IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 1^ sezione penale In composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Stefano Sernia decidendo in ordine alla richiesta di liquidazione del proprio compenso ex art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, avanzata dall'avv. Girolamo Tortorelli in data 24 febbraio 2014 in relazione alla difesa d'ufficio prestata in favore di: De Luca Cosimo, nato a S. Pietro Vernotico il 4 settembre 1986 imputato rimasto inadempiente dell'obbligo di corrispondere l'onorario al proprio difensore, e nei cui confronti sono rimasti senza esito i tentativi di recupero forzoso del credito; letti gli atti, ha emesso la seguente ordinanza. Risulta dagli atti allegati all'istanza che il legale istante sia stato difensore di ufficio, ai sensi dell'art. 97 comma l cpp, dell'imputato indicato in epigrafe, rinviato a giudizio in ordine al reato di ricettazione, partecipando all'udienza filtro del 23 settembre 2010 personalmente, ed a due precedenti udienze di mero rinvio mediante sostituto munito di delega. L'istante deposita la richiesta di liquidazione a distanza di piu' di tre anni dalla conclusione della sua attivita' nel processo, il cui esito - di condanna - e' ricostruibile solo grazie al file della relativa sentenza presente nell'archivio dello scrivente, atteso che il fascicolo non e' piu' reperibile in Cancelleria e il difensore nulla ha prodotto se non i verbali delle tre udienze ricordate; la ricerca in archivio risulta di particolare difficolta' a causa delle complicazioni logistiche conseguenti all'accorpamento delle sezioni distaccate, e pertanto - apparendo sufficienti i dati da esso evincibili - si ritiene di poter decidere sulla base del solo file della sentenza. In base a tali atti, il difensore non risulta aver partecipato alla fase istruttoria ne' alla discussione della causa; pertanto, i relativi onorari non potranno essere liquidati. Terminato l'incarico, il difensore chiede comunque che ne vengano liquidati i compensi, ponendoli a carico dello Stato come previsto ai sensi degli. artt. 116, 82 e 83 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. La documentazione prodotta comprova l'inutile esperimento delle procedure esecutive azionate per il riconoscimento di quanto spettantegli ed oggetto del decreto ingiuntivo da lui richiesto ed emesso dal competente Giudice di Pace; l'istante ha quindi diritto alla soddisfazione del suo diritte all'onorario, a spese dello Stato ex art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. Sorge quindi il problema di individuare i parametri normativi da applicare per la determinazione dell'onorario liquidabile ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 posto che, come noto, per effetto del decreto-legge n. 01/2012, convertito dalla Legge n. 27/2012, le tariffe professionali vigenti all'epoca dei fatti sono state abrogate; per la precisione, ai sensi dell'art. 9 della legge di conversione, abrogate dette tariffe, esse provvisoriamente - ed ai soli fini della liquidazione giudiziale delle tariffe forensi - erano prorogate sino al 120° giorno successivo a quello dalla data di entrata in vigore della legge in parola (la proroga, in pratica, perpetuava la provvisoria efficacia delle suddette tabelle sino alla fine del c.d. periodo feriale, durante il quale e' infatti ammessa ex art. 92 ord. giudiz. la trattazione solo degli affari urgenti, tra i quali non rientra di certo la liquidazione delle parcelle dei difensori). E' stato quindi pubblicato, in data 22 agosto 2012, con vigenza dal giorno successivo alla pubblicazione, il regolamento previsto dalla legge per la determinazione delle tariffe professionali ai fini delle liquidazioni ad opera di un organo giurisdizionale; l'art. 41 del regolamento prevede che lo stesso debba trovare applicazione in relazione a tutte le liquidazioni ancora da compiersi, e quindi anche se riferibili ad attivita' prestate - come appunto e' nel caso in oggetto - prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 1/12. Successivamente, e' stato altresi' pubblicato il D.M. 10 marzo 2014, 11 quale ridetermina, in senso particolarmente piu' favorevole, le tariffe da liquidarsi agli avvocati ad opera del giudice; l'art. 28 di detto decreto, come gia' l'art. 41 di quello previdente, prevede che esso si applichi a tutte le liquidazioni ancora da compiersi. Stando alla lettera dei suddetti regolamenti, pertanto, il giudicante chiamato a determinare l'onorario da liquidarsi al difensore dell'imputato ai sensi dell'art. 116 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, dovrebbe prescindere dal tariffario vigente all'epoca in cui venne prestata l'opera professionale del difensore, ed applicare il tariffario vigente all'epoca della liquidazione. Si pone quindi un problema di apparente contrasto tra il dettato del regolamento e la previsione di legge (in particolare, l'art. 11 delle preleggi), che prevedono che la legge (e quindi, a maggior ragione, le disposizioni regolamentari che non possono porsi in contrasto con la legge, giusta la previsione di cui agli artt. 3 e 4 delle preleggi) possa disporre solo per l'avvenire, laddove inoltre il suddetto regolamento si porrebbe in contrasto con l'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, che per la liquidazione rinvia alle tariffe vigenti all'epoca della prestazione professionale; e' noto come l'art. 11 delle preleggi sia una disposizione di legge ordinaria, derogabile pertanto da altra norma di legge, purche' nel rispetto dei principi costituzionali; ma deve quindi a tal proposito osservarsi che, invece, nessuna disposizione, ne' della legge n. 27/2012, ne' del