IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                        Lecce - Sezione Prima 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  n.  463  del  2013,  proposto  da  Perfetto  Srl,
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Andrea  Sticchi   Damiani,   con
domicilio eletto presso Andrea Sticchi Damiani in Lecce, via  95  Rgt
Fanteria 9, contro Ministero dello sviluppo economico,  rappresentato
e difeso per legge dall'Avvocatura  Distr.le  Lecce,  domiciliata  in
Lecce, via F. Rubichi, 23; 
    Per  l'annullamento   del   Decreto   Prog.   n.   14912/98   CUP
B26D98000260005 prot. n.  5,  trasmesso  a  mezzo  posta  elettronica
certificata in data 9 gennaio 2013, adottato il 4 gennaio  2013,  con
il quale il Ministro dello sviluppo economico,  Dipartimento  per  lo
sviluppo  e   la   coesione   economica,   Direzione   generale   per
l'incentivazione delle attivita' imprenditoriali, Div.  IX  -  Grandi
progetti d'investimento, sviluppo economico  territoriale  e  finanza
d'impresa, ha disposto la revoca del D.M. n. 54282 del 14 agosto 1998
con il quale e' stato concesso in  via  provvisoria  ai  sensi  della
legge n. 488/1992 alla ditta Perfetto S.r.l. un contributo  in  conto
capitale di Euro 648.039,79, nonche' del successivo  D.M.  n.  109471
del 12 febbraio 2002 con il quale le predette agevolazioni sono state
confermate in via definitiva; 
    Di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale,  ivi
compreso il provvedimento di comunicazione di avvio del  procedimento
di revoca prot. n. 30152 del 9 settembre 2011. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Ministero  dello
sviluppo economico; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  9  ottobre  2014  la
dott.ssa Jessica Bonetto e uditi per  le  parti  i  difensori  Manlio
Conte, in sostituzione di Andrea Sticchi Damiani, Simona Libertini. 
    A. - Perfetto s.r.l. chiede l'annullamento del Decreto  Prog.  n.
14912/1998 CUP B26D98000260005 del 4 gennaio 2013, con  il  quale  il
Ministro dello sviluppo economico, Dipartimento per lo sviluppo e  la
coesione economica, Direzione  generale  per  l'incentivazione  delle
attivita' imprenditoriali, Div. IX - Grandi progetti  d'investimento,
sviluppo economico territoriale e finanza d'impresa, ha  disposto  la
revoca del D.M. n. 54282 del 14 agosto 1998 e del D.M. n. 109471  del
12 febbraio 2002. 
    Il primo di questi due atti aveva concesso, in via provvisoria ai
sensi  della  legge  n.  488/1992,  alla  ditta  Perfetto  S.r.l.  un
contributo in conto capitale di Euro  648.039,79;  il  secondo  aveva
confermato in via definitiva la predetta agevolazione. 
    Chiede altresi' l'annullamento di ogni  altro  atto  presupposto,
connesso  e/o  consequenziale,  ivi  compreso  il  provvedimento   di
comunicazione di avvio del procedimento di revoca prot. n. 30152  del
9 settembre 2011. 
    Deduce i seguenti motivi: 
        Erronea presupposizione in fatto e in diritto. 
        Istruttoria carente e/o insufficiente. 
    Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  del  legittimo
affidamento. 
    Conclude  per  l'annullamento,  previa  sospensione,  degli  atti
impugnati. 
    Si e' costituita in giudizio l'amministrazione intimata. 
    Con ordinanza n.  130  del  2014  e'  stata  rigettata  l'istanza
cautelare. All'udienza  del  9  ottobre  2014  il  ricorso  e'  stato
ritenuto per la decisione. 
    B. - I. - Il D.M. 4 gennaio 2013, n. 5, dispone la  revoca  delle
agevolazioni economiche concesse  alla  societa'  ricorrente  per  le
seguenti ragioni: 
        1) venir meno del rapporto di fiducia con l'amministrazione; 
        2) acquisto di beni non di nuova fabbricazione; 
        3) utilizzo di fatture gonfiate; 
        4) parte dei beni «agevolati» sono stati distolti prima della
scadenza del periodo quinquennale di utilizzo; 
        5) acquisto di un immobile non ammissibile  ad  agevolazioni.
L'inammissibilita' e' determinata  dalla  circostanza  che  l'impresa
acquirente e la venditrice appartengono a due soci (Perfetto Giovanni
Luigi e Gianfreda Anna) e questo determina «una situazione di  totale
controllo diretto delle due societa' considerate»  da  parte  di  una
societa' di fatto fra i due soci indicati; 
        6) la dichiarazione sostitutiva  di  atto  notorio  resa  dal
legale rappresentante (ai fini della  concessione  dell'agevolazione)
e' mendace. 
