del Presidente del Consiglio dei Ministri (C.F. 80188230587) e del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege sono domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12; avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite Civili in relazione alla sentenza n. 16305/13 in data 12 marzo/28 giugno 2013 (doc. 4). con la quale e' stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione proposto dalla scrivente difesa erariale nell'interesse del Governo avverso la decisione del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 6083/2011 che, in riforma della favorevole sentenza del TAR (recante declaratoria di inammissibilita' del ricorso introduttivo per difetto assoluto di giurisdizione ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10), aveva affermato la sindacabilita', ad opera del giudice amministrativo, della deliberazione del Consiglio dei Ministri di non avviare le trattative per la stipula dell'intesa ex art. 8, co. 3, Cost. Fatto Con il ricorso dinanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, notificato il 3 febbraio 2004, depositato il successivo 19 febbraio ed iscritto al n. 1762/2004 di R.G., l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (d'ora in poi UAAR), associazione non riconosciuta di "atei ed agnostici" costituita con atto notarile del 13.3.1991, ha chiesto l'annullamento della delibera del Consiglio dei Ministri in data 27 novembre 2003 (e della conseguente nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio in data 5 dicembre 2003), con la quale il Governo, recependo e facendo proprio il parere reso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha deciso di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell'intesa ai sensi dell'art. 8, comma 3, della Costituzione, ritenendo, in sostanza, che la professione dell'ateismo non possa essere assimilata ad una "confessione religiosa" nell'accezione recepita dal legislatore costituente. In particolare nell'estratto del verbale della riunione del Consiglio dei Ministri del 27.11.2003 (doc. 1) si legge testualmente quanto segue: "in merito alla richiesta avanzata dall'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, il Consiglio dei Ministri - nel condividere il parere espresso dall'Avvocatura generale dello Stato - si pronuncia collegialmente per il diniego all'avvio delle procedure finalizzate alla conclusione di un'intesa ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione". Omissis. Il Presidente: Berlusconi Il segretario: Letta» Con sentenza n. 12359/08 depositata il 31.12.2008 (doc. 2), il TAR per il Lazio, sezione I, nel condividere l'eccezione pregiudiziale formulata dall'Avvocatura dello Stato, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione ai sensi dell'art. 31 r.d. 26.6.1924, n. 1054 ritenendo che la determinazione impugnata rivestisse natura di atto politico "non giustiziabile". L'UAAR si e' appellata al Consiglio di Stato che, con la decisione della Sez. IV, n. 6083/11, depositata il 18 novembre 2011 (doc. 3), ha accolto il gravame e, per l'effetto, in integrale riforma della sentenza del TAR, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia, rimettendo le parti dinanzi al primo giudice ex art. 105 c.p. a. Secondo il Consiglio di Stato, "l'organizzazione richiedente" sarebbe titolare di un interesse giuridicamente rilevante ad essere qualificata come confessione religiosa; "l'accertamento preliminare se l'organizzazione richiedente sia o meno riconducibile alla categoria delle confessioni religiose" costituirebbe mera espressione di discrezionalita' tecnica della P.A. e, pertanto, sarebbe sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimita'; "di conseguenza, quanto meno l'avvio delle trattative puo' addirittura considerarsi obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di qualificabilita' del soggetto istante come confessione religiosa, salva restando da un lato la facolta' di non stipulare l'intesa all'esito delle trattative ovvero - come gia' detto - di non tradurre in legge l'intesa medesima, e dall'altro lato la possibilita', nell'esercizio della discrezionalita' tecnica cui si e' accennato, di escludere motivatamente che il soggetto interessante presenti le caratteristiche che le consentirebbero di rientrare fra le "confessioni