precedente (e comunque modificato da detta legge) decreto-legge 1/12, ne' la Legge 247/2012 (sulla cui base e' stato adottato il DM 10 marzo 2014), prevedevano espressamente una deroga al principio della irretroattivita' delle disposizioni normative: in verita', lo stesso art. 9 della legge 27/2012, che abrogava la previgenti tariffe forensi e disponeva la proroga della loro vigenza solo sino all'emanazione del regolamento e comunque per non piu' di 120 giorni, legittimamente poteva essere - e in base ai principi costituzionali, deve essere - letta come disponente solo per l'avvenire. Deve invero considerarsi che le tabelle forensi hanno natura di norma sostanziale, e di certo non processuale, atteso che, pur se legate allo svolgimento di attivita' processuali, determinano il contenuto di un diritto sostanziale, e cioe' quello relativo al valore economico da riconoscersi alla prestazione professionale del legale per l'attivita' da lui svolta nel processo; da cio' discendono tre conseguenze: a) la retroattivita' della disposizione regolamentare non potrebbe essere giustificata in base al noto principio secondo il quale «temous regit actum», atteso che questo vale per le norme processuali e procedimentali e non per quelle aventi natura sostanziale; b) l'art. 41 del regolamento 140/12, cosi' come l'art. 28 del decreto 10 marzo 2014, si porrebbero quindi in contrasto con l'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, che determinava il contenuto economico del diritto del legale alla corresponsione delle proprie competenze; la norma regolamentare sarebbe quindi suscettibile di disapplicazione ex artt. 4 e 5 R.D. n. 2248/1865, alleg. E, perche' contraria a norma di legge; c) la norma regolamentare dovrebbe poi (ed invero, prima di tutto) essere disapplicata, sempre ai sensi dell'art. 5 r.d. 2248/1865 alleg. E, in quanto contraria anche all'art. 3 Cost., atteso che l'applicazione della norma secondaria ai casi esauritisi prima dell'entrata in vigore della Legge n. 27/2012 comporterebbe esiti di disparita' di trattamento tra professionisti, assolutamente ingiustificati, a seconda che la richiesta di liquidazione delle competenze professionali, da loro avanzata, sia stata decisa dal Giudicante (talora a prescindere dalla volonta' dell'istante, e per ragioni legate ai differenti carichi di lavoro o tempi di smaltimento dei diversi giudicanti) prima o dopo l'entrata in vigore della predetta legge n. 27/2012. Ne' potrebbe sostenersi che il contrasto di legalita' costituzionale potrebbe essere superato grazie alla disposizione di cui all'art. 1 comma 7 (norma la cui applicazione non e' esclusa dall'art. 9 del DM 140/2012, che determina le modalita' di determinazione dei compensi in caso di patrocinio a spese dello Stato), stabilendo la non vincolativita' per il giudice delle disposizioni tariffarie; detta norma, infatti, non puo' logicamente fondare un potere arbitrario del giudice, atteso che questo svuoterebbe di senso la stessa necessita' del regolamento tariffario, e va conseguentemente e necessariamente letta nel piu' ampio contesto di detta disciplina che lega la determinazione dei compensi alla complessita', in fatto e diritto, della causa, al livello e diligenza dell'impegno professionale, nonche' ai suoi esiti. Va pertanto escluso che l'art. 1 comma 7 predetto si presti a fungere da meccanismo di adeguamento a correttezza ordinamentale delle disposizioni regolamentari e di legge, attribuendo al giudice un insussistente potere di disporre ad libitum la liquidazione di compensi non dissimili da quelli previsti dalle precedenti tariffe. In tutti i casi in cui il Giudicante sia attualmente chiamato a liquidare il compenso al legale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 in relazione ad attivita' prestate prima della cessazione del valore legale delle precedenti tabelle professionali forensi, le stesse dovranno pertanto continuare a trovare applicazione. In tal senso, vale la pena sottolineare, sia pure tramite percorso argomentativo piuttosto stringato, risultano essersi poste le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con sentenza 12 ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di identico contenuto), con la quale hanno statuito che «per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto ministeriale un'interpretazione il piu' possibile coerente con i principi generali cui e' ispirato l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in mi momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorche' tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate»; laddove e' noto come, ai sensi dell'art. 83 comma 2 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, l'onorario del difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato e' liquidato dall'A.G. al termine di ogni fase o grado del processo, sicche' e' a tali momenti che occorre far riferimento per verificare se l'attivita' del difensore si sia o meno esaurita prima dell'entrata in vigore del nuovo tariffario di cui al citato regolamento. Nel caso in oggetto, l'attivita' defensionale posta in essere dall'istante, come si e' visto, e' cessata senz'altro prima dell'entrata in vigore del DM 140/2012, che pertanto non puo' essere applicato, cosi' come, a maggior ragione, non puo' trovare applicazione, nel caso in oggetto, il DM 10 marzo 2014. Passando quindi alla determinazione degli onorari, va ricordato come la stessa vada eseguita in osservanza dei criteri stabiliti dall'art. 82 comma l del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, e quindi con divieto di superare i valori medi delle tariffe professionali all'epoca vigenti, tenendo altresi' conto