TRIBUNALE DI SONDRIO 
 
    Il Giudice del Lavoro, esaminati gli atti della causa  n.  152/14
RG. pendente  innanzi  a  questo  Tribunale  tra  l'attore  opponente
Branchini Mauro e la convenuta opposta Iperal s.p.a.; 
    ha emesso la seguente ordinanza. 
    La presente  causa  ha  ad  oggetto  l'opposizione  proposta  dal
Branchini in data 14/8/14 ex  art.  1,  comma  51,  legge  n.  92/12,
avverso l'ordinanza emessa dal sottoscritto Giudice il  17/7/14,  con
la quale e' stata respinta la sua domanda giudiziale - presentata  ex
art. 1, comma 48, legge n. 92/12 -  d'impugnativa  del  licenziamento
intimatogli da Iperal s.p.a. il 7/2/14 e con la quale il medesimo  e'
stato condannato a rifondere alla controparte le spese di lite (causa
n. 55/14 R.G.). 
    Le conclusioni di merito formulate dal Branchini nel  ricorso  ex
art. 1, comma 48, depositato in  data  13/3/14,  erano  le  seguenti:
«ricorre al Tribunale intestato, in funzione di Giudice  del  Lavoro,
affinche' esperito il procedimento di cui ai commi 48 e 49  dell'art.
1, legge n. 92/2012, voglia accogliere con  ordinanza  immediatamente
esecutiva   le   seguenti   domande:   -   accertare   e   dichiarare
l'illegittimita' del licenziamento intimato  al  sig.  Branchini  per
insussistenza del fatto contestato  e,  per  l'effetto,  disporre  la
reintegrazione nel posto di lavoro e condannare  la  societa'  Iperal
spa,  in  persona  del  legale   rappresentante   pro   tempore,   al
risarcimento  del  danno   quantificabile   in   misura   pari   alla
retribuzione  lorda  globale  di  fatto  mensile  di  euro   1.231,00
(corrispondente all'importo salariale  mensile  previsto  per  il  IV
livello del Ccnl commercio, pt  60%,  maggiorato  di  indennita'  per
lavoro supplementare e maggiorazione 30 %) e € 258,33 netti mensili a
titolo di assegno nucleo familiare, dal giorno del  licenziamento  al
giorno della reintegra ed al versamento, per lo stesso  periodo,  dei
contributi previdenziali come per legge: - in via subordinata,  nella
denegata ipotesi in cui  il  Giudice  ritenga  non  insussistente  la
giusta causa, ma accerti che ricorrono gli estremi della giusta causa
o del giustificato motivo soggettivo, dichiarare risolto il  rapporto
di lavoro con effetto dalla data del licenziamento  e  condannare  la
societa' Iperal spa al pagamento di un'indennita' risarcitoria pari a
24  mensilita'  dell'ultima   retribuzione   globale   di   fatto   -
retribuzione globale di  fatto  mensile  pari  ad  €  1.231,00  lordi
(tenuto conto dell'anzianita'  aziendale  di  quasi  20  anni,  delle
dimensioni dell'azienda, del comportamento  pretestuoso  e  contrario
alla correttezza e  buona  fede  della  societa'  Iperal),  oltre  al
mancato preavviso nella misura lorda di 2.154,00 €; Con  vittoria  di
spese ed onorari». 