religiose" (cio' che, del resto, e' quanto avvenuto proprio nel caso di specie). "(cfr. punti 8 e 9 della motivazione). Con ricorso notificato il 9.2.2012, UAAR ha riassunto il giudizio dinanzi al TAR. Con ricorso straordinario ex art. 111, u.c., Cost., notificato il 26/27.3.2013, l'Avvocatura Generale dello Stato nella veste ut supra ha impugnato dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la predetta decisione del Consiglio di Stato deducendo, con un unico, articolato, motivo (rubricato "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 31 r.d. 26.6.1924, n. 1054 (ora art. 7, co. 1, ultimo periodo, d.lgs. 2.7.2010 n. 104), in relazione agli artt. 111, u.c., Cost., 110 d.lgs. n. 104/2010 e 362, co. 1, cpc.. Inammissibilita' dell'originario ricorso di prime cure per difetto assoluto di giurisdizione'') che, contrariamente a quanto opinato dal giudice amministrativo d'appello, il rifiuto, da parte del Governo, di avviare le trattative per la conclusione dell'intesa ex art. 8, co. 3, Cost. rientra nel novero degli "atti politici" assolutamente insindacabili in sede giurisdizionale ai sensi dell'art. 31 r.d. n. 1054/1924 (e oggi art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Con sentenza n. 16305/13, depositata il 28.6.2013 (doc. 4), le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del Governo, ritenendo che "l'assenza di normazione specifica non e' di per se' un impedimento a contrastare in sede giurisdizionale il rifiuto di intesa che sia fondato sul mancato riconoscimento, in capo al richiedente, della natura di confessione religiosa". Sarebbe, dunque, "nel giusto" la sentenza del Consiglio di Stato "quando sostiene che rientra tutt'al piu' nell'ambito della discrezionalita' tecnica l'accertamento preliminare relativo alla qualificazione dell'istante come confessione religiosa". Poste tali premesse, le Sezioni Unite Civili hanno quindi statuito che qualsiasi soggetto istante sarebbe portatore di una pretesa costituzionalmente tutelata (e quindi azionabile in giudizio) all'apertura delle trattative per la stipula dell'intesa di cui all'art. 8, comma 3, Cost. e all'implicito riconoscimento della qualita' di confessione religiosa; sicche' il Governo avrebbe l'obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8, co. 3, cit. per il solo fatto che una qualsiasi associazione (o organizzazione) lo richieda. L'apertura della trattativa per la conclusione dell'intesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in ogni caso doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel prosieguo dell'iter legislativo. A giudizio della S.C. andrebbe, infatti, "ribadita la distinzione: l'apertura della trattativa e' dovuta in relazione alla possibile intesa, disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni dell'attivita' amministrativa; la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, ordinarie o conflittuali, proprie degli atti di normazione. La Corte di Cassazione non deve e non vuole pronunciarsi sulla esistenza di un diritto alla chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa: esula dall'ambito decisionale che e' qui configurato. Per la decisione della causa e' sufficiente stabilire che le variabili fattuali della seconda fase non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralita' pattizia voluta dal costituente. Negare la sindacabilita' del diniego di apertura della trattativa per il fatto che questa e' inserita nel procedimento legislativo significa privare il soggetto istante di tutela e aprire la strada, come ha indicato il C.d.S., a una discrezionalita' foriera di discriminazioni".(v. pag. 10 della motivazione). Con sentenza n. 7068/14 depositata il 3.7.2014 (doc. 6), non notificata, il TAR per il Lazio, Roma, sezione I -ritenendo la propria giurisdizione in ossequio a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione- ha respinto il ricorso nel merito, escludendo che UAAR possa essere qualificata come confessione religiosa (cfr. punto 4.4. della motivazione). Cionondimeno, il Governo non ritiene di poter condividere i principi affermati dalle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione in quanto, a norma degli artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost. e dell'art. 2, co. 3, lett. l) della legge n. 