della natura dell'impegno professionale (che il Tribunale valuta tenendo conto della mole degli atti, della quantita' delle prove, della difficolta' del processo, della durata dello stesso, dei suoi esiti), in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione della persona difesa; ne consegue che il massimo liquidabile puo' essere riconosciuto, trattandosi appunto di un massimo, solo a fronte di attivita' di eccezionale pregio o comunque svolta in procedimenti di particolare complessita'. Rileva pertanto che il processo, relativo alla ricettazione di un borsone, si sia concluso con esito sfavorevole all'imputato (essendo stato questi condannato a pena superiore al minimo edittale, con revoca di benefici precedentemente concessigli), in esito a n. 03 udienze, delle quali nessuna contrassegnata da attivita' istruttoria (due udienze di mero rinvio, un'udienza «filtro» per l'ammissione delle prove e risoluzione di eventuali questioni preliminari, che peraltro non risultano essere state sollevate), con svolgimento di attivita' difensiva consistita unicamente nell'opporsi all'acquisizione e lettura della denunzia relativa al reato presupposto): A tal proposito, e premesso che: 1. gli onorari sono liquidabili non oltre il valore medio tra minimo e massimo tariffario e spettano in relazione ad ogni udienza, e non gia' in relazione ad ogni singolo atto gia' presente nel fascicolo all'atto del conferimento dell'incarico; nel caso in oggetto, l'attivita' espletata non appare essere stata di alcuna complessita'; 2. Le indennita' di attesa non coincidono col tempo che il difensore ha speso in udienza per la celebrazione del processo (e che sono oggetto dell'onorario per partecipazione all'udienza), ma remunerano l'attesa improduttiva dovuta a ritardi nell'inizio del processo rispetto all'orario fissato; esse sono pertanto liquidabili solo a dimostrazione, non offerta, che il difensore abbia dovuto attendere, per la prestazione della propria opera, oltre l'orario che era stato prefissato per la celebrazione del processo; in via presuntiva, essendo dette indennita' dovute per ogni frazione di ora, ed essendo norma di esperienza che, nonostante l'uso di assegnare ad ogni processo un suo proprio orario, difficilmente questo venga rispettato con esattezza cronometrica, si riconoscera' un'indennita' per udienza; 3. Il Tribunale non puo' liquidare piu' di quanto richiesto, essendo tenuto al limite del petitum; 4. Le attivita' liquidabili, per espressa previsione di legge, sono solo quelle mirate alla difesa dell'imputato in senso stretto, e non vi rientrano pertanto gli onorari per la preparazione della nota spesa, e tanto meno quelli relativi alla procedura per il recupero degli onorari; a tal proposito, nella presenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimita' sul punto, il Tribunale ritiene di dover infatti osservare che: a) ai sensi dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, l'onorario del difensore e' determinato dal giudice «tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa»; e' pertanto evidente che il Legislatore abbia inteso espressamente delimitare l'onorario liquidabile unicamente alla remunerazione delle attivita' professionali poste in essere dal difensore nello svolgimento dell'incarico defensionale in favore della parte ammessa al patrocinio o comunque difesa d'ufficio nel processo principale, e che non si sia in alcun modo inteso invece considerare le spese che il difensore abbia eventualmente sostenuto per il recupero del proprio credito o per la preparazione della parcella, essendo queste attivita' poste in essere per la tutela di un proprio interesse economico di cui lo Stato si fa carico nei limiti che la discrezionalita' del Legislatore ha ritenuto congrui ai fini di assicurare effettivita' al diritto di difesa, e da cui ha escluso gli oneri successivi e necessari a provare l'impossibilita' di ottenere il pagamento da parte del proprio assistito nei casi di cui all'art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02; b) tale disciplina non e' affatto irrazionale, e tutt'altro che assurda, come invece ritiene la giurisprudenza di legittimita' di segno contrario, atteso che il Legislatore ha avuto cura di prevedere che i giudizi affrontati dal difensore per vedersi riconoscere il proprio credito e recuperarlo siano esenti da bolli, imposte e spese (art. 32 disp. att. cpp); c) residuerebbero le eventuali spese per onorario del legale eventualmente nominato dal difensore nel processo civile per il patrocinio delle proprie ragioni: ma tali spese sarebbero conseguenza di una libera e non necessaria scelta del difensore, e quindi assolutamente non necessitate (e di cui pertanto non v'e' ragione che lo Stato si faccia carico), posto che l'art. 86 cpc espressamente facultizza la parte, che sia abilitata all'esercizio della professione forense, a difendersi da se' senza patrocinio di altro difensore; ne consegue che l'attivita' difensiva prestata, valutata con esclusivo riferimento a quanto dal difensore operato nel processo in favore del suo assistito, deve essere ritenuta di non particolare pregevolezza o rilevanza; si stima quindi equo e congruo liquidare la seguente somma (tenendo presente che il massimo indicato e' quello liquidabile, e cioe' risultante dalla media tra minimi e massimi tariffari): esame e studio pro-udienza: (min. 25 max .35) = euro 25 x 3 ud.= euro 75 indennita' di accesso: (min. 13,00 max 16,00) = euro 16 x 3 ud.= euro 48 indennita' di attesa: (min. 13,00 max 16,00) = euro 16 x 3 ud.