CORTE D'APPELLO DI BRESCIA 
                       (Prima Sezione Penale) 
 
    Riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei signori: 
        dott. Enrico Fischetti, Presidente; 
        dott. Carlo Bianchetti, cons. rel.; 
        dott.ssa Eleonora Babudri, cons.; 
    Ha pronunciato la seguente, 
 
                              Ordinanza 
 
    Premesso che: 
        C.M., imputato del delitto di cui all'art. 73, commi 1, 1-bis
e 5, D.P.R. n. 309/90, per avere  coltivato  all'interno  del  garage
della propria abitazione 8 piante di canapa indiana, due delle  quali
in avanzato stato di maturazione, e per avere illecitamente detenuto,
all'interno del comodino della propria  camera  da  letto,  g  25  di
marijuana, veniva ritenuto colpevole dell'imputazione a lui ascritta;
e condannato dal Tribunale di  Brescia,  disapplicata  la  contestata
recidiva, alla pena di mesi otto  di  reclusione  ed  €  1.000,00  di
multa; ordinava la confisca e  distruzione  delle  piantine  e  dello
stupefacente in sequestro. 
    Con tempestivo appello i difensori del C. si dolevano  del  fatto
che il Tribunale di Brescia fosse pervenuto ad un giudizio di  penale
responsabilita' del loro assistito pur in mancanza della prova  della
destinazione allo spaccio della marijuana e delle piantine di  canapa
indiana in sequestro; che, in particolare, la motivazione del giudice
partiva dal presupposto (erroneo)  che  il  C.  non  era  riuscito  a
provare che la droga in suo possesso era destinata esclusivamente  al
suo proprio uso personale, mentre notoriamente la  destinazione  allo
spaccio dello stupefacente,  in  quanto  elemento  costitutivo  della
fattispecie  incriminatrice,  e'  oggetto  di  un  onere   probatorio
gravante sulla pubblica accusa; ne' gli elementi sintomatici di  tale
destinazione, indicati dal primo giudice, avevano univoca valenza  di
prova in tal senso, in mancanza di alcun elemento dal quale  desumere
che il C. avesse  mai  destinato  a  terzi  lo  stupefacente  da  lui
prodotto. 
    Cosi'  dovendosi  escludere  un  inquadramento   unitario   della
detenzione  di  marijuana  (destinato  al  consumo  personale)  e  la
coltivazione  di  alcune  piante  di   cannabis,   i   difensori   in
principalita' chiedevano che il C. fosse  mandato  assolto  anche  in
relazione  alla  condotta  di   coltivazione   (ritenendo   che   una
interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 75  D.P.R.  n.
309/90 faccia rientrare nelle  condotte  di  chi  «comunque  detiene»
anche  quella  di  chi  coltivi   per   ricavarne   droga   destinata
esclusivamente  al   proprio   consumo   personale),   in   subordine
riproponevano  l'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale   gia'
proposta in primo grado (e ritenuta irrilevante  dal  primo  giudice,
avendo ritenuto provata la destinazione  allo  spaccio  del  prodotto
della coltivazione) dell'art. 75 D.P.R. n. 309/90, nella parte in cui
non  ricomprende  nell'espressione  «o  comunque  detiene»  anche  la
coltivazione di sostanze stupefacenti. 
    A tale proposito affermavano i difensori  che  la  questione  non
solo e' rilevante nel caso che ci  occupa  (non  essendo  provata  la
destinazione  allo  spaccio  dello  stupefacente   ricavabile   dalle
piantine di cannabis coltivate dal C.) ma  anche  non  manifestamente
infondata. 
    Tale questione non era analoga a quella gia'  decisa  dalla  nota
sentenza n. 360 del 1995  (che  aveva  riguardo  ad  una  censura  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 73 D.P.R. n.  309/90,  e  non
gia' dell'art. 75 stessa legge), ne' erano i medesimi  i  profili  di
incostituzionalita' denunciati. 
    In particolare,  secondo  i  difensori,  la  norma  in  esame  si
porrebbe in contrasto con il principio  di  offensivita',  ricavabile
dagli artt. 3, 13, 25, comma secondo, e  27,  commi  primo  e  terzo,
Cost. 
