TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E L'UDIENZA PRELIMINARE Il Giudice, letta la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere presentata nell'interesse di N. M., sentito il Pubblico Ministero, osserva quanto segue. 1. Nei confronti di N. M. e' stata emessa in data 4 giugno 2014 ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere essendo egli gravemente indiziato di aver partecipato ad un'organizzazione criminale transnazionale dedita a favorire l'illecita introduzione e passaggio nel territorio dello Stato, di numerosi di cittadini extracomunitari, in prevalenza di nazionalita' pakistana anche in virtu' di condotte corruttive col personale in servizio presso l'Ambasciata italiana in Pakistan (art. 416 e. 6 c.p., introdotto dall'art. 4 l. 11 agosto 2003 n. 228 recante norme contro la tratta di persone). Il difensore di N. ha presentato richiesta di revoca della misura, rilevando il venir meno delle esigenze cautelari, in via gradata formulando eccezione di incompentenza funzionale di questo Ufficio ed infine chiedendo al giudice di sollevare questione di legitimita' costituzionale dell'art. 275 c. 3 c.p.p. come modificato dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 nella parte in cui prescrivendo che, quando sussistono gravi indizi del reato di cui all'art. 416 c. 6 c.p., e' applicata la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che dette esigenze possano essere soddisfatte anche con altre misure. La questione e' rilevante e non manifestamente infondata. 2. In ordine alla valutazione. del ruolo assunto dal N. dell'economia dell'azione criminose non puo' che essere fatto richiamo all'ordinanza applicativa della misura, nella quale si mette in evidenza l'articolazione dei rapporti, anche con soggetti istituzionali, tenuti da N., profondo conoscitore delle dinamiche interne del Paese di provenienza dei migranti quindi agevolmente in grado di replicare la condotta illecita, valendosi del carattere sostanzialmente inesauribile della domanda; la circostanza che non siano stati ravvistate esigenze cautelari a carico di R. L. funzionario infedele dell'Ambasciata italiana a Islamabad, non implica che analoga considerazione debba valere per il corruttore. Il fatto che relativamente ai membri di altra associazione operante nel territorio veronese non sia stata applicata alcuna misura a seguito della declaratoria di incompetenza per territorio non comporta alcun automatismo in ordine ad un consimile giudizio nel presente procedimento, essendo diversa la regola di apprezzamento del periculum che, nell'ipotesi di cui all'art. 291 c.p.p. la misura cautelare presuppone la valutazione dell'"urgenza" di soddisfare alcuna delle esigenze di cui all'art. 274 c.p.p., cio' implicando una valutazione di indifferibilita' tale da giustificare la provvisoria deroga al principio del giudice naturale. Le acute osservazioni della difesa non possono conduce all'affermazione dell'incompetenza di' questo Ufficio. Ed invero a) l'art. 51 c. 3-bis c.p,p, prevede la competenza del GIP distrettuale per i reati di cui all'art. 416 c. 6 c.p.; b) tale norma sanziona l'associazione a delinquere che abbia ad oggeto "taluno dei delitti di cui.. all'art. 12 comma 3-bis" del T.U. in materia di immigrazione; c) a propria volta, la norma da ultimo richiamata contempla l'ipotesi agravata costituita dall'essere i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o piu' delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma; d) si concorda sul fatto che l'aggravante sussista al ricorrere di due o piu' delle ipotesi partitamente enunciate nelle lettere a-e) del comma 3) (posto che parrebbe trattarsi di norma a piu' fattispecie); nondimeno, appare evidente che, nonostante l'imputazione cautelare faccia riferimento formale al solo art. 12 c. 3 lett. d) [capo 2)] della rubrica, e' di immediata evidenza il ricorrere anche della lettera a), dal momento che nello stesso capo figurano i nominativi di cinque clandestini, essendo evidente che il loro numero e' ben superiore, essendo qui riportati soltanto i nominativi di quelli identificato; e) consegue da cio' che ricorre l'ipotesi di cui all'art. 416 e. 6 c.p. Dal complesso delle argomentazioni che precedono, deve concludersi che la norma di cui si assume l'incostituzionalita' trovi applicazione del presente subprocedimento cautelare ex art. 299 c.p.p., dal momento che non consente, ove pur ne ricorressero le condizioni, di soddisfare l'esigenza di contrasto del persistente periculum libertatis con misure meno afflittive, tenuto conto del tempo trascorso dall'esecuzione della misura e delle attuali condizioni personali dell'indagato. 