= euro 48 partecipazione alle udienze: (min.40 max. 52) = euro 40 x 2 + 45 = euro 135 attivita' difensiva in udienza: (min 75,00 max 178) euro 75 discussione orale: (min. euro 150,00 max 300,00) non spettante liquidandosi quindi complessivamente euro 381,00 da aumentarsi del 12,5%, pari ad euro 47,62 a titolo di rimborso forfettario di spese, oltre a I.V.A. e CAP se dovuta. L'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, introdotto dall'art. 1 comma 606 Legge n. 147/2013. Applicazione retroattiva ai sensi dell'art. 1 comma 607 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. Va quindi rilevato che la somma liquidata a titolo di onorario va ulteriormente ridotta di 1/3 e portata quindi ad euro 254,00: sulla disciplina sopra descritta opera infatti, con effetti sensibilmente riduttivi degli importi (gia' piuttosto modesti) da liquidarsi, l'art. 106 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, introdotto dal comma 606 lett. b) dell'art. l della Legge 147/2013, c.d. «legge stabilita'» per il 2014, che prevede la riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari del giudice: norma che, ai sensi dell'art. 1 comma 607 della Legge 147/2013, va applicata anche retroattivamente, a tutte le liquidazioni non ancora operate dal Giudice alla data di entrata in vigore della legge. Nonostante l'assistenza difensiva sia stata quindi portata a termine dall'istante ben prima dell'entrata in vigore della Legge n. 147/2013, anche all'onorario da liquidarsi per tale opera e' applicabile, ai sensi del citato comma 607 dell'art. l della suddetta legge n. 147/2013, la decurtazione di 1/3. Ed invero, la norma appare pertanto avere portata generale ogni qualvolta debba procedersi a liquidazione dell'onorario del difensore a carico dello Stato in applicazione delle norme sul «gratuito» patrocinio: e quindi sia che vi sia stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sia allorche' dette norme siano richiamate nelle ipotesi di cui all'art. 116 decreto 115/02; Ne' la riduzione di 1/3, introdotta dalla norma in oggetto, appare agevolmente giustificabile con la natura «latu sensu» pubblicistica dell'incarico, atteso che la decurtazione introdotta dall'art. 106-bis dpr 115/02 va ad operare su di un sistema tariffario che, ai sensi dell'art, 82 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica medesimo, gia' e' impostato in maniera tale da mitigare l'onere dei tariffari professionali contemperandoli con la natura pubblicistica dell'incarico, prevedendosi la liquidabilita', al massimo, di un onorario pari alla media tra i minimi ed i massimi previsti dalle tabelle professionali. A parere del Tribunale, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - per contrasto con gli artt. 35, 36 e 3 della Costituzione - dell'attuale disciplina, che - andando ad operare su di un sistema tariffario gia' impostato su di una compressione degli onorari liquidabili, ulteriormente li riduce senza giustificazione apparente, specie per quel che riguarda gli onorari da liquidarsi in forza dei tariffari antecedenti quello di cui al D.M. 10 marzo 2014 (il quale ultimo prevede importi di notevole entita' e tali da rendere non irragionevole la decurtazione quando l'onorario debba essere a carico dello Stato). Inoltre, appare al giudicante altresi' fondata la questione di illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. l comma 607 della legge n. 147/2013, nella parte in cui prevede l'applicabilita' della riduzione, prevista dal novello art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, anche alla liquidazione di prestazioni professionali gia' operate nel vigore della precedente normativa, ma ancora non liquidate dal giudice. Va in primo luogo ritenuta la natura di decisione, a carattere giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del compenso del difensore, analogamente a quanto gia' ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 1970, atteso che il provvedimento di liquidazione e' previsto in apeo al giudice da una norma di natura processuale, come dimostrato dalla circostanza che l'antecedente cronologico dell'art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 era - con testo pressocche' identico - nell'art. 32 comma 2 disp. att. cpp; ne consegue che, nonostante la apparente natura amministrativa dell'atto di liquidazione, appartenendo pero' questo pur sempre al giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali, tanto da essere stato gia' previsto dall'art. 32 comma 2 disp. att. cpp, esso ha legalmente natura giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi «Giudice» nel senso previsto dall'art. l della L. Cost. n. l del 1948, sicche' la questione di costituzionalita' delle leggi che disciplinano l'atto di liquidazione e' conseguentemente sollevabile d'ufficio dal Giudice al sensi del citato. 1 della L. Cost. n. 1 del 1948. La previsione di compensi particolarmente modesti, assolutamente e notevolmente inferiori a quelli previsti per la medesima prestazione resa in regime di mercato, appare porsi in primo luogo in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa ed adeguata retribuzione delle prestazioni lavorative, senza che appaia legittimo trarre nella natura pubblicistica dell'ufficio di difensore nominato ex art. 97 comma l cpp, giustificazioni ad un trattamento economico al marcatamente penalizzante e che realizza una disparita' di trattamento, rispetto a chi presti le medesime attivita' a condizioni di mercato, troppo accentuata per essere giustificata dalla natura pubblicistica dell'incarico e dall'adempimento di doveri di solidarieta' sociale. Deve poi fortemente dubitarsi della legittimita' costituzionale di una normativa che vada a rideterminare in peius e con effetti retroattivi l'entita' economica di quanto di spettanza al difensore a retribuzione della propria opera, come si osserva quindi nel punto che immediatamente segue. Contrasto dell'art. 1 comma 607 legge 147/14 con l'art. 3 cost. Come si e' anticipato, la norma in oggetto opera con effetti retroattivi, essendo espressamente previsto che essa trovi applicazione a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; la formulazione dell'art. 1 comma 607 della legge 147/2013 appare quindi in linea con le scelte - in quei casi forse di semplificazione ma non di economia di spesa - che sorreggono anche i criteri di applicabilita' dei DD.MM. 140/2012 e 10 marzo 2014; con la differenza che, mentre le norme dei due decreti sono suscettibili di disapplicazione e possono piu' agevolmente essere interpretate in modo da riportarle a rispetto dei principi di legge, non altrettanto e' possibile quanto alla citata norma di cui all'art. 1 comma 607 della legge 147/2013 che, avendo forza di legge, non puo' essere disapplicata. Essa si applica a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; e la formula adottata dal legislatore, nella sua assolutezza che non consente diverse letture, non permette di distinguere tra prestazioni gia' eseguite o prestazioni ancora in fieri: e d'altra parte, la stessa funzione e ragion d'essere della norma, chiarissima nella sua formulazione, appare essere proprio quella di sollevare l'interprete dal compito di selezionare tra i vari casi e ricostruire una disciplina intertemporale, avendo il Legislatore optato per la via piu' rapida e foriera di maggior benefici economici per le casse dello Stato. Va quindi ribadito che detta norma si applica non solo per il futuro, ma anche per il passato, concorrendo a determinare l'entita' monetaria dell'onorario da liquidarsi anche ai difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, che abbiano gia' prestato la propria opera ed esaurito l'ufficio loro affidato; e tale modifica, come si e' detto, opera in peius, introducendo la riduzione di 1/3 di quanto altrimenti sarebbe stato loro liquidato nel vigore della normativa esistente nel momento in cui e' stato loro affidato l'incarico di difensore di ufficio. Invero, va in primo luogo escluso che il complesso di norme (artt. 82 e 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02; DD.MM. in tema di tariffe forensi) gia' richiamate e che concorrono a determinare l'entita' dell'onorario da liquidarsi al difensore, abbiano natura processuale e soggiacciano pertanto al principio secondo cui «tempus regit actum»; invece, le norme surrichiamate, concorrendo a determinare non solo le modalita' procedimentali con cui si' procede al pagamento dell'ausiliario, ma anche alla determinazione del quantum da pagarsi, hanno evidente natura sostanziale, in quanto determinano il contenuto stesso del diritto economico spettante al difensore e sono quindi norma di natura.sostanziale. Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita' con il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione a diverso trattamento economico dei difensori di ufficio che abbiano svolto la medesima prestazione, a seconda che, anche senza nessuna loro colpa ma per semplice difficolta' di alcuni dei giudici ad esaurire rapidamente tutte le operazioni di liquidazione, le loro istanze siano gia' state evase, o meno, all'atto dell'entrata in vigore dell'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di rispetto dell'art. 3 Cost. introducendo il rischio di ingiustificate disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte di un rapporto di cui mutino la natura, o l'oggetto ed il contenuto concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi' alterato l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti (con lesione altresi' dell'art. 41 Cost. che, tutelando l'iniziativa economica privata, e' altresi' fondamento del principio dell'autonomia contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di iniziativa economica), sia che - non intervenendo su situazioni interamente esaurite (come nel caso in oggetto, in cui non sono interessati i provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini diversamente il diritto di soggetti nella stessa situazione. La Corte Costituzionale ha gia' affrontato il tema della legittimita' costituzionale delle leggi retroattive; pur, condivisibilmente, rilevando la natura non costituzionale dell'art. 11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per l'avvenire), ha comunque evidenziato dei principi di ordine costituzionale che limitano i casi in cui il Legislatore possa emettere leggi con efficacia retroattiva. In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito, con la sentenza n. 0092 del 2013, la «l'Illegittimita' costituzionale dell'articolo 38, camini 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui riconosce al custode giudiziario di autoveicoli sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del principio di ragionevolezza». Osservava infatti la Corte come «la giurisprudenza di questa Corte si sia piu' volle soffermata sulla legittimita' delle norme retroattive, in genere, e di quelle destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non puo' - ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi «perfetti»: cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, sentenza n. 166 del 2012). Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, e anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi «perfetti», nel caso di specie viene in risalto non soltanto un «generico» affidamento un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma uno «specifico» affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e titolari di aziende di deposito di vetture, secondo una specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto tra depositarlo e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali, al di fiori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo e, anzi, con l'imposizione di oneri non previsti ne' prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del rapporto medesimo; al punto da potersi escludere che, al di la' delle reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato bilanciamento tra le esigenze contrapposte». Sempre la Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza n. 166/2012, aveva osservato il principio dell'affidamento nella sicurezza giuridica delle situazioni soggettive «trova si copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti e inderogabili. Da un lato, infatti; la fiducia nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio dev'essere consolidata, dall'altro, l'intervento normativo incidente su di esso deve risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. Analoghi principi risultano affermati anche nella sentenza num. 0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una normativa che intervenisse retroattivamente su di una disciplina pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita' monetaria del trattamento di buonuscita dei dipendenti della Regione Calabria in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su cui avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere loro scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate sentenze, possano trarsi i seguenti principi, risultanti esplicitamente o implicitamente dalle statuizioni dalla Corte Costituzionale: a) l'art. 3 della Costituzione tutela l'affidamento dei consociati in ordine alla immutabilita' del contenuto dei loro diritti sorti sotto il vigore di una previgente disciplina, essendo peraltro la sicurezza del contenuto delle situazioni giuridiche un elemento fondamentale dello Stato di diritto; b) tale immutabilita' e' peraltro relativa, potendo essa cedere di fronte alla necessita' del Legislatore di operare diversi contemperamenti degli interessi coinvolti, purche' la soluzione operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al grado dei principi costituzionali interessati; c) tanto vale in specie per le norme che vadano ad incidere sui rapporti di durata, in relazione ai quali, in particolare, si puo' porre la necessita' di operare un diverso contemperamento degli interessi coinvolti di fronte al mutare delle condizioni sociali e storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; d) lo stesso e' a dirsi quanto a quelle situazioni in cui venga in risalto non soltanto un «generico» affidamento in un quadro normativa dal quale scaturiscano determinati diritti, ma uno «specifico» affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e privati. E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare anzi negare, la legittimita' costituzionale di una disciplina che venga ad intervenire, in senso sfavorevole al destinatario, in relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata, ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia gia' adempiuto ai propri obblighi, e sia l'altra, non ancora adempiente, che si veda beneficiaria di una norma di particolare favore che riduca l'entita' della propria obbligazione, in assenza di qualsiasi giustificazione razionale alla luce degli interessi coinvolti. Ed invero, puo' senz'altro escludersi che a fondamento della disposizione di cui all'art. 1 comma 607 della Legge 147/2013 possano porsi ragioni in alcun modo connesse a necessita' di ricondurre ad equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore della parte gia' adempiente, se e' vero che, con i DD.MM succedutisi, gli i tariffari relativi agli onorari di avvocato siano stati progressivamente innalzati riconoscendosene evidentemente l'insufficienza nel tempo. Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento, con la sua citata giurisprudenza, a leggi che intervengano su rapporti di natura negoziale, perche' cio' non vale ad escludere, di per se', la pregnanza delle argomentazioni svolte nelle due citate sentenze anche con riferimento al caso in oggetto. Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere garantita la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come sarebbe ingiusta e foriera di disparita' di trattamento una disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra le parti: il che normalmente - ma non necessariamente - implica un rapporto di natura negoziale, pur potendosi facilmente determinare casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico, vengano a realizzarsi dei rapporti il cui sorgere ed articolarsi comunque poggi sull'affidamento in una determinata regolamentazione suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto riguarda il caso dei compensi stabiliti per i difensori: e cio' non solo perche' in genere il rapporto tra il difensore ed il suo assistito sia di natura negoziale (come spesso accade nei casi di parti' ammesse al patrocinio a spese dello Stato), quanto per le seguenti ragioni, valevoli per il caso del difensore di ufficio. Ed invero, pur essendo quello del difensore di ufficio un ufficio legalmente dovuto (che infatti l'art. 97 comma 5 cpp definisce espressamente come obbligatorio e rinunciabile solo per giustificato motivo), e che quindi non puo' essere liberamente rifiutato, e' bene osservare come il conferimento di detto ufficio non prescinda totalmente dalla volonta' del nominando, posto che - sia ai sensi dell'art. 97 comma 1, sia ai sensi dell'art. 97 comma 4 cpp - il difensore di ufficio deve essere in via ordinaria scelto nell'ambito dei soggetti che - su propria domanda - siano iscritti negli appositi elenchi tenuti dai Consiglio dell'Ordine presso ogni Tribunale (cfr. artt. 17 cpp e 29 disp. att. cpp); ed il singolo professionista, deve ritenersi, si determinera' o meno alla presentazione della domanda di iscrizione nel suddetto elenco, anche in ragione delle sue valutazioni sulla convenienza economica o meno dell'assunzione dell'ufficio: convenienza che discende dalla normativa esistente in quel momento e sino a quello in cui avviene la nomina (potendo sino al giorno prima il professionista decidere ad es. di cancellarsi dall'elenco). Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto di natura negoziale tra difensore di ufficio e cliente, ne' tra difensore di ufficio e Stato, non puo' negarsi che al conferimento di detto incarico ad un determinato soggetto concorre la manifestazione originaria di volonta' da questi operata alla disponibilita' all'incarico, manifestata con l'iscrizione nell'apposito elenco di cui all'art. 29 disp. att. cpp; questa volonta' e' orientata dall'affidamento in un determinato sistema normativo; un mutamento in peius di detto sistema non puo' non assumere rilevanza, specie qualora esso venga ad applicarsi, addirittura, ad un rapporto gia' compiutosi e di cui e' in sospeso solo l'adempimento degli obblighi di una delle parti (quella stessa parte - e cio' non puo' non assumere rilievo, amplificando la misura della disparita' di trattamento - che modifica le norme a suo favore). Deve pertanto essere qui sollevata la questione della illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1 comma 607 della legge 14,7/2013, che e' rilevante trattandosi di norma che questo Giudice e' chiamato ad applicare al fine di operare la presente liquidazione. I limiti costituzionali alla pretensibilita' di prestazioni patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 costi. L'opera del difensore di ufficio ha - da un punto di vista oggettivo ed ontologico - indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta l'esplicazione di energie intellettuali e/o fisiche esattamente corrispondenti a quelle oggetto delle attivita' di specifiche figure professionali normalmente operanti nel mercato del lavoro; egli puo' peraltro rinunziare all'incarico solo per giustificato motivo, laddove in tale concetto senz'altro non puo' farsi rientrare in via generale l'inadeguatezza o non convenienza dell'indennita' prevista dalla legge, atteso che questa e' fissata con norma generale e fonderebbe quindi per ogni perito un motivo atto a giustificare il rifiuto o la rinunzia all'ufficio: il che e' contraddittorio con la natura dell'istituto, con l'obbligatorieta' dell'ufficio, e con la evidente natura straordinaria dei casi in cui all'ufficio si possa rinunziare. L'art. 97 cpp prevede pertanto ipotesi in cui lo Stato, e' per mezzo del giudice, impone a determinati soggetti l'obbligo di eseguire una prestazione lavorativa, al di fuori di un rapporto contrattuale con la P.A., con controprestazione predeterminata normativamente in misura potenzialmente inferiore, per effetto della disposizione dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, a quella ottenibile in regime di «mercato», e senz'altro concretamente inferiore a quella da liquidarsi a parita' di prestazioni, per effetto dell'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica 115/02, applicabile , come detto, anche ai regimi tariffari antecedenti al D.M. 10 marzo 2014. La fonte della legittimita' costituzionale di tale disciplina riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre una prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art. 2 Cost., che chiama i cittadini all'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi di occasionale in forza di un obbligo scaturente dalla legge. Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate, deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia comunque insito un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale assegna e riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti inviolabili, tra i quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti di liberta' personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera dello Stato, a forme di sfruttamento della propria opera lavorativa (cfr. proprio l'art. 2 Cost.; ma anche l'art. 36 Cost. nella parte in cui riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario massimo di lavoro, tutela anche il diritto al tempo libero); lo si evince dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53 Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita' contributiva; lo si evince dalla tutela accordata alla proprieta' privata, espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42 comma 3 Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e dietro indennizzo: indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve avere le caratteristiche di un serio ristoro della perdita patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico (cfr., ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte Costituzionale). Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di solidarieta', e finanche la corresponsione di prestazioni di natura personale, vivono pur sempre nel contesto di altri principi costituzionali coi quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost., che impongono dei limiti al sacrificio che la legge ordinaria possa imporre al cittadino: limiti che sono sia di ragionevolezza - per evitare marcate situazioni di disparita' di trattamento con altri cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di entita' economica, per evitare che una prestazione lavorativa sia retribuita in maniera tale da mortificare la sua natura di riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. Le tariffe professionali previste dai DD.MM. precedenti il D.M. 10 marzo 2014 si ponevano nei limiti della congruita' costituzionale: il D.M. 140/2102 vedeva gli importi mediamente superiori rispetto a quelli del sistema previdente, e l'onorario era «di norma» da diminuirsi della meta' (art. 9 del D.M.), in un sistema in cui, comunque, ai sensi dell'art. 1 del D.M., il Giudice non era vincolato ne' ai minimi ne' ai massimi tariffari, e poteva quindi agevolmente remunerare l'attivita' professionale in maniera congrua rispetto al suo effettivo valore; il DM. precedente non prevedeva alcuna diminuzione della meta' per il patrocinio a spese dello Stato, ma in compenso i valori di tariffa erano mediamente inferiori a quello del successivo D.M. 140/2012; il D.M. 10 marzo 2014 introduce un considerevole aumento delle tariffe professionali, su di cui puo' quindi operare senza effetti troppo sensibili l'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 che introduce la riduzione di 1/3 degli importi da liquidarsi a carico dello Stato per i difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato e per i difensori di ufficio di imputati inadempimenti e non esecutabili. Il sistema aveva quindi un suo razionale equilibrio tra esigenze di adeguata remunerazione dell'attivita' professionale, natura pubblicistica dell'incarico, oneri di bilancio per lo Stato; e' la previsione dell'applicazione retroattiva dell'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 anche alle liquidazioni da operarsi ai sensi dei DD.MM. precedenti quello del 10 marzo 2014, che stravolge l'equilibrio, conducendo alla liquidazione di onorari irrisori. Va quindi rilevato che la vigente disciplina intertemporale del trattamento economico dei difensori di ufficio e dei difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nella parte in cui, ex art. 1 comma 607 Legge 147/2013, prevede la riduzione di 1/3 dell'onorario da riconoscersi al difensore anche qualora la liquidazione debba essere eseguita applicando i DD.MM. antecedenti il D.M. 10 marzo 2014, vede i difensori di ufficio, in relazione ad un ufficio al quale sono chiamati in adempimento di doveri sociali ed al quale non possono sottrarsi se non per giustificato motivo (e senz'altro non per ragioni legate esclusivamente alla scarsa remunerazione dell'incarico), ricevere emolumenti che appaiono essere assolutamente inidonei a garantire il rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad essi imposto, e inadatti a fungere da serio ristoro rispetto all'impegno loro richiesto ed alla vera e propria espropriazione delle loro energie lavorative e del loro tempo. La violazione dell'art. 35 Cost. Di fatto, l'attuale normativa crea una classe di operatori economici che, in virtu' del possesso di determinate qualifiche, strumentali allo svolgimento del processo nel rispetto del diritto di difesa, e' soggetto per legge ad un palese sfruttamento economico, ad opera dello Stato che invece, per primo e' chiamato dalla Costituzione a realizzare le condizioni di eguaglianza tra i cittadini ed ad assicurare la congrua retribuzione del lavoro; per contro, la frequenza con cui l'A.G. ha necessita' di ricorrere all'opera di difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, mal retribuiti, appare porsi in palese contrasto con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato di tutelare il lavoro, mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso all'ausiliario anche dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro che raro, di perizie molto impegnative). Gli emolumenti o indennita' spettanti per l'assolvimento di un ufficio pubblico, sono infatti sottoposti in primo luogo ad una retribuzione gia' di per se' limitata ex art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, rispetto a quanto sarebbe altrimenti liquidabile. A tasle limitazione, che appare di per se' razionalmente compatibile con i ricordati artt. 2 e 23 Cost., si aggiunge quindi una rilevante decurtazione ex art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 per fatti assolutamente indipendenti da alcun comportamento del difensore. Incompatibilita' con l'art. 36 della costituzione. Ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, alla prestazione di ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione di una retribuzione: a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; b) sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa intertemporale che, come ricostruita da questa A.G. nel rispetto del principio di' legalita', si risolve nella corresponsione al difensore di una retribuzione irrazionalmente sperequata rispetto a quella prevista dalle tabelle forense all'epoca vigente e che si deve ritenere identifichino i limiti di idoneita' costituzionale, ex art. 36 Cost., del compenso per la specifica attivita' del difensore; l'onorario che si andrebbe invece a corrispondere applicando l'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02 al caso concreto, e per di piu' retroattivamente, comporterebbe inoltre una palese sperequazione di trattamento rispetto a quello di di cui hanno goduto, nella medesima situazione, altri legali che abbiano prestato attivita' similari e la cui istanza di liquidazione dell'onorario sia stata presentata e/o evasa prima dell'entrata in vigore dell'art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02. Dovendo questo tribunale procedere, nella determinazione dell'onorario, alla applicazione della norma di cui si censura la costituzionalita', la questione appare palesemente rilevante.