IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA Lecce - Sezione Prima Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 463 del 2013, proposto da Perfetto Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Andrea Sticchi Damiani in Lecce, via 95 Rgt Fanteria 9, contro Ministero dello sviluppo economico, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Lecce, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi, 23; Per l'annullamento del Decreto Prog. n. 14912/98 CUP B26D98000260005 prot. n. 5, trasmesso a mezzo posta elettronica certificata in data 9 gennaio 2013, adottato il 4 gennaio 2013, con il quale il Ministro dello sviluppo economico, Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, Direzione generale per l'incentivazione delle attivita' imprenditoriali, Div. IX - Grandi progetti d'investimento, sviluppo economico territoriale e finanza d'impresa, ha disposto la revoca del D.M. n. 54282 del 14 agosto 1998 con il quale e' stato concesso in via provvisoria ai sensi della legge n. 488/1992 alla ditta Perfetto S.r.l. un contributo in conto capitale di Euro 648.039,79, nonche' del successivo D.M. n. 109471 del 12 febbraio 2002 con il quale le predette agevolazioni sono state confermate in via definitiva; Di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compreso il provvedimento di comunicazione di avvio del procedimento di revoca prot. n. 30152 del 9 settembre 2011. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dello sviluppo economico; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2014 la dott.ssa Jessica Bonetto e uditi per le parti i difensori Manlio Conte, in sostituzione di Andrea Sticchi Damiani, Simona Libertini. A. - Perfetto s.r.l. chiede l'annullamento del Decreto Prog. n. 14912/1998 CUP B26D98000260005 del 4 gennaio 2013, con il quale il Ministro dello sviluppo economico, Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, Direzione generale per l'incentivazione delle attivita' imprenditoriali, Div. IX - Grandi progetti d'investimento, sviluppo economico territoriale e finanza d'impresa, ha disposto la revoca del D.M. n. 54282 del 14 agosto 1998 e del D.M. n. 109471 del 12 febbraio 2002. Il primo di questi due atti aveva concesso, in via provvisoria ai sensi della legge n. 488/1992, alla ditta Perfetto S.r.l. un contributo in conto capitale di Euro 648.039,79; il secondo aveva confermato in via definitiva la predetta agevolazione. Chiede altresi' l'annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compreso il provvedimento di comunicazione di avvio del procedimento di revoca prot. n. 30152 del 9 settembre 2011. Deduce i seguenti motivi: Erronea presupposizione in fatto e in diritto. Istruttoria carente e/o insufficiente. Violazione del principio di ragionevolezza e del legittimo affidamento. Conclude per l'annullamento, previa sospensione, degli atti impugnati. Si e' costituita in giudizio l'amministrazione intimata. Con ordinanza n. 130 del 2014 e' stata rigettata l'istanza cautelare. All'udienza del 9 ottobre 2014 il ricorso e' stato ritenuto per la decisione. B. - I. - Il D.M. 4 gennaio 2013, n. 5, dispone la revoca delle agevolazioni economiche concesse alla societa' ricorrente per le seguenti ragioni: 1) venir meno del rapporto di fiducia con l'amministrazione; 2) acquisto di beni non di nuova fabbricazione; 3) utilizzo di fatture gonfiate; 4) parte dei beni «agevolati» sono stati distolti prima della scadenza del periodo quinquennale di utilizzo; 5) acquisto di un immobile non ammissibile ad agevolazioni. L'inammissibilita' e' determinata dalla circostanza che l'impresa acquirente e la venditrice appartengono a due soci (Perfetto Giovanni Luigi e Gianfreda Anna) e questo determina «una situazione di totale controllo diretto delle due societa' considerate» da parte di una societa' di fatto fra i due soci indicati; 6) la dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal legale rappresentante (ai fini della concessione dell'agevolazione) e' mendace. La molteplicita' delle ragioni addotte a sostegno della revoca impone di individuare il giudice che di ognuna possa conoscere. II. - Il giudice della nomofilachia distingue (ai fini del riparto di giurisdizione) gli atti che incidono su vantaggi attribuiti dall'amministrazione a seconda che attengano al momento genetico del rapporto o all'evoluzione dello stesso ed a seconda che, in questa seconda ipotesi, l'attivita' amministrativa sia vincolata o discrezionale. Ha percio' ritenuto che le controversie relative ad interventi che incidono sul momento genetico spettano alla cognizione del giudice amministrativo, atteso che a fronte di un intervento del genere (determinato dalla mancanza delle condizioni previste dalla legge o da quant'altro sia a cio' assimilabile) sussiste un interesse legittimo. L'intervento che influisce sulla evoluzione del rapporto incide, invece, sulla pretesa ad ottenere la prestazione oggetto dell'atto attributivo, pretesa qualificabile come interesse legittimo se l'incisione e' operata dall'amministrazione a seguito di una valutazione discrezionale, come diritto soggettivo se l'amministrazione adotta un atto vincolato. La diversa qualificazione della posizione del privato, a seconda che l'attivita' dell'amministrazione sia discrezionale o vincolata, e' chiara, fra le tante, nelle sentenze rese dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12641 del 2008, n. 24409 del 2011, n. 1776 del 2013. Questo iter logico e' percorso dal giudice della nomofilachia sia che all'atto attributivo non faccia seguito un rapporto contrattuale (situazione alla quale si riferiscono le sentenze indicate), ed in tal caso il binomio diritto - obbligo si articola nella pretesa dell'amministrazione al rispetto degli impegni assunti con la partecipazione al procedimento e nell'obbligo del beneficiario di rispettare gli stessi; sia che all'atto segua un contratto e la pretesa alla prestazione da un lato, e alla controprestazione dall'altro, si radichi in questo. Tale ultimo orientamento e' presente nelle pronunce che si sono occupate della decadenza dall'assegnazione degli alloggi economici e popolari disposta a seguito della mancata occupazione degli stessi da parte degli assegnatari (Cass. SS. UU., n. 2999 del 1962, n. 10829 del 1993, n. 13459 del 2005). In sintesi, l'amministrazione puo' intervenire sui vantaggi attribuiti in precedenza se: incide sull'atto attributivo per vizi originari dello stesso; incide sull'evoluzione del rapporto (non concretatasi in un contratto) per l'inottemperanza agli impegni assunti dal beneficiario, in base ad una valutazione vincolata; incide sull'evoluzione del rapporto (non concretatasi in un contratto) per l'inottemperanza agli impegni assunti dal beneficiario, in base ad una valutazione discrezionale; incide sull'evoluzione del rapporto (concretatasi in un contratto) per la violazione degli impegni assunti dal privato. Fermo restando che l'intervento su un atto per vizi originari dello stesso incontra un interesse legittimo (ed e' percio' conosciuto dal giudice amministrativo), la qualificazione come vincolato dell'atto che incide su vantaggi gia' attribuiti, ove l'incisione non si basi su un assetto contrattualmente definito, non comporta necessariamente la configurazione come diritto soggettivo della posizione del privato. Sembra, infatti, necessario indagare la finalita' perseguita dalla norma e quindi la consistenza come diritto o interesse legittimo della relativa pretesa. III. - L'intreccio fra diritti soggettivi e interessi legittimi, quando al privato sono attribuiti vantaggi che hanno ad oggetto beni o servizi pubblici e quando su tali vantaggi l'amministrazione viene ad incidere nel corso del rapporto con effetto ex nunc, ha portato il legislatore a prevedere, con l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia delle concessioni di beni e di servizi pubblici, tranne che nelle ipotesi espressamente previste («le controversie concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi»), ipotesi nelle quali l'intreccio e' escluso. Il fine perseguito e' stato, evidentemente, quello di permettere facilmente l'individuazione del giudice fornito di giurisdizione, evitando una diseconomia giudiziaria, l'impegno nell'individuazione del giudice «competente» di mezzi piu' proficuamente utilizzabili nella definizione delle controversie, in sintesi quello di perseguire l'obiettivo del giusto processo, consacrato poi nell'art. 111 della Costituzione. IV. - La semplificazione del quadro cognitivo e conseguentemente di quello operativo ha incontrato delle difficolta', frapposte principalmente dalla varieta' delle situazioni nelle quali l'amministrazione pubblica attribuisce vantaggi ai privati e quindi dai dubbi circa la riconducibilita' delle varie situazioni al genus delle concessioni amministrative di' beni e servizi. E' nozione da lungi acquisita che la concessione riguarda i beni ed i servizi pubblici e che i beni pubblici concedibili sono i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile. L'elaborazione dottrinaria ha