3. - Ritiene chi scrive doversi limitare a richiamare l'opera di progressiva erosione del principio sancito nell'art. 275 c. 3 c.p.p. cosi' come modificato come modificato dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 33), operata nel tempo dal Giudice adito. Tale norma prevedeva che "la custodia cautelare in carcere puo' essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, nonche' in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, e 600-quinquies del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate». La disposizione, dunque, ha esteso la presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare di estremo rigore al ricorrere di taluna delle esigenze cautelari in relazione ad un numero alquanto ampio, «aperto» ed eterogeneo di fattispecie penali, sia indicate nominativamente, sia richiamate con la tecnica del rinvio recettizio all'art. 51 c. 3-bis e quater c.p.p. 4. - La Corte, con le sentenze 265/2010, 164/2011, 231/2011, 110/2012, 57/2013, 213/2013 , 232/2013 ne ha a piu' riprese dichiarato l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari -non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, con cio' sostituendo alla presunzione iuris et de iure di adeguatezza, una presunzione iuris tantum, suscettibile di essere superata con la prova del contrario. Analogo intervento e' stato operato in relazione all'art. 12 comma 4-bis, del decreto legislativo. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 26, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) che prevedeva una disposizione di analogo conio. 5. - E' noto che la presunzione assoluta prevista dalla norma in oggetto era stata gia' posta all'attenzione del giudice delle leggi, che aveva dichiarato la questione manifestamente infondata (ord. 450/1995). Cio' era accaduto, tuttavia, quando la formulazione dell'art. 275 c. 3 c.p.p. ed in particolare la presunzione assoluta di adeguatezza era prevista soltanto per il reato di cui all'art. 416-bis c.p. , cosi' come previsto dall'art. 5 c. 1 della l. 8 agosto 1995 n. 332. In quell'occasione la Corte osservo' come sul piano dell'adeguatezza delle misure le presunzioni assolute fossero tollerabili, ma solo in quanto ragionevoli, ossia riferite a situazioni che, nella generalita' dei casi, si palesassero adeguate al trattamento introdotto con la norma limitativa della liberta' personale. Ed infatti era risultata decisiva a tale riguardo «la delimitazione della norma all'area dei delitti di criminalita' organizzata di tipo mafioso», tenuto conto del «coefficiente di pericolosita' per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere e' connaturato». Ne' la presunzione normativa era stata ritenuta in contrasto con il § 5.3. della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; con la sentenza 6 novembre 2003, (Pantano contro Italia) la Corte di Strasburgo, pur rimarcando l'astratta rigidita' di un disposto normativo preclusivo di una modulazione giudiziale della risposta cautelare, osservava tuttavia che essa, in quanto riferita di delitti di stampo mafioso, appariva "... posta come ragionevolmente necessaria per fronteggiare effettive esigenze di interesse pubblico, in particolare la difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica, cosi' come per ragioni di prevenzione speciale e generale". Entrambi i principi hanno mosso l'incedere argomentativo del primo intervento in ordine di tempo, quello contenuto nella sentenza 265/2010. Muovendo dalla considerazione per cui «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit», la Corte ha osservato come «l'irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (sentenze n. 231/2011, 164/2011, n. 265 / 2010). Il dato di esperienza che consente di predicare la ragionevolezza della presunzione assoluta estesa dalla legge a categorie affatto indifferenziate di reati e' fatto coincidere col rilievo secondo cui la struttura del reato di mafia e le sue connotazioni criminologiche (il radicamento sul territorio, i vincoli di omerta', l'affiliazione, la