400/1988, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell'intesa ex art. 8, comma 3, Cost. (a prescindere dalle ragioni addotte a sostegno del diniego) e' un "atto politico" ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/10, un atto, cioe', palesemente estraneo alla funzione amministrativa, costituente, invece, espressione della funzione di indirizzo politico che la Costituzione repubblicana attribuisce al Governo medesimo nella materia religiosa (cfr. artt. 7, 8, co. 3, 92 e 95 Cost.).. Giusta deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 luglio 2014, (doc. 5), l'Avvocatura Generale dello Stato eleva, pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 della Costituzione e delle conferenti disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 2, co. 3, lett. l) della legge n. 400/1988, nonche' l'art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/10). Diritto 1. Sull'ammissibilita' del ricorso. 1.1. Sotto il profilo soggettivo. Pacifica e' la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a dichiarare definitivamente la volonta' del potere esecutivo cui egli appartiene ex art. 92, comma primo Cost. (cfr., ex plurimis, Corte cost. ord. n. 25/1977). Nella fattispecie, poi, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla stipula dell'intesa ex art. 8, comma 3, Cost., di cui si assume la assoluta insindacabilita' ad opera dei giudici comuni, e' stato opposto (con deliberazione del 27 novembre 2003) dal Consiglio dei Ministri a cui sono, appunto, riservate, dalla legge ordinaria (cfr. art. 2, co. 3, lett. 1) della legge n. 400/1988), le determinazioni sulle intese di cui all'art. 8, comma 3, Cost.. Ne consegue la spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Consiglio dei Ministri ed al suo Presidente, entrambi ricorrenti. Sul versante della legittimazione passiva, le Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione -che, come avvenuto nella specie, si siano pronunciate sulla giurisdizione a seguito di ricorso straordinario ex art. 111, u.c.., Cost.- sono indubitabilmente competenti a dichiarare in via definitiva la volonta' del potere giudiziario, tenuto conto della c.d. "efficacia pan processuale" che assiste questo tipo di pronunce, in grado di vincolare tutti i giudici comuni anche in altro processo (cfr., ex plurimis , Cass. S.U. 13768/05), come, peraltro, oggi espressamente previsto dall'art. 59, comma primo, secondo periodo, della legge n. 69/2009. Di talche' anche la spettanza, in capo alle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, della qualificazione di potere dello Stato deve ritenersi del tutto pacifica. 1.2. Sotto il profilo oggettivo. Le Sezioni Unite della S.C. - nello statuire, con la suindicata pronuncia n. 16305/13, la sindacabilita', ad opera del giudice comune (nella specie individuato nel giudice amministrativo), del diniego, opposto dal Consiglio dei Ministri, all'avvio delle trattative per la stipula dell'intesa di cui all'art. 8, co. 3, Cost.- hanno illegittimamente esercitato il loro potere giurisdizionale, arrecando un grave vulnus, quantomeno sotto il profilo della sua menomazione, alla funzione di indirizzo politico, come tale assolutamente libera nel fine (e quindi insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa (cfr. artt. 7, 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). Non vi e' dubbio, pertanto, che, anche sotto il profilo oggettivo, ricorrano i presupposti di cui all'art. 37 della legge n. 87/1953 citata. 2. Nel merito: violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 della Costituzione e delle conferenti disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 2, co. 3, lett. l) della legge n. 400/1988, nonche' l'art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/10). 