individuato espressamente ipotesi di concessione solo in relazione a questi beni (si veda Ranelletti: Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Concetto e natura, in Giur. It., 1894; Forti: Natura giuridica delle concessioni amministrative, in Studi di diritto pubblico, Roma 1937; Silvestri: Natura giuridica dei diritti nascenti dalle concessioni amministrative di beni demaniali, Milano 1950); e questo non solo in Italia (si veda Stengel: Konzessionen, in Worterbuch des deutschland Staats - und Verwaltungsrecht, Tubingen 1913). Dell'adesione a tale indirizzo da parte della giurisprudenza e' ampia prova nella produzione della Corte di Cassazione, prima sinteticamente citata. Ha quindi portata innovativa l'art. 12 della legge n. 241 del 1990, che qualifica come concessioni le «sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati». La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, tuttavia, continuato ad escludere l'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 alla concessione di finanziamenti e agevolazioni finanziarie da parte dell'ente pubblico, senza fare menzione del citato art. 12. Questo orientamento giurisprudenziale trova una delle sue piu' compiute espressioni nella sentenza della Corte di cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 12641 del 2008, della quale si trascrive il passo interessato: «Qui si discute solo, invece, se l'oggetto di tale disputa sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo, oppure se - per adoperare un'espressione della decisione impugnata - si sia in presenza di "un nodo gordiano tra posizioni di diritto soggettivo ed interesse legittimo" da cui debba farsi discendere l'affermazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 3. Quest'ultima ipotesi, che il Consiglio di Stato (nella decisione non definitiva pubblicata il 16 febbraio 2005 con la quale era stata rigettata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, n.d.r) formula richiamando la previsione della legge n. 1034 del 1971, art. 5, in tema di controversie attinenti alla concessione di beni pubblici, non sembra pero' affatto condivisibile, perche' non lo e' l'equiparazione tra concessione di beni ed erogazione di denaro. Che anche il denaro possa essere annoverato nella categoria dei beni e' vero; ma questo non autorizza a confondere la figura della concessione a privati di beni pubblici, che presuppone l'uso temporaneo da parte del concessionario di detti beni per le indicate finalita' di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso: in forza del quale il finanziato acquisisce la piena proprieta' del denaro erogatogli ed eventualmente assume l'obbligo di restituirlo in tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben altrimenti, nell'uno e nell'altro caso, le finalita' pubbliche s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni di non agevole distinguibilita' tra posizioni di diritto soggettivo e d'interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di concessione di beni o servizi pubblici (con l'eccezione di quelle indicate nel secondo comma del citato art. 5), non necessariamente ricorrono nei rapporti di finanziamento. Ne', d'altronde, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva ne consente l'applicazione al di la' dei casi indicati dalla legge.». V. - L'indagine dell'ambito rimesso alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo impone di indagare l'ambito sottratto allo stesso, cioe' quello delle «indennita', canoni ed altri corrispettivi». La formulazione della deroga prevista dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, in un periodo in cui la concessione di beni riguardava solo beni demaniali e del patrimonio indisponibile, individua con evidenza plastica la differenza fra le controversie attribuite alla cognizione del giudice amministrativo e quelle assegnate al giudice ordinario: le prime riguardano il bene demaniale o del patrimonio indisponibile, le seconde riguardano una res fisicamente diversa, cioe' il corrispettivo. La differenziazione degli ambiti, nella concessione di sovvenzioni ed agevolazioni finanziarie, non e' plasticamente cosi' evidente, ma sussiste parimenti. Se la concessione riguarda un bene (il denaro al pari del bene demaniale o del patrimonio indisponibile), la revoca o la decadenza (che nella concessione di beni del demanio o del patrimonio indisponibile non riguardano con evidenza corrispettivi) nella concessione di sovvenzioni ed agevolazioni finanziarie riguardano anch'esse il bene attribuito, non il