fitta rete dei rapporti interpersonali) danno corpo ad una regola di esperienza secondo cui il vincolo criminoso puo' essere reciso soltanto attraverso la custodia carceraria. Tale dato, per vero, non e' riscontrabile nelle altre ipotesi via via sottoposte allo scrutinio della Corte, che ha pertanto tratto la conseguenza che il regime previsto dall'art. 275 c. 3 c.p.p. si ponesse in contrasto con art. 3 Cost., «per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti in questione a quelli concernenti i delitti di mafia nonche' per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati»; con l'art. 13, primo comma, Cost., «quale referente fondamentale dei regime ordinario delle misure cautelari privative della liberta' personale», ed infine con l'art. 27, secondo comma Cost., «in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena». 6. - Ai fini della questione che si propone rilevano, in particolare, le sentenze 331/2011, 231/1011 e 210/2012. Con la prima pronuncia e' stata, infatti, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12 c. 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1993, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 26, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 , nella parte in cui estendeva il regime previsto dall'articolo. In particolare, si e' rilevato come la disposizione di diritto sostanziale contemplasse molteplici condotte connotate da profili di eterogeneita' tale da non consentire «... di enucleare una regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le "connotazioni criminologiche" del fenomeno, secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l'unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari». Un diverso approdo interpretativo - secondo la Corte - non sarebbe configurabile nemmeno nella necessita' indiscutibile di garantire l'efficace contrasto di situazioni suscettibili di destare elevato allarme sociale in quanto riferibili allo sfruttamento di imponenti fenomeni migratori, dal momento che «il rimedio all'allarme sociale causato dal reato non puo' essere annoverato tra le finalita' della custodia cautelare, costituendo una funzione istituzionale della pena, perche' presuppone la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l'allarme». Con la sentenza 210/2012 la Corte ha dichiarato la illegittimita' l'art. 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 del codice penale. Nel solco dei principi gia' enunciati con la sentenza 231/2011 - che aveva esteso la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 275 c. 3 c.p.p. riferita all'art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 - la Corte ha osservato che tale figura criminosa «incentrata sulla norma incriminatrice "generale" dell'associazione per delinquere, dettata dall'art. 416 cod. pen., e' confacente la definizione di fattispecie "aperta", qualificata solo dalla tipologia dei reati fine (i delitti di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen.) e non gia' da specifiche connotazioni dell'associazione stessa. In particolare, il paradigma legale della figura criminosa in esame e' del tutto svincolato da quelle connotazioni normative (la forza intimidatrice del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva) proprie dell'associazione di tipo mafioso e in grado di fornire, con riguardo ad essa, una congrua "base statistica" alla presunzione in esame». Infine, con la sentenza 231/2011, gia' richiamata, la Corte dichiaro' l'illegitimita' costituzionale dell'art. 275 c. 3 c.p.p. riferita all'ipotesi prevista dall'art. 74 D.p.R. 9 ottobre 1990 n. 309, che nella realta' parrebbe costituisce la fattispecie piu' prossima al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. In quel caso, pur riconoscendo che si trattava di un reato che - come la generalita' delle fattispecie di tipo associativo - presuppone uno stabile vincolo di appartenenza del soggetto a un sodalizio criminosa, la Corte ebbe ad osservare che la connotazione strutturale disvelava «l'eterogeneita' delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi nettamente differenti quanto a contesto, modalita' lesive del bene protetto e intensita' del legame tra gli associati», rendendo impossibile «enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le 'connotazioni criminologiche' del fenomeno, secondo la quale la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari». 