2.1. Come esposto nella parte in fatto, con la sentenza n. 16305 del 2013 le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno sostanzialmente ritenuto che la mera apertura della trattativa per la conclusione dell'intesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in ogni caso doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel prosieguo dell'iter legislativo. A giudizio della S.C., infatti, la "possibile intesa" «sarebbe: n.d.r.» disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni dell'attivita' amministrativa". Da tale premessa, le Sezioni Unite hanno poi tratto la conseguenza che "l'apertura della trattativa" «finalizzata alla possibile intesa: n.d.r.» e' dovuta" (cioe' doverosa per il Governo sol che un qualsivoglia soggetto collettivo o organizzazione lo richieda); di contro, "( ... ) la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, ordinarie o conflittuali, proprie degli atti di normazione. Non vi sarebbe, poi, la necessita' di pronunciarsi in ordine all'esistenza di un diritto alla chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa": tale questione, ad avviso della Corte di Cassazione, esulerebbe dall'ambito della decisione a cui era chiamata; e cio' in quanto, appunto, "le variabili fattuali della seconda fase «id est: di quella fase successiva alla eventuale conclusione dell'intesa: n.d.r.» non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralita' pattizia voluta dal Costituente", cioe' sul preteso "diritto", in capo al soggetto richiedente, all'apertura della trattativa per la conclusione dell'intesa ex art. 8 co. 3 Cost.. Tali assunti non possono essere condivisi. Ed invero, l'art. 8, comma 3, Cost. (a mente del quale i rapporti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica "con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze) e' norma sulla produzione giuridica, cioe' una norma sulle fonti, parallela a quella prevista dall'art. 7, comma 2, Cost. per le modifiche della legge di esecuzione dei Patti Lateranensi (Balladore Pallieri; Mortati; A. Rava'; d'Avack). Le intese ex art. 8 comma 3 della Cost. si inseriscono, costituendone un imprescindibile presupposto legittimante, nell'iter legislativo preordinato all'emanazione della legge regolatrice dei rapporti tra Stato e la confessione religiosa; e pertanto non possono che partecipare della stessa natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi dell'iter legis: (si veda, al riguardo, Cass., S.U. n. 2439/2008 che ha dichiarato l'insindacabilita', da parte dei giudici comuni, degli atti facenti parte dell'iter formativo di una legge regionale). Detto avviso e' condiviso da autorevole dottrina, secondo cui "le intese, invero, sono dirette all'emanazione di una legge. Esse, percio', non toccano la responsabilita' dell'amministrazione, bensi' la responsabilita' politica del governo, organo competente, tra l'altro, a intrattenere rapporti con gli ordinamenti esterni allo Stato. Le intese non sono negozi che debbano essere valutati sotto il profilo della conformita' a preesistenti regole giuridiche o a principi di buona amministrazione, come accadrebbe se fossero accordi stipulati a livello burocratico, ma sono accordi che devono essere valutati sotto il profilo dell'opportunita' politica e del rispetto della Costituzione" (Finocchiaro, "Diritto ecclesiastico", Torino, 2003, 134; in termini analoghi Cardia, "Manuale di diritto ecclesiastico", 1996, 224, per il quale "l'Intesa ha un indubbio valore politico perche' investe la responsabilita' dell'Esecutivo sia all'atto della scelta di trattare con una determinata confessione, sia nel corso del negoziato e sino alla sua conclusione'). Poiche', dunque, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di Cassazione, le intese ex art. 8, co. 3. Cost. sono atti (non amministrativi, ma) politici diretti all'emanazione di una legge, il Governo (salva l'eventuale responsabilita' politica nei confronti del Parlamento e, in ultima analisi, del corpo elettorale) non ha alcun obbligo giuridico di avviare le relative trattative, cosi' come, dopo aver concluso l'intesa, ben potrebbe astenersi dall'esercitare l'iniziativa occorrente per l'emanazione della legge. E' infatti innegabile che l'omesso esercizio della facolta' di iniziativa legislativa nella materia religiosa rientri nel novero delle determinazioni politiche (ex art. 71 Cost.) non soggette al controllo dei giudici comuni. Orbene, se il Governo, anche dopo l'eventuale stipula dell'intesa, e' libero di non dare seguito alla stessa, omettendo di esercitare l'iniziativa occorrente per l'emanazione della legge ex art. 8, co. 3, Cost., a maggior ragione deve ritenersi libero -nell'esercizio di valutazioni politiche assolutamente sottratte al sindacato dei giudici comuni perche' afferenti ad attribuzioni costituzionalmente garantite in materia religiosa (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.)- di non avviare alcuna trattativa, ove, come avvenuto nella specie, ritenga comunque di non addivenire all'intesa de qua agitur con il soggetto richiedente. Le Sezioni Uniti Civili della Corte di Cassazione, pur sembrando ammettere, in tesi, che non vi sia un "diritto alla chiusura della trattativa" gia' avviata, e che, del pari, non sia configurabile un diritto "all'esercizio dell'azione legislativa" (dopo l'eventuale conclusione dell'intesa), hanno poi ritenuto tali questioni irrilevanti ai fini della soluzione della controversia, «addirittura estranee al thema decidendum», poiche' le evenienze successive all'apertura delle trattative sarebbero mere "variabili fattuali" che non inciderebbero sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralita' pattizia voluta dal costituente", cioe' sul preteso "diritto", in capo al soggetto richiedente, all'apertura della trattativa per la conclusione dell'intesa ex art. 8 co. 3 Cost.. Siffatto argomentare della Suprema Corte di Cassazione conferma la fondatezza del presente ricorso per conflitto: se, infatti, il Governo, subito dopo l'asserito e supposto "doveroso" avvio delle trattative (magari il giorno stesso .....), puo' (come, in effetti, puo') insindacabilmente "recedere" dalle trattative medesime o, comunque, dopo aver raggiunto l'intesa, e' libero (come, in effetti, e') di non esercitare l'iniziativa necessaria per il recepimento in legge dell'intesa, cio' significa che il preteso "diritto" «alla semplice apertura delle trattative» e', in realta', sottoposto alla condizione (risolutiva) "meramente potestativa" della positiva valutazione politica del Governo; e "un diritto" di tal fatta e' un "non-diritto", cioe' un interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica; di talche', anche, per questa via, appare confermata la natura "politica" (e, quindi, l'assoluta insindacabilita' giurisdizionale) del rifiuto di avviare le trattative per la conclusione dell'intesa ex art. 8, co. 3, Cost. Le tesi che qui si propugnano ricevono decisivo conforto dalla sentenza n. 346/2002 di codesta Ecc.ma Corte che ha, appunto, evidenziato che il Governo «non e' vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda l'obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l'intesa» (cfr. punto 2, terzo capoverso, della motivazione). Del resto, con la recente sentenza n. 81 del 2012, resa in sede di conflitto di attribuzioni, codesta Ecc.ma Corte ha, altresi', riconosciuto la perdurante "esistenza di spazi riservati alla scelta politica" (cfr, punto 4.2. della motivazione). 2.2 Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, dunque, ritenersi, contrariamente a quanto statuito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, che il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative per la conclusione dell'intesa ex art. 8., comma 3, Cost., costituisca (alla medesima stregua dell'avvio delle trattative e/o della eventuale stipula dell'intesa, ove essa venga raggiunta) un atto espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine (ed insuscettibile di controllo ad opera dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del d.lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo con riferimento al fenomeno religioso (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). Tale funzione di indirizzo politico de qua agitur (in quanto costituzionalmente garantita) non tollera interferenze da parte del potere giudiziario: sarebbe, invero, abnorme la sentenza del giudice amministrativo che "annullasse" il diniego di avvio delle trattative per la stipula dell'intesa ex art. 8, comma 3, Cost., imponendo, in virtu' del c.d. effetto conformativo del giudicato, al Governo di riesaminare la questione o, peggio, di concludere l'intesa con un determinato soggetto richiedente. L'art. 2, comma 3, lett. l), della legge 23/08/1988 n. 400 -nella misura in cui estende la deliberazione del Consiglio dei Ministri, prevista per atti pacificamente "politici"«come quelli di cui alle lett. a), b), g), h) i)» anche agli "atti concernenti i rapporti previsti dall'articolo 8 della Costituzione", fornisce un solido e (decisivo) argomento nella direzione della natura "politica" anche di questi ultimi.