TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione Sesta Civile Il tribunale, in persona del giudice dott.ssa Alessandra Imposimato, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 18 settembre 2014, con termine per note illustrative scaduto il 10 ottobre 2014, visti gli atti e i documenti allegati ai fascicoli delle cause riunite iscritte al n. 49464/2012 r.g. ed al n. 81642/2012 r.g., aventi rispettivamente ad oggetto «intimazione di licenza per finita locazione» ed «intimazione di sfratto per morosita'», e pendenti tra Vita Silvana (parte attrice) e Miraglia Marco (parte convenuta) Osserva 1. Sussistono le condizioni per rimettere, alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 5 comma 1-ter del D.L. n. 47 del 28 marzo 2014, come convertito - con modificazioni - dalla L. n. 80 del 23 maggio 2014, apparendo essa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di seguito esposto. 2. Con atto di citazione notificato in data 9 febbraio 2012 la sig.ra Vita Silvana intimava, a Miraglia Marco, licenza per finita locazione dall'immobile in Roma via Colli della Farnesina n. 144, piano 2°, interno 9, alla scadenza del 31 dicembre 2012, o a quella diversa data ritenuta di giustizia. A motivo della domanda, assumeva di avere stipulato, con il convenuto, un contratto di locazione abitativa per la durata di due anni a decorrere dal 1° gennaio 2005, con facolta' di rinnovo per altri dodici mesi; evidenziava che tale contratto era peraltro da ricondurre ex lege alla durata di quattro anni + quattro dal 1° gennaio 2005 (ex comb. disp. artt. 2 comma 1 e 13 L. n. 431/1998), non essendo stato concluso rispettando le prescrizioni dettate, dall'art. 5 L. n. 431/1998, per i contratti transitori; esponeva che, con raccomandata ricevuta il 13 luglio 2011, aveva comunicato al conduttore la disdetta del contratto per la (seconda) scadenza (quadriennale) del 31 dicembre 2012; concludeva affermando di avere interesse a premunirsi di un titolo giudiziale, in caso di mancato spontaneo rilascio dell'immobile alla scadenza prevista, da parte del conduttore. Il convenuto si costituiva all'udienza di convalida, ed eccepiva che il rapporto locativo in essere tra le parti non fosse regolato dal contratto indicato dalla parte attrice. Evidenziava in particolare che il contratto dedotto a titolo della domanda, concluso in data 21 dicembre 2004, fosse stato in realta' «superato» da altri due contratti «gemelli» stipulati, lo stesso giorno (23 settembre 2006), entrambi per la durata di due anni a decorrere dal 1° gennaio 2007, in realta' da ricondurre alla durata legale minima dei contratti a canone libero, di quattro anni + quattro (artt. 2 comma 1 e 13 L. n. 431/1998), tutti e due relativi allo stesso immobile (gia' in detenzione al convenuto in forza di un precedente contratto), difformi tra loro solo nell'indicazione del canone dovuto dal conduttore, ma identici quanto a tutto il restante programma negoziale; di questi due contratti l'uno, tempestivamente registrato in data 1° febbraio 2007, indicava il canone di € 1.500,00 mensili; l'altro, non registrato, riportava il canone di € 1.700,00; la sottoscrizione di due contratti di locazione difformi tra loro esclusivamente quanto alla misura del canone mensile sarebbe stata intesa, secondo prospettazione del convenuto, sia a dissimulare parte del canone, in realta' pari alla sommatoria dei canoni indicati in ciascuno dei due documenti (totali € 3.200,00 mensili), essendo denunciato al Fisco solo il contratto concluso per € 1.500,00 mensili, sia a lasciare traccia documentale dell'accordo simulatorio/integrativo raggiunto tra le parti per la quota di € 1.700,00 mensili, che il conduttore avrebbe continuato a versare «in nero». Il convenuto aggiungeva che, una volta entrato in vigore il d.lgs.vo n. 23 del 14 marzo 2011 («Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale»), e decorso il termine di «moratoria» assegnato, dall'art. 3 [«cedolare secca sugli affitti»] comma 10, del ridetto decreto legislativo (per evitare l'applicazione del regime sanzionatorio di cui ai commi 8 e 9 del medesimo art. 3, su cui infra), aveva provveduto motu proprio a registrare, presso l'Agenzia delle Entrate, anche il contratto riportante l'indicazione del canone di € 1.700,00 mensili talche', all'esito di tale denunzia, avutasi