corrispettivo del godimento dello stesso. A seguito dell'intervento sull'attribuzione, sorge il dovere della restituzione, che non riguarda pero' un corrispettivo, dato che il venir meno del titolo dell'attribuzione comporta il dovere di restituire il bene attribuito cioe' il denaro erogato; questo costituisce, al momento della erogazione e in quello della restituzione, l'oggetto della concessione, non il (canone, indennita' o altro) corrispettivo del godimento. VI. - Fermo restando che la legittimita' costituzionale dell'attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva quanto alla concessione di beni e servizi pubblici, ad opera dell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, e' stata affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, l'art. 12 della legge n. 241 del 1990 e' una «norma sulla giurisdizione» e comporta di conseguenza l'estensione della giurisdizione esclusiva alle controversie relative alla utilizzazione del bene pubblico «denaro» a mezzo di sovvenzioni, finanziamenti ecc. ...? Se e' vero che il citato art. 12 non disciplina espressamente il riparto di giurisdizione, e' altrettanto vero che l'ambito delle questioni disciplinato da una «norma sulla giurisdizione» (nella specie l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971) puo' essere ampliato dal legislatore, con la conseguenza che e' ampliato l'ambito della disposizione che regola il riparto di giurisdizione e quindi l'ambito rimesso ad un certo giudice. E' questa una situazione logica riconducibile al sillogismo aristotelico (date due premesse segue necessariamente una conseguenza) o alla categoria matematica della «transitive property of equality». Le due premesse sono: 1) l'attribuzione alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo delle concessioni di beni pubblici; 2) la ricomprensione delle sovvenzioni di denaro pubblico (indubitabilmente un bene pubblico se appartiene ad un soggetto pubblico) nella concessione di beni; la conseguenza e' l'attribuzione alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo delle sovvenzioni di denaro pubblico, in quanto ricomprese nella concessione di beni pubblici. Ancora, si potrebbe obiettare che l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 e' una norma di carattere eccezionale, quindi di stretta interpretazione (e' questo un argomento speso dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 12641 del 2008). L'ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, pero', non riviene dall'interpretazione estensiva del citato art. 5, ma dall'ampliamento dell'ambito di questa norma operato dal legislatore con l'art. 12 citato. Questo percorso interpretativo e' tuttavia categoricamente escluso dalla Corte di Cassazione, che - da ultimo - nell'ordinanza n. 15941 del 2014 ha ritenuto sottratte all'ambito della giurisdizione esclusiva le controversie relative alla revoca di sovvenzioni in denaro pubblico. VII. - Un orientamento altrettanto univoco non e' stato facilmente raggiunto dal giudice amministrativo. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 517 del 2013, ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione relativa alla individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda relativa all'impugnazione della revoca dei contributi o agevolazioni concesse alle imprese, ipotizzando sia la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in forza della ricomprensione delle sovvenzioni ecc. nel novero delle concessioni prevista dall'art. 12 della legge n. 241 del 1990, sia ipotizzando che la revoca di un beneficio concreti l'esercizio del potere di autotutela e incida quindi un interesse legittimo, evidenziando altresi' il rilievo della norma di delega contenuta nell'art. 44 della legge n. 69 del 2009. L'Adunanza Plenaria, con la decisione n. 17 del 2013, ha deciso la vicenda ritenendo che l'atto di revoca impugnato costituisse esercizio di un potere discrezionale e quindi incidesse su un interesse legittimo. All'epoca, quindi, il giudice amministrativo non aveva maturato un orientamento consolidato in ordine alla ricomprensione nell'ambito della giurisdizione esclusiva, o all'esclusione dallo stesso, delle controversie relative alla revoca di sovvenzioni, finanziamenti ecc. Questo esclude che il codice del processo amministrativo abbia inteso applicare la la previsione dell'art. 44, primo comma, della legge n. 69 del 2009 («Il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori ...»). Infatti, mentre la giurisdizione superiore civile aveva all'epoca