    Allegavano  che  l'argomento  speso   dalla   Giurisprudenza   di
legittimita' per giustificare il trattamento deteriore della condotta
di coltivazione rispetto a quella di mera detenzione (che cioe'  tale
condotta  sarebbe  piu'  pericolosa,  a   causa   di   una   maggiore
diffusibilita' delle sostanze stupefacenti estraibili -  cfr.  SS.UU.
n. 28605 del 2008) non  avrebbe  alcuna  valenza  logica  allorquando
fosse provata la destinazione  esclusiva  al  consumo  personale  del
prodotto della coltivazione (e pertanto inesistente  il  pericolo  di
diffusione della sostanza) - con conseguente violazione del principio
di offensivita' del reato. 
    Ed infatti il principio secondo il  quale,  anche  nei  reati  di
pericolo astratto, deve essere evitato che la norma  vada  a  colpire
anche fatti concretamente privi di ogni connotato di pericolosita' e'
stato  recentemente  affermato  dalla  Giurisprudenza   della   Corte
costituzionale  (pronuncia  20  giugno  2008  n.  225),  e  di  fatto
applicato dalla Giurisprudenza  di  legittimita'  con  riferimento  a
svariati reati di pericolo,  quali  l'incendio  di  cosa  altrui,  il
disastro ferroviario, l'istigazione a delinquere. 
    Allo stesso modo la Corte costituzionale  ha  affermato  che  «le
presunzioni assolute, quando limitano un diritto  fondamentale  della
persona, violano il principio di eguaglianza, quando sono  arbitrarie
e irrazionali ... in particolare l'irragionevolezza della presunzione
assoluta si coglie tutte  le  volte  in  cui  sia  agevole  formulare
ipotesi di accadimenti reali  contrari  alla  generalizzazione  posta
alla base della presunzione stessa» (cfr. pronunce n. 164  del  2011;
nn. 265 e 139 del 2010). 
    Cosi'  appare  irragionevole  presumere  la  pericolosita'  della
coltivazione quando sia provato che  essa  non  puo'  in  alcun  modo
favorire la diffusione della sostanza (in quanto destinata al consumo
personale del «coltivatore»), tenuto  conto  che  una  tale  condotta
(coltivazione ad uso personale) non viene a ledere in alcun  modo  in
bene giuridico tutelato dalla norma di  cui  all'art.  73  D.P.R.  n.
309/90,  che  e'  quello  «di  combattere  il  mercato  della  droga,
espellendola dal circuito internazionale, poiche', proprio attraverso
la cessione al consumatore viene  realizzata  la  circolazione  della
droga e viene alimentato il mercato di essa, che pone in pericolo  la
salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonche' il normale
sviluppo delle giovani generazione»  (cfr.  SS.UU.  n.  9973  del  24
giugno 1998). 
    Tutela della  salute  pubblica,  della  sicurezza  e  dell'ordine
pubblico; non gia' tutela della salute  privata,  interesse  peraltro
che la stessa decisione quadro  2004/757/GAI  del  Consiglio  del  25
ottobre 2004 considera estraneo alla ratio delle norme in materia  di
stupefacenti, laddove, all'art.  2,  comma  2,  prevede  che  vengano
escluse  dalla  rilevanza  penale  le  condotte  previste  dal  comma
precedente, ivi compresa la coltivazione, «se tenute dai loro  autori
soltanto ai fini del loro consumo  personale,  quale  definito  dalle
rispettive legislazioni nazionali». 
    Considerazioni   tutte   che   inducono   a   ritenere   che   la
penalizzazione della coltivazione degli stupefacenti, quando essa sia
destinata a produrre droga destinata al solo  consumo  personale  del
coltivatore, quale derivante da una interpretazione restrittiva della
norma di cui all'art. 75 D.P.R. n. 309/90, e' contraria al  principio
di offensivita', in quanto tale condotta  e'  inidonea  a  ledere  in
alcun modo i beni giuridici della salute pubblica, della sicurezza  e
dell'ordine pubblico. 
    Tanto piu' che gli esiti del referendum abrogativo del 18  aprile
1993, cancellando il principio  del  divieto  dell'uso  personale  di
sostanze stupefacenti sancito dall'art. 72, comma  primo,  D.P.R.  n.