il 22 dicembre 2011, il contratto di locazione (stipulato per effettivi € 3.200,00 mensili, ma registrato tempestivamente per la sola quota parte di € 1.500,00), avrebbe acquisito la durata legale di quattro anni + quattro dalla data della registrazione, e quindi prima scadenza al 22 dicembre 2015, cio' ai sensi dell'art. 3 combinato disposto commi 8 e 9 lett. a) del d.lgs.vo n. 23/2011. Per tali ragioni il convenuto chiedeva respingersi la domanda dell'attore, con il favore delle spese della lite. A fronte di tale ricostruzione dei fatti, la parte attrice assumeva che il contratto sottoscritto per il canone di € 1.700,00 non avrebbe avuto la funzione di lasciare traccia del patto di dissimulazione di parte del canone, ma avrebbe documentato un'ipotesi negoziale rimasta «lettera morta», non rispondente all'accordo delle parti, ne' mai portato in esecuzione; l'attore ammetteva, peraltro, che il rapporto inter partes traesse titolo dal documento contrattuale sottoscritto per il canone di € 1.500,00 mensili e tempestivamente registrato, e chiedeva pertanto al tribunale di accertare la (ventura) cessazione di tale contratto, stipulato per la durata di quattro anni a decorrere dal 1° gennaio 2007, alla (seconda) scadenza del 31 dicembre 2014. 3. Premesso quanto sopra, il tribunale e' chiamato a stabilire quando cessera' il rapporto locativo inter partes, che secondo le diverse tesi trarrebbe titolo vuoi dal contratto riportante il canone di € 1.500,00 mensili (all. 5 alla comparsa di risposta Miraglia Marco nella lite n. 15333/2012 r.g., ora n. 49464/2012 r.g.), vuoi dalla combinatoria dei contratti «gemelli» riportanti rispettivamente il canone di € 1.500,00 mensili (all. 5 cit.), ed il canone di € 1.700,00 mensili (all. 6 alla comparsa di risposta Miraglia Marco nel giudizio n. 15333/2012 r.g., ora n. 49464/2012 r.g.). Come gia' detto l'attore sostiene che l'unico contratto tuttora vigente sia quello stipulato al canone di € 1.500,00 mensili, per la durata di quattro anni a decorrere dal 1° gennaio 2007, che veniva tempestivamente registrato in data 1° febbraio 2007, come fatto fede dal timbro apposto, dall'Agenzia delle Entrate, riportante il numero di protocollo e data di registrazione (v. all. 5 cit.). Il convenuto assume che, secondo il programma negoziale voluto dalle parti, il canone effettivo dovuto a decorrere dal 1° gennaio 2007 sarebbe stato di € 3.200,00 mensili, superiore a quello indicato nel contratto tempestivamente denunziato al Fisco (€ 1.500,00 mensili); pertanto, per effetto della tardiva registrazione del contratto integrativo del contratto gia' registrato (all. 6 cit.), il conduttore avrebbe diritto di beneficiare delle disposizioni eterointegrative di cui all'art. 3 commi 8 e 9, i cui effetti sono stati oggi perpetuati sino alla data 31 dicembre 2015, dall'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014, convertito con modificazioni in L. n. 80/2014. 4. Non v'e' dubbio che la questione che il tribunale ritiene di demandare allo scrutinio della Corte costituzionale sia rilevante ai fini del decidere. Va infatti premesso che: l'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 67 del 23 marzo 2011, introduttivo di un sistema, alternativo al regime ordinario vigente, di tassazione del reddito ritratto dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo (c.d. cedolare secca sugli affitti), al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: «8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Pare chiaro a chi scrive l'intento del legislatore di «colmare» il vuoto normativo lasciato dall'art. 1 comma 346 della L. n. 311/2004, a tenore del quale: «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Nell'interpretazione ed applicazione data, dalla giurisprudenza di merito, della norma da ultimo riportata (art. 1 comma 346 L. n. 311/2004) sta infatti buona parte delle ragioni della nascita delle disposizioni sanzionatorie contenute nell'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011, che e' oggetto di esame. Cio' in quanto: l'art. 1 comma 346 L. n. 311/2004, tutt'oggi operante, collega la nullita' del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui il contratto sia registrato oltre il termine (trenta giorni) prescritto dall'art. 17 DPR n. 131/1986 (di approvazione del «Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro»); in assenza di esplicita sanzione di nullita' per il caso di registrazione tardiva, i giudici di merito, e tra essi il tribunale di Roma, avevano argomentato (ubi lex tacuit, noluit) che il contratto comunque registrato (presto o tardi) fosse in ogni caso esente da nullita', e quindi valido, efficace e vincolante, e cio' anche in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 10 comma 3 dello Statuto dei Diritti del Contribuente; il giudice civile aveva quindi relegato la registrazione tardiva del contratto nell'ambito di una «violazione di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario», di per se' inidonea a produrre la nullita' del contratto; d'altronde il giudice civile, ricordando che la convalida del contratto affetto da nullita' (art. 1423 c.c.), nei casi in cui e' ammessa dalla legge, ha tipicamente effetto retroattivo (si veda ad es. Cass. n. 6773.2013), e cio' perche' altrimenti l'efficacia del negozio sarebbe imputabile non alla volonta' del disponente, ma esclusivamente al negozio di convalida, non aveva avuto difficolta' a qualificare la fattispecie disciplinata dall'art. 1 comma 346 L. n. 311/2004 in termini di «nullita' sanabile retroattivamente», ed aveva posto un'analogia, o meglio una similitudine con l'istituto della condizione sospensiva di efficacia del contratto; per queste ragioni la registrazione e' stata qualificata, dai tribunali, alternativamente in termini di fattispecie sanante, con effetto retroattivo, la nullita' del contratto, ed in termini di condicio iuris di efficacia del contratto che, laddove avverata, e' in grado di attribuire efficacia e vincolativita' all'accordo negoziale, con effetto retroattivo (art. 1360 c.c.). Sennonche' tale interpretazione, e cioe' l'applicazione dell'art. 1 comma 346 cit., come invalsa nella giurisprudenza di merito non ha evidentemente soddisfatto le ragioni dell'Erario. Lo Stato voleva poter usufruire immediatamente sia del gettito derivante dal versamento della tassa di registro, sia del reddito tassabile ritratto dalla locazione abitativa. Per tali ragioni veniva cosi' introdotta, all'art. 3 comma 8 del d.lgs.vo n. 23/2011, una norma che, per la prima volta, sanzionava esplicitamente (e duramente) la tardiva registrazione del contratto di locazione abitativa (cioe' la registrazione effettuata oltre il termine di trenta giorni dalla conclusione del contratto, prescritto dal DPR n. 131/1986) mediante la manipolazione e l'etero-integrazione degli aspetti principali del suo contenuto, quali la durata, nonche' l'entita' del canone dovuto dal conduttore. L'intento di «completare» la prescrizione dell'art. 1 comma 346 L. n. 311/2004 (infatti richiamata nel testo dell'art. 3 cit. al comma 9) veniva realizzato mediante una disposizione «premiale» che, a beneficio dei conduttori che avessero denunciato al fisco il contratto non tempestivamente registrato dal locatore, integrava d'autorita' (artt. 1339, 1419 c.c.) il contratto con clausole particolarmente favorevoli all'inquilino, che gli avrebbero assicurato una considerevole stabilita' del rapporto locativo (4 + 4 anni dalla data della registrazione), praticamente a nummo uno (canone annuo pari al triplo della rendita catastale). D'altronde, il legislatore della cedolare secca ha inteso equiparare, sotto il profilo sanzionatorio, ai contratti che non fossero tempestivamente registrati anche gli accordi intesi a dissimulare tutto o parte del canone (e in ogni caso ad evadere il Fisco), e cio' ha fatto con il comma 9 dell'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011. A tenore di tale disposizione, «9. Le disposizioni di cui all'art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio». Le disposizioni - di effetto particolarmente deflagrante per la platea dei destinatari - in questione venivano peraltro completate dal comma 10 dello stesso art. 3, che cosi' testualmente recitava: «10. La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». In breve il legislatore del d.lgs.vo n. 23/2011 assegnava erga omnes un termine di «moratoria» (scaduto il 6 giugno 2011, e cioe' al sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del d.lgs.vo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2011, con la vacatio di quindici giorni di cui all'art. 73 Cost.) per portare alla