    La molteplicita' delle ragioni addotte a  sostegno  della  revoca
impone di individuare il giudice che di ognuna possa conoscere. 
    II. - Il  giudice  della  nomofilachia  distingue  (ai  fini  del
riparto  di  giurisdizione)  gli  atti  che  incidono   su   vantaggi
attribuiti dall'amministrazione a seconda che  attengano  al  momento
genetico del rapporto o all'evoluzione dello stesso ed a seconda che,
in questa seconda ipotesi, l'attivita' amministrativa sia vincolata o
discrezionale. Ha percio' ritenuto che le  controversie  relative  ad
interventi che incidono sul momento genetico spettano alla cognizione
del giudice amministrativo, atteso che a fronte di un intervento  del
genere (determinato dalla mancanza delle  condizioni  previste  dalla
legge o da quant'altro sia a cio' assimilabile) sussiste un interesse
legittimo. 
    L'intervento che influisce sulla evoluzione del rapporto  incide,
invece, sulla pretesa ad ottenere la  prestazione  oggetto  dell'atto
attributivo,  pretesa  qualificabile  come  interesse  legittimo   se
l'incisione  e'  operata  dall'amministrazione  a  seguito   di   una
valutazione    discrezionale,    come    diritto    soggettivo     se
l'amministrazione adotta un atto vincolato. 
    La diversa qualificazione della posizione del privato, a  seconda
che l'attivita' dell'amministrazione sia discrezionale  o  vincolata,
e'  chiara,  fra  le  tante,  nelle  sentenze  rese  dalla  Corte  di
Cassazione a Sezioni Unite n. 12641 del 2008, n. 24409 del  2011,  n.
1776 del 2013. 
    Questo iter logico e' percorso dal giudice della nomofilachia sia
che all'atto attributivo non faccia seguito un rapporto  contrattuale
(situazione alla quale si riferiscono le sentenze  indicate),  ed  in
tal caso il binomio diritto  -  obbligo  si  articola  nella  pretesa
dell'amministrazione  al  rispetto  degli  impegni  assunti  con   la
partecipazione al procedimento e  nell'obbligo  del  beneficiario  di
rispettare gli stessi; sia che  all'atto  segua  un  contratto  e  la
pretesa  alla  prestazione  da  un  lato,  e  alla  controprestazione
dall'altro, si radichi in questo. 
    Tale ultimo orientamento e' presente nelle pronunce che  si  sono
occupate della decadenza dall'assegnazione degli alloggi economici  e
popolari disposta a seguito della mancata occupazione degli stessi da
parte degli assegnatari (Cass. SS. UU., n. 2999 del  1962,  n.  10829
del 1993, n. 13459 del 2005). 
    In  sintesi,  l'amministrazione  puo'  intervenire  sui  vantaggi
attribuiti in precedenza se: 
        incide sull'atto attributivo per vizi originari dello stesso; 
        incide sull'evoluzione del rapporto (non concretatasi  in  un
contratto)   per   l'inottemperanza   agli   impegni   assunti    dal
beneficiario, in base ad una valutazione vincolata; 
        incide sull'evoluzione del rapporto (non concretatasi  in  un
contratto)   per   l'inottemperanza   agli   impegni   assunti    dal
beneficiario, in base ad una valutazione discrezionale; 
        incide  sull'evoluzione  del  rapporto  (concretatasi  in  un
contratto) per la violazione degli impegni assunti dal privato. 
    Fermo restando che l'intervento su un  atto  per  vizi  originari
dello  stesso  incontra  un  interesse  legittimo  (ed   e'   percio'
conosciuto  dal  giudice  amministrativo),  la  qualificazione   come
vincolato dell'atto che  incide  su  vantaggi  gia'  attribuiti,  ove
l'incisione non si basi su un assetto contrattualmente definito,  non
comporta necessariamente la configurazione  come  diritto  soggettivo
della posizione del privato. 
    Sembra, infatti,  necessario  indagare  la  finalita'  perseguita
dalla  norma  e  quindi  la  consistenza  come  diritto  o  interesse
legittimo della relativa pretesa. 
    III. - L'intreccio fra diritti soggettivi e interessi  legittimi,
quando al privato sono attribuiti vantaggi che hanno ad oggetto  beni
o servizi pubblici e quando su tali vantaggi l'amministrazione  viene
ad incidere nel corso del rapporto con effetto ex nunc, ha portato il
legislatore a prevedere, con l'art. 5 della legge n. 1034  del  1971,
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo  nella  materia
delle concessioni di beni e di servizi  pubblici,  tranne  che  nelle
ipotesi  espressamente   previste   («le   controversie   concernenti
indennita', canoni ed  altri  corrispettivi»),  ipotesi  nelle  quali
l'intreccio e' escluso. 