309/90, ed eliminando il  parametro  quantitativo  della  dose  media
giornaliera, pongono la  finalita'  dell'uso  personale  quale  unico
discrimine   tra   l'illecito   penale   e   quello   amministrativo,
indipendentemente   dalla   natura   e   quantita'   della   sostanza
stupefacente. 
    Si' da rendere, allo stato attuale  della  normativa,  del  tutto
contrario  ai   principi   di   ragionevolezza   l'esclusione   della
coltivazione dal novero delle condotte passibili di punizione in  via
(meramente) amministrativa, con conseguente  analoga  violazione  del
principio di parita' di trattamento (di condotte egualmente  ispirate
alla medesima finalita' di  uso  personale  della  sostanza)  sancito
dall'art. 3 della Carta Costituzionale (non potendo, contrariamente a
quanto affermato da SS.UU. n.  28605  del  2008,  la  mera  condotta,
inoffensiva del bene protetto, giustificare una sanzione penale). 
    Del  resto  proprio  la  possibilita'  di   una   interpretazione
costituzionalmente orientata della norma ex art. 75 D.P.R. n.  309/90
(interpretazione  peraltro  negata  da  quasi   quattro   lustri   di
Giurisprudenza   di   legittimita'),   aveva   indotto    la    Corte
costituzionale,  nella  sentenza  n.  443  del  1994,   nella   quale
dichiarava la inammissibilita' della questione di legittimita'  degli
artt. 28, 73, 73 e 74 D.P.R. n.  309/90,  come  modificati  all'esito
della consultazione referendaria,  sulla  base  del  rilievo  che  il
remittente aveva omesso la  previa  verifica  della  possibilita'  di
un'esegesi adeguatrice delle norme impugnate; non si era segnatamente
posto il problema «se, proprio alla luce e nel  quadro  del  riferito
jus superveniens, l'operata depenalizzazione della  condotta  di  chi
... comunque detiene sia gia'  interpretativamente  estensibile  alle
condotte di chi coltiva e fabbrica» - si' da doversi ritenere che  la
interpretazione restrittiva  del  disposto  dell'art.  75  D.P.R.  n.
309/90 operato  dalla  Giurisprudenza  di  legittimita'  si  pone  in
realta' in contrasto con l'insegnamento del Giudice delle leggi. 
    Conclusivamente,   i   difensori   del   C.,   affermavano    che
l'interpretazione restrittiva dell'art. 75 D.P.R. n.  309/90  (quella
cioe' per la quale nell'espressione «o comunque detiene» non  rientra
anche la  condotta  di  coltivazione  di  stupefacenti)  si  pone  in
contrasto con il principio di offensivita' del reato, e con gli artt.
3,  13,  25,  comma  secondo,  27,  commi  primo   e   terzo,   Carta
Costituzionale, in quanto: 
        a) se la sostanza coltivata non e' destinata ad  incrementare
il mercato della droga (ossia non venga provato il fine di  spaccio),
la presunzione assoluta di lesione del  bene  protetto  dalla  norma,
implicita nell'art. 73, comma primo, D.P.R. n. 309/90, e' superata da
«un accadimento contrario alla generalizzazione posta alla base della
presunzione stessa», e  dunque  risulta  contraria  al  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; 
        b) l'irragionevolezza e' ancora  piu'  evidente  se  solo  si
consideri che, mentre la detenzione anche di ingerite  quantita',  se
si dimostra la destinazione ad uso non esclusivamente  personale,  e'
punita con sanzione amministrativa, la  coltivazione,  anche  di  una
sola piantina, e' punita con sanzione penale; 
        c)  se,  nell'esercizio  della   sua   discrezionalita',   il
legislatore   puo'   «non   agevolare   comportamenti    propedeutici
all'approvvigionamento di sostanza stupefacenti per  uso  personale»,
tale obiettivo non puo' essere perseguito attraverso la previsione di
sanzioni penali privative della liberta' personale -  in  particolare
il principio di personalita', cosi' come la finalita'  rieducativa  e
retributiva della pena, presuppongono l'incriminazione  di  un  fatto
concretamente offensivo; invece, quando la condotta  di  coltivazione
non abbia lo scopo di incrementare il mercato  della  droga,  nessuno
degli interessi generali  protetti  dall'art.  73  D.P.R.  n.  309/90
risulta minacciato; 
        d) allo stesso modo, anche l'art. 13 Cost. richiede  che  non
si pongano limitazioni alla liberta' personale, se non per la  tutela
di interessi  concreti,  tali  da  giustificare,  in  ogni  caso,  la
limitazione di diritti fondamentali della persona; in  questo  quadro
non  comprendendosi  come  il  fine  terapeutico  della  condotta  di
coltivazione possa ricevere disvalore penale. 