luce i rapporti di locazione (abitativa) che fossero in tutto o in parte «sommersi». Proprio dall'assegnazione di un termine cosiffatto, e dal tenore testuale dell'art. 3 comma 10 del d.lgs.vo n. 23/2011, che non avrebbe avuto senso alcuno laddove le nuove disposizioni in tema di canone sanzionatorio e di durata legale dei contratti non tempestivamente registrati, fossero state applicabili solo agli accordi locativi stipulati successivamente alla loro entrata in vigore, la giurisprudenza (anche del tribunale) aveva desunto l'immediata applicabilita' delle disposizioni sanzionatorie di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo, anche ai contratti in corso, che - validamente stipulati per iscritto - non fossero stati ancora oggetto di registrazione all'Agenzia delle Entrate. Pertanto, le disposizioni di cui all'art. 3 comma 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, per effetto dell'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014 (convertito con modificazioni nella L. n. 80/2014) si pongono quale regola iuris da applicare alla fattispecie prospettata dal convenuto, come - ad avviso di chi scrive - sufficientemente avvalorata dall'istruttoria documentale ed orale acquisita in corso di causa. 5. Invero la difesa Miraglia ha prodotto in giudizio due scritture (a causa locativa), sottoscritte da entrambe le parti, con riferimento allo stesso immobile (in Roma via Colli della Farnesina n. 144), infine per la stessa durata e decorrenza (2 anni a partire dal 1° gennaio 2007, con facolta' di proroga di ulteriori dodici mesi), difformi tra loro esclusivamente per la clausola di determinazione della misura del cartone (v. la clausola n. 4 dei contratti all. 5 e 6 al fascicolo Miraglia nella lite n. 15333/2012 r.g.); di questi contratti, indubbiamente solo uno - quello riportante il canone inferiore - veniva tempestivamente denunziato al Fisco, e portato a registrazione all'Agenzia delle Entrate (v. il timbro di protocollo serie 3 n. 44792 del 26 febbraio 2007, in calce al contratto all. 5); l'altro - riportante il canone maggiore di € 1.700,00 - veniva registrato dal conduttore solo in data 22 dicembre 2011 (v. il timbro di protocollo serie 3 n. 25056 - Agenzia delle Entrate Ufficio Roma 1 a margine del testo del documento contrattuale all. 6), quindi tardivamente agli effetti dell'art. 3 comma 10 d.lgs.vo n. 23/2011, si' da rendersi applicabili e da dovere essere applicate, alla fattispecie, le clausole legali - in materia di durata contrattuale - di cui all'art. 3 combinato disposto commi 8 e 9 lett. a), del d.lgs.vo n. 23/2011. Infatti, la tesi giuridica dell'attore - secondo cui il «secondo» contratto riportante il canone superiore di € 1.700,00, non tempestivamente registrato, sarebbe rimasto «lettera morta» e non espressivo del reale accordo delle parti - non solo non ha trovato alcun conforto nell'istruttoria esperita in corso di causa, ma risulta smentita dalla prova orale raccolta in giudizio (v. la testimonianza di Cantatore Silvia), a tenore della quale il canone effettivo (agli effetti del combinato disposto commi 8 e 9 lett. d) dell'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011) e pagato dal conduttore dal 1° gennaio 2007 fosse pari ad € 3.200,00. In ogni caso, a fronte della produzione di un documento riportante un contratto di locazione abitativa, sottoscritto anche dall'attrice (con firma non disconosciuta), che indica un canone superiore a quello stabilito nel contratto tempestivamente registrato, incombeva all'attrice di dare prova della simulazione assoluta di tale accordo (che' tanto si e' eccepito in giudizio, in ultima analisi), e tale onere non puo' dirsi evaso all'esito del processo. Apparendo adeguatamente dimostrato in giudizio il patto di dissimulazione, al Fisco, di parte del canone, il tribunale dovrebbe conseguentemente affermare che il rapporto inter partes sia a tutt'oggi eterointegrato dalle clausole legali di cui all'art. 3 comma 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011 (in materia di durata legale e di canone «sanzionatorio» dovuto dal conduttore), giacche' gli effetti di quelle disposizioni sono stati perpetuati dall'art. 5 comma 1-ter del D.L. n. 47/2014, sino al 31 dicembre 2015; peraltro, ad avviso del tribunale sussistono consistenti perplessita' in merito alla conformita' a costituzione della disposizione di cui all'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014, si' da rendersi necessario rimettere gli atti alla Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 134 e 137 Cost., 1 della legge cast. 9 febbraio 1948 n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per quanto di seguito esposto. 