    Le conclusioni di merito di Iperal s.p.a. nella  prima  fase  del
giudizio erano le seguenti: «Voglia l'Ill.mo Tribunale del Lavoro  di
Sondrio, in funzione di Giudice  Unico  del  lavoro,  disattesa  ogni
contraria  istanza,  eccezione  o  deduzione,  cosi'  giudicare:   in
principalita': respingere, perche' infondate in fatto ed in  diritto,
tutte le domande avanzate dal ricorrente con l'atto introduttivo  del
presente giudizio; accertarsi e dichiararsi, ad ogni effetto di legge
e  di  contratto,  la  giustificatezza  e/o  la   legittimita'   e/o,
l'efficacia e/o la validita', quale giusta causa,  in  principalita',
ovvero quale giustificato motivo soggettivo in via  subordinata,  del
licenziamento irrogato dalla Societa' nei confronti  del  ricorrente,
con raccomandata  a/r  del  5  febbraio  2014;  in  subordine:  nella
denegata ipotesi  di  accoglimento,  anche  parziale,  delle  domande
avversarie  -  accertata   e   dichiarata   l'inapplicabilita'   alla
fattispecie de qua dei rimedi di cui ai commi 1, 2 e 4, dell'art.  18
legge n. 300/1970 - farsi applicazione del rimedio di cui al comma  5
dell'art. 18 legge n. 300/1970 e,  per  gli  effetti,  dichiarare  il
rapporto di lavoro inter partes risolto con effetto  dalla  data  del
licenziamento  e  liquidazione  dell'indennita'  risarcitoria   nella
misura minima di legge; in ogni  caso:  si  fa  espressa  riserva  di
azione verso Branchini al fine  del  recupero  della  somma  di  euro
480,00 indebitamente utilizzata; si eccepisce l'aliunde perceptum vel
percipiendum con riferimento a tutte  le  somme  a  qualsiasi  titolo
percepite (i.e. ivi inclusa la indennita' sostitutiva del  preavviso)
dal ricorrente nel  periodo  successivo  al  licenziamento  e,  nella
denegata ipotesi  di  accoglimento,  anche  parziale,  delle  domande
avversarie, se ne chiede sin d'ora la compensazione e  la  detrazione
rispetto  alle  somme  eventualmente  riconosciute   a   favore   del
ricorrente; in ogni caso, si contestano tutti i conteggi prodotti  da
controparte in quanto infondati  e  non  esplicitanti  il  meccanismo
contabile sotteso; respingersi il ricorso avversario; con vittoria di
spese, diritti, onorari e sentenza [sic, sorta di  lapsus  freudiano,
n.d.G.] munita di clausola di provvisoria esecuzione». 
    Nella  presente  fase  di  opposizione  a  cognizione  piena   il
Branchini ha formulato conclusioni di merito del medesimo e  identico
tenore  letterale  (che  quindi  sarebbe   superfluo   e   ridondante
riportare), fatta salva la premessa di tali conclusioni:  «Voglia  il
Tribunale intestato, in funzione di  Giudice  del  Lavoro,  rigettata
ogni contraria istanza ed  eccezione,  previo  ogni  accertamento  ed
opportuna declaratoria dei caso, accogliere il  presente  ricorso  e,
conseguentemente, in riforma totale dell'ordinanza  15  luglio  2014,
depositata e  comunicata  in  data  17  luglio  2014,  accogliere  le
seguenti conclusioni: in via preliminare, revocare l'ordinanza emessa
ex art. 1, comma  49,  legge  n.  92/2012,  nel  procedimento  RG  n.
55/2014; in via principale accertare  e  dichiarare  l'illegittimita'
del licenziamento ...». Parimenti e' da dirsi per le  conclusioni  di
merito formulate dalla convenuta  opposta  nella  presente  fase  del
giudizio (l'unica differenziazione e' l'aggiunta della seguente frase
nell'epigrafe di  tali  conclusioni:  «...per  l'effetto,  confermare
integralmente l'Ordinanza ex adverso impugnata»). 
    Le prime tre udienze sono  state  deputate  all'espletamento  del
tentativo  di  conciliazione,  dichiarato   definitivamente   fallito
all'udienza  del  16/12/14.  Quindi  la  causa  e'   stata   rinviata
all'udienza del 7/1/15, e poi all'udienza del  14/1/15,  al  fine  di
verificare l'eventuale  sussistenza  di  un'istanza  congiunta  delle
parti di attendere l'esito della decisione della Corte costituzionale
sulla questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli artt. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., e 1, comma 51, legge n. 92/12,
in relazione alla mancata esplicita previsione  dell'incompatibilita'
del medesimo Giudice persona fisica a trattare sia la  fase  sommaria
che quella di opposizione a cognizione piena nei  giudizi  de  quibus
(gia' chiamata per la pubblica udienza del 28 aprile p.v. ). 