7. - Considerazioni non dissimili sembra debbano valere anche per l'ipotesi prevista dall'art. 416 e. 6 c.p. oggetto del presente procedimento. La disposizione, introdotta dall'art. 4 l. 11 agosto 2003 n. 228, sanziona con la pena da cinque a quindici anni e da quattro a nove anni rispettivamente l'attivita' di direzione, promozione organizzazione e la partecipazione ad un'associazione diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonche' all'art. 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La mera lettura del dato normativo convince da subito della coesistenza, all'interno della stessa previsione normativa, di reati scopo identificati dal comune denominatore costituito dalla lesione della liberta' e della dignita' umana, sia attraverso l'annullamento dell'autodeterminazione, sia attraverso l'approfittamento dell'assenza di alternative esistenziali di immigrati, imponendo loro condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni, sia infine merce' lo sfruttamento a vario titolo dello status di clandestino irregolare. Pur finalizzata al compimento di condotte caratterizzate da intenso disvalore sociale e giuridico e da modalita' di esecuzione spesso odiose e riprovevoli, l'associazione per delinquere disciplinata dall'art. 416 c. 6 c.p. non si qualifica in ragione di specifiche forme di manifestazione o modalita' strutturali ed organizzative, ma per il vincolo associativo, tendenzialmente stabile, finalizzato alla consumazione di uno o piu' tra i reati elencati dalla norma. E' pur vero che nel caso di specie, la gravita' oggettiva dei reati fine, confermata dal trattamento sanzionatorio previsto, e' senz'altro piu' elevata rispetto al paradigma preso a riferimento in questa sede costituito dal reato di associazione a delinquere finalizzato alla consumazione di uno o piu' fatti puniti dagli artt. 473 e 474 c.p.: tuttavia, com'e' stato piu' volte chiarito, la gravita' astratta della fattispecie e' elemento inidoneo a precludere la verifica della possibilita' di gradazione della risposta cautelare (cfr sent. 265/2010), come e' dimostrato, del resto, dalla circostanza che e' stata dichiarata l'incostituzionalita' della stessa norma nella parte in cui estendeva la presunzione assoluta anche ad uno dei reati fine (sent. 331/2011). Sul piano fenomenico, poi, la stessa puo' variare dalla struttura articolata operante a livello transnazionale ai contesti organizzati costituiti da poche persone, spesso legate dalla comune appartenenza alla stessa nazione, che compiono attivita' di sfruttamento in danno dei propri connazionali, migranti clandestini; sul piano soggettivo, infine, l'affectio societatis puo' cementare condotte di direzione ed organizzazione in grado di gestire imponenti flussi migratori, ovvero comportamenti di assai minor rilievo consistenti nel dare ricetto o nella messa a disposizione della propria abitazione o del proprio automezzo per ospitare o trasportare i clandestini irregolari. In altri termini, la struttura dell'associazione in esame non presenta quelle caratteristiche che costituiscono il fondamento razionale della presunzione assoluta in materia di liberta' personale, vale a dire la particolare natura del legame tra sodali e la peculiarita' delle forme di manifestazione del vincolo associativo. Pertanto, la presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere estesa dall'art. 275 c. 3 c.p.p. al reato previsto dall'art. 416 c. 6 c.p., non sembra potersi sottrarre alle medesime censure a piu' riprese formulate, violando gli art. 3, 13 e 27 c. 2 della Carta fondamentale. Essa, infatti, e' in contrasto con l'art. 3 c. 1 della Costituzione per l'irragionevole ed indiscriminata applicazione della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere a fattispecie associative non assimilabili, e con gli artt. 13 c. 1 e 27 c. 2 della Costituzione nella parte in cui, imponendo una presunzione assoluta in materia cautelare, non basata sulla specificita' della fattispecie penale di riferimento e senza che il giudice possa tenere conto delle particolarita' del caso concreto, viola il principio del "minimo sacrificio necessario" e trasforma di fatto la misura cautelare in una impropria anticipazione della pena, in contrasto col principio di presunzione di non colpevolezza.