    Il fine perseguito e' stato, evidentemente, quello di  permettere
facilmente l'individuazione del  giudice  fornito  di  giurisdizione,
evitando una diseconomia giudiziaria,  l'impegno  nell'individuazione
del giudice «competente» di  mezzi  piu'  proficuamente  utilizzabili
nella definizione delle controversie, in sintesi quello di perseguire
l'obiettivo del giusto processo, consacrato poi nell'art.  111  della
Costituzione. 
    IV. - La semplificazione del quadro cognitivo e  conseguentemente
di  quello  operativo  ha  incontrato  delle  difficolta',  frapposte
principalmente  dalla   varieta'   delle   situazioni   nelle   quali
l'amministrazione pubblica attribuisce vantaggi ai privati  e  quindi
dai dubbi circa la riconducibilita' delle varie situazioni  al  genus
delle concessioni amministrative di' beni e servizi. 
    E' nozione da lungi acquisita che la concessione riguarda i  beni
ed i servizi pubblici e che i beni pubblici concedibili sono  i  beni
demaniali e quelli del patrimonio indisponibile. 
    L'elaborazione dottrinaria ha individuato  espressamente  ipotesi
di concessione solo in relazione a questi beni (si  veda  Ranelletti:
Teoria generale delle autorizzazioni  e  concessioni  amministrative.
Concetto e natura, in Giur. It., 1894; Forti: Natura giuridica  delle
concessioni amministrative, in Studi di diritto pubblico, Roma  1937;
Silvestri: Natura giuridica dei diritti  nascenti  dalle  concessioni
amministrative di beni demaniali, Milano 1950); e questo non solo  in
Italia (si veda Stengel: Konzessionen, in Worterbuch des  deutschland
Staats - und Verwaltungsrecht, Tubingen 1913). 
    Dell'adesione a tale indirizzo da parte della  giurisprudenza  e'
ampia  prova  nella  produzione  della  Corte  di  Cassazione,  prima
sinteticamente citata. 
    Ha quindi portata innovativa l'art. 12 della  legge  n.  241  del
1990, che qualifica come  concessioni  le  «sovvenzioni,  contributi,
sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di  vantaggi  economici
di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati». 
    La  giurisprudenza  della  Corte  di  Cassazione  ha,   tuttavia,
continuato  ad  escludere   l'applicazione   dell'istituto   previsto
dall'art. 5  della  legge  n.  1034  del  1971  alla  concessione  di
finanziamenti e agevolazioni finanziarie da parte dell'ente pubblico,
senza fare menzione del citato art. 12. 
    Questo orientamento giurisprudenziale trova una  delle  sue  piu'
compiute espressioni nella sentenza della Corte di cassazione, resa a
Sezioni Unite, n. 12641 del 2008, della quale si trascrive  il  passo
interessato: 
        «Qui si discute solo, invece, se l'oggetto  di  tale  disputa
sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo, oppure se  -  per
adoperare un'espressione  della  decisione  impugnata  -  si  sia  in
presenza di "un nodo gordiano tra posizioni di diritto soggettivo  ed
interesse legittimo" da cui  debba  farsi  discendere  l'affermazione
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 
    3.  Quest'ultima  ipotesi,  che  il  Consiglio  di  Stato  (nella
decisione non definitiva pubblicata il 16 febbraio 2005 con la  quale
era stata rigettata  l'eccezione  di  difetto  di  giurisdizione  del
giudice amministrativo,  n.d.r)  formula  richiamando  la  previsione
della legge n. 1034  del  1971,  art.  5,  in  tema  di  controversie
attinenti alla concessione di beni pubblici, non sembra pero' affatto
condivisibile, perche' non lo e' l'equiparazione tra  concessione  di
beni ed erogazione di  denaro.  Che  anche  il  denaro  possa  essere
annoverato nella categoria dei beni e' vero; ma questo non  autorizza
a confondere la figura della concessione a privati di beni  pubblici,
che presuppone l'uso temporaneo da parte del concessionario di  detti
beni per le indicate finalita' di pubblico interesse, con quella  del
finanziamento, che implica un tipo di rapporto  giuridico  del  tutto
diverso: in  forza  del  quale  il  finanziato  acquisisce  la  piena
proprieta' del denaro erogatogli ed eventualmente assume l'obbligo di
restituirlo in tutto o in parte  ad  una  determinata  scadenza.  Ben
altrimenti,  nell'uno  e  nell'altro  caso,  le  finalita'  pubbliche
s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato,  e
le ragioni di non agevole distinguibilita' tra posizioni  di  diritto
soggettivo e  d'interesse  legittimo,  che  sottostanno  alla  scelta
legislativa di  attribuire  alla  cognizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo le controversie in  tema  di  concessione  di  beni  o
servizi pubblici (con l'eccezione  di  quelle  indicate  nel  secondo
comma del citato art. 5), non necessariamente ricorrono nei  rapporti
di finanziamento. Ne', d'altronde,  il  carattere  eccezionale  della
giurisdizione esclusiva ne consente l'applicazione al di la' dei casi
indicati dalla legge.». 
