TRIBUNALE PER I MINORENNI 
                         DI REGGIO CALABRIA 
 
    Il Tribunale per i minorenni di  Reggio  Calabria,  composto  dai
sigg.: 
      dott. Roberto Di Bella, presidente; 
      dott. Francesca Di Landro, giudice; 
      dott. Demetrio Ventura, giudice onorario; 
      dott. G.M. Patrizia Surace, giudice onorario; 
    Nel processo penale n. 85/11 R.G.T.M. (184/10 R.G.N.R.) contro A.
F., nato a... il..., imputato del reato p.e.p. dagli artt.  81,  110,
73 D.P.R. 309/90, accertato in data 7 luglio 2010 in ...,  ha  emesso
la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    In sede di discussione del processo penale n. 85/11  RGTM  contro
A. F., minore d'eta' al momento del  fatto,  imputato  per  il  reato
p.e.p. dagli artt. 81, 110,  73  commi  1  e  1  bis,  D.P.R.  309/90
(perche' in concorso con A. S. e A. S. con piu' azioni  esecutive  di
un medesimo disegno criminoso, coltivava n.  14  piante  di  sostanza
stupefacente tipo marijuana, n. 1 pianta di marijuana e  deteneva  in
un sacchetto di cellophane grammi netti  358,900  di  marijuana,  che
avuto riguardo al quantitativo e alle  modalita'  di  confezionamento
appare destinata allo spaccio. 
    Accertato in...  data  7  luglio  2010),  il  Pubblico  Ministero
sollevava questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  73,
comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla l. 16 maggio  2014
n. 79, approvata in conversione del D.L. 20 marzo 2004,  n.  36,  per
sospetto contrasto con gli artt. 3 e 27 Costituzione, nella parte  in
cui non prevede - cosi' come nel comma primo  e  quarto  comma  della
medesima disposizione - un'adeguata differenziazione del  trattamento
sanzionatorio - sia  nel  minimo  che  nel  massimo  edittale  -  per
sostanze stupefacenti appartenenti alle differenti tabelle (I  e  II)
di cui all'art. 14, del D.P.R. 309/90. 
    Analoga  conclusione  formulava   il   difensore   dell'imputato,
assumendo che le pene indifferenziate previste dall'art. 73, comma V,
D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla novella del 16 maggio  2014
n.  79,  oltre  che  eccessivamente  afflittive  in  relazione   alla
tipologia di sostanze stupefacenti contestata, potrebbero  precludere
al suo assistito - nella ritenuta affermazione di colpevolezza  -  la
concessione di alcuni benefici  previsti  in  favore  degli  imputati
minorenni e, nel dettaglio, la sospensione condizionale  della  pena,
l'applicazione di sanzioni sostitutive ex art. 30 del medesimo D.P.R.
22 settembre 1988 n.  448  e  il  perdono  giudiziale,  ancorati  dal
legislatore a  determinati  parametri,  tra  i  quali  spicca  quello
oggettivo (e preclusivo) dell'entita' della pena detentiva (anni  tre
per la sospensione condizionale, anni due per l'applicazione  di  una
sanzione sostitutiva e anni due per il perdono giudiziale). 
    Secondo   il   difensore,   inoltre,    la    cornice    edittale
indifferenziata prevista dalla nuova normativa risulterebbe  pure  in
contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., per mancata  attuazione
dell'art.  4  della  Decisione  Quadro  2004/757/GAI  del   Consiglio
dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004,  pubblicata  sulla  Gazzetta
Ufficiale dell'Unione Europea l. 335/11 (11 novembre  2004),  tuttora
in vigore per effetto degli  artt.  9  e  10,  Protocollo  n.  36  al
Trattato di Lisbona, che chiede ai legislatori  nazionali:  1)  "pene
detentive  effettive,  proporzionate   e   dissuasive",   che   siano
differenziate per gli stupefacenti piu' dannosi per la salute; 2) con
riferimento ai reati minori in materia (categoria in cui puo'  essere
inquadrato il delitto oggetto del presente processo), pene  detentive
massime che devono avere una durata compresa tra almeno 1 e 3 anni. 
    Il legale dell'imputato deduceva, infine, che  la  vincolativita'
della decisione quadro potrebbe comportare l'insorgenza in capo  allo
Stato, inadempiente rispetto agli  obblighi  internazionali,  di  una
responsabilita'  nei  confronti  del  cittadino   danneggiato   dalla
violazione del diritto comunitario (CGUE,05.03.1996, C-46,  Brasserie
du oeucher Sa): situazione concretizzabile nel caso in argomento, nel
caso  di  una  condanna  ad  una  pena  detentiva  sproporzionata   o
(oggettivamente)  preclusiva  dei  benefici   sopra   indicati,   che
viceversa - con l'applicazione obbligatoria  della  diminuente  della
minore  eta'  ex  art.  98  c.p.  e  nella  ricorrenza  degli   altri
presupposti  di  legge  -  sarebbero  automatici,  la'   dove   fosse
rispettato dal legislatore il limite di pena detentiva massima  (anni
tre ) indicato dalla decisione quadro menzionata. 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    Cio' premesso, per un corretto inquadramento  dei  termini  della
questione,  occorre  esaminare  le  vicissitudini  normative   subite
dall'art. 73, del D.P.R. 309/90, per poi  valutare  se  lo  stesso  -
nella nuova formulazione - possa trovare applicazione  nel  caso  che
occupa. 
    La norma di cui all'art. 73 comma V, D.P.R,  309/90,  nelle  more
del presente processo, e' stata piu' volte interessata da  interventi
del legislatore. 
    La prima modifica e' intervenuta con il D.L. 23 dicembre 2013, n.