6. E' noto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 50/2014, depositata in data 14 marzo 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficciale del 19 marzo 2014, ha acclarato l'illegittimita' dei commi 8 e 9 dell'art. 3 d.lgs.vo n. 23/2011, per «eccesso di delega» (violazione dell'art. 76 Cost.), in particolare rilevando che tali disposizioni, intese alla lotta all'evasione fiscale, esorbitassero sia gli obbiettivi che i criteri della delega conferita, al governo, con la legge n. 42/2009. La Corte ha ritenuto di chiarire in motivazione: «Il tema della lotta all'evasione fiscale, che costituisce un chiaro obiettivo dell'intervento normativo in discorso, non puo' essere configurato anche come criterio per l'esercizio della delega: il quale, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti. Ne' il riferimento alle «forme premiali» anzidette puo' ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo «sanzionatorio» oggetto di censura. Del resto - e come puntualmente messo in evidenza dai giudici a quibus - nella citata legge di delegazione si formula un preciso enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio e criterio direttivo generale, secondo il quale - nel richiamare (art. 2, comma 2, lettera c), «razionalita' e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso» (compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatorio ed i «rimedi» tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione) - espressamente prescrive di procedere all'esercizio della delega nel «rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». Statuto che, a sua volta, come ricordato, prevede, all'art. 10 comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita' del contratto»: con l'ovvia conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non puo' legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione - per factum principis - quanto a canone e a durata. Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione del contribuente, parimenti prescritti dal predetto statuto, risultano nella specie totalmente negletti, operando la denunciata «sostituzione» contrattuale in via automatica, solo a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto». Cio' posto, il tribunale ricorda a se' stesso che, secondo l'art. 136 Cost., «Quando la Corte dichiara la illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione». E' pacifico che le sentenze d'incostituzionalita', poiche' accertano un vizio originario che affligge la norma in contrasto con la Costituzione, espungono tale norma dall'ordinamento con effetto retroattivo e sono immediatamente applicabili ai rapporti pendenti ed ai giudizi in corso, con l'eccezione derivante dal giudicato (artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) e dei rapporti «esauriti». Si tratta di principio consolidato. Possono richiamarsi, tra le tante, le sentenze Corte costituzionale n. 73/1963 [secondo cui «la norma contenuta nell'art. 136 della Costituzione, sulla quale poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, toglie immediatamente ogni efficacia (dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione) alla norma dichiarata illegittima; della quale, pertanto, non e' consentito al legislatore ordinario di prolungare la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge»]; ovvero la sentenza Cass. n. 10783.2014 [nella cui motivazione si legge: «Orbene, come la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito proprio a proposito degli effetti della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 274 c.c., (v. Cass. n. 15981/2006), le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - dichiarative di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che questa non e' piu' applicabile prescindendo dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore o successiva alla pubblicazione della pronuncia, perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con il precetto costituzionale. Pertanto