    V. - L'indagine dell'ambito rimesso alla cognizione esclusiva del
giudice amministrativo impone di  indagare  l'ambito  sottratto  allo
stesso,   cioe'   quello   delle   «indennita',   canoni   ed   altri
corrispettivi». 
    La formulazione della deroga prevista dall'art. 5 della legge  n.
1034 del 1971, in un periodo in cui la concessione di beni riguardava
solo beni demaniali e del  patrimonio  indisponibile,  individua  con
evidenza plastica la differenza fra le controversie  attribuite  alla
cognizione del giudice amministrativo e quelle assegnate  al  giudice
ordinario: le prime riguardano il bene  demaniale  o  del  patrimonio
indisponibile, le seconde riguardano  una  res  fisicamente  diversa,
cioe' il corrispettivo. 
    La  differenziazione   degli   ambiti,   nella   concessione   di
sovvenzioni ed agevolazioni finanziarie, non e'  plasticamente  cosi'
evidente, ma sussiste parimenti. 
    Se la concessione riguarda un bene (il denaro al  pari  del  bene
demaniale o del patrimonio indisponibile), la revoca o  la  decadenza
(che  nella  concessione  di  beni  del  demanio  o  del   patrimonio
indisponibile  non  riguardano  con  evidenza  corrispettivi)   nella
concessione di sovvenzioni  ed  agevolazioni  finanziarie  riguardano
anch'esse il bene attribuito,  non  il  corrispettivo  del  godimento
dello stesso. 
    A seguito  dell'intervento  sull'attribuzione,  sorge  il  dovere
della restituzione, che non riguarda pero' un corrispettivo, dato che
il venir meno del titolo  dell'attribuzione  comporta  il  dovere  di
restituire  il  bene  attribuito  cioe'  il  denaro  erogato;  questo
costituisce,  al  momento  della  erogazione  e   in   quello   della
restituzione, l'oggetto della concessione, non il (canone, indennita'
o altro) corrispettivo del godimento. 
    VI.  -  Fermo  restando  che   la   legittimita'   costituzionale
dell'attribuzione  al  giudice  amministrativo  della   giurisdizione
esclusiva quanto alla concessione di  beni  e  servizi  pubblici,  ad
opera dell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971,  e'  stata  affermata
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, l'art.  12
della legge n. 241 del 1990 e'  una  «norma  sulla  giurisdizione»  e
comporta di conseguenza l'estensione  della  giurisdizione  esclusiva
alle controversie  relative  alla  utilizzazione  del  bene  pubblico
«denaro» a mezzo di sovvenzioni, finanziamenti ecc. ...? 
    Se e' vero che il citato art. 12 non disciplina espressamente  il
riparto di giurisdizione, e'  altrettanto  vero  che  l'ambito  delle
questioni disciplinato da  una  «norma  sulla  giurisdizione»  (nella
specie l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971)  puo'  essere  ampliato
dal legislatore, con la conseguenza che e'  ampliato  l'ambito  della
disposizione che regola il riparto di giurisdizione e quindi l'ambito
rimesso ad un certo giudice. 
    E' questa  una  situazione  logica  riconducibile  al  sillogismo
aristotelico   (date   due   premesse   segue   necessariamente   una
conseguenza) o alla categoria matematica della  «transitive  property
of equality». 
    Le due premesse sono: 1) l'attribuzione alla cognizione esclusiva
del giudice amministrativo delle concessioni di beni pubblici; 2)  la
ricomprensione delle sovvenzioni di denaro pubblico (indubitabilmente
un bene  pubblico  se  appartiene  ad  un  soggetto  pubblico)  nella
concessione di beni; la conseguenza e' l'attribuzione alla cognizione
esclusiva del giudice  amministrativo  delle  sovvenzioni  di  denaro
pubblico, in quanto ricomprese nella concessione di beni pubblici. 
    Ancora, si potrebbe obiettare che l'art. 5 della  legge  n.  1034
del 1971 e' una norma di carattere  eccezionale,  quindi  di  stretta
interpretazione (e' questo un argomento speso  dalla  sentenza  della
Corte di Cassazione n. 12641 del 2008). 
    L'ampliamento   della   giurisdizione   esclusiva   del   giudice
amministrativo, pero', non riviene dall'interpretazione estensiva del
citato art.  5,  ma  dall'ampliamento  dell'ambito  di  questa  norma
operato dal legislatore con l'art. 12 citato. 