146, art. 2, comma 1, lett. a), convertito senza modifiche sul punto,
dalla l. 21 febbraio 2014 n. 10, che ha trasformato quella che -  per
giurisprudenza  costante  della  Corte  di  Cassazione  -   era   una
circostanza attenuante ad effetto speciale, in un'ipotesi autonoma di
reato. 
    Con quella prima novella,  ex  D.L.  n.  146  del  2013,  che  ha
mantenuto indistinta la sanzione penale per i fatti di lieve  entita'
che riguardassero le c.d. droghe leggere e quelle  c.d.  pesanti,  il
massimo edittale previgente era abbassato per le pene  detentive  (da
uno a sei anni a uno e cinque anni di reclusione), restando  identica
la sanzione pecuniaria. 
    E' intervenuto poi il D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito in l.
16 maggio 2014, n. 79, che ha fatto seguito alla sentenza della Corte
costituzionale n. 32/2014, che, per le droghe leggere e per  i  fatti
fino al 23 dicembre  2013,  aveva  gia'  comportato  la  reviviscenza
dell'art. 73, comma V di cui alla legge c.d.  Iervolino  -  Vassalli,
ripristinando e aggiornando le tabelle differenziate  per  i  diversi
tipi di sostanze stupefacenti o psicotrope. 
    Infine, con la l. 16 maggio 2014, n. 79 (approvata in conversione
del D.L. 20 marzo 2014 n. 36), la pena per il fatto di lieve  entita'
gia' prevista per le c.d. droghe leggere dalla legge c.d. Iervolino -
Vassalli (pena della reclusione da sei mesi a quattro  anni  e  della
multa  da  euro  1.032   a   euro   10.329),   e'   stata   adottata,
indifferentemente,   per   tutti   i   fatti   di   lieve    entita',
indipendentemente dalla collocazione dello  stupefacente  nell'una  o
nell'altra tabella. 
    Cio' premesso, occorre verificare -  secondo  i  criteri  dettati
dall'art. 2, comma quarto,  c.p.  -  se  la  legge  risultante  dalla
novella del 16 maggio 2014 n. 79, di conversione del  D.L.  20  marzo
2014, n. 36, e' applicabile alla vicenda in oggetto o, viceversa,  se
sia piu' favorevole per l'imputato quella previgente. 
    Come   anticipato,   l'abrogazione   per   la   declaratoria   di
incostituzionalita' degli artt. 4 bis 4 vicies ter del D.L.  272  del
30 dicembre 2005, convertito nella legge 49  del  21  febbraio  2006,
intervenuta con la sentenza della Corte costituzionale n. 32  del  12
febbraio  2014,  ha  determinato   una   reviviscenza   delle   norme
anteriormente vigenti e,  dunque,  in  primo  luogo  -  ai  fini  che
occupano - dell'integrale testo dell'art. 73 del  DPR  309/90,  cosi'
modificato dal DPR 5 giugno 1993  n.  171,  attuativo  il  referendum
tenutosi il 18 aprile 1993. 
    La Consulta, infatti, dichiarando l'incostituzionalita'  dei  due
articoli del  citato  D.L.  272/2005  (e,  di  conseguenza  della  l.
49/2006) in relazione all'art. 77 comma secondo, Cost.,  ha  ordinato
testualmente di  rimuovere  "le  modifiche  apportate  con  le  norme
dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del D.P.R. 9 ottobre
1990 n. 309". 
    Pertanto, il  fatto  ascritto  all'imputato,  essendo  del  2010,
potrebbe  essere  disciplinato  sia  dall'art.  73  comma  V,   cosi'
modificato dal DPR 5 giugno  1993  n.  171  attuativo  il  referendum
tenutosi il 18 aprile 1993, che dalla nuova  disposizione  introdotta
dalla legge 16 maggio 2014 n. 79  (norme  piu'  favorevoli  sotto  il
profilo dell'entita' della pena rispetto alla l. n. 10 del 2014 e  al
D.L. 20 marzo 2014, avendo ridotto le pene detentive previste da  uno
a cinque anni a sei mesi fino a quattro anni). 
    Dal punto di vista  intertemporale,  il  nuovo  quinto  comma  si
applichera' ai processi pendenti per fatti commessi dopo l'entrata in
vigore del d.l. n. 146/2013 e dunque a partire dal 24 dicembre  2013,
trattandosi di lex mitior sopravvenuta piu' favorevole  ai  sensi  di
cui all'art. 2, comma 4 c.p. 
    Quanto ai processi ancora pendenti per  fatti  precedenti  al  24
dicembre 2013,  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
della legge Fini-Giovanardi fa  si'  che  debba  ritenersi  come  mai
abrogata - e, quindi, legge del tempo  in  cui  i  fatti  sono  stati
commessi - la disciplina di cui al quinto  comma  dell'art.  73  t.u.
nella versione originaria (c.d. Iervolino-Vassalli), che prevedeva la
pena della reclusione da uno a sei anni per i  fatti  concernenti  le
c.d. droghe pesanti e quella della reclusione da sei mesi  a  quattro
anni per le droghe "leggere". 
    La  nuova  disciplina  e'  dunque,   rispetto   a   quest'ultima,
senz'altro piu' favorevole per quanto  riguarda  i  fatti  aventi  ad
oggetto le  droghe  pesanti,  e  dovra'  essere  applicata  ai  sensi
dell'art. 2, comma 4 c.p., in quanto lex mitior sopravvenuta rispetto
a quella in vigore al momento del fatto;  mentre  rispetto  ai  fatti
aventi ad oggetto le c.d. droghe leggere, si  dovra'  stabilire  caso
per caso quale sia la disciplina piu' favorevole, in  relazione  alla
natura meramente circostanziale del comma quinto nella  sua  versione
"Iervolino-Vassalli" e alla sua mutata natura di fattispecie autonoma
nella versione oggi vigente. 