    All'udienza del 14/1/15 la convenuta  opposta  ha  dichiarato  la
propria contrarieta' al rinvio  semplice  in  questione;  di  seguito
l'attore ha formulato istanza affinche' il Giudice sollevi  questione
di legittimita' costituzionale della citata normativa  ordinaria  per
violazione  degli  artt.  3,  24  e  111  della   Costituzione.   Con
provvedimento in pari  data  il  Giudice  ha  dichiarato  la  propria
astensione obbligatoria per essere egli la  medesima  persona  fisica
che  ha  emanato  l'ordinanza   conclusiva   della   fase   sommaria,
esplicitando trattarsi di  una  propria  valutazione  basata  su  una
propria interpretazione logico-sistematica  della  normativa,  e  non
gia' sul suo dato letterale, e rimettendosi quindi alla decisione  in
proposito del Presidente di questo Tribunale. 
    Con decreto del 17/1/15 il Presidente del Tribunale ha  rigettato
la predetta istanza di astensione e ha disposto la restituzione degli
atti della presente causa al sottoscritto Giudice. 
    Occorre dunque ora pronunciarsi in via preliminare sulla predetta
istanza dell'attore. 
    In proposito il Giudice  ritiene  innanzitutto  di  richiamare  e
reiterare  nella  presente  sede  le  valutazioni  effettuate  e   le
argomentazioni  esposte  nel  proprio  provvedimento   del   14/1/15:
«rilevato   che   nell'esame   della   questione   di    legittimita'
costituzionale proposta dall'attore e' preliminare il  profilo  della
rilevanza o meno di tale questione nel presente giudizio; che  a  tal
fine occorre rilevare che allo stato la questione in oggetto  non  e'
rilevante, posto che l'assegnazione della trattazione  della  fase  a
cognizione piena ad altro Giudice rispetto a quello che  ha  trattato
la fase sommaria (il sottoscritto) puo' in  tesi  essere  determinata
dall'istituto dell'astensione obbligatoria e che, in  caso  positivo,
la questione in oggetto diverrebbe  definitivamente  irrilevante  nel
presente  giudizio;  che,  dunque,  e'  preliminare   verificare   se
sussistano i presupposti per il proficuo espletamento dell'astensione
obbligatoria del sottoscritto  Giudice,  soltanto  in  caso  negativo
divenendo rilevante la predetta questione di l.c. e  quindi  soltanto
in  tal  caso  dovendosene  vagliare  -  anche  -  la  non  manifesta
infondatezza (peraltro e' noto che la questione in  oggetto  e'  gia'
stata sollevata dal Tribunale di Milano in due  diverse  composizioni
collegiali, ed e' chiamata per  la  discussione  innanzi  alla  Corte
costituzionale per l'udienza del 28/4/15 ); ritenuto, cio' posto, che
ad avviso del sottoscritto Giudice gia' alla stregua della  normativa
vigente sussistono i  presupposti  per  l'operativita'  dell'istituto
dell'astensione  obbligatoria  del  Giudice  persona  fisica  che  ha
trattato la fase sommaria rispetto alla trattazione anche della  fase
a cognizione piena, giusta le ampie e  condivisibili  argomentazioni'
esposte dalla Corte d'Appello di Milano nella nota sentenza  n.  1577
del 13/12/13, con la quale e'  stata  dichiarata  la  nullita'  della
sentenza di primo grado a cagione  della  trattazione  da  parte  del
medesimo Giudice persona fisica sia della fase sommaria che di quella
a cognizione piena, stante  la  violazione  del  superiore  principio
d'imparzialita'  (sia  sostanziale,  sia  apparente  )  del  Giudice:
invero, come sottolineato dalla Corte d'Appello di Milano,  l'oggetto
delle due fasi e' sostanzialmente lo stesso e, soprattutto,  entrambe
le fasi si concludono con una decisione, regolativa anche delle spese
di lite, avente di per se stessa idoneita' a passare in giudicato (su
quest'ultimo punto cfr. anche Cass. SS.UU. 17443 del  31/7/14);  che,
ha aggiunto la Corte d'Appello di Milano  nella  cit.  sentenza,  una
diversa valutazione determina un vizio di  costituzione  del  Giudice
con nullita' della sentenza emessa al termine della fase a cognizione
piena, secondo le previsioni di cui agli  artt.  158  e  161  c.p.c.,
sottolineando altresi' che una siffatta  opzione  ermeneutica  e'  in
linea con le sentenze della Corte costituzionale nn. 387/99 e 460/05;
ritenuto alla luce di cio', in definitiva, che e' doverosa  da  parte
di questo  Giudice  la  presentazione  di  un'istanza  di  astensione
obbligatoria ex art. 51, comma  1,  n.  4,  c.p.c.  che,  ovviamente,
essendo  basata  su   un'interpretazione   logico-sistematica   della
normativa vigente e  non  gia'  sul  suo  dato  letterale  (l'ipotesi
d'incompatibilita' in questione non e' ex professo disciplinata dalla
legge n. 92/12, poiche' l'art. 1, comma 51, e' sul punto silente), va
rimessa alla valutazione del Presidente di questo Tribunale». 