non e' possibile distinguere tra applicazione diretta, cioe' riferita ad atti formati successivamente alla norma dichiarata illegittima, e applicazione indiretta, cioe' riferita ad atti formati prima della pubblicazione della pronuncia d'incostituzionalita', perche' anche in tale ultimo caso il giudice non puo' ritenere legittima un'attivita' svoltasi in conformita' di una norma poi dichiarata incostituzionale. Infatti in materia vige il principio che gli effetti dell'incostituzionalita' non si estendono ai rapporti (e solo a quelli) ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita' (tra le tante, Cass. n. 9329/2010, n. 113/2004, n. 13839/2002)»] la pronuncia del Consiglio di Stato n. 4583.2012 [«le pronunce della Corte costituzionale.. determinano il venir meno in via retroattiva della norma censurata, poiche' operano la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa, la cui eliminazione dall'ordinamento non e' assimilabile a quella disposta per effetto di abrogazione in virtu' di altra norma sopravvenuta»]; Cass. n. 10958.2010: [«le sentenze di accoglimento di una questione di legittimita' costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere «esauriti» i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge»]; Cass. n. 27264.2008: [«le sentenze della Corte costituzionale con le quali sia stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una norma hanno effetto retroattivo ed incidono, pertanto, su tutte le situazioni giuridiche non esaurite. Ne consegue che le suddette sentenze producono i propri effetti su tutti i giudizi in corso e possono essere fatte valere per la prima volta anche in sede di legittimita'»]. Pertanto, all'indomani della sentenza Corte Cast. n. 50/2014, il tribunale, preso atto della sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalita' delle disposizioni contenute nell'art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, non avrebbe giammai potuto considerare il contratto inter partes regolato, quanto a canone e durata, dalle norme ritenute non conformi a Costituzione (perche' improduttive di effetti), ed avrebbe dovuto - al contrario - tenere conto esclusivamente del programma negoziale voluto e concordato dalle parti, come consacrato e trasfuso nelle scritture «gemelle» sottoscritte il 26 settembre 2006, aventi (entrambi) decorrenza dal 1° gennaio 2007, entrambi portate (presto o tardi) alla registrazione (cosi' accertando la decorrenza del rapporto dal 1° gennaio 2007, e la data di seconda scadenza quadriennale al 31 dicembre 2014). 7. Peraltro, sempre in pendenza del presente giudizio, e' sopravvenuto l'art. 5 comma 1-ter del D. L. n. 47/2014 (recante «Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l'EXPO 2015»), convertito con modificazioni in legge n. 80/2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 121 del 27 maggio 2014 ed entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. L'art. 5 del DL cit., recante la rubrica «Lotta all'occupazione abusiva di immobili. Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione», al comma 1-ter (come aggiunto in sede di conversione), recita oggi testualmente: «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». La norma in questione pare intesa - come fatto palese sia dalla sua formulazione letterale, che dalla relazione accompagnatoria - a salvaguardare («sono fatti salvi»), e quindi a procrastinare sino al 31 dicembre 2015, gli effetti giuridici gia' prodotti dalla registrazione di contratti di locazione abitativa (o di accordi dissimulatori di tutto o parte del canone di locazione abitativa) che non fossero stati tempestivamente registrati secondo il combinato delle disposizioni di cui al DPR n. 131/1986 (testo unico delle disposizioni sull'imposta di registro) ed all'art. 3 commi 8 e 9 d.lgs.vo n. 23/2011, ed in particolare a prorogare l'applicazione delle disposizioni ora menzionate (art. 3 comma 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011), benche' dichiarate incostituzionali ed improduttive di ogni effetto. Da qui, la necessita' di ritenere il rapporto inter partes ancora regolato (sino al 31 dicembre 2015) dalle disposizioni gia' dichiarate incostituzionali, con quanto ne consegue in termini di individuazione della data di decorrenza della durata legale del rapporto (quattro anni a decorrere dalla data di registrazione), e di individuazione della sua scadenza. 