    Tanto  premesso,  deve  osservarsi  che,  a   parita'   di   pena
(reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032  a
euro 10.329), la nuova disciplina risultante dalla l. 16 maggio  2014
n.  79,  da  interpretarsi  alla  luce  della  modifica   strutturale
apportata all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90 dall'art. 2 del recente
D.L. 23 dicembre 2013, convertito nella l. 10 del 21  febbraio  2014,
appare complessivamente piu' favorevole e  da  ritenersi  applicabile
anche  per  i  fatti  commessi  sotto  il  vigore  della   previgente
disciplina. 
    Come anticipato, la grande  novita'  che  connota  l'art.  2  del
recente D.L. 23 dicembre 2013, convertito nella l. 10 del 21 febbraio
2014, consiste nella modifica strutturale e sostanziale dell'istituto
della lieve entita' di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90. 
    Esso da circostanza attenuante ad effetto speciale  e',  infatti,
divenuto reato autonomo. 
    Ne consegue che, nella  valutazione  comparata  delle  leggi,  il
maggiore favore della nuova disposizione dell'art. 73 comma V,  quale
risultante dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, deriva dal rilievo  che  la
norma e' sottratta al giudizio di comparazione delle  circostanze  di
cui all'art. 69 c.p. e, pertanto,  appare  quella  in  concreto  piu'
favorevole. 
    Il novum normativo, peraltro, con la radicale modifica del  fatto
di lieve  entita'  in  autonoma  fattispecie  di  reato,  ha  effetti
ulteriori perche' da tale  trasformazione  deriva  l'inapplicabilita'
della disciplina  dell'art.  69,  comma  4,  c.p.  anche  alle  altre
circostanze attenuanti (in  primis,  quelle  generiche)  che  fossero
ravvisate nella fattispecie concreta. 
    Ne deriva il  dispiegarsi,  con  massima  autonomia,  del  potere
discrezionale del giudice. 
    Aggiungasi, a  conforto  della  superiore  proposizione,  che  la
diminuzione della pena edittale operata dalla l. 16 maggio 2014 n. 79
ha effetti ancora piu' significativi nel processo penale minorile. 
    La riduzione della pena per il reato autonomo di cui all'art.  73
comma V, D.P.R. 309/90, introdotta dalla l. 16  maggio  2014  n.  79,
neutralizza la valenza operativa della  modifica  apportata  all'art.
19, comma V, del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 dalla recente  legge
n. 10 del 2014, di conversione del decreto-legge n. 146 del 2013, la'
dove si stabiliva che "la diminuente della minore eta' non opera  per
i delitti di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90". 
    Ed invero, in ragione del  nuovo  limite  edittale  (abbassato  a
quattro anni) nei confronti del minorenne non  sono  piu'  consentite
misure cautelavi, anche diverse dalla custodia cautelare, che  l'art.
19, comma IV, del D.P.R. circoscrive ai delitti per i quali la  legge
stabilisce la pena della  reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a
cinque anni (circostanza da apprezzarsi anche nel presente  processo,
potendo - in ipotesi - ancora essere richiesta una  misura  cautelare
nei confronti dell'imputato). 
    In  conclusione,  puo'  senz'altro  affermarsi   che   la   nuova
disciplina prevista dalla l. 16 maggio 2014 n. 79 e' complessivamente
piu' favorevole a quella previgente. 
    Il giudizio espresso di maggior favore per l'imputato della nuova
disciplina e', oltretutto, conforme alla  recente  giurisprudenza  di
legittimita', che, in un caso simile a quello  oggetto  del  presente
processo, annullava con rinvio la sentenza  della  Corte  di  Appello
territoriale limitatamente al trattamento sanzionatorio, invitando il
giudice di rinvio a rivalutare quest'ultimo,  in  ragione  del  nuovo
minimo edittale previsto dalla l. 16 maggio  2014,  n.  79,  ritenuta
piu' favorevole anche per i "fatti lievi" commessi prima del dicembre
2013 (cfr. Cass, sez.  III,  12  giugno  2014,  n.  27955,  Gilberti,
secondo cui "in tema di sostanze stupefacenti la fattispecie prevista
dall'art. 73, comma V, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309,  cosi'  come  da
ultimo modificata dall'art. 2 d.l. 20 marzo 2014, n.  36,  convertito
con modificazioni dalla legge 16  maggio  2014,  n.  79,  costituisce
un'ipotesi autonoma di reato, il cui regime sanzionatorio  si  rivela
di maggior favore per il reo sia per le droghe  pesanti  sia  per  le
droghe leggere"). 
    Cio' stabilito, non vi e' dubbio che la questione di legittimita'
costituzionale, cosi' come prospettata,  ha  indubbia  rilevanza  nel
presente processo, che non  puo'  essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione del quesito sollevato. 
    Puo' senz'altro affermarsi - alla luce degli accertamenti tecnici
esperiti - che la  natura  della  sostanza  stupefacente  (marijuana)
contestata all'imputato minorenne A. 
    F. rientra nella tabella n. II. Inoltre, pur senza anticipare  il
giudizio di merito, puo'  concretamente  ritenersi  che  la  condotta
delittuosa contestata sia inquadrabile - avuto  riguardo  ai  "mezzi,
alle modalita' o alle circostanze dell'azione ovvero per la  qualita'
e quantita' delle sostanze" - nell'ipotesi criminosa di cui  all'art.