    Cio' posto, il Giudice rileva innanzitutto che  la  questione  di
l.c. in oggetto e', ora, senz'altro rilevante nel presente  giudizio,
posto che la reiezione della dichiarazione di  astensione  presentata
da questo Giudice e' per il sottoscritto - allo stato  -  vincolante.
Soltanto l'eventuale accoglimento della questione di l.c. in  oggetto
consentirebbe  (rectius,  imporrebbe)  al  sottoscritto  Giudice   la
presentazione  nel  presente  giudizio  di   una   dichiarazione   di
astensione obbligatoria per incompatibilita' a trattare  la  presente
fase di opposizione. 
    La questione di l.c. in esame e' anche, ad  avviso  del  Giudice,
«non manifestamente infondata», id  est  non  e'  infondata  in  modo
talmente evidente da essere immediatamente e univocamente percepibile
come tale: ogni piu' approfondita valutazione e decisione  sulla  sua
fondatezza o meno spetta esclusivamente alla Corte costituzionale. 
    A  tale   proposito   si   espongono   le   seguenti   sintetiche
considerazioni. 
    Il principio d'imparzialita' del Giudice e' da  sempre  immanente
alla stessa  funzione  dello  ius  dicere,  com'e'  testimoniato  dal
brocardo latino nemo iudex in causa propria. La Corte  costituzionale
lo ha evidenziato ripetutamente in modo netto  e  da  ultimo  -  poco
prima della Novella di cui subito si dira' - nella  sentenza  n.  387
del 15/10/99,  che  ha  statuito  l'incompatibilita'  del  Giudice  a
trattare sia  la  fase  sommaria  che  quella  di  opposizione  nelle
controversie ex  art.  28,  legge  n.  300/70:  «La  Corte  ha  avuto
occasione di notare che il principio di imparzialita-terzieta'  della
giurisdizione  ha  pieno  valore  costituzionale  con  riferimento  a
qualunque  tipo  di  processo,  in  relazione  specifica  al   quale,
peraltro, puo' e deve trovare attuazione (sentenze n. 51 del 1998; n.
326 del 1997), pur tuttavia con le peculiarita'  proprie  di  ciascun
tipo di procedimento ...». 
    Cio' nonostante il Legislatore costituente ha ritenuto necessario
di inserirlo esplicitamente nella Costituzione con la Novella di  cui
alla L.  cost.  n.  2  del  23/11/99.  E  lo  ha  fatto  a  mezzo  di
un'apparente endiadi, stabilendo che  ogni  processo  deve  svolgersi
«davanti a giudice terzo e imparziale» (art. 111, comma 2, Cost.). Il
contestuale  utilizzo   di   due   aggettivi   qualificativi   aventi
apparentemente il medesimo significato va inteso, ad avviso di questo
Giudice, come esplicativo della volonta'  di  costituzionalizzare  il
principio della necessita' che il Giudice sia in concreto  imparziale
in quanto non parte del giudizio («terzo») e sia anche  all'apparenza
imparziale  in  quanto  nei  suoi  confronti  non   sussiste   alcuna
situazione, fattuale e/o processuale, che  possa  seriamente  minarne
l'apparenza   d'imparzialita'   («e   imparziale»).   D'altronde   la
costituzionalizzazione  del  principio  -  anche   -   dell'apparenza
dell'imparzialita' era gia' stata sancita dalla Corte  costituzionale
nella  cit.  sentenza  387/99:  «...  ferma  l'esigenza  generale  di
assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del  tutto
estraneo agli interessi oggetto del processo ...». 