    A tutte tali considerazioni aggiungevano gli  appellanti  che  la
sanzione penale di un comportamento lesivo della sola propria  salute
sarebbe contrario al principio di autodeterminazione  dell'individuo,
sancito dall'art. 32 della Carta Costituzionale, quale sviluppato  da
una serie di pronunce della Cassazione  civile,  che  riconoscono  il
principio di autodeterminazione anche  con  riferimento  a  scelte  e
condotte suscettibili di portare il soggetto a morte certa,  come  il
rifiuto di sottoporsi a trasfusioni ematiche. 
    All'udienza del 10 marzo 2015, tenutasi dopo un  rinvio  disposto
sull'accordo delle parti, si procedeva  alla  discussione,  all'esito
della quale l'appellante concludeva come sopra  indicato,  mentre  il
P.G. chiedeva il rigetto dell'appello  (deducendo,  fra  l'altro,  la
irrilevanza  e  la  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa), e  la  integrale
conferma dell'impugnata sentenza. 
 
               La Corte osserva in fatto e in diritto 
 
La  ammissibilita'  e  rilevanza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale 
    Contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, nessuno degli
elementi evidenziati dalla Pubblica accusa, ne'  la  quantita'  dello
stupefacente,  quello  pronto  all'uso  e  quello  ricavabile   dalle
piantine una volta giunte a maturazione, non rilevante sia quanto  al
valore economico sia quanto al  numero  di  dosi  ricavabili  (tenuto
peraltro presente che il C. avrebbe potuto consumare lo  stupefacente
gia' pronto all'uso  nel  tempo  necessario  alla  maturazione  delle
piantine in stato piu' avanzato,  e  cosi'  di  seguito),  ne'  altri
parametri (tenuto conto che non  risulta  che  alcun  consumatore  di
sostanze cannabinoidi abbia da lui acquistato,  a  titolo  oneroso  o
gratuito; che non  e'  stata  reperita  alcuna  contabilita'  di  una
eventuale attivita' di spaccio; che la sola presenza di un  bilancino
di  precisione  e'  dato   equivoco,   specie   in   mancanza   della
strumentazione idonea a frazionare lo stupefacente e a  confezionarlo
in dosi; che, infine, proprio la assenza di alcun collegamento tra lo
stupefacente  e  l'attivita'  commerciale  gestita  dal   C.   depone
piuttosto per la sua destinazione  all'esclusivo  consumo  personale)
consentono di ritenere raggiunta la prova  che  lo  stupefacente  era
destinato (in tutto o in parte) ad essere ceduto a terzi. 
    Da tale conclusione consegue che, almeno per quanto  riguarda  la
condotta di coltivazione (che', per quel che riguarda  la  detenzione
del quantitativo di 25 grammi di marijuana, dalla mancata prova della
sua destinazione, anche parziale, ad essere ceduto a terzi, deriva la
penale  irrilevanza  della  condotta,  stante   l'espresso   disposto
dell'art. 75 D.P.R. n. 309/90), la questione  relativa  alla  portata
interpretativa della norma del citato art. 75 D.P.R. n. 309/90 assume
importanza decisiva ai fini del giudizio, dal momento che, escludendo
l'attivita' di coltivazione da quelle scriminate qualora  finalizzate
al consumo personale del coltivatore,  la  condotta  del  C.  sarebbe
penalmente  illecita  (e  percio'  confermata,   limitatamente   alla
condotta di coltivazione delle 8 piantine di cannabis,  la  impugnata
sentenza n. 2674/11 giugno 2014 del Tribunale di  Brescia);  che,  al
contrario,  dovendo  interpretare   estensivamente   la   espressione
«comunque detiene» contenuta  nella  norma  citata  come  riferita  a
qualunque condotta descritta nel precedente art. 73 D.P.R. n.  309/90
(e cosi' anche alla condotta  di  coltivazione,  qualora  finalizzata
alla  produzione  di  stupefacente  destinato  all'esclusivo  consumo
personale del coltivatore), l'imputato, in mancanza  di  prova  della
destinazione  allo  spaccio  (anche  in  parte)  dello   stupefacente
ricavabile dalla coltivazione, dovrebbe essere mandato assolto  anche
da tale residua imputazione, perche' il fatto non costituisce reato. 