73, comma V, D.P.R. 309/90, sicche'  il  profilo  dell'entita'  della
pena  applicabile  in  relazione  a  tale  fattispecie  autonoma   e'
assolutamente rilevante. 
    La rilevanza della questione si puo' apprezzare ancora  sotto  il
profilo  della  violazione  dell'art.   117   Cost.,   ovvero   della
sopravvenuta  inosservanza  da  parte  del  legislatore  dell'obbligo
statale  di  adeguamento  alle  decisioni  comunitarie  e,  come   si
esaminera' nel dettaglio piu' avanti,  dell'art.  4  della  Decisione
Quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 25  ottobre
2004,  che  vincola  gli  Stati  membri  a  norme   minime   per   la
determinazione degli elementi costitutivi e delle sanzioni in materia
di reati concernenti gli stupefacenti. 
    In  particolare,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
prospettata appare rilevante in quanto,  ove  lo  Stato  Italiano  si
adeguasse alla risoluzione internazionale indicata, la  pena  massima
prevista  per  i  reati  minori  in  materia  di   stupefacenti   non
particolarmente pericolosi per la salute (come la marijuana) dovrebbe
essere contenuta tra almeno uno e tre anni di reclusione e, comunque,
dovrebbe essere differenziata da quella prevista per le sostanze piu'
dannose. 
    E' evidente, pertanto, che la previsione dell'art. 73,  comma  V,
del  D.P.R.  309/90,  nel  testo  risultante  dalla  citata   novella
legislativa, non rispetti tale paramento, con  diretta  ripercussione
sulle opzioni sanzionatorie da contemplare nel presente processo, che
viceversa  -  ove  rispondenti  alla   normativa   internazionale   -
garantirebbero un massimo edittale per le sostanze stupefacenti  meno
dannose per la salute che, in ogni caso e nonostante l'esercizio  del
potere  discrezionale  del  giudice,  consentirebbe  all'imputato  di
riportare - in  caso  di  condanna  -  una  pena  detentiva  comunque
inferiore   ai   tre    anni    (in    virtu'    dell'obbligatorieta'
dell'applicazione della diminuente della minore eta' ex art. 98 c.p.)
e,  quindi,  una  maggiore  possibilita'  -  ricorrendone  gli  altri
parametri di  legge  -  di  usufruire  dei  benefici  previsti  dalla
legislazione minorile sopra indicati (sospensione condizionale  della
pena, applicazione di sanzione sostitutiva o perdono giudiziale). 
    In ogni caso,  la  questione  sarebbe  rilevante  -  con  dirette
conseguenze  sul  piano  delle  opzioni  sanzionatorie  nel  presente
processo - anche qualora si intendesse  la  normativa  internazionale
vincolante solo nel limite  minimo  del  massimo  di  pena  detentiva
(almeno un anno), nettamente superiore a quello (mesi  sei)  previsto
dall'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90. 
 
                Profilo di non manifesta infondatezza 
 
Prima questione: sospetto contrasto con gli artt. 3 e 27,  III  comma
Costituzione. 
    La disposizione censurata, ovvero l'art. 73, comma  V  nel  testo
risultante  dalla  legge  16  maggio  2014  n.  79  (che  ha  operato
conversioni con modifiche dell'art. 1, comma 24, lett. a) del D.L. 20
marzo 2014, n, 36), si espone  ad  un  sospetto  di  irragionevolezza
nella parte in cui smonta la distinzione tra le droghe pesanti  e  le
droghe leggere. 
    Preliminarmente, e' d'obbligo ricordare ancora una volta  che  la
sentenza  n.  32/2014  della  Corte   costituzionale   ha   asportato
dall'ordinamento gli artt. 4 bis e 4 vicies  ter  del  D.L.  272/2005
(convertito poi con la l. 49/2006), e reintrodotto la classificazione
delle sostanze stupefacenti, restituendo dignita' giuridica  -  oltre
che scientifica - alla distinzione. 
    Al  punto  4.4.  della  sentenza  citata  la  Consulta   descrive
l'operazione legislativa del 2006  come  "un'innovazione  sistematica
alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti,  sia  sotto  il
profilo delle  incriminazioni  sia  sotto  quello  sanzionatorio,  il
fulcro della quale e'  costituito  dalla  parificazione  dei  delitti
riguardanti le droghe cosiddette «pesanti»  e  di  quelli  aventi  ad
oggetto le droghe della precedente disciplina,  che....  coinvolgendo
delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica,  avrebbe
richiesto  un  adeguato  dibattito  parlamentare,  possibile  ove  si
fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge,  ex
art. 72 Cost.". 
    Ne consegue  che  la  differenziazione  sanzionatoria  per  fatti
connessi a "droghe pesanti" e  "droghe  leggere"  ha,  per  l'effetto
della citata sentenza n. 32, valenza costituzionale. 
    Dunque, l'eliminazione della differenziazione praticata dall'art.
1, comma 24 ter, lett. a) del D.L. 36/2014, confermata dalla legge di
conversione l. 16 maggio 2014 n. 79,  risulta  operazione  di  dubbia
legittimita' costituzionale. Essa risulta  a  fortiori  sospetta  la'
dove si consideri che il legislatore ha soppresso la distinzione  tra
droghe pesanti e droghe leggere solo per il  fatto  lieve,  a  fronte
della permanente diversificazione per il reato piu' grave. 