maturato un orientamento consolidato, questo non era avvenuto per la giurisdizione superiore amministrativa. Di recente e' intervenuta la decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 5 aprile 2014, n. 6 (adottata a seguito della ordinanza di rimessione della VI Sezione 15 luglio 2013, n. 3789), la quale spende due argomenti a sostegno della giurisdizione del giudice ordinario in tema di controversie relative ad atti che incidono sugli effetti dell'attribuzione a privati o enti pubblici, da parte dell'amministrazione, di sovvenzioni, finanziamenti ecc. I due argomenti in questione sono: 1) la diversa natura giuridica delle sovvenzioni rispetto alle concessioni (per l'irrilevanza della definizione di concessioni portata dall'art. 12 della legge n. 241 del 1990) e quindi la sottrazione delle prime alla disciplina portata dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971; 2) l'esclusione delle sovvenzioni dal novero delle concessioni (e quindi dalla regola dettata per le seconde in tema di giurisdizione) ad opera dell'art. 133, lettera z-sexies, del d.lgs. n. 104 del 2010. La disciplina dettata per specifiche sovvenzioni da questa disposizione sarebbe infatti inutile se tutte le sovvenzioni fossero qualificabili come concessioni. Il primo argomento e' stato ampiamente trattato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. In ordine al secondo, si rileva che l'art. 133, primo comma, lettera z-sexies, del codice del processo amministrativo e' stato introdotto dall'art. 49, secondo comma, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che attribuisce alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l'ha concesso». La ragione dell'inserzione nell'ordinamento di una disposizione che prevede l'attribuzione alla giurisdizione esclusiva di una species di controversie, anche nell'ipotesi che questa rientri in un piu' ampio genus ascritto alla giurisdizione esclusiva, e' individuabile ove si faccia riferimento al «diritto vivente», cioe' allo stato della elaborazione giurisprudenziale. Questa, quale fluisce dal giudice della nomofilachia, ascrive alla giurisdizione ordinaria senza tentennamenti le controversie relative a sovvenzioni attribuite e, in particolare, quelle relative al recupero di sovvenzioni elargite in contrasto con «espresse decisioni della Commissione CEE» (in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU. n. 12641 del 2008). E' quindi giustificabile che il legislatore abbia ribadito l'ascrizione alla giurisdizione esclusiva delle controversie in tema di sovvenzioni, e cio' in ragione dell'assenza, all'epoca, di un orientamento univoco in tema di riparto della giurisdizione sul punto, nell'ambito nazionale. VIII. - Si puo', in conclusione, affermare che le giurisdizioni superiori civile ed amministrativa, sulla base della differenza ontologica esistente fra le concessioni di beni e servizi e le concessioni relative a denaro pubblico e quindi della riferibilita' solo ai beni demaniali e del patrimonio indisponibile della previsione contenuta nell'art. 133, primo comma, lettera b), c.p.a., hanno raggiunto un orientamento comune sull'assegnazione delle controversie in tema di agevolazioni finanziarie al giudice amministrativo: a) se relative al momento genetico del rapporto; b) se attinenti al momento funzionale e l'amministrazione ha adottato un provvedimento discrezionale; mentre spettano al giudice ordinario quelle relative al momento funzionale, se l'atto che incide la posizione del privato consegue alla violazione di impegni assunti dallo stesso ed ha natura vincolata. Entrambe le giurisdizioni superiori non attribuiscono alcun rilievo alla novella dell'art. 12 della legge n. 241/1990. Questo orientamento e' condiviso dalle due giurisdizioni superiori (si vedano, da ultimo, la ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 15941 del 2014 e la decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 2014) e si puo' definire consolidato; costituisce quindi il «diritto vivente» (sul rilievo del diritto vivente vedi, fra le tante, le decisioni della Corte costituzionale numeri 225/2014, 227/2014, 229/2014). Nella specie la revoca delle agevolazioni concesse e' stata disposta per le seguenti ragioni: 1) venir meno del rapporto di fiducia con l'amministrazione; 2) acquisto di beni non di nuova fabbricazione; 3) utilizzo di fatture gonfiate; 4) parte dei beni «agevolati» sono stati distolti prima della scadenza del periodo quinquennale di utilizzo; 5) acquisto di un immobile non ammissibile ad agevolazioni. L'inammissibilita' e' dovuta al fatto che l'impresa acquirente e la venditrice appartengono a due soci (Perfetto Giovanni Luigi e Gianfreda Anna) e questo determina «una situazione di totale controllo diretto delle due societa' considerate» da parte di una societa' di fatto fra i due soci indicati; 6) la dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal legale rappresentante (ai fini della concessione dell'agevolazione) e' mendace. La prima ragione addotta a sostegno della revoca e' il venir meno del rapporto di fiducia con l'amministrazione, cioe' una valutazione pienamente discrezionale. Ancora, la revoca e' stata disposta perche' «il legale rappresentante della Perfetto s.r.l. ha rilasciato dichiarazioni non veritiere tese a comprovare il possesso dei requisiti necessari ai fini dell'agevolazione», cioe' per l'assenza di una condizione che ha determinato la concessione dell'agevolazione. Le controversie fra l'amministrazione e il privato sulle valutazioni discrezionali che hanno portato alla revoca delle agevolazioni e sulla assenza o meno delle condizioni richieste normativamente ai fini della concessione delle stesse agevolazioni (secondo l'orientamento giurisprudenziale delle giurisdizioni superiori) sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo. In ordine alla valutazione discrezionale relativa al «venir meno del rapporto di fiducia con l'Amministrazione» si deve, poi, rilevare che la stessa si fonda su fatti che costituiscono «inadempimenti» rispetto alle prescrizioni del D.M. n. 527 del 1995 (ad esempio, secondo l'art. 4, primo comma, lettera e) sono ammissibili alle agevolazioni le spese per «macchinari, impianti ed attrezzature varie, nuovi di fabbrica ...», sicche' costituisce un inadempimento agli obblighi assunti l'acquisto di macchinari usati, contestato nella specie) e che la verificazione e il rilievo degli stessi sono soggetti al sindacato del giudice ordinario. A prescindere dalla ambivalenza dei fatti richiamati nei numeri da 2 a 5 della elencazione, l'assegnazione al giudice amministrativo della controversia relativa alla revoca per le ragioni di cui ai punti 1 e 6 e l'attribuzione a quello ordinario della medesima controversia per i punti da 2 a 5 comporterebbe l'inammissibilita' del ricorso al giudice amministrativo. Posto che una condizione dell'azione e' l'interesse al giudizio (sotto il profilo dell'utilita' ritraibile dall'accoglimento del ricorso), che l'atto incisivo della posizione del privato e' uno solo e che lo stesso comporta la revoca anche se soltanto una delle motivazioni addotte e' fondata, il ricorrente non trarrebbe alcuna utilita' dall'accoglimento del giudizio rimesso al giudice amministrativo, perche' in tal caso il provvedimento (che non puo' essere scomposto in una pluralita' di determinazioni con corrispondenti effetti, ma si articola in una pluralita' di considerazioni poste a fondamento di una unica determinazione) continuerebbe a produrre effetti siccome fondato sulle considerazioni rimesse alla cognizione del giudice ordinario. Non si puo' ritenere che il giudice amministrativo potrebbe conoscere dei punti da 2 a 5 dell'atto impugnato in via incidentale ai sensi dell'art. 8 c.p.a, in quanto non si tratta di questioni pregiudiziali o incidentali ma di questioni delle quali il giudice conosce in via principale (se e' titolare della potestas iudicandi). Quanto sopra porterebbe a ritenere la rilevanza della questione di costituzionalita' della norma che, non ricomprendendo nell'ambito della giurisdizione esclusiva le controversie relative a «... concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ...», determina la situazione di specie (art. 133, primo comma, lettera b), c.p.a.: «Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: ... b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ...»). La interpretazione dell'atto impugnato come una entita' unica, non scomponibile in ragione della molteplicita' delle ragioni poste a base dell'unica determinazione, tuttavia puo' non essere condivisa. Questa ipotesi e' tanto piu' giustificata ove la vicenda in questione venga esaminata al tempo stesso dal punto di vista del giudizio amministrativo (adito nella specie) e dal punto di vista del giudizio civile (nel quale dovrebbero essere vagliate le altre ragioni poste a base della disposta revoca). Posto che l'interesse al giudizio, nella declinazione dell'utilita' ritraibile dallo stesso, e' condizione di ammissibilita' dell'uno e dell'altro, se l'uno e l'altro, singolarmente considerati, non consentono la soddisfazione dell'interesse dedotto e sono quindi inammissibili, l'evidente aporia costituita dall'assenza di tutela che nella specie l'ordinamento assicurerebbe porta a ritenere la scomponibilita' dell'atto qui impugnato in una duplice determinazione, sorretta da separate ragioni e suscettibile di separate contestazioni. La rilevanza della questione di costituzionalita' viene percio' ad essere determinata dall'ostacolo che la norma sospettata di incostituzionalita' costituisce in ordine alla formulazione, da parte del giudice amministrativo, di un giudizio piu' ampio, nel quale si concentrino le tutele esperibili e che investa di conseguenza tutte le ragioni poste a base del provvedimento impugnato, sortendo un effetto totalmente demolitorio o totalmente validativo. IX. - La norma, per la quale il dubbio di incostituzionalita' non appare manifestamente infondato, e' l'art. 133, primo comma, lettera b) c.p.a., nella parte in cui, secondo il diritto vivente costituito dalla interpretazione delle corti superiori, non ricomprende nell'ambito delle concessioni di beni le agevolazioni finanziarie, cioe' le concessioni di denaro pubblico. Si sono esaminate tutte le ragioni che, alla stregua del diritto vivente, impediscono una interpretazione che escluda il sospetto di incostituzionalita'. La formulazione censurata esclude dall'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di diritti relative alle agevolazioni finanziarie anzidette, contraddicendo il principio costituzionale del «giusto processo» sancito dagli artt. 24 e 111 della Costituzione, sotto il profilo della concentrazione delle tutele, nonche' quello di ragionevolezza sancito dall'art. 3, in quanto costringerebbe a coltivare due giudizi avverso il medesimo atto, in ragione della pluralita' delle motivazioni poste a base dello stesso. Quanto alla lesione del principio della «ragionevole durata del processo» o piu' semplicemente del «giusto processo» ad opera di una norma che comporti gli effetti delineati, si richiama quanto osservato dalla Corte di Cassazione nella ordinanza delle Sezioni Unite n. 12252 del 2009: «Quanto detto costituisce applicazione della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) che impone all'interprete una nuova sensibilita' ed un nuovo approccio interpretativo, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo, deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione di detto obiettivo costituzionale. L'art. 111 Cost., in combinazione con l'art. 24, esprime dunque, quale mezzo imprescindibile al fine, un principio di concentrazione delle tutele ...». Parimenti la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4636 del 2007 ha ritenuto «il principio di concentrazione delle tutele insito nell'articolo 111 Cost.». Se il principio di concentrazione delle tutele si presta a molteplici interpretazioni, in ragione della varieta' di motivi di connessione, e questo in ultima analisi chiama in causa la discrezionalita' del legislatore, nella specie vengono in rilievo non diritti soggettivi ed interessi legittimi attinenti a diversi profili di uno stesso rapporto (come avviene quando un soggetto vanti, in riferimento alla prestazione di un servizio pubblico, la pretesa alla revisione prezzi e alla corresponsione di somme per i maggiori servizi erogati), ma diritti soggettivi ed interessi legittimi lesi (secondo il privato) da un solo atto in, ragione di una pluralita' di motivi. E questo, al tempo stesso, sembra ledere il principio del giusto processo e porta a dubitare della ragionevolezza di una norma che impone di adire due giudici per rimuovere dalla realta' giuridica un solo atto. L'art. 133, primo comma, lettera b), c.p.a. sembra anche confliggere con l'art. 76 della Costituzione, in quanto viola i criteri dettati dall'art. 44, primo comma, della legge n. 69 del 2009. La norma citata delega al Governo «il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato», individuando (nel successivo secondo comma, lettera a) come obiettivo da perseguire la «concentrazione ed effettivita' della tutela» mediante (secondo comma, lettera b), n. 1) il riordino delle «norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni;». Per le anzidette ragioni va rimessa alla Corte costituzionale la questione relativa al contrasto fra l'art. 133, primo comma, lettera b), c.p.a., nella parte in cui non comprende le controversie relative alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari, e gli artt. 3, 24, 111 e 76 della Costituzione.