    Allo stesso modo  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dalla difesa  appare  ammissibile,  dal  momento  che  deve
essere esclusa, allo stato, la possibilita' di far rifluire,  in  via
di interpretazione adeguatrice, anche la condotta della  coltivazione
per uso personale in quelle previste dall'art. 75 D.P.R. n. 309/90, e
quindi ritenerla depenalizzata, dal momento che la interpretazione da
parte della Giurisprudenza di legittimita' e'  stata  sostanzialmente
granitica per oltre un decennio ad escludere la possibilita'  di  una
tale interpretazione (cfr., fra le altre, Cass. Pen.,  Sez.  IV,  nn.
913 del 15 marzo 1995; 9984 del 6 luglio 2000; 22037  del  14  aprile
2005; 40295 del 17 ottobre 2006); che, dopo un tentativo, operato  da
un orientamento minoritario di legittimita'  (cfr.,  in  particolare,
Cass. Pen., Sez. VI, n. 17983 del  18  gennaio  2007,  40362  dell'11
ottobre 2007 e 40712 del 21 settembre 2007), di limitare  la  nozione
di «coltivazione»  alla  sola  attivita'  gestita  con  caratteri  di
imprenditorialita',   facendo   rientrare   la   c.d.   «coltivazione
domestica» nella nozione di detenzione di cui all'art. 75  D.P.R.  n.
309/90, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione (n.  28605
del 24 aprile 2008, dep. 10 luglio 2008) a riaffermare  il  principio
secondo il quale «costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi
attivita' non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali  sono
estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per  la
destinazione del prodotto ad uso  personale»  (principio  di  diritto
nuovamente enunciato da Cass. Pen., Sez. VI, nelle due  pronunce  nn.
49523 del 9 dicembre 2009 e 51497 del 4 dicembre 2013). 
La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' 
    Questa Corte di Appello non ignora che il Giudice delle leggi  si
e' gia' pronunciato, con sentenza n. 360 del 1995 (pubblicata su G.U.
n. 034 del 16 agosto 1995)  nel  senso  della  non  fondatezza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  75  D.P.R.  n.
309/90, con riferimento ai parametri costituzionali di uguaglianza ed
offensivita'. 
    Si ritiene peraltro che la questione meriti un  nuovo  vaglio  di
costituzionalita',   alla   luce   non    solo    della    evoluzione
giurisprudenziale nella individuazione della ratio  della  disciplina
in tema di stupefacenti, ma anche della  legislazione  sovranazionale
sopravvenuta. 
    In particolare la disciplina risultante  dal  combinato  disposto
degli artt. 73 e 75  D.P.R.  n.  309/90,  cosi'  come  risulta  dalla
interpretazione restrittiva e ormai consolidata della  Giurisprudenza
di legittimita', appare in contrasto con alcuni principi  di  rilievo
costituzionale. 
    In primo luogo dal tenore letterale della norma di  cui  all'art.
75 D.P.R. (che considera meri illeciti amministrativi le condotte  di
«chiunque, per farne uso personale, illecitamente  importa,  esporta,
acquista, riceve a  qualsiasi  titolo  o  comunque  detiene  sostanze
stupefacenti  o  psicotrope»)  discende  che,  la   legge   considera
penalmente irrilevante la condotta di chi detenga stupefacente, quale
che  sia  il  comportamento  pregresso  che  abbia   originato   tale
detenzione (non solo cioe' la condotta di chi detenga in quanto abbia
precedentemente  importato,  esportato,  acquistato  o   ricevuto   a
qualsiasi titolo);  solo  in  tal  modo  puo'  infatti  interpretarsi
l'espressione «comunque detiene»; che', ove la voluntas  legis  fosse
stata diversa, il tenore della  disposizione  avrebbe  dovuto  essere
radicalmente diverso (ad esempio: «ovvero detiene in  conseguenza  di
una di tali condotte»). 