7.1 Orbene questo tribunale dubita della conformita' a costituzione dell'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014, ed in particolare della conformita' all'art. 136 Cost., potendosi sospettare l'elusione del giudicato di cui alla sentenza Corte Cost. n. 50/2014, cio' a lume degli arresti della Corte costituzionale, appresso ricordati. Infatti l'art. 5 comma 1-ter del D. L. n. 47/2014, se pure non riproduce le norme gia' considerate illegittime, ne comporta la (parziale) sopravvivenza alla declaratoria d'incostituzionalita', si' da renderle ancora operanti e tali da conformare gli aspetti essenziali di qualsiasi contratto di locazione abitativa (quale quello dedotto in controversia), che non fosse stato «tempestivamente» registrato nel vigore dell'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011, bensi' denunziato solo dopo lo spirare vuoi del termine indicato dal DPR n. 131/1986 (art. 17), vuoi del termine di moratoria attribuito, erga omnes, dall'art. 3 comma 10 del d.lgs.vo n. 23/2011 (sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto sul federalismo fiscale). In altri termini, in applicazione dell'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014, il contratto che fosse gia' regolato o innovato, per factum principis, dalle disposizioni sanzionatorie di cui all'art. 3 commi 8 e 9 d.lgs.vo n. 23/2011 (in materia di canone e durata), dovrebbe ritenersi a tutt'oggi disciplinato dalle stesse disposizioni, e cio' fino al 31 dicembre 2015, benche' queste siano state giudicate non conformi a Costituzione. In materia di elusione o violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.) la Corte costituzionale ha avuto in piu' occasioni modo di affermare (cosi' ad esempio Corte Cost. n. 326.2010) «perche' vi sia violazione del giudicato costituzionale e' necessario che una norma sopravvenuta ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale»; ancora, merita ricordare la sentenza Corte Cost. n. 73/2013: «il giudicato costituzionale e' violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a perseguire e raggiungere, «anche se indirettamente», esiti corrispondenti»; Corte Cost., sentenza n. 262/2009: «per aversi tale lesione e' necessario che una norma ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale». Nella sentenza Corte costituzionale n. 49/1970, si legge in motivazione: «La declaratoria di illegittimita' costituzionale, determinando la cessazione di efficacia delle norme che ne sono oggetto, impedisce, invece, dopo la pubblicazione della sentenza, che le norme stesse siano comunque applicabili anche ad oggetti ai quali sarebbero state applicabili alla stregua dei comuni principi sulla successione delle leggi nel tempo. Altro e', infatti, il mutamento di disciplina attuato per motivi di opportunita' politica, liberamente valutata dal legislatore, altro l'accertamento, ad opera dell'organo a cio' competente, della illegittimita' costituzionale di una certa disciplina legislativa: in questa seconda ipotesi, a differenza che nella prima, e' perfettamente logico che sia vietato a tutti, a cominciare dagli organi giurisdizionali, di assumere le norme dichiarate incostituzionali a canoni di valutazione di qualsivoglia fatto o rapporto, pur se venuto in essere anteriormente alla pronuncia della Corte. L'obbligatorieta' delle decisioni della Corte, cui si richiama in particolare l'ordinanza del tribunale di Ferrara, si esplica a partire dal giorno successivo alla loro pubblicazione, come stabilito dall'art. 136 della Costituzione, nel senso - precisamente - che da quella data nessun giudice puo' fare applicazione delle norme dichiarate illegittime, nessun'altra autorita' puo' darvi esecuzione o assumerle comunque a base di propri atti, e nessun privato potrebbe avvalersene, perche' gli atti e i comportamenti che pretendessero trovare in quelle la propria regola sarebbero privi di fondamento legale. Si spiega cosi' come anche questioni di legittimita' costituzionale di norme abrogate da leggi ordinarie frattanto sopravvenute possano essere rilevanti, e come tali avere ingresso alla Corte, qualora si tratti di norme di cui si dovrebbe fare ancora applicazione in base ai principi di diritto intertemporale». E merita aggiungere che la