TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO (Sezione Quinta Penale) Il giudice Alessandra Salvadori, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro V. G. n. Torino 29.3.1962 dom.to ex art. 161 c.p.p. c/o avv. Nizza in Torino c.so Vittorio Emanuele II n. 76 - difeso di fiducia da avv. Nizza Vittorio del foro di Torino, imputato "del reato di cui all'art. 483 c.p. perche' in occasione dell'assemblea straordinaria totalitaria della societa' C. T. Srl in qualita' di amministratore dichiarava falsamente innanzi al notaio Mariatti Giorgio, di modo che ne veniva redatto verbale destinato a provare i fatti ivi descritti, essere presente o validamente rappresentato l'intero capitale sociale, mentre al contrario il socio di maggioranza P. O. ne' era presente all'assemblea ne' aveva rilasciato mandato ad essere rappresentato. In Chieri 26.7.2010". V. G. e' stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Torino con decreto del PM in data 23.1.2013. Alla prima udienza davanti al Tribunale, tenutasi il 16.5.2014, previa dichiarazione di contumacia del V. e costituzione della parte civile O. P. con l'avv. Carlo Mussa, veniva aperto il dibattimento ed il giudice ammetteva le prove richieste dalle parti. Alla successiva udienza del 26.5.2014 l'imputato personalmente formulava richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il difensore, chiedeva un rinvio finalizzato a formalizzare una proposta risarcitoria e, per superare la preclusione processuale determinata dall'intervenuta apertura del dibattimento, sollecitava l'applicazione dell'art. 175 c.p.p. All'udienza del 18.9.2014 la difesa depositava documentazione a supporto della richiesta di sospensione con messa alla prova ed insisteva per l'accoglimento della stessa prospettando - nell'ipotesi in cui il giudice non avesse ritenuto possibile superare la preclusione processuale in via interpretativa - "questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 legge 28.4.2014 n. 67 nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della messa alla prova anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della nuova legge" per contrasto con gli artt. 3, 117 e 24 della Costituzione, diffusamente illustrata nella memoria scritta che depositava. Il difensore dubita della legittimita' costituzionale della disciplina intertemporale relativa alla sospensione con messa alla prova applicabile ai processi in corso pendenti in primo grado al momento dell'entrata in vigore della legge 67/2014. La questione, nei termini meglio di seguito specificati, e' rilevante ai fini della presente decisione e non e' manifestamente infondata. Rilevanza Dal capo di imputazione, dagli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, dalla costituzione di parte civile e dalla documentazione prodotta dalla difesa a sostegno della richiesta di sospensione con messa alla prova emerge la ricorrenza nel caso di specie di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi che consentirebbero l'ammissione dell'imputato alla messa alla prova. Ed invero. La fattispecie di cui all'art. 483 c.p. e' punita con la reclusione fino a due anni e, quindi, con pena massima inferiore ai limiti di cui all'art. 168-bis co. 1 c.p. (pena edittale detentiva, sola, congiunta o alternativa, non superiore nel massimo a quattro anni). Sono assenti le condizioni ostative previste dall'art. 168-bis commi 4 e 5 c.p., non avendo l'imputato mai fruito prima della messa alla prova e non ricorrendo alcuno dei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p. Il caso concreto, sulla base di quanto contestato e degli atti presenti nel fascicolo, appare di modesta gravita' in quanto relativo ad una dichiarazione resa in occasione di un'assemblea straordinaria della societa' di cui l'imputato era amministratore, nonche' esclusivo proprietario delle quote sociali fiduciariamente intestate alla p.o. L'imputato ha formulato un'offerta risarcitoria ed ha presentato richiesta di elaborazione all'UEPE del programma con dichiarazione di disponibilita' a sottoporsi alle prescrizioni imposte e svolgere un lavoro di pubblica utilita'. Tutto quanto premesso, unitamente all'epoca del fatto e alla personalita' dell'istante, desumibile dai non gravi precedenti penali, riconducibili perlopiu' se non esclusivamente allo svolgimento di un'attivita' imprenditoriale ormai cessata, fa ritenere che il V. si sia aperto ad una rivalutazione critica