste di incentivi: la prima da presentare unitamente alla comunicazione di fine lavori; la seconda da presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. L'art. 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano essere presenti, per il perfezionamento del fatto illecito, i requisiti costituiti dalla comunicazione di fine lavori e dalla richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente indicata, e', anche in ragione di quanto si dira' oltre, quella che deve essere presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla comunicazione di fine lavori. Nella fattispecie oggetto del presente giudizio risulta dagli atti che la societa' Nicotra Energia ha depositato nel procedimento, unitamente all'attestazione di fine lavori, anche la suddetta richiesta nel termine sopra indicato. In secondo luogo, il significato assegnato alla disposizione e' l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione. Il legislatore, infatti, ha previsto che tale potere e' esercitabile alla scadenza del predetto termine del 31 dicembre 2010. Se il perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto sarebbe stato questo il momento che avrebbe consentito l'esercizio della funzione di verifica da parte del GSE. La stretta correlazione tra fatto illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce, pertanto, a ritenere che il comportamento che giustifica l'applicazione della misura in esame sia posto in essere entro il suddetto termine del 31 dicembre 2010. Si tenga conto, inoltre, che l'esito negativo dei controlli per l'impresa determina di fatto un arresto del procedimento con conseguente normale mancata presentazione della seconda richiesta. Ne consegue che l'interpretazione seguita dal Tar condurrebbe di fatto ad una sostanziale inapplicabilita' della norma. Infine, il sistema a regime, contemplato dal riportato art. 23, del decreto legislativo n. 28 del 2011, prevede, quale unico presupposto per l'applicazione della suddetta misura, l'avere fornito ai soggetti competenti dati o documenti non veritieri, ovvero avere reso dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme al canone della ragionevolezza diversificare i requisiti a seconda che il rimedio trovi applicazione a fattispecie soggette alla pregressa o alla nuova forma di regolazione. L'interpretazione fornita, che conduce, per le ragioni indicate nel successivo punto, a ritenere la norma contraria a Costituzione, non e' superabile attraverso la ricerca di un diverso significato conforme a Costituzione. La scissione temporale del comportamento sanzionato porta, infatti, ad esiti anch'essi contrari a Costituzione. Ritenendo che il completamento della fattispecie illecita si realizzi nel momento della presentazione della seconda richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto si verrebbe a determinare una irragionevole discriminazione, consentita dalla norma, tra operatori economici a seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima o dopo la scadenza del predetto termine. Solo nel primo caso, infatti, l'impresa sarebbe indotta a non presentare l'istanza proprio allo scopo di non subire il divieto decennale di percezione degli incentivi. Alla luce di quanto sin qui esposto, l'amministrazione ha fatto una corretta applicazione alla fattispecie concreta di quanto stabilito dall'art. 43, inibendo, sostanzialmente, per un periodo decennale, l'attivita' ai soggetti che avevano presentato una incompleta o falsa comunicazione di fine lavori con contestuale richiesta di incentivi. L'appello dovrebbe, pertanto, essere respinto qualora non venisse dichiarata costituzionalmente illegittima la predetta disposizione. In definitiva, il Collegio ritiene che non sia possibile dare alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che l'unica interpretazione possibile, rendendo tale norma applicabile alle fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini della risoluzione della presente controversia, alla questione di costituzionalita'. 6. Il giudizio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011 con gli artt. 3, 25, secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. 7. In via preliminare, deve accertarsi se il rimedio in esame possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. Le sanzioni, irrogate dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la reazione dell'ordinamento alla violazione di un precetto. La dottrina, valorizzando il profilo funzionale, distingue le sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell'interesse pubblico leso dal comportamento antigiuridico; le seconde hanno una finalita' afflittiva, essendo indirizzate a punire il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare obiettivi di prevenzione generale e speciale. Le principali tipologie di sanzioni in senso stretto sono pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma di denaro, ovvero interdittive, quando impediscono l'esercizio di diritti o facolta' da parte del soggetto inadempiente. La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata alla luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). La disciplina delle altre sanzioni e' contenuta nelle singole discipline di settore, cui si applicano, ove compatibili, i principi generali sanciti dalla predetta legge. Il decreto legislativo n. 28 del 2001 ha previsto uno specifico sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva, non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. La natura afflittiva e' conseguenza del fatto che l'effetto di ripristinazione dell'interesse pubblico leso e' assicurato dal divieto di concessione di incentivi in relazione a quello specifico impianto cui si riferisce la comunicazione di fine lavori, nonche' agli impianti che utilizzano in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione. L'estensione del divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici diverse per una durata di dieci anni non puo' che perseguire uno scopo di punizione del soggetto che ha violato il precetto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). L'appartenenza al tipo di sanzioni interdittive risulta chiaramente dalla descrizione normativa della fattispecie: il rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici economici per un periodo di dieci anni, si risolve in un sostanziale impedimento allo svolgimento dell'attivita' di impresa. La produzione retroattiva degli effetti e' desumibile dalla circostanza che la sanzione e' applicabile per illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto, come sottolineato, la disciplina di legge vigente al momento della avvenuta comunicazione di fine di lavori e richiesta di incentivi non contemplava tale misura. Gli operatori economici del settore non sapevano, pertanto, che l'eventuale accertata incompletezza o falsita' della comunicazione di fine lavori avrebbe determinato l'applicazione di una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi per un cosi' lungo periodo temporale. La norma, pertanto, incide negativamente sulle prevedibilita' delle conseguenze derivanti da azioni o omissioni di coloro che esercitano liberamente la propria iniziativa economica. 8. L'art. 76 Cost. prevede che la delega al Governo della funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetto definiti». La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che il sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa si esplichi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli. Il primo riguarda le disposizioni che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione, tenuto conto del contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative. Il secondo riguarda le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega (da ultimo, sentenza n. 50 del 2014). Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt. 2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per violazione di obblighi contenuti nella normativa europea da attuare. In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera c), prevede, quali principi e criteri direttivi per le sanzioni amministrative, che esse: I) devono consistere nel «pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro»; II) nell'ambito di detti limiti devono essere determinate nella loro entita' «tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce». L'art. 43, del decreto legislativo n. 23 del 2011, nella parte in cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non pecuniaria senza, peraltro, graduarne l'applicazione nel rispetto delle modalita' predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo di copertura da parte della legge di delega e comunque in contrasto con i principi e criteri stabiliti dalla legge delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 9. L'art. 25, secondo comma, Cost. dispone che «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». La Corte costituzionale ha piu' volte affermato, su un piano generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso sfavorevole per gli interessati la disciplina di determinati rapporti, anche quando l'ometto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella «certezza dell'ordinamento giuridico», da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 69 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del 2010, n. 206 del 2009). Sul piano specifico delle sanzioni, la Corte costituzionale ha ritenuto che l'art. 25, secondo comma, Cost. ponga un divieto assoluto di retroattivita' nella materia penale (da ultimo sentenza n. 5 del 2014). La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2010, ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma, in ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricompre nel suo ambito di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la conseguenza che «ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (...) e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (si vedano anche sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del 1967, che hanno ritenuto le sanzioni amministrative soggette al rispetto del principio di tassativita'). In questa prospettiva l'art. 1, della legge n. 689 del 1981 - nella parte in cui dispone che «nessuno puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione» - costituisce espressione di regole costituzionali. In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo afflittivo opera il principio di legalita' nella connotazione che esso ha nel settore penale, con conseguente necessita' di rispettare i principi di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, prevedendo una misura afflittiva finalizzata a sanzionare comportamenti posti in essere prima della entrata in vigore del decreto stesso, si pone, pertanto, in contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. 10. L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto «degli obblighi internazionali». La giurisprudenza costituzionale ritiene che la CEDU contenga norme interposte, oggetto di bilanciamento, nel giudizio di costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle tutele (da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). L'art. 6 della CEDU stabilisce quali sono le condizioni che devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato e' stato consumato». La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: I) dalla qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non e' vincolante quando si accerta la valenza "intrinsecamente penale" della misura; II) dalla natura dell'illecito, desunta dall'ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; III) dal grado di severita' della sanzione (sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, resa nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia; si v. anche Corte di giustizia UE, grande sezione, 5 giugno 2012, n. 489, nella causa C-489/10). L'assegnazione alla "materia penale" di un significato ampio conduce a ritenere che anche il potere amministrativo sanzionatorio deve essere esercitato nel rispetto, non solo delle garanzie dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, nella parte in cui introduce una sanzione afflittiva con effetti retroattivi, si pone, pertanto, in contrasto non soltanto con l'art. 25, secondo comma, Cost., ma anche con la suddetta norma convenzionale e, conseguentemente, con l'art. 117, primo Cost. 11. L'art. 3, della Cost., nell'applicazione che di esso ha fatto la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo del rispetto del principio di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita' legislativa. Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere osservato, nella fase applicativa, il principio di proporzionalita', il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e proporzionata in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa di un potere discrezionale in grado di individualizzare la sanzione modulandone l'entita' alla luce della tipologia e gravita' della violazione, nonche' della intensita' dell'elemento soggettivo (si veda Corte cost. n. 299 del 1992, con riferimento all'entita' delle sanzioni penali; si veda anche art. 11, della legge n. 689 del 1981, con riferimento all'esigenza di una commisurazione discrezionale della sanzione amministrativa pecuniaria), elemento, quest'ultimo, che assume particolare rilevanza laddove, come nella fattispecie in esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante della societa' sanzionata. La proiezione di tale principio a livello costituzionale ne comporta la sua collocazione nell'ambito della regola della ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale regola una misura sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non aderente alla specificita' delle singole condotte, determina una ingiustificata discriminazione tra operatori economici. L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, contemplando un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente a tutte le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente possa modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della valenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie stessa, si pone, pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 12. L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. La Corte di Giustizia dell'Unione europea ritiene che le autorita' preposte all'irrogazione delle sanzioni, in materie di rilevanza europea, quale quella in esame, debbano rispettare principio di proporzionalita' (si veda Corte di Giustizia UE, sez. I, 9 febbraio 2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n. 313 del 1990). L'art. 43, del decreto legislativo n. 23 del 2011, non assicurando il rispetto del principio di proporzionalita', si pone, pertanto, in contrasto anche con il parametro costituzionale sopra indicato. 13. Il giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 43, del decreto legislativo n. 23 del 2011 impone la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di costituzionalita'.