    Questo  percorso  interpretativo  e'   tuttavia   categoricamente
escluso dalla Corte di Cassazione, che - da ultimo  -  nell'ordinanza
n.  15941  del  2014   ha   ritenuto   sottratte   all'ambito   della
giurisdizione esclusiva  le  controversie  relative  alla  revoca  di
sovvenzioni in denaro pubblico. 
    VII.  -  Un  orientamento  altrettanto  univoco  non   e'   stato
facilmente raggiunto dal giudice amministrativo. 
    La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 517 del
2013, ha rimesso all'Adunanza Plenaria  la  questione  relativa  alla
individuazione  del  giudice  avente  giurisdizione   sulla   domanda
relativa all'impugnazione della revoca dei contributi o  agevolazioni
concesse alle imprese, ipotizzando sia la giurisdizione esclusiva del
giudice  amministrativo   in   forza   della   ricomprensione   delle
sovvenzioni ecc. nel novero delle concessioni prevista  dall'art.  12
della legge n. 241 del 1990, sia ipotizzando  che  la  revoca  di  un
beneficio concreti l'esercizio del  potere  di  autotutela  e  incida
quindi un interesse legittimo, evidenziando altresi' il rilievo della
norma di delega contenuta nell'art. 44 della legge n. 69 del 2009. 
    L'Adunanza Plenaria, con la decisione n. 17 del 2013,  ha  deciso
la vicenda ritenendo  che  l'atto  di  revoca  impugnato  costituisse
esercizio di  un  potere  discrezionale  e  quindi  incidesse  su  un
interesse legittimo. 
    All'epoca, quindi, il giudice amministrativo non  aveva  maturato
un orientamento consolidato in ordine alla ricomprensione nell'ambito
della giurisdizione esclusiva, o all'esclusione dallo  stesso,  delle
controversie relative alla revoca di sovvenzioni, finanziamenti  ecc.
Questo esclude che il codice del processo amministrativo abbia inteso
applicare la la previsione dell'art. 44, primo comma, della legge  n.
69 del 2009 («Il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla
data di entrata in vigore della presente legge, uno  o  piu'  decreti
legislativi  per  il  riassetto  del  processo  avanti  ai  tribunali
amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare
le norme vigenti alla giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e
delle giurisdizioni superiori ...»). 
    Infatti, mentre la giurisdizione superiore civile aveva all'epoca
maturato un orientamento consolidato, questo non era avvenuto per  la
giurisdizione superiore amministrativa. 
    Di recente e' intervenuta la decisione dell'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato 5 aprile 2014, n.  6  (adottata  a  seguito  della
ordinanza di rimessione della VI Sezione 15 luglio 2013, n. 3789), la
quale spende due argomenti a sostegno della giurisdizione del giudice
ordinario in tema di controversie relative ad atti che incidono sugli
effetti  dell'attribuzione  a  privati  o  enti  pubblici,  da  parte
dell'amministrazione, di sovvenzioni, finanziamenti ecc. 
    I due argomenti in questione sono: 
        1) la diversa natura  giuridica  delle  sovvenzioni  rispetto
alle concessioni (per l'irrilevanza della definizione di  concessioni
portata dall'art. 12 della  legge  n.  241  del  1990)  e  quindi  la
sottrazione delle prime alla disciplina  portata  dall'art.  5  della
legge n. 1034 del 1971; 
        2)  l'esclusione   delle   sovvenzioni   dal   novero   delle
concessioni (e quindi dalla regola dettata per le seconde in tema  di
giurisdizione) ad opera dell'art. 133, lettera z-sexies,  del  d.lgs.
n. 104 del 2010. La disciplina dettata per specifiche sovvenzioni  da
questa disposizione sarebbe infatti inutile se tutte  le  sovvenzioni
fossero qualificabili come concessioni. 
    Il  primo  argomento   e'   stato   ampiamente   trattato   nella
giurisprudenza della Corte di Cassazione. 
    In ordine al secondo, si rileva  che  l'art.  133,  primo  comma,
lettera z-sexies, del codice del  processo  amministrativo  e'  stato
introdotto dall'art. 49, secondo comma, della legge 24 dicembre 2012,
n.  234,  che  attribuisce  alla  cognizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo  «le   controversie   relative   agli   atti   ed   ai
provvedimenti  che   concedono   aiuti   di   Stato   in   violazione
dell'articolo  108,  paragrafo  3,  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e  i
provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero  di
cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n.  659/1999  del  Consiglio
del 22 marzo  1999,  a  prescindere  dalla  forma  dell'aiuto  e  dal
soggetto che l'ha concesso». 