    Ferma    restando    la     configurabilita',     senza     meno,
dell'imparzialita' sostanziale del Giudice nel decidere la  causa  di
opposizione anche se egli abbia deciso la fase sommaria  nelle  cause
ex art. 1, commi 47 segg., legge n. 92/12 (l'imparzialita' effettiva,
del suo foro interiore), e' convincimento di questo Giudice  che  non
possa ritenersi in modo evidente e senza dubbi che anche  l'apparenza
d'imparzialita' - pure costituzionalmente necessitata - sia parimenti
salvaguardata nella fattispecie normativa in oggetto. 
    Rammentato 1) che le controversie in esame hanno  ad  oggetto  il
licenziamento e quindi una materia del  contendere  implicante  gravi
conseguenze, economico-patrimoniali ma anche per  la  vita  personale
e/o familiare (del lavoratore, ma talvolta anche  dell'imprenditore),
di talche' la  sommarieta'  della  cognizione  nella  prima  fase  va
necessariamente  intesa  come  sua  mera  deformalizzazione,  2)  che
l'ordinanza conclusiva della fase sommaria, che regolamenta anche  le
spese di lite, ha attitudine potenziale a passare in giudicato  (cfr.
Cass.  SS.UU.  17443  del  31/7/14,  punto  28,   che   ha   statuito
l'ammissibilita' del regolamento di competenza nella materia de qua),
3) che siffatta ordinanza e' ex lege dotata d'immediata  esecutivita'
insuscettibile di essere sospesa o revocata lungo tutto il corso  del
giudizio di opposizione (art. 1, comma 50, legge n. 92/12), e  infine
4)  che  di  regola  il  giudizio  di  opposizione  ha  il   medesimo
sostanziale  oggetto  della  fase  sommaria,   com'e'   plasticamente
dimostrato dal  presente  giudizio,  a  tutto  cio'  ne  consegue  il
sospetto d'incostituzionalita' del combinato  disposto  normativo  in
oggetto in relazione all'art. 111, comma 2, Cost.. 
    In proposito, onde evitare inutili rielaborazioni lessicali  (che
sicuramente  ne  peggiorerebbero  l'efficacia  e  la  fluidita'),  il
Giudice richiama e fa proprie le valutazioni e argomentazioni esposte
dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 460 del  23/12/05
in relazione al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di
fallimento - come allora vigente - che, ad avviso di questo  Giudice,
sono sostanzialmente sovrapponibili alla  fattispecie  normativa  del
cd. rito Fornero, anch'essa introduttiva di  due  fasi  del  giudizio
delle quali la seconda ha sostanziale carattere impugnatorio rispetto
alla prima: "Nella sentenza n.  387  del  1999  tale  circostanza  e'
sottolineata per dedurne che «la fattispecie  rientrava  all'evidenza
nell'ambito della previsione dell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ.»
- e cioe' quale argomento per  l'interpretazione,  costituzionalmente
corretta (art. 24 Cost.), della locuzione «altro grado del  processo»
impiegata dal codice  -  e  non  certamente  quale  fondamento  della
sentenza stessa: ed infatti, premesso che «il  rapporto  tra  le  due
fasi, sotto il profilo della imparzialita-terzieta' del giudice,  non
puo', ora, ritenersi mutato per il semplice  sopravvenuto  intervento
di modifica [...] della  sola  norma  di  competenza»,  questa  Corte
prosegue osservando che la locuzione de qua va intesa «alla luce  dei
principi che  si  ricavano  dalla  Costituzione  relativi  al  giusto
processo, come espressione  necessaria  del  diritto  ad  una  tutela
giurisdizionale mediante azione (art. 24 della  Costituzione)  avanti
ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe'  con
la connaturale imparzialita', senza la quale non avrebbe  significato
ne' la soggezione  dei  giudici  solo  alla  legge  (art.  101  della
Costituzione),  ne'  la  stessa  autonomia  ed   indipendenza   della
magistratura (art. 104, primo comma, della  Costituzione).  In  altri
termini, la espressione  "altro  grado"  non  puo'  avere  un  ambito
ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine  degli
uffici giudiziari, come  previsto  dall'ordinamento  giudiziario,  ma
deve ricomprendere - con una interpretazione conforme a  Costituzione
- anche la fase che, in un processo civile, si succede con  carattere
di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata  (per  la
peculiarita' del giudizio  di  opposizione  di  cui  si  discute)  da
pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle  stesse  valutazioni
decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche'
avanti allo stesso organo giudiziario». Esclusa  ogni  rilevanza  dei
pretesi  inconvenienti  fattuali  derivanti   dalla   interpretazione
adottata come l'unica conforme a Costituzione, la sentenza n. 387 del
1999 si fonda, dunque, sulla  intrinseca  natura  impugnatoria  della
fase che si svolge davanti al medesimo ufficio  giudiziario,  e  cio'
per avere il provvedimento soggetto a revisio «una funzione decisoria
idonea di per se' a realizzare un assetto dei rapporti tra le  parti,
non  meramente  incidentale  o  strumentale  e   provvisorio   ovvero
interinale (fino alla decisione del merito), ma anzi  suscettibile  -
in caso di mancata opposizione -  di  assumere  valore  di  pronuncia
definitiva, con effetti di giudicato tra le parti»;  ed  inoltre  per
essere  «la  valutazione  delle   condizioni   che   legittimano   il
provvedimento» non divergente, quanto a parametri  di  giudizio,  «da
quella che deve compiere il giudice  dell'eventuale  opposizione,  se
non  per  il  carattere  del  contraddittorio  e   della   cognizione
sommaria».   3.1.-   Alla   luce   di   questi   criteri,   la   fase
dell'opposizione alla  sentenza  dichiarativa  di  fallimento  assume
certamente «valore impugnatorio con contenuto sostanziale di  revisio
prioris  instantiae»:  non  soltanto  la  sentenza  dichiarativa   di
fallimento, ove non opposta, e' idonea a passare  in  giudicato,  non
soltanto le condizioni che legittimano il provvedimento sono  oggetto
di rivalutazione in sede di opposizione, ma proprio la gravita' delle
conseguenze (non di rado irreversibili) derivanti dalla dichiarazione
di fallimento rende evidente come la "sommarieta'"  della  cognizione
camerate  vada  intesa  nel  senso  non  gia'  di   "parzialita'"   o
"superficialita'", bensi' di "deformalizzazione". Ove cio' non  fosse
- se, cioe', la dichiarazione di fallimento potesse  seguire  ad  una
cognizione  parziale  o  incompleta,   nella   quale   gli   elementi
utilizzabili dal giudice per la decisione  non  fossero  assunti  nel
(sia pur non formalizzato) contraddittorio delle parti (ed in  primis
del fallendo) - la disciplina legislativa, che consente effetti tanto
rilevanti e potenzialmente definitivi, sarebbe  di  piu'  che  dubbia
costituzionalita'; a fortiori se si considera  che  l'immediata  (dal
momento della pronuncia) esecutivita'  della  sentenza  non  puo'  in
nessun caso essere sospesa a seguito dell'opposizione e che la revoca
lascia «salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi
del fallimento»  (art.  21  della  legge  fallimentare).  A  cio'  si
aggiunga  che  la  giurisprudenza   di   legittimita'   costantemente
qualifica l'opposizione ex art.  18  della  legge  fallimentare  come
«impugnazione in senso  tecnico»,  ai  fini,  tra  l'altro,  del  suo
rapporto con il regolamento di competenza (art. 43 cod. proc.  civ.),
della  appellabilita'  della  sentenza  che   abbia   sostituito   il
fallimento personale a quello dichiarato come  socio,  del  principio
della consumazione del mezzo di gravame. 3.2.- E' appena il  caso  di
ribadire che la sostanziale natura impugnatoria dell'opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento non  si  riscontra,  come  questa
Corte ha gia' statuito, nel caso dell'opposizione allo stato  passivo
(caratterizzato da accertamento sommario, incompleto e  superficiale:
sentenze n. 158 del 1970; n. 94 del 1975; ordinanze n. 304 del  1998;
n. 167 del 2001; n. 75 del 2002), del reclamo ex art. 26 della  legge
fallimentare   avverso    provvedimenti    del    giudice    delegato
(caratterizzato dalle esigenze di continuita' dello svolgimento della
procedura concorsuale:  sentenza  n.  363  del  1998),  del  giudizio
promosso dal curatore su autorizzazione del  giudice  delegato  (data
sulla base di una mera delibazione di non infondatezza: ordinanza  n.
176 del  2001).  Ne'  si  riscontra,  al  di  fuori  delle  procedure
concorsuali, nei casi - anch'essi esaminati  da  questa  Corte  -  di
provvedimento cautelare  autorizzato  ante  causam  e  di  successiva
cognizione piena in sede di giudizio di merito (sentenza n.  326  del
1997), di decisione emessa ex art.  187-quater  [recte,  186  quater,
n.d.G. ] cod. proc. civ. (ordinanza  n.  168  del  2000),  di  rinvio
cosiddetto restitutorio ex art. 354 cod. proc. civ. (sentenza n.  341
del 1998). 3.3.- in conclusione, l'obbligo di  astensione  -  la  cui
violazione e' idonea  a  rendere  nulla  la  sentenza  per  vizio  di
costituzione del giudice solo  se  sia  tempestivamente  proposta  la
ricusazione e questa venga erroneamente respinta -  presuppone,  come
nell'ipotesi qui in esame, che il procedimento svolgentesi davanti al
medesimo ufficio  giudiziario  sia  solo  apparentemente  "bifasico",
mentre  in  realta'  esso  -  per  le  caratteristiche  decisorie   e
potenzialmente definitive del provvedimento che chiude la prima  fase
e per  la  sostanziale  identita'  di  valutazioni  da  compiersi  in
entrambe le fasi nel  rispetto  del  principio  del  contraddittorio,
ancorche' realizzato con modalita' deformalizzate -  si  articola  in
due momenti, il secondo dei quali assume il valore di vera e  propria
impugnazione, e acquista, pertanto, i caratteri essenziali di  «altro
grado del processo».". 
    Quando il Giudice decide la fase sommaria  delle  cause  del  cd.
rito Fornero prende in tale momento una  posizione  definitiva  sulla
res  litigiosa,  in  quanto  e'  dalla  legge  tenuto  a   provvedere
"all'accoglimento o al rigetto della  domanda"  (art.  1,  comma  49,
legge n. 92/12 )  e  in  quanto  sa  che  ben  potrebbe  non  esservi
l'opposizione (che e' soltanto eventuale), o che la  stessa  potrebbe
essere tardiva o per altre ragioni inammissibile; sa pertanto che  il
suo provvedimento potrebbe ex se  passare  in  giudicato.  Quindi  il
Giudice non puo' limitarsi ad esprimere una valutazione interinale  e
provvisoria sulla - delicata - materia del contendere sottoposta alla
sua cognizione ma  deve  prendere  posizione,  deve  ius  dicere.  La
Giustizia deve posare la bilancia e  brandire  la  spada.  In  questa
situazione e' arduo immaginare che nella successiva fase di  giudizio
a cognizione piena sulla stessa materia del contendere sostanziale il
medesimo Giudice persona fisica possa nuovamente apparire  imparziale
(nel senso d'imparziale rispetto alle tesi  giuridiche  delle  parti,
delle quali una e' stata da egli in precedenza fatta propria: la  sua
terzieta' deve invece essere sempre fuori discussione); e'  difficile
immaginare che l'utente possa vedere che la stessa Giustizia posi  la
spada che poco prima ha brandito e riprenda  nuovamente  in  mano  la
bilancia. 
    Ne  consegue  il  sospetto  d'illegittimita'  costituzionale  del
combinato disposto degli artt. 1, comma 51, legge  n.  92/12,  e  51,
comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 111, comma  2,  Cost.
in relazione alla lesione dell'apparenza d'imparzialita' del  Giudice
sopra illustrata.