sul suo passato e che, pertanto, si atterra' al programma astenendosi in futuro dal commettere ulteriori reati. Non ricorrono, allo stato, le condizioni per la pronuncia di una sentenza ex art. 129 c.p.p. L'unico ostacolo all'ammissione dell'imputato e' rappresentata, dunque, dalla preclusione processuale stabilita dall'art. 464-bis co. 2 c.p.p. Come gia' accennato, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova e' stata formulata dall'imputato successivamente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e, pertanto, oltre il termine stabilito dalla legge. Per la esatta comprensione del caso concreto va tenuto conto che la dichiarazione di apertura del dibattimento era, alla data del 17.5.2014, allorche' e' entrata in vigore la legge 67/2014, gia' intervenuta, e che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova e' stata formulata dall'imputato alla prima udienza successiva all'introduzione del nuovo istituto. Evidente, pertanto, la decisiva rilevanza nel caso di specie dello sbarramento processuale di cui all'art. 464-bis co. 2 c.p.p. poiche' la possibilita' dell'imputato di conseguire, previo esito positivo della messa alla prova, la dichiarazione di estinzione del reato per cui si procede e' direttamente collegata al superamento di tale preclusione. In relazione a tale profilo si osserva. Assenza di disciplina transitoria La legge 28.4.2014 n. 67, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale n. 100 del 2.5.2014 ed in vigore dal 17.5.2014 (che prevede al capo I deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma della disciplina del sistema sanzionatorio; al capo II disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova; al capo III disposizioni in materia di sospensione del procedimento nei confronti di irreperibili) non conteneva alcuna disciplina transitoria. Con legge 11 agosto 2014, n. 118 nel capo III della legge 28 aprile 2014, n. 67 e' stato aggiunto l'art. 15-bis concernente norme transitorie per l'applicazione della sola disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili che cosi' recita "«Art. 15-bis (Norme transitorie). - 1. Le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. 2. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato e' stato dichiarato contumace e non e' stato emesso il decreto di irreperibilita'». Ad oggi, non e' stata prevista alcuna disciplina transitoria con riferimento alla sospensione del procedimento con messa alla prova. L'assenza di una disciplina transitoria per la sospensione del procedimento con messa alla prova comporta la mancanza di una normativa specifica diretta a regolare i procedimenti per i quali, prima dell'entrata in vigore della legge, siano gia' maturate le preclusioni processuali di cui all'art. 464-bis c.p.p. Tale lacuna differenzia l'intervento in esame da riforme analoghe intervenute in passato (si pensi all'art. 30 co. 2 del d.lgs. 28.7.1989 n. 272 relative alla messa alla prova degli imputati minorenni; all'art. 64 del d.lgs 28.8.2000 n. 274 sulla competenza del Giudice di Pace; all'art. 4-ter del d.l. 7.4.2000 n. 82 in tema di giudizio abbreviato; nonche' alla legge 12.6.2003 n. 134 in tema di patteggiamento allargato, in relazione alla quale la Corte costituzionale, con sentenza n. 445 del 22.11.2006, nel dichiarare manifestamente infondata la questione sollevata in ordine al contrasto della disciplina transitoria con i principi di uguaglianza e ragionevole durata del processo, ha rilevato come la richiesta di patteggiamento debba ritenersi una modalita' di esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.), nonche' dalla disciplina prevista dalla gia' citata legge 11 agosto 2014 n. 118 per l'istituto - contestualmente introdotto - della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Impossibilita' di superare la preclusione in via interpretativa Come gia' rilevato, la legge 67/2014 per la sospensione del procedimento con messa alla prova - ha fissato all'art. 464-bis, comma 2 c.p.p. precisi termini processuali: "La richiesta puo' essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se e' stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta e' formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'art. 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta e' presentata con l'atto di opposizione". Sulla base della norma appena citata il discrimine risulta delimitato in modo unitario per tutti i procedimenti e processi (gia' pendenti o successivi al momento dell'entrata in vigore della nuova legge) e coincidente, per la fase dibattimentale, con la dichiarazione di apertura del dibattimento. Il gia' citato disposto dell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p., e' assolutamente preciso nel fissare i limiti entro in quali e' possibile formulare la richiesta di messa alla prova - la dichiarazione di apertura del dibattimento per il caso che ci occupa - e, conseguentemente, non consente il superamento di dette preclusioni in via interpretativa mediante una diretta applicazione del generale principio di cui all'art. 2 c.p. Altrettanto palese la volonta' del legislatore - ribadita nel non aver predisposto per le norme di cui al capo II della legge 67/2014 una norma transitoria, neppure contestualmente alla previsione di una normativa transitoria relativa alla disciplina di cui al capo III - di non voler differenziare la disciplina tra processi pendenti e processi nuovi. A fronte di cio', l'interprete che volesse superare la preclusione si troverebbe non tanto ad adeguare in via interpretativa una disciplina lacunosa o suscettibile di plurime esegesi, bensi' ad eludere un univoco dettato normativo attraverso la costruzione di una diversa disciplina che non trova agganci testuali o sistematici. Tale conclusione, che esclude la possibilita' di una diretta applicazione del nuovo istituto anche ai processi che abbiano superato le fasi processuale stabilite dall'art. 464-bis c.p.p., risulta avvalorata anche dai primi arresti giurisprudenziali. Sul punto, merita specifica menzione l'ordinanza del 21.5.2014 del Tribunale di Torino con la quale e' stato ritenuto consentito l'esercizio del diritto alla prima occasione utile successiva all'entrata in vigore della legge 67/2014, anche nel caso di avvenuta apertura del dibattimento, attraverso l'applicazione dell'art.175 c.p.p. Questo il passo di specifico interesse: "essendo stato superato il termine per formulare la domanda - previsto a pena di decadenza - la posizione soggettiva delle imputate non puo' che essere garantita mediante l'istituto processuale della restituzione nel termine, ex art. 175 c.p.p., posto che il rispetto del termine non e' stato possibile per causa di forza maggiore (il c.d. factum principis) e considerato che le imputate hanno richiesto di esercitare il diritto alla prima occasione utile per loro". Evidente come nell'ordinanza citata (nella quale la scelta compiuta dal legislatore di stabilire una preclusione processuale, senza prevedere alcun regime transitorio, viene qualificata quale causa di forza maggiore che limita il diritto al trattamento di favore delle imputate) l'applicabilita' della nuova e piu' favorevole normativa non discenda da un diretto ricorso al principio generale di cui all'art. 2 c.p., ma consegua alla diversa soluzione - che implicitamente, ma chiaramente, esclude proprio tale possibilita' - del ricorso all'istituto della rimessione in termini. Un simile approccio ermeneutico - sebbene apprezzabile per le finalita' perseguite - non convince. In tal modo, infatti, il giudice di merito finisce con il sostituirsi al Giudice delle leggi, introducendo in via giurisprudenziale "un regime transitorio" non voluto dal legislatore che operi da correttivo alle scelte normative della cui costituzionalita' dubita. Si rileva, poi, che l'impossibilita' di concedere la messa alla prova ai processi in corso in forza di una diretta applicazione dell'art. 2 c.p. e/o dell'art. 7 della C.E.D.U. discende anche dai generali principi applicabili in tale materia. La Corte costituzionale con sentenza n. 43 del 2012, infatti, richiamando anche la precedente sentenza n. 236 del 2012, ha affermato che "la sentenza della Corte EDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola, non ha escluso la possibilita' che, in presenza di particolari situazioni, il principio di retroattivita' della lex mitior possa subire deroghe o limitazioni, sottolineando come «il riconoscimento da parte della Corte Europea del principio di retroattivita' in mitius - che gia' operava nel nostro ordinamento in forza dell'art. 2, secondo, terzo e quarto comma, c.p., e aveva trovato fondamento costituzionale attraverso la giurisprudenza di questa Corte - non abbia escluso la possibilita' di introdurre deroghe o limitazioni alla sua operativita', quando siano sorrette da una valida giustificazione»". Nel caso di specie, quindi, si deve prendere atto del fatto che il legislatore ha imposto, in modo chiaro ed espresso, un limite alla richiesta di messa alla prova, che non risulta superabile in via interpretativa: occorrera', quindi, secondo i dettami della Corte, verificare se detto limite sia o meno ragionevole o meglio, se sia ragionevole l'assenza di una disciplina transitoria che consenta di accedere alla messa alla prova nei procedimenti pendenti, per i quali, al momento dell'entrata in vigore della nuova legge, non era intervenuta sentenza di primo grado. Tali argomentazioni risultano confermate anche dalla recente sentenza della Corte di Cassazione del 31.7.2014, pronunciata nel procedimento n. 25267/14 RG, che ha affermato conclusivamente il seguente principio di diritto: "La sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 67 del 28 aprile 2014, non puo' essere richiesta dall'imputato nel giudizio di cassazione, ne' invocandone l'applicazione in detto giudizio, ne' sollecitando l'annullamento con rinvio al giudice di merito. Infatti il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter procedurale, alternativo alla celebrazione del giudizio, introdotto da nuove disposizioni normative, per le quali, in mancanza di una specifica disciplina transitoria, vige il principio 'tempus regit actum'. Ne' alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2011, e' configurabile alcuna lesione del principio di retroattivita' della lex mitior, che di per se' imponga l'applicazione dell'istituto a prescindere dalla assenza di una disciplina transitoria". In particolare, il S.C., richiamando dapprima la gia' citata sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2011, nella parte in cui ammette deroghe al principio di retroattivita' della legge favorevole, se sorrette da valide giustificazioni, ha affermato che: "a ben vedere il principio di retroattivita' della lex mitior presuppone una omogeneita' tra i contesti fattuali o normativi in cui operano le disposizioni che si succedono nel tempo, posto che ... il principio di uguaglianza, cosi' come ne costituisce un fondamento, puo' rappresentare anche il limite dell'applicabilita' retroattiva della legge penale piu' favorevole. In altri termini, a differenza di quello di irretroattivita' della legge penale sfavorevole, il principio di retroattivita' della legge favorevole non puo' essere senza eccezioni e l'eccezione puo' trovare ragionevole fondamento nella diversita' dei contesti processuali". Di specifico interesse sono i passi nei quali la Corte di Cassazione esclude che la soluzione interpretativa adottata esponga la disciplina legislativa a dubbi di illegittimita' costituzionale. Nel sostenere tali principi, infatti, la Corte lascia intendere che la mancata fruibilita' del nuovo istituto sarebbe ragionevole soltanto in relazione ai procedimenti per i quali sia gia' stata pronunciata sentenza di primo grado: "quando il processo e' ormai giunto davanti al Giudice dell'impugnazione (perche' vi e' stata una decisione che ha definito il primo grado di giudizio), non vi e' spazio sistematico alcuno per dare ingresso ad una procedura che [...] e' strutturalmente alternativa ad ogni tipo di giudizio su una determinata impugnazione"; ed ancora: "le considerazioni che precedono evidenziano come i contesti processuali del processo che non sia giunto a sentenza in primo grado e di quelli che si trovano in fase di impugnazione siano assolutamente, strutturalmente e dal punto di vista sistematico, del tutto differenti e non permettano, pertanto, di dare applicazione retroattiva alla nuova disciplina, a cio' potendosi giungere solo con esplicita, specifica ed articolata scelta sistematica del legislatore, con una eventuale disciplina transitoria". Alla luce di tutto quanto esposto, quindi, non si puo' ritenere direttamente applicabile la disciplina della messa alla prova nei procedimenti in corso per i quali sia gia' intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento. Tuttavia, anche in relazione alle citate motivazioni della S.C., l'assenza di una disciplina transitoria che consenta di accedere alla messa alla prova nei procedimenti pendenti, per i quali non sia intervenuta sentenza di primo grado, non appare immune da dubbi di ragionevolezza. Non manifesta infondatezza Il nuovo istituto della sospensione con messa alla prova cumula connotazioni di carattere processuale e sostanziale: si tratta di una causa di estinzione del reato e, al contempo, di un modulo di definizione alternativa del processo. Tale natura 'mista' rende ancor piu' inappagante la soluzione preclusiva dell'accesso all'istituto da parte di tutti gli imputati che (pur presentando i requisiti soggettivi e oggettivi per l'ammissione) si siano trovati, al momento della entrata in vigore della nuova disciplina, in una fase processuale piu' avanzata rispetto alla scadenze fissate dall'art. 464-bis c.p.p. Come gia' rilevato, la disciplina ricavabile dall'assenza nella legge 11 agosto 2014, n. 118 di norme transitorie relative alla sospensione con messa alla prova analoghe a quelle stabilite per la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili ("1. Le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado") e dalla previsione all'art. 464-bis c.p.p. di rigide preclusioni processuali, in difetto di qualsiasi deroga che sancisca la non operativita' delle stesse in relazione ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge 67/2014, esclude che gli imputati in processi pendenti in primo grado, nei quali sia gia' stata effettuata la dichiarazione di apertura del dibattimento, possano accedere al nuovo procedimento speciale e cosi' conseguire la dichiarazione di estinzione del reato. Cio' impone una verifica di ragionevolezza ai sensi dell'art. 3 Cost. del differente trattamento di soggetti che - versando nelle medesime condizioni sostanziali - si trovino al momento dell'entrata in vigore della nuova legge in diversi fasi del processo di primo grado. Infatti, il legislatore, individuando un discrimine unico valido tanto per i processi nuovi quanto per i processi gia' in corso, ha disciplinato in modo identico situazioni nettamente difformi, consentendo unicamente agli imputati dei primi di aver accesso al nuovo, piu' favorevole, istituto. Tale soluzione pare contrastare altresi' con il principio di rango costituzionale - attraverso il parametro interposto di cui all'art. 117 Cost., sancito dall'art. 7 C.E.D.U., (cfr. sentenza della Corte EDU 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia resa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo) - della retroattivita' della lex mitior. Infatti, il "momento" prescelto dal legislatore, mentre risulta pienamente coerente e razionale per tutti i processi nuovi, non e', quantomeno rispetto ai processi pendenti in primo grado, nei quali le preclusioni siano gia' maturate al momento dell'entrata in vigore della nuova legge, espressivo di interessi di rilevanza almeno pari a quelli sottesi dalla regola della retroattivita' della lex mitior. La deroga al summenzionato principio nel caso in esame non appare, diversamente dalle ipotesi di processi che gia' si trovino in fase di impugnazione, sorretta da una sufficiente ragione giustificativa. Tale discriminazione - conseguente al trattamento identico riservato a situazioni radicalmente difformi - non fondata su una giustificazione razionale relativa al bilanciamento di configgenti interessi di pari rango, appare tale da implicare anche una violazione dell'art. 24 Cost., in quanto si risolve in una lesione del pieno esercizio del diritto di difesa (nel quale va inclusa anche la facolta' di richiedere l'accesso a riti alternativi) e dell'art. 111 Cost. poiche' pregiudica il diritto ad essere sottoposto ad un giusto processo (inteso come diritto ad una scelta del rito pienamente consapevole, assunta in base alla previsione ed alla ponderazione di rischi connessi alla possibilita' di previamente valutare le opzioni offerte e ad una ordinata, corretta e fisiologica successione di atti processuali). Sussistono, quindi, i presupposti per rimettere alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimita' dell'art. 464-bis c.p.p., affinche' stabilisca se la disciplina intertemporale vigente per la sospensione del procedimento con messa alla prova, in assenza di una disciplina transitoria analoga a quella di cui all'art. 15-bis co. 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118, determini in danno dell'imputato di un processo pendente in primo grado, nel quale la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell'entrata in vigore della legge 67/2014, una discriminazione priva di giustificazione razionale ed una conseguente violazione del diritto di applicazione della lex mitior, nonche' del diritto di difendersi e di essere sottoposto ad un giusto processo.