    La ragione dell'inserzione nell'ordinamento di  una  disposizione
che  prevede  l'attribuzione  alla  giurisdizione  esclusiva  di  una
species di controversie, anche nell'ipotesi che questa rientri in  un
piu'  ampio  genus  ascritto   alla   giurisdizione   esclusiva,   e'
individuabile ove si faccia riferimento al «diritto  vivente»,  cioe'
allo stato della elaborazione giurisprudenziale. 
    Questa, quale fluisce dal  giudice  della  nomofilachia,  ascrive
alla giurisdizione  ordinaria  senza  tentennamenti  le  controversie
relative a sovvenzioni attribuite e, in particolare, quelle  relative
al recupero  di  sovvenzioni  elargite  in  contrasto  con  «espresse
decisioni della Commissione CEE» (in  tal  senso  la  sentenza  della
Corte di Cassazione, SS.UU. n. 12641 del 2008). 
    E'  quindi  giustificabile  che  il  legislatore  abbia  ribadito
l'ascrizione alla giurisdizione esclusiva delle controversie in  tema
di sovvenzioni, e cio' in  ragione  dell'assenza,  all'epoca,  di  un
orientamento univoco in  tema  di  riparto  della  giurisdizione  sul
punto, nell'ambito  nazionale.  VIII.  -  Si  puo',  in  conclusione,
affermare che le giurisdizioni superiori  civile  ed  amministrativa,
sulla base della differenza ontologica esistente fra  le  concessioni
di beni e servizi e le  concessioni  relative  a  denaro  pubblico  e
quindi della riferibilita' solo ai beni demaniali  e  del  patrimonio
indisponibile della previsione contenuta nell'art. 133, primo  comma,
lettera  b),  c.p.a.,  hanno   raggiunto   un   orientamento   comune
sull'assegnazione  delle  controversie  in   tema   di   agevolazioni
finanziarie al giudice amministrativo: 
        a) se relative al momento genetico del rapporto; 
        b) se attinenti al momento funzionale e l'amministrazione  ha
adottato un provvedimento discrezionale; 
mentre spettano al  giudice  ordinario  quelle  relative  al  momento
funzionale, se l'atto che incide la posizione  del  privato  consegue
alla  violazione  di  impegni  assunti  dallo  stesso  ed  ha  natura
vincolata. Entrambe  le  giurisdizioni  superiori  non  attribuiscono
alcun rilievo alla novella dell'art. 12 della legge n. 241/1990. 
    Questo  orientamento  e'  condiviso   dalle   due   giurisdizioni
superiori (si vedano, da ultimo, la  ordinanza  delle  Sezioni  Unite
della  Corte  di  Cassazione  n.  15941  del  2014  e  la   decisione
dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6  del  2014)  e  si
puo' definire consolidato; costituisce quindi  il  «diritto  vivente»
(sul rilievo del diritto vivente vedi, fra  le  tante,  le  decisioni
della Corte costituzionale numeri 225/2014, 227/2014, 229/2014). 
    Nella specie la  revoca  delle  agevolazioni  concesse  e'  stata
disposta per le seguenti ragioni: 
        1) venir meno del rapporto di fiducia con l'amministrazione; 
        2) acquisto di beni non di nuova fabbricazione; 
        3) utilizzo di fatture gonfiate; 
        4) parte dei beni «agevolati» sono stati distolti prima della
scadenza del periodo quinquennale di utilizzo; 
        5) acquisto di un immobile non ammissibile  ad  agevolazioni.
L'inammissibilita' e' dovuta al fatto che l'impresa acquirente  e  la
venditrice  appartengono  a  due  soci  (Perfetto  Giovanni  Luigi  e
Gianfreda  Anna)  e  questo  determina  «una  situazione  di   totale
controllo diretto delle due societa' considerate»  da  parte  di  una
societa' di fatto fra i due soci indicati; 
        6) la dichiarazione sostitutiva  di  atto  notorio  resa  dal
legale rappresentante (ai fini della  concessione  dell'agevolazione)
e' mendace. 
    La prima ragione addotta a sostegno della revoca e' il venir meno
del rapporto di fiducia con l'amministrazione, cioe' una  valutazione
pienamente discrezionale. 
    Ancora,  la  revoca  e'  stata  disposta   perche'   «il   legale
rappresentante della Perfetto s.r.l. ha rilasciato dichiarazioni  non
veritiere tese a comprovare il possesso dei  requisiti  necessari  ai
fini dell'agevolazione», cioe' per l'assenza di una condizione che ha
determinato la concessione dell'agevolazione. 
    Le  controversie  fra  l'amministrazione  e  il   privato   sulle
valutazioni  discrezionali  che  hanno  portato  alla  revoca   delle
agevolazioni e  sulla  assenza  o  meno  delle  condizioni  richieste
normativamente ai fini della concessione  delle  stesse  agevolazioni
(secondo   l'orientamento   giurisprudenziale   delle   giurisdizioni
superiori) sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo. 