transitorieta' della disposizione dell'art. 5 comma 1-ter del D.L. n. 47/2014, e la sua programmata applicazione sino alla data del 31 dicembre 2015, non parrebbe dissipare i dubbi di costituzionalita' qui esposti, non apparendo conforme a ragionevolezza (art. 3 Cost.) tale scelta legislativa, per quanto obbiettivamente e funzionalmente non intesa a colmare vuoti normativi in ipotesi lasciati dalla sentenza n. 50/2014; invero il contratto di locazione abitativa che fosse stato tardivamente registrato nella vigenza dell'art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, per effetto della sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalita' di quelle norme, troverebbe gia' la sua compiuta regolamentazione vuoi nelle clausole convenzionali, vuoi - per l'aspetto tributario - nelle disposizioni del DPR n. 131/1986 e dell'art. 1 comma 346 L. n. 311/2004, sopra richiamata, norma quest'ultima nient'affatto coinvolta dalla sentenza Corte Cost. n. 50/2014, si' da non essere posto in pericolo il principio di certezza dei rapporti giuridici, ovvero altri principi di rango costituzionale e sovraordinato a quelli posti a base della sentenza n. 50/2014. 7.2 I1 tribunale dubita, altresi', della conformita' dell'art. 5 comma 1-ter D.L. n. 47/2014 al principio di eguaglianza posto dall'art. 3 Cost. Invero per effetto di quella disposizione delle fattispecie sostanzialmente identiche verrebbero ad essere diversamente regolate, a seconda del momento in cui venutesi (occasionalmente) a perfezionare: il contratto che fosse stato tardivamente registrato (agli effetti del DPR n. 131/1986) nella vigenza dell'art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, e fino alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 50/2014 Corte Cost. (19 marzo 2014), continuerebbe ad essere regolato ex autorictate dalle disposizioni del ridetto art. 3 comma 8 del decreto sul federalismo fiscale (sino al 31 dicembre 2015); il contratto che fosse stato tardivamente registrato (sempre agli effetti del DPR n. 131/1986) a partire dal 20 marzo 2014, giorno successivo alla data di pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, della sentenza n. 50/2014 Corte Cost., trarrebbe altrove la sua disciplina e quindi dovrebbe considerarsi a tutti gli effetti valido ed efficace (secondo la prevalente giurisprudenza di merito), ovvero radicalmente nullo ed improduttivo di effetti (come sostenuto da parte minoritaria della giurisprudenza), e in ogni caso sarebbe regolato da disposizioni diverse da quelle gia' dichiarate incostituzionali nella piu' volte nominata sentenza n. 50/2014. 7.3 Infine il tribunale ritiene che meriti di esser scrutinata, dalla Corte Costituzionale, anche la conformita' delle disposizioni di che trattasi, all'art. 137 comma 3 Cost., a tenore del quale «Contro le decisioni della Corte costituzionale non e' ammessa alcuna impugnazione», e che enuncia il principio dell'intangibilita' del c.d. giudicato formale di incostituzionalita'. Invero, come e' stato acutamente segnalato da autorevole dottrina, che il tribunale condivide, «il citato art. 5 comma 1-ter riveste un'efficacia ripristinatoria dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs.vo 14 marzo 2011, n. 23, travolto dalla decisione di accoglimento della Corte, predisponendo la sanatoria, sia pure per un tempo limitato, di rapporti locatizi gia' regolati dalla norma dichiarata incostituzionale. La sentenza n. 50 del 2014 della Corte ha prodotto effetti che hanno gia' inciso sui contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, d.lgs.vo n. 23/2011, ovvero su interessi, diritti ed obblighi di locatori e conduttori, con la conseguenza che tali effetti hanno acquisito stabilita' per l'autorita' di cosa giudicata spettante alla sentenza della Corte costituzionale, e non sono suscettibili, quindi, di essere rimossi o travolti da atti autoritativi aventi efficacia retroattiva, con conseguente vanificazione degli effetti della pronuncia di accoglimento della questione di legittimita' costituzionale». 8. Conclusivamente non potendosi prescindere, in sede di decisione della presente controversia, dall'applicazione dell'art. 5 comma 1-ter del D. L. n. 47/2014, ed apparendo percio' rilevante, oltre che non manifestamente infondata, la questione sopra esposta, si provvede come in dispositivo.