    Cio' significa che rientra nell'ambito della penale  irrilevanza,
in forza della formula di  chiusura  del  comma  primo  dell'art.  75
D.P.R. n. 309/90, la condotta di chi detenga sostanza stupefacente da
lui precedentemente coltivata o altrimenti prodotta (dopo la fine del
ciclo produttivo, quando lo stupefacente  sia  pronto  all'utilizzo),
sempre ovviamente a condizione che detto stupefacente  sia  destinato
esclusivamente al consumo personale del soggetto agente. 
    A  diversa  soluzione  dovra'  invece  necessariamente  giungersi
allorche' il soggetto sia sorpreso nell'atto di coltivare (ovvero  di
produrre) stupefacente destinato al proprio  personale  consumo,  dal
momento che in tal caso, in forza del combinato disposto degli  artt.
73 e 75 D.P.R.  n.  309/90,  nell'unica  interpretazione  legittimata
dalla Giurisprudenza di legittimita', la condotta  resta  nell'ambito
del penalmente rilevante, e sanzionabile con  una  pena  detentiva  e
pecuniaria. 
    Orbene tale disciplina appare, oltre che irragionevole, contraria
al  principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.   3   della   carta
Costituzionale (che, come noto, e' violato sia dal trattamento uguale
di comportamenti umani diversi, sia - come  nel  nostro  caso  -  dal
trattamento diverso di comportamenti umani uguali, o almeno del tutto
assimilabili). 
    Neppure  puo'  dirsi,   a   giustificare   tale   disparita'   di
trattamento,  che  la  condotta   di   detenzione   sia   collegabile
immediatamente  e   direttamente   (a   differenza   di   quella   di
coltivazione) al successivo consumo personale (finalita'  questa  che
sola giustifica la «esimente» ex art. 75 D.P.R. n.  309/90),  perche'
tale  maggiore  o  minore  distanza  rispetto  alla   condotta/evento
dell'utilizzo finale della producenda sostanza  stupefacente  attiene
al problema (di fatto)  di  una  maggiore  o  minore  difficolta'  ad
accertare la effettiva finalita' (penalmente irrilevante) di consumo,
ma non  appare  invece  idoneo  alla  individuazione  di  un  diverso
disvalore delle condotte, tale da fondare un  differente  trattamento
della condotta (antecedente)  di  coltivazione,  una  volta  che  sia
accertato (superate le maggiori  difficolta'  probatorie)  che  detta
coltivazione  sia  effettivamente  finalizzata  alla  produzione   di
stupefacente  destinato  esclusivamente  al  consumo  personale   del
coltivatore. 
    Peraltro la ingiustificata disparita' di trattamento tra condotte
tra loro pienamente assimilabili non costituisce l'unico  profilo  di
contrasto della disciplina con i principi costituzionali. 
    Ed in particolare la sottoposizione a sanzione  penale  di  colui
che  coltivi  allo   scopo   di   produrre   stupefacente   destinato
esclusivamente al  proprio  consumo  personale  appare  contraria  al
principio di offensivita', quale ricavabile  dal  combinato  disposto
degli artt. 13, comma secondo, 25, comma secondo, e 27, comma  terzo,
Cost. 
    Deve invero ritenersi che, ancor piu' dopo la modifica del quadro
normativo successiva all'esito referendario del 1993, la tutela della
salute dei singoli sia estranea alla ratio della  disciplina  di  cui
agli artt. 73 e 75 D.P.R. n. 309/90. 
    A tale proposito infatti la fondamentale decisione delle  Sezioni
Unite della Corte di Cassazione n. 9973 del 24 giugno 1998  (dep.  21
settembre 1998) ha individuato la ratio della norma incriminatrice di
cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/90  nella  necessita'  di  tutelare  la
salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico (nonche' il normale
sviluppo delle giovani generazioni)  attraverso  il  contrasto  della
circolazione della droga. 
    In particolare nella pronuncia citata il Supremo collegio afferma
che «scopo dell'incriminazione delle condotte previste  dall'art.  73
D.P.R. n. 309/90 e' quello di  combattere  il  mercato  della  droga,
espellendolo dal circuito nazionale, poiche', proprio  attraverso  la
cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della  droga
e viene alimentato il mercato di  essa,  che  mette  in  pericolo  la
salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonche' il normale
sviluppo delle giovani generazioni». 
    Da cio' consegue che la incriminazione di una condotta  che,  non
essendo  finalizzata  alla  cessione  a  terzi   dello   stupefacente
coltivato (bensi' alla produzione  di  stupefacente  per  l'esclusivo
consumo personale del coltivatore)  appare  del  tutto  estranea  sia
all'evento  che  la  norma  intende  scongiurare  (la   cessione   al
consumatore, e cioe' la circolazione della droga, che ne alimenta  il
mercato), sia alla lesione o alla messa in pericolo dei valori che la
norma intende tutelare (la salute pubblica, anche sotto la specie del
normale sviluppo delle giovani generazioni, nonche'  la  sicurezza  e
l'ordine pubblico, che da tale  circolazione/mercato  sono  messi  in
pericolo), si pone in contrasto con il principio di offensivita',  in
quanto  stabilisce  una  sanzione  penale,  sotto   specie   di   una
restrizione della liberta' personale, come risposta ad  una  condotta
inidonea  a  ledere  il  bene  giuridico  sotteso  al  sistema  della
legislazione in tema di stupefacenti. 
    Che la  tutela  della  salute  e/o  della  incolumita'  personale
dell'agente da comportamenti auto-lesivi sia  estranea  non  solo  al
sistema normativo in esame, ma anche  all'intero  nostro  ordinamento
penale,  lo  prova  il  fatto  che  non  solo   altri   comportamenti
notoriamente lesivi della propria salute (come  il  tabagismo  ovvero
l'abuso di sostanze alcoliche) non sono penalmente rilevanti  ex  se,
ma persino la piu' grave  delle  condotte  auto-lesive,  e  cioe'  il
tentativo di suicidio, non costituisce condotta punibile. 
    Si noti peraltro che tale definizione  della  ratio  del  sistema
delle  norme  incriminatrici  in  tema   di   sostanze   stupefacenti
ricavabile dagli artt. 73 e 75 D.P.R.  n.  309/90  appare  confermata
dalla successiva normativa comunitaria, dal momento che la  decisione
quadro del Consiglio  dell'Unione  Europea  n.  2004/757/GAI  del  25
ottobre 2004, nel delimitare le  condotte  connesse  al  traffico  di
stupefacenti  in  relazione  alle  quali  gli  Stati  membri  debbano
prevedere la punibilita' (e nell'enumerare a tale fine la produzione,
la fabbricazione, l'estrazione, l'offerta, la commercializzazione, la
distribuzione, la vendita, la consegna  a  qualsiasi  condizione,  la
mediazione, la spedizione, la spedizione in transito,  il  trasporto,
l'importazione o l'esportazione, la coltura del  papavero  da  oppio,
della  pianta  di  coca  o  della  pianta  della   cannabis,   etc.),
espressamente esclude dal campo di applicazione  della  decisione  le
condotte sopra descritte (tra le quali, appunto, la  coltivazione  di
piante dalle quali si ricava lo  stupefacente)  se  tenute  dai  loro
autori soltanto ai fini del loro consumo  personale,  quale  definito
dalle rispettive legislazioni nazionali. 
    Per  tutto  quanto  esposto  le  disposizioni  di   legge   sopra
illustrate (segnatamente quella di cui all'art. 75 D.P.R. n.  309/90,
nella parte in cui esclude  tra  le  condotte  suscettibili  di  sola
sanzione amministrativa la condotta  di  coltivazione  di  piante  di
cannabis,  qualora  finalizzate   al   solo   uso   personale   dello
stupefacente dalle stesse ricavabile) appaiono  in  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di  offensivita',  quali
ricavabili dagli artt. 3, 13, comma secondo, 25, comma secondo e  27,
comma terzo, Carta Cost.