    In ordine alla valutazione discrezionale relativa al «venir  meno
del rapporto di fiducia con l'Amministrazione» si deve, poi, rilevare
che la stessa si fonda su  fatti  che  costituiscono  «inadempimenti»
rispetto alle prescrizioni del D.M. n.  527  del  1995  (ad  esempio,
secondo l'art. 4, primo  comma,  lettera  e)  sono  ammissibili  alle
agevolazioni le  spese  per  «macchinari,  impianti  ed  attrezzature
varie, nuovi di fabbrica ...», sicche' costituisce  un  inadempimento
agli obblighi assunti  l'acquisto  di  macchinari  usati,  contestato
nella specie) e che la verificazione e il rilievo degli  stessi  sono
soggetti al sindacato del giudice ordinario. 
    A prescindere dalla ambivalenza dei fatti richiamati  nei  numeri
da 2 a 5 della elencazione, l'assegnazione al giudice  amministrativo
della controversia relativa alla revoca per  le  ragioni  di  cui  ai
punti 1 e 6  e  l'attribuzione  a  quello  ordinario  della  medesima
controversia per i punti da 2 a  5  comporterebbe  l'inammissibilita'
del ricorso al giudice amministrativo. 
    Posto che una condizione dell'azione e' l'interesse  al  giudizio
(sotto il  profilo  dell'utilita'  ritraibile  dall'accoglimento  del
ricorso), che l'atto incisivo della posizione del privato e' uno solo
e che lo stesso comporta  la  revoca  anche  se  soltanto  una  delle
motivazioni addotte e' fondata, il ricorrente  non  trarrebbe  alcuna
utilita'  dall'accoglimento   del   giudizio   rimesso   al   giudice
amministrativo, perche' in tal caso il provvedimento  (che  non  puo'
essere  scomposto   in   una   pluralita'   di   determinazioni   con
corrispondenti  effetti,  ma  si  articola  in  una   pluralita'   di
considerazioni  poste  a  fondamento  di  una  unica  determinazione)
continuerebbe a produrre effetti siccome fondato sulle considerazioni
rimesse alla cognizione del giudice ordinario. 
    Non si puo'  ritenere  che  il  giudice  amministrativo  potrebbe
conoscere dei punti da 2 a 5 dell'atto impugnato in  via  incidentale
ai sensi dell'art. 8 c.p.a, in quanto  non  si  tratta  di  questioni
pregiudiziali o incidentali ma di questioni delle  quali  il  giudice
conosce in via principale (se e' titolare della potestas iudicandi). 
    Quanto sopra porterebbe a ritenere la rilevanza  della  questione
di costituzionalita' della norma che, non ricomprendendo  nell'ambito
della  giurisdizione  esclusiva  le  controversie  relative  a   «...
concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili  finanziari
e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a  persone
ed enti pubblici e privati ...», determina la  situazione  di  specie
(art. 133, primo comma,  lettera  b),  c.p.a.:  «Sono  devolute  alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,  salvo  ulteriori
previsioni di legge: 
        ... b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti
relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ...»). 
    La interpretazione dell'atto impugnato come  una  entita'  unica,
non scomponibile in ragione della molteplicita' delle ragioni poste a
base dell'unica determinazione, tuttavia puo' non essere condivisa. 
    Questa ipotesi e' tanto  piu'  giustificata  ove  la  vicenda  in
questione venga esaminata al tempo stesso  dal  punto  di  vista  del
giudizio amministrativo (adito nella specie) e dal punto di vista del
giudizio civile  (nel  quale  dovrebbero  essere  vagliate  le  altre
ragioni poste a base della disposta revoca). 
    Posto   che   l'interesse   al   giudizio,   nella   declinazione
dell'utilita'   ritraibile   dallo   stesso,   e'    condizione    di
ammissibilita'  dell'uno  e   dell'altro,   se   l'uno   e   l'altro,
singolarmente   considerati,   non   consentono   la    soddisfazione
dell'interesse dedotto e sono quindi inammissibili, l'evidente aporia
costituita dall'assenza di  tutela  che  nella  specie  l'ordinamento
assicurerebbe porta  a  ritenere  la  scomponibilita'  dell'atto  qui
impugnato in una duplice determinazione, sorretta da separate ragioni
e suscettibile di separate contestazioni. 
    La rilevanza della questione di costituzionalita'  viene  percio'
ad essere  determinata  dall'ostacolo  che  la  norma  sospettata  di
incostituzionalita' costituisce in ordine alla formulazione, da parte
del giudice amministrativo, di un giudizio piu' ampio, nel  quale  si
concentrino le tutele esperibili e che investa di  conseguenza  tutte
le ragioni poste a base  del  provvedimento  impugnato,  sortendo  un
effetto totalmente demolitorio o totalmente validativo. 
    IX. - La norma, per la quale il dubbio di incostituzionalita' non
appare manifestamente infondato, e' l'art. 133, primo comma,  lettera
b) c.p.a., nella parte in cui, secondo il diritto vivente  costituito
dalla  interpretazione  delle  corti   superiori,   non   ricomprende
nell'ambito delle concessioni di beni  le  agevolazioni  finanziarie,
cioe' le concessioni di denaro pubblico. 
    Si sono esaminate tutte le ragioni che, alla stregua del  diritto
vivente, impediscono una interpretazione che escluda il  sospetto  di
incostituzionalita'. 
    La formulazione censurata esclude dall'ambito della giurisdizione
esclusiva del giudice  amministrativo  le  controversie  in  tema  di
diritti   relative   alle   agevolazioni    finanziarie    anzidette,
contraddicendo il  principio  costituzionale  del  «giusto  processo»
sancito dagli artt. 24 e 111 della  Costituzione,  sotto  il  profilo
della concentrazione delle tutele, nonche' quello  di  ragionevolezza
sancito dall'art. 3, in quanto costringerebbe a coltivare due giudizi
avverso  il  medesimo  atto,  in  ragione  della   pluralita'   delle
motivazioni poste a base dello stesso. 
    Quanto alla lesione del principio della «ragionevole  durata  del
processo» o piu' semplicemente del «giusto processo» ad opera di  una
norma  che  comporti  gli  effetti  delineati,  si  richiama   quanto
osservato dalla Corte di Cassazione  nella  ordinanza  delle  Sezioni
Unite n. 12252 del 2009: «Quanto detto costituisce applicazione della
costituzionalizzazione del principio  della  ragionevole  durata  del
processo  (art.  111  Cost.)  che  impone  all'interprete  una  nuova
sensibilita' ed un  nuovo  approccio  interpretativo,  per  cui  ogni
soluzione che si adotti nella risoluzione di  questioni  attinenti  a
norme sullo svolgimento del processo, deve essere verificata non solo
sul piano tradizionale della  sua  coerenza  logico  concettuale,  ma
anche,  e  soprattutto,  per   il   suo   impatto   operativo   sulla
realizzazione di detto obiettivo costituzionale. L'art. 111 Cost., in
combinazione   con   l'art.   24,   esprime   dunque,   quale   mezzo
imprescindibile al fine, un principio di concentrazione delle  tutele
...». 
    Parimenti  la  sentenza  delle  Sezioni  Unite  della  Corte   di
Cassazione  n.  4636  del  2007  ha   ritenuto   «il   principio   di
concentrazione delle tutele insito nell'articolo 111 Cost.». 
    Se il principio  di  concentrazione  delle  tutele  si  presta  a
molteplici interpretazioni, in ragione della varieta'  di  motivi  di
connessione,  e  questo  in  ultima  analisi  chiama  in   causa   la
discrezionalita' del legislatore, nella specie vengono in rilievo non
diritti soggettivi ed interessi legittimi attinenti a diversi profili
di uno stesso rapporto (come avviene quando  un  soggetto  vanti,  in
riferimento alla prestazione di un servizio pubblico, la pretesa alla
revisione prezzi e  alla  corresponsione  di  somme  per  i  maggiori
servizi erogati), ma diritti soggettivi ed interessi  legittimi  lesi
(secondo il privato) da un solo atto in, ragione di una pluralita' di
motivi. 
    E questo, al tempo stesso, sembra ledere il principio del  giusto
processo e porta a dubitare della ragionevolezza  di  una  norma  che
impone di adire due giudici per rimuovere dalla realta' giuridica  un
solo atto. 
    L'art.  133,  primo  comma,  lettera  b),  c.p.a.  sembra   anche
confliggere con l'art. 76  della  Costituzione,  in  quanto  viola  i
criteri dettati dall'art. 44, primo comma,  della  legge  n.  69  del
2009. 
    La norma citata delega al  Governo  «il  riassetto  del  processo
avanti ai  tribunali  amministrativi  regionali  e  al  Consiglio  di
Stato», individuando (nel successivo secondo comma, lettera  a)  come
obiettivo da perseguire  la  «concentrazione  ed  effettivita'  della
tutela» mediante (secondo comma, lettera b), n. 1) il riordino  delle
«norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo,  anche
rispetto alle altre giurisdizioni;». 
    Per le anzidette ragioni va rimessa alla Corte costituzionale  la
questione relativa al contrasto fra l'art. 133, primo comma,  lettera
b), c.p.a., nella parte in cui non comprende le controversie relative
alla  concessione  di  sovvenzioni,  contributi,  sussidi  ed  ausili
finanziari, e gli artt. 3, 24, 111 e 76 della Costituzione.