    Se, infatti,  per  le  ipotesi  di  non  lieve  entita'  vige  un
differente trattamento  sanzionatorio  per  sostanze  appartenenti  a
tabelle  diverse,  analoga  proporzione  non   e'   irragionevolmente
rispettata  per  i  fatti  di   lieve   entita',   puniti   in   modo
indiscriminato con  la  stessa  previsione,  pur  aventi  ad  oggetto
sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  appartenenti  alle  differenti
tabelle di cui all'art. 14 del medesimo D.P.R. 
    In sintesi, la non  manifesta  infondatezza  della  questione  si
ravvisa nell'evidente  asimmetria  punitiva  tra  le  suddette  norme
penali. 
    Alla irragionevolezza  estrinseca  deve  aggiungersi  l'ulteriore
profilo per il quale l'equiparazione sanzionatoria interna nei  fatti
di  lieve  entita'  (droghe  pesanti/droghe  leggere)   si   scontra,
ulteriormente, con la disomogeneita'  intrinseca  del  disvalore  del
reato (il fatto di lieve entita' commesso con droghe pesanti non puo'
ritenersi  parificabile  al  medesimo  fatto  compiuto   con   droghe
leggere), stante il diverso spessore dell'interesse tutelato. 
    Benche', quindi, appartenga alla discrezionalita' del legislatore
la determinazione della quantita' e qualita' delle  sanzioni  penali,
e' altrettanto vero che  il  vaglio  di  legittimita'  costituzionale
possa e debba estendersi  alla  verifica  che  tale  discrezionalita'
rispetti il limite della ragionevolezza (intrinseca ed estrinseca)  e
del correlato principio di proporzionalita'. Essi  devono  intendersi
quali canoni di controllo sull'equilibrio interno tra  disvalore  del
fatto   e   sanzione   comminabile,   rispondenti    al    fondamento
costituzionale della rieducazione (art. 27, comma 3  Cost.),  il  cui
valore - dotato di dignita' autonoma - appare  confermato  anche  dal
disposto di cui all'art. 49, comma 3 Carta dei  Diritti  Fondamentali
U.E. 
    Cio' premesso, la norma citata legittima un sospetto di contrasto
con il principio di  eguaglianza  formale  e  sostanziale  consacrato
nell'art.  3  Cost.,  che  comporta  che  siano  trattate  ugualmente
situazioni  eguali  e  diversamente  situazioni   diverse,   con   la
conseguenza che ogni differenziazione, per essere giustificata,  deve
risultare ragionevole, cioe' razionalmente correlata al fine per  cui
si e' inteso stabilirla. 
    Tale razionalita' non sembra  potersi  rintracciare  nel  vigente
art. 73, del D.P.R. n. 309 del  1990,  in  quanto  non  si  ravvisano
argomenti plausibili della disomogeneita' interna della norma  e,  in
particolare,  a  giustificazione  del  venire  meno  della  rilevanza
tributata a natura e  tipologia  della  sostanza  oggetto  del  reato
allorquando si tratti di fatti di lieve entita'. 
    Oltretutto, il profilo di dissonanza  evidenziato  appare  ancora
piu' evidente, la' dove si evidenzi che  il  d.l.  n.  36  del  2014,
convertito - con  modificazioni  -  nella  l.  n.  79  del  2014,  ha
ripristinato un trattamento sanzionatorio differenziato,  in  ragione
della   sostanza   stupefacente,   anche   rispetto   agli   illeciti
amministrativi di cui all'art. 75, del D.P.R. n, 309/90. 
    Aggiungasi,  a  conforto  della   superiore   proposizione,   che
l'incipit "Salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato"  (che
e' stato introdotto quale elemento qualificante la  natura  di  reato
autonomo in luogo di circostanza, come interpretato  dalla  Corte  di
Cassazione sez. III, sentenza n. 16029 del 17 aprile 2014, e Sez.  VI
sent. n, 14288 del 26 marzo 2014), appare  indice  sintomatico  della
intima  sintonia  ed  analogia,  sia  fattuale  che  giuridica,   che
intercorre tra  le  fattispecie  contemplate  ai  commi,  1,  4  e  5
dell'art. 73. 
    Il comma V e' un reato minor, ma e' pur sempre (sia materialmente
che formalmente) il  medesimo  reato  descritto  nei  commi  1  e  4,
dell'art. 73, perche' medesime sono le condotte materiali. 
    Infine, altro argomento  che  merita  di  essere  considerato  si
desume dal ripristino di una pluralita' di tabelle, all'interno delle
quali collocare - separatamente - le singole sostanze. 
    La circostanza che la cannabis  sia  inserita  nella  tabella  II
conferma, infatti, la differenza di tale sostanza da quelle  inserite
nella tabella I (per definizione droghe pesanti). 
    La distinzione cosi' operata non risponde (ne'  puo'  rispondere)
ad un mero  canone  formale,  bensi'  esso  e'  elemento  di  base  e
costitutivo delle previsioni sanzionatorie  contenute  nell'art.  73,
comma 4, posto che ciascuna di tali  disposizioni  opera  un  preciso
riferimento tabellare, l'una alla tabella I e  l'altra  alla  tabella
II. 
    Il doppio binario venutosi a creare per la scelta legislativa non
appare, quindi, affatto fondato e giustificato. 
    In linea di continuita' con quanto sinora  sostenuto  non  appare
condivisibile l'orientamento giurisprudenziale  (v.,  tra  le  altre,
Corte  di  Cassazione  n.  10514/14),  secondo  cui  il   trattamento
sanzionatorio unitario previsto dalla  riformulazione  del  comma  V,
dell'art. 73, D.P.R. 309/90, non solo risulterebbe compatibile -  pur
nella sua diversita' -  con  la  complessiva  struttura  della  norma
incriminatrice in questione, ma, addirittura, non sarebbe ravvisabile
irragionevolezza nell'oggettivo contrasto tra la norma in questione e
il parametro costituzionale dell'art. 3 Costituzione. 
    Sostiene, in  proposito,  il  Collegio  di  legittimita'  che  il
legislatore avrebbe, per nulla irragionevolmente, deciso di svalutare
"il rilievo della natura  della  sostanza  stupefacente  tratta...  a
fronte di specifiche modalita' del fatto criminoso, tali da rivelarne
la concreta ed obiettiva ridotta idoneita' offensiva....". 
    Si  tratta  di  una  spiegazione  che  non  convince  perche'  le
modalita' del fatto cui al Corte di Cassazione opera riferimento - in
realta'  -  gia'  vengono  utilizzate   nella   ratio   della   norma
attenuatrice, come paradigma per  definire  il  livello  dell'entita'
della condotta. 
    La  Corte  finisce  per  sovrapporre   quei   parametri   che   -
espressamente  previsti  dal  comma  V  -  costituiscono   l'elemento
essenziale che qualifica e differenzia  tale  disposizione  di  legge
rispetto alla previsione ordinaria dei commi 1 e 4, dell'art. 73  (in
quanto distinguono il grado di particolare  allarme  e  di  specifica
pericolosita' - soggettiva - che condotte tassativamente  individuate
suscitano intrinsecamente), con quella che, invece, appare una  ratio
filosofica fondamentale del legislatore del 1990 e che attiene ad una
forma di pericolosita' distinta e totalmente autonoma  rispetto  alla
precedente esaminata, perche'  essa,  invece,  di  natura  oggettiva,
siccome correlata con la tipologia dello stupefacente. 
    Neppure  il  successivo  richiamo  al  potere  discrezionale  del
Giudice - che si ricollega ad una presunta  pluralita'  di  soluzioni
sanzionatorie, la cui ampiezza appare tale  da  consentirne,  con  un
soddisfacente grado di duttilita', l'agevole adattamento  al  singolo
episodio  di  vita  in  concreto  sottoposto  al  suo  esame  -  pare
conclusione accettabile. 
    La quantificazione della pena,  nel  rispetto  del  principio  di
rieducazione, presuppone (o meglio deve presupporre) una  proporzione
tra disvalore del fatto e quantita' di sanzione con il  fine  di  non
pregiudicare,  gia'   nella   determinazione   della   commisurazione
edittale, il conseguimento dello scopo special preventivo della pena. 
    In tal senso una dosimetria  sanzionatoria  indistinta,  che  non
tenga  conto  della  diversita'  del  disvalore  sotteso,  non   puo'
giustificarsi alla luce del potere discrezionale previsto agli  artt.
132 e  133  c.p.p.,  allor'quando  esso  si  tramuti  in  un  rimedio
all'indeterminatezza  normativa  per   un   recupero   indiretto   di
tassativita'. 
    Come ha  osservato  la  Consulta  nella  pronuncia  285/1991,  il
rapporto  tra  il  principio   di   riserva   di   legge   e   quello
dell'individuazione    della     pena,     strettamente     correlato
all'eguaglianza   sostanziale,   deve   tradursi    in    un'adeguata
articolazione dei trattamenti sanzionatori. 
    Mediante la determinazione legislativa dei limiti edittali  della
pena viene assegnato al giudice  il  compito  di  'proporzionare'  la
sanzione concreta  non  gia'  al  giudizio  di  disvalore  sul  fatto
previsto dalla  legge  come  reato,  ma  alla  scala  di  graduazione
individuata dal minimo e dal massimo edittali. Nel  caso  di  specie,
viceversa,  il  giudice  andrebbe  ben  oltre  il  suo   compito   di
concretizzazione sanzionatoria, con la conseguenza di  un'illegittima
sostituzione  alla  valutazione  del  legislatore  e  con  violazione
sostanziale del principio di riserva di legge. 
    In altri termini, la  risoluzione  del  problema  della  coerenza
intrinseca di una norma complessa, quale  appare  l'art.  73  -  vera
architrave della disciplina penale  degli  stupefacenti  -  non  puo'
essere  lasciato  alla  discrezionalita'  del  giudice,  in  sede  di
commisurazione  della  pena,  essendo  riservato  al  legislatore  il
compito di indicare i limiti sanzionatori per  le  varie  fattispecie
criminose che veicolano disvalori diversi, secondo  il  principio  di
legalita' consacrato dagli artt. 25 Cost. e 1 c.p. 
    Parallelamente, questo giudice ritiene che  la  norma  richiamata
sia in potenziale contrasto con il principio  sancito  dall'art.  27,
terzo comma, Cost., da ritenersi intimamente connesso con  quello  di
cui all'art. 3 Cost., sul rilievo che la previsione di  una  sanzione
unica e non proporzionata non rispecchi pienamente la  diversita'  di
offesa  del  fatto  incriminato,  con  cio'  impedendo  in  capo   al
condannato,  ancor  piu'  se  minorenne,  l'adeguata  percezione  del
disvalore  del  fatto  compiuto,  con  correlata   violazione   della
finalita' rieducativa della pena. 
    In altri termini, una sanzione penale rispetta  il  principio  di
rieducazione previsto dall'art. 27, comma  terzo  Cost.,  adempiendo,
nel contempo, alla funzione di  difesa  sociale  e  di  tutela  delle
posizioni individuali - la' dove si traduca in una valutazione  nella
quale si trattino diversamente situazioni differenti,  ovvero  quando
il quantum di pena in relazione a condotte il cui disvalore del fatto
(piu'  o  meno  intenso  in  relazione  alla  tipologia  di  sostanza
stupefacente, benche'  di  lieve  entita')  e  valore  dell'interesse
protetto (danno maggiore o minore dipendente dalla specificita' della
sostanza, nonostante la  lieve  entita')  siano  ab  imis  tipizzati,
distinti e, quindi,  coerenti  con  l'esigenza  di  risocializzazione
dell'autore in applicazione dell'art. 27, comma 3, Cost. 
    Come    sopra    anticipato,    nonostante    appartenga     alla
discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita'  e
qualita' delle sanzioni penali, e' altrettanto vero che il vaglio  di
legittimita' costituzionale possa e debba  estendersi  alla  verifica
che tale discrezionalita' rispetti  il  limite  della  ragionevolezza
(intrinseca   ed   estrinseca)   e   del   correlato   principio   di
proporzionalita'. 
    Essi devono intendersi quali canoni di controllo  sull'equilibrio
interno tra disvalore del fatto e sanzione  comminabile,  rispondenti
al fondamento costituzionale della rieducazione  (art.  27,  comma  3
Cost.), il  cui  valore  -  dotato  di  dignita'  autonoma  -  appare
confermato anche dal disposto di cui all'art. 49, comma 3  Carta  dei
Diritti Fondamentali U.E. 
    In conclusione, la pena prevista dall'art. 73,  comma  V,  D.P.R.
309/90,  oltre  che  nettamente  sproporzionata  rispetto  a   quella
distinta prevista per la pena ordinaria dalla  medesima  disposizione
per le ipotesi contemplanti droghe  di  tabelle  diverse,  appare  in
conflitto con i correlati principi di uguaglianza e proporzionalita',
previsti dagli articoli 3 e 27 Costituzione, secondo cui la pena deve
essere adeguata al fatto e funzionale alla rieducazione del reo. 
    Nel caso de quo, la lesione del principio rieducativo indicato in
danno dell'imputato potrebbe derivare -  nonostante  l'esercizio  del
potere discrezionale  del  giudice  (che,  in  ogni  caso,  non  puo'
sconfinare  nell'arbitrio  e  puo',  comunque,  essere   soggetto   a
condizionamenti diversi in relazione ai contesti ambientali in cui si
esercita   la   giurisdizione) -   dall'entita'   indiscriminata    e
sproporzionata del paradigma edittale previsto dall'art. 73 comma  V,
D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla novella del 16 maggio  2014
n. 79. 
    Oltretutto, le sanzioni previste da tale norma non sono in  linea
con i parametri comunitari (condivisi) in materia - cosi come  meglio
si esporra' piu' avanti  -  e  potrebbero  precludere  oggettivamente
all'imputato - nonostante l'esercizio del  potere  discrezionale  del
giudice - alcuni benefici, come  la  sospensione  condizionale  della
pena, il perdono giudiziale e l'applicazione di sanzioni  sostitutive
ex art. 30 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (previsti  in  favore  dei
minorenni con l'obiettivo di non interromperne i  processi  educativi
in corso e favorirne la  rapida  fuoriuscita  dal  circuito  penale),
ancorati dal legislatore a determinati parametri  indefettibili,  tra
quali spicca l'entita' della pena. 
Seconda questione: sospetto contrasto con l'art.  117,  primo  comma,
Costituzione in riferimento alla decisione  quadro  2004/757/GAI  del
Consiglio dell'Unione europea del 25 ottobre 2004 e all'art.  49,  3°
paragrafo, Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE. 
    La  stessa  disposizione  e',  ad  avviso  di   questo   giudice,
attraversata da un altro  profilo  di  sospetta  incostituzionalita',
intimamente connesso a quelli prima esaminati, oltretutto  non  nuovo
poiche' gia' sollevato rispetto agli artt. 4 bis e 4 vicies  ter  del
D.L. 272/2005. 
    Puo' prospettarsi, ancora una volta, la violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost. per mancata attuazione dell'art. 4 della Decisione
Quadro 2004/757/GAI (tutt'ora in vigore per effetto degli artt.  9  e
10 Protocollo n. 36 al Trattato di Lisbona) che chiede ai legislatori
nazionali "pene detentive  effettive,  proporzionate  e  dissuasive",
indicando in modo specifico, fin dalla formulazione del  considerando
n. 5, la direzione della proporzionalita'. 
    Preliminarmente, non si puo' tacere che la  Corte  costituzionale
in un passo  della  sentenza  gia'  menzionata,  numero  32/2014,  ha
ribadito la necessita' di  ritornare  alla  normativa  precedente  in
virtu' degli obblighi di  criminalizzazione  comunitari  rintracciati
proprio nella decisione quadro 2004/757/GAI,  dettante  norme  minime
relative  agli  elementi  costitutivi  dei  reati  e  alle   sanzioni
applicabili  in  materia  di  traffico  illecito  di  stupefacenti  e
precursori, che consentano l'attuazione di una  comune  strategia,  a
livello dell'Unione Europea, intesa a combattere tale traffico. 
    Pertanto,   e'   la   stessa   Consulta   a   riconoscere    alla
decisione-quadro   lo   status    di    parametro    interposto    di
costituzionalita'. 
    Le disposizioni ivi previste costituiscono esempio  di  parametro
di costituzionalita' in quanto al legislatore nazionale e'  richiesta
una produzione legislativa conforme alle disposizioni  contenute  nel
testo della decisione quadro ai sensi  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., Detto parametro si definisce interposto  in  quanto  riproduce
uno strumento normativo sovra nazionale (fonte -  fatto),  recuperato
nella vincolativita' attraverso l'art. 117, primo  comma  Cost.  ("La
potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto  della   Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali"). 
    Le disposizioni raccolte nella decisione quadro sono,  atteso  il
chiaro tenore dell'art. 34, comma 2, lett.  b)  Trattato  dell'Unione
Europea (versione antecedente al 1° dicembre  2009),  vincolanti  per
gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva  restando  la
competenza delle autorita' nazionali in merito alla forma e ai mezzi,
pur essendo prive di efficacia diretta. 
    La vincolativita' delle statuizioni della  decisione  quadro  (in
specie della decisione quadro  2004/757/GAI)  si  manifesta  in  piu'
direzioni. 
    Anzitutto,  si  prevede  in  capo  alle   Autorita'   Giudiziarie
l'obbligo di interpretare il diritto interno in modo conforme, quando
sia reso possibile dal tenore letterale delle disposizioni  nazionali
(CGUE, 16.6.2005, C-105, Pupino). Inoltre,  per  risolvere  antinomie
non componibili  nell'interpretazione,  la  disposizione  comunitaria
quando e' priva di effetto diretto  (quale  e'  sempre  la  decisione
quadro Gai per espressa  volonta'  dell'art.  34  TUE  ante  Lisbona)
integra il disposto dell'art. 117, 1 comma,  Cost.,  inserendosi  nel
discorso costituzionale al pari di parametro interposto. 
    La  vincolativita'  della  decisione  quadro,  inoltre,  comporta
l'insorgenza  in  capo  allo  Stato,  che  sia  rimasto  inadempiente
rispetto  agli  obblighi  comunitari,  di  una  responsabilita'   nei
confronti del cittadino  danneggiato  dalla  violazione  del  diritto
comunitario (CGUE, 05.03.1996, C-46, Brasserie du oeucher Sa). 
    Tanto  premesso  in  ordine  generale,  le   disposizioni   della
decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione  europea  del
25 ottobre 2004,  pubblicata  sulla  Gazzetta  Ufficiale  dell'Unione
Europea l. 335/11 (11 novembre 2004),  prevedono  pene  differenziate
per gli stupefacenti piu' dannosi per la salute. 
    L'art. 4  della  decisione  quadro  raccomanda  di  prevedere  un
"trattamento sanzionatorio differenziato per i vari  tipi  di  droga"
(1. Ciascuno Stato membro provvede affinche'  i  reati  di  cui  agli
articoli  2  e  3  siano  soggetti  a   pene   detentive   effettive,
proporzionate  e  dissuasive.  2.  Ciascuno  Stato  membro   provvede
affinche' i reati di cui all'art. 2 siano soggetti a  pene  detentive
della durata massima compresa tra almeno 1  e  3  anni.  3.  Ciascuno
Stato membro provvede affinche' i reati di cui all'art. 2,  paragrafo
lettere a), b) e c) siano soggetti  a  pena  detentiva  della  durata
massima compresa fra almeno 5 e 10 anni in presenza di ciascuna delle
seguenti circostanze: a) il  reato  implica  grandi  quantitativi  di
stupefacenti; b) il reato o implica la fornitura  degli  stupefacenti
piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato  gravi  danni  alla
salute di piu' persone.). 
    Cio' premesso, e' evidente che la legge del 16 maggio 2014 n. 79,
di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, nei termini in  cui  ha
modificato  l'art.  73,  comma  V,  D.P.R.  309/90,  prevedendo  pene
detentive variabili - per qualunque sostanza stupefacente - tra  mesi
sei e anni quattro di reclusione, violi l'art. 4 della  decisione  UE
757/GAI/2004,  che  per  i  reati  minori  in  tema  di  stupefacenti
(categoria in  cui  puo'  essere  inquadrato  il  reato  oggetto  del
presente processo indica una durata massima compresa tra almeno 1 e 3
anni. 
    La violazione e' apprezzabile sia sotto  il  profilo  dei  limiti
massimi di pena detentiva, sia - qualora l'avverbio "almeno"  dovesse
ritenersi applicabile solo al primo termine edittale - in riferimento
ai limiti minimi dei massimi di pena detentiva (almeno anni  uno  per
la decisione quadro, mesi sei per l'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90). 
    La violazione della normativa  comunitaria,  di  contro,  e'  poi
apprezzabile anche con riferimento alla  disciplina  dettata  per  le
fattispecie criminose che riguardano le  sostanze  stupefacenti  piu'
dannose per la salute, per le quali la  decisione-quadro  indicata  -
stabilendo  ancora  una  volta  la  necessita'   di   un   differente
trattamento  sanzionatorio  suggerisce  che  siano  soggette  a  pene
detentive della durata massima compresa almeno tra 5 e 10 anni, 
    Di contro, l'art. 73 comma V nei termini risultanti  dalla  legge
del 16 maggio 2014 n. 79 (di conversione del D.L. 20 marzo  2014,  n.
36) prevede che anche i reati minori  concernenti  le  sostanze  piu'
dannose per la salute siano puniti - analogamente a  quelli  relativi
alle sostanze stupefacenti meno dannose - con pene  della  reclusione
da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329,
ovvero con una pena detentiva irrispettosa  dei  minimi  dei  massimi
edittali,  cui  la  decisione  Quadro  assoggetta  le  condotte   ivi
stigmatizzate (ovvero minimo 5 anni), laddove  queste  implichino  la
fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la  salute  (ovvero  le
cc.dd. droghe pesanti). 
    Nel caso di specie, pertanto, potrebbe ravvisarsi  un'ipotesi  di
inadempimento statale di un obbligo sovranazionale, connotato  da  un
grado di determinatezza tale  da  rendere  l'antinomia  eventualmente
riscontrata censurabile da parte della Corte costituzionale. 
    Ma vi e' di piu'. 
    Per completezza di esposizