TRIBUNALE DI MILANO 
                        Sezione Terza Civile 
 
    Il Tribunale, riunito in camera di consiglio e composto da: 
        dott. Cesare de Sapia, Presidente rel.; 
        dott. Giuseppe Blumetti, giudice; 
        dott.ssa Maria Gabriella Mennuni, giudice, 
in relazione  all'istanza  di  ricusazione  ex  art.  52  c.p.c.  nei
confronti del giudice dott. Nicola  Greco,  depositata  dalla  sig.ra
Scotti Luciana, con  l'avv.  Elena  Brambilla,  nel  procedimento  di
opposizione R.G. 14280/13; 
    Ha emesso la seguente, 
 
                              Ordinanza 
 
    1) Il ricorso per ricusazione ex art. 52  c.p.c.,  depositato  in
data 3 dicembre 2013, e' fondato sul rilievo che il  giudice  sarebbe
incompatibile per la trattazione del procedimento di opposizione,  ex
art. 1, comma 51, legge n. 92/2012, avendo gia' trattato e deciso  il
relativo procedimento sommario, di cui all'art. 1,  commi  48  e  49,
legge citata. 
    2)  A  fondamento  dell'istanza  di  ricusazione  la   ricorrente
richiama la pronuncia della Corte costituzionale n. 387/99,  in  tema
di procedimento ex art.  28,  legge  n.  300/70,  nella  quale  viene
espresso il fondamentale  principio  di  imparzialita'  del  giudice,
previsto per evitare che  lo  stesso  giudice  abbia  a  ripercorrere
l'identico itinerario logico precedentemente  seguito;  la  ricusante
precisa, altresi', che tale  principio  e'  stato  riaffermato  dalla
Corte costituzionale nella decisione n. 460/05, riguardante  la  fase
di opposizione fallimentare. 
    3) Il dott. Greco resiste all'istanza di ricusazione, con memoria
del 3 gennaio 2014,  richiamando  le  numerose  pronunce  di  rigetto
adottate dal Tribunale di Milano. 
    4) Cio' premesso, osserva il collegio che in relazione ad analoga
questione il Tribunale, con le ordinanze in data 27 gennaio 2014 e  6
febbraio 2014, ha disposto la rimessione degli atti del processo alla
Corte  costituzionale,  essendo  «rilevante  e   non   manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 51,
comma I, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51,  legge  28  giugno  2012,  n.  92
(disposizioni in materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una
prospettiva di crescita), nella parte in cui non prevedono  l'obbligo
di astensione per l'organo giudicante (persona fisica) investito  del
giudizio di opposizione ex art. 51, comma I, legge n. 92/12 che abbia
pronunciato l'ordinanza ex art. 1, comma 49,  legge  n.  92/2012,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione» (Ord.  del  27
gennaio 2014). 
    5) Tale conclusione appare condivisibile,  essendo  la  questione
rilevante, considerato che nel caso di specie si afferma  sussistente
l'obbligo di astensione da parte del  giudice  della  fase  sommaria,
obbligo che, invece, non si configura nel presente assetto normativo. 
    Ed infatti, nella presente fattispecie  deve  escludersi  che  il
giudice abbia conosciuto della causa «come magistrato in altro  grado
del  processo...»,   difettando,   in   particolare,   il   requisito
dell'identita' di causa, nel diverso grado. 
    Non  si  ravvisa,  cioe',  un   procedimento   di   impugnazione,
considerato che  nella  fase  di  opposizione,  a  cognizione  piena,
possono essere formulate domande nuove, anche in via riconvenzionale,
possono  farsi  valere  nuovi  elementi  probatori,  in  assenza   di
preclusioni istruttorie. E' consentita, inoltre, la chiamata in causa
di soggetti ulteriori rispetto alla fase sommaria. 
    Nel caso di specie viene rispecchiata la  consueta  articolazione
tipica dei procedimenti di  opposizione:  una  prima  fase  sommaria,
seguita da un'eventuale fase di opposizione a cognizione piena. 
    6) Contrariamente a quanto dedotto da parte ricusante, i principi
richiamati nella pronuncia della Corte costituzionale citata da parte
ricusante (sent. n. 387/99), non risultano applicabili alla  presente
fattispecie,  in   quanto   riguardano   la   fase   processuale   di
impugnazione, ex art. 28 dello  Statuto  dei  lavoratori,  come  gia'
evidenziato da questo Tribunale,  nell'ordinanza  in  data  4  aprile
2013, dove si e'  affermato  che  «l'emissione  di  provvedimenti  di
urgenza o a cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che  e'
chiamato  a  decidere  il  merito  della  stessa,   costituisce   una
situazione  ordinaria  del  giudizio  e  non  puo'  in  nessun   modo
pregiudicarne l'esito, ne' determina un obbligo di astensione  o  una
facolta' della parte di chiedere la ricusazione (Cass. n.  422/2006).
Principi  interpretativi  conformi  all'orientamento  espresso  dalla
Corte costituzionale cui fu rimessa la  questione  della  conformita'
dell'art. 51 n. 4 c.p.c. al dettato costituzionale  (v.  sentenza  n.
326/1997). Orientamento che ha  trovato  ulteriore  riscontro,  (...)
(ne)lle  ipotesi  di   opposizioni   proposte   avanti   il   giudice
dell'esecuzione avverso atti  esecutivi  dallo  stesso  anteriormente
adottati (v. Cass. n. 5510 /200». Tali temi  sono  stati  anche  piu'
recentemente riconsiderati dalla giurisprudenza di  legittimita',  la
quale ha affermato l'inapplicabilita' dell'art. 51 n. 4 c.p.c., (...)
(v. SS.UU. Cass. n. 1783/2011, Cass. n. 18047/2008)...». 
    Inoltre, deve escludersi che i principi ricavabili dalla sentenza
n. 387 della Corte  costituzionale,  del  15  ottobre  1999,  possano
applicarsi per analogia al caso di specie, come affermato dalla Corte
d'Appello di Milano (sentenza n. 1577 del 13 dicembre 2013). Infatti,
«il giudizio di comparazione, tra il  caso  trattato  dalla  Consulta
nella decisione citata e quello  sottoposto  a  questo  Collegio,  si
conclude nel senso di escludere affinita' tra le fattispecie, tale da
indurre   a   ritenere   applicabile   la    medesima    proposizione
interpretativa (distinguishing). Il giudizio previsto  dall'art.  28,
legge 20 maggio 1970, n. 300, infatti, ha la funizione  esclusiva  di
reprimere la condotta antisindacale e, pertanto, oggetto del processo
e' la violazione del diritto dei lavoratori all'attivita' sindacale e
allo sciopero, tant'e' che il provvedimento conclusivo del  rito  (se
positivo) comporta la cessazione del comportamento illegittimo  e  la
rimozione  degli  effetti.  Si  tratta,  inoltre,  di  una  procedura
attivata  su  ricorso  degli  organismi  locali  delle   associazioni
sindacali nazionali che vi abbiano interesse. Ambito processuale  del
tutto differente da quello regolato dalla  legge  n.  92/12  in  cui,
invece, il procedimento ha ad  oggetto  un  determinato  rapporto  di
lavoro in un giudizio che vede confrontarsi parti legate da  rapporto
negoziale, con un ambito di cognizione ben piu' ampio e complesso, in
cui anche la conclusione del giudizio  e'  aperta  ad  una  variegata
ricchezza di soluzioni  giudiziali.  Pertanto:  nel  primo  rito,  la
pronuncia  ha,  di  fatto,  vocazione  sanzionatoria  e  l'ambito  di
cognizione e' limitato e ristretto cosicche' non si  assiste  invero,
due fasi  «in  senso  tecnico»,  ma  ad  una  sanzione  ed  alla  sua
impugnazione. Da qui la sostanziale assimilabilita' di quella fase ad
un vero e proprio «grado» del giudizio. Quanto non accade nel rito ex
lege n. 92/12.  In  questo  caso,  il  procedimento  resta  unico  ma
scandito da due fasi in cui, nella prima, il rapporto  di  lavoro  e'
oggetto di una pronuncia celere  e  ad  istruttoria  «approssimativa»
che, se non soddisfacente a giudizio di  una  o  entrambe  le  parti,
viene accantonata per dare ingresso alla seconda (delle citate  fasi)
in cui il processo gode della pienezza dei rimedi,  degli  strumenti,
dei tempi. La diversita' ontologica tra  i  due  riti  e'  pure  resa
palese dal dettaglio di disciplina che  assiste  il  procedimento  ex
lege n. 92/12 in cui, nei commi da 47 a 69, il legislatore disciplina
in modo dettagliato: fase sommaria, fase a cognizione piena, giudizio
di  appello  procedimento  di  Cassazione».  (...)  Alla   luce   del
ragionamento sin qui svolto: il rito ex lege n. 92/12 non prevede che
il giudice delle due fasi debba essere diverso  e  questa  previsione
non puo' nemmeno  ricavarsi  per  via  interpretativa  attingendo  al
bacino di Corte cost. n.  387/99»  (Ord.  Trib.  Milano  in  data  27
gennaio 2014, citata). 
    7) Cio' premesso, va altresi' condivisa la  valutazione  espressa
da questo  Tribunale  nell'ordinanza  in  data  6  febbraio  2014  in
relazione alla non manifesta infondatezza della questione  sollevata,
considerato che «La particolare struttura procedimentale,  introdotta
dalla legge n.  92/12,  pur  mirando  a  costituire  un  procedimento
scandito da due fasi - di cui una urgente e  sommaria  e  l'altra  di
piena cognizione - pur non istituendo, in senso tecnico,  un  «grado»
di giudizio, configura una struttura processuale in  cui  la  seconda
delle fasi puo'  assume(re)  -  secondo  il  ricusante  e  la  citata
giurisprudenza  d'appello  (sentenza  n.  1577/13,  ndr.)  -   valore
impugnatorio con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae.
In tale prospettiva, puo' prospettarsi la violazione degli artt. 24 e
111 della Costituzione,  per  la  lesione  del  diritto  alla  tutela
giurisdizionale, sotto il profilo di esclusione  della  imparzialita'
del giudice». 
    8) Sulla base delle conclusioni raggiunte,  deve  essere  rimessa
alla  valutazione  della  Corte  costituzionale   la   questione   di
incostituzionalita' degli artt. 51, 1 co., n. 4, c.p.c. e 1, co.  51,
legge 28 giugno 2012, n. 92 (disposizioni in materia di  riforma  del
mercato del lavoro in una prospettiva di crescita),  nella  parte  in
cui non prevedono l'obbligo di  astensione  per  l'organo  giudicante
(persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex  art.  51,1
co., legge n. 92/12 se abbia gia' pronunciato l'ordinanza ex art.  l,
comma 49, legge n. 92/2012.