TRIBUNALE DI VERONA Seconda Sezione Civile Il Tribunale di Verona, seconda sezione civile, sezione fallimentare composta dai sigg.ri Magistrati: dott. Fernando Platania - Presidente rel.; dott. Francesco Fontana - Giudice; dott. Massimo Coltro - Giudice. Premesso che la societa' Autonord S.r.l. con ricorso depositato il 9 agosto 2013, ha avanzato ai suoi creditori una proposta che sinteticamente prevede il pagamento di tutte le spese di procedura ed il pagamento dei creditori privilegiati, ivi compreso l'Erario, in misura percentuale; Che, in particolare per quanto concerne l'I.V.A., e' stata ipotizzata una percentuale di soddisfacimento pari al 25%, a mezzo di apporto di finanza di terzi, per un importo di € 114.422,50; Che l'importo sopra indicato quale previsione di soddisfacimento dell'I.V.A. (€ 114.422,50) costituisce voce assolutamente rilevante rispetto a quella costituente l'importo creditorio privilegiato complessivo (€ 187.330,00); Che nella proposta concordataria non emerge in alcun modo ed attraverso quali altre fonti possa essere pagata l'I.V.A. in forma aggiuntiva rispetto alla indicata percentuale; Che e' stata anche depositata la relazione di cui all'art. 160 II co l.f. in ordine all'incapienza dell'attivo a pagare il privilegio I.V.A.; Osservato che la questione del pagamento parziale dell'Erario per crediti iva, alla luce del recente orientamento giurisprudenziale della Cassazione (Cass. S.U. 23 gennaio 2013 n. 1521) costituisce questione attinente alla possibilita' giuridica di ammettere la societa' al concordato; Che, pertanto, rientra nei poteri esclusivi del Tribunale l'obbligo di valutare l'ammissibilita' della proposta sotto il profilo giuridico; Che l'interpretazione del combinato disposto dell'art. 160 e 182-ter l.f. per cui, come in sede di transazione fiscale, anche in sede di concordato preventivo, non puo' essere proposto il pagamento parziale dell'iva, rappresenta diritto vivente a seguito non solo delle pronunce gemelle della Cassazione 4 novembre 2011 nn. 22931 e 22932 ma anche di Cass. 16 maggio 2012 n. 7667; Che va osservato che l'interpretazione della Cassazione di equiparare la transazione fiscale ed il concordato preventivo appare fondata sull'attribuzione della natura di norma sostanziale alla previsione contenuta nell'art. 182-ter l.f.; Che, pertanto, non puo' condividersi la decisione del Tribunale di Como del 29 gennaio 2013 in Il caso.it, 8561 per il quale la previsione del pagamento integrale dell'iva deve considerarsi operante solo nella transazione fiscale e non nel concordato preventivo, non solo perche' cio' risulta in aperto contrasto con le citate decisioni della Cassazione ma soprattutto perche' l'orientamento della Suprema Corte di equiparazione tra le due fattispecie trova fondamento oggettivo ed indiscutibile nel fatto che anche la transazione fiscale persegue il fine di trovare soluzione extra fallimentare alla crisi dell'azienda all'interno della procedura di concordato preventivo; Che, nella specie, ai sensi dell'art. 160, II co l.f. la relazione giurata, depositata con la domanda, ha assunto che in caso di fallimento, in ragione del solo fatto che la finanza esterna non verrebbe apportata nell'eventuale sede fallimentare, non sarebbe possibile alcuna soddisfazione per l'Erario; Che la necessaria applicazione delle indicate disposizioni di legge, cosi' come interpretate dalla Cassazione, nel caso di specie, determinerebbe la declaratoria de plano di inammissibilita' della proposta, a prescindere dalla dedotta utilizzabilita' della finanza esterna; Che ad avviso del Tribunale, accertata per tutte le ragioni che precedono la rilevanza della questione, l'applicazione del diritto vivente potrebbe determinare la violazione del principio costituzionale del buon andamento della Pubblica Amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione; Che, infatti, la declaratoria de plano dell'inammissibilita' della proposta impedirebbe alla Pubblica Amministrazione di valutare in concreto la convenienza del piano, attribuendo alla Pubblica Amministrazione un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri creditori privilegiati che, in base alle previsioni del novellato art. 160 l.f., possono, in concreto, optare per la soluzione concordataria piuttosto che quella fallimentare quando non sia ad essi attribuito un grado di soddisfazione inferiore a quello ipotizzabile in sede liquidatoria; Che e' ovviamente interesse della Pubblica Amministrazione (anche e soprattutto per i tributi che costituiscono risorse dell'Unione Europea) ottenere il massimo grado di soddisfazione possibile; Che l'interpretazione della Cassazione non si e' spinta a ritenere che, data la natura di norma sostanziale della disposizione dell'art. 182-ter l.f., anche in sede fallimentare al credito iva debba essere garantito il pagamento integrale a detrimento della posizione di tutti gli altri creditori privilegiati; Che il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione nonche' il principio di parita' di trattamento implicano che la stessa debba essere messa in grado di valutare autonomamente la convenienza delle proposte ad essa effettuate quando appaiono dirette al soddisfacimento dell'interesse generale all'acquisizione delle risorse per lo svolgimento dei compiti istituzionali dello Stato; Che la valutazione della convenienza non puo' essere compiuta su base astratta con riferimento al parametro ipotetico che preveda il pagamento integrale ma va effettuata con riferimento alle concrete situazioni (che nella specie, non essendo giuridicamente praticabile la soluzione concordataria, vedrebbe la soddisfazione dell'Erario in misura largamente inferiore a quella proposta); Che la disposizione di legge (combinato disposto dell'art. 160 e 182-ter legge fallimentare) cosi' come interpretata dalla Cassazione, sottrarrebbe, pertanto, all'Amministrazione la possibilita' di valutare in concreto (esprimendo il voto, ovviamente per il suo credito) la proposta, impedendole di valutare la convenienza della stessa rispetto a quella fallimentare (che sarebbe sulla base dei dati acquisiti, peggiore in ragione del fatto che per la stessa Cassazione la previsione del pagamento integrale non si estenderebbe alla procedura di fallimento); Che naturalmente e' ben noto al Tribunale che la previsione legislativa oggetto di censura in questa sede trova diretto fondamento nella nota pronuncia della Corte di Giustizia Europea 17 luglio 2008 c 132/06 che ha sancito l'incompatibilita' con ordinamento comunitario di ogni rinuncia indiscriminata e generalizzata; Che la valutazione in concreto dell'opportunita' di ottenere quanto piu' possibile non costituisce, pero', una rinuncia generalizzata alla pretesa iva ma piuttosto la razionale (e quindi costituzionale) massimazione possibile della pretesa tanto piu' che, per la Cassazione (Cass. 17 febbraio 2010 n. 3676), non costituisce violazione dei principi posti dall'indicata sentenza della Corte di Giustizia la possibilita' concessa dall'art. 16 della legge 289 del 2002 di definire una lite pendente in materia di iva con il pagamento di una somma inferiore a quanto dovuto in funzione del vantaggio dipendente dalla chiusura della lite in corso; Che, infatti, la compatibilita' della normativa sulla chiusura delle liti pendenti e' stata riconosciuta dalla Cassazione in quanto non determina una rinuncia all'accertamento; Che a conclusioni non dissimili e' giunta anche la Corte Europea di Giustizia nella decisione 29 marzo 2012 500/10 Belvedere; Che nemmeno la valutazione da parte dell'ufficio della convenienza della proposta ha l'effetto di paralizzare l'accertamento ma solo di individuare, in concreto, il migliore mezzo di definizione del debito fiscale in base alle contingenti situazioni del debitore; Che naturalmente non va taciuto che l'ammissibilita' di una proposta che permettesse un grado di soddisfazione dell'Iva inferiore al totale (come oggi imposto dall'art. 182-ter l.f.) potrebbe aprire la strada ad un sostanziale svuotamento delle pretese creditorie dell'Erario le volte in cui, l'Erario, in relazione al credito IVA, fosse inserito in una classe apposita, inidonea a determinare autonomamente l'approvazione della proposta in ragione del numero delle altre classi previste dalla proposta ovvero in relazione alla entita' del suo credito (come nella specie in cui sono state previste tre classi ed in cui il credito iva non costituisce, di per se' solo valutato, la maggioranza dei crediti); Che non appare rilevante la questione in relazione all'art. 3 della Costituzione con riferimento alla pretesa attribuzione di una sorta di privilegio Iva applicabile solo nelle procedure concordatarie e non in quelle fallimentari; Che, in linea generale, non vi sono preclusioni a che taluni crediti possano risultare privilegiati solo verificandosi alcune condizioni; Che neppure puo' apprezzarsi un ingiustificato trattamento tra i creditori delle procedure concorsuali e quelli delle procedure individuali poiche' in entrambi i casi la graduazione del ricavato dovrebbe essere effettuata secondo il rispetto delle regole della graduazione dei titoli di prelazione (essendo circostanza casuale l'intervento di uno o piu' creditori privilegiati o chirografari); Che pertanto, appare non infondata la questione di illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 160 e 182-ter l.f. con riferimento all'art. 97 della Costituzione nella parte in cui, rendendo necessariamente inammissibile la proposta concordataria che non preveda il pagamento integrale dell'iva, non consente alla Pubblica Amministrazione di valutare in concreto la convenienza della proposta formulata che prospetti un grado di soddisfazione del suo credito in misura pari al valore delle attivita' del proponente ed in misura superiore a quella derivante dalla liquidazione fallimentare violando il principio costituzionale del buon andamento della Pubblica Amministrazione che obbliga la stessa a seguire criteri di economicita' e di massimazione delle risorse nonche' in relazione all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui non consente alla Pubblica Amministrazione, contrariamente a quanto accade per tutti i creditori privilegiati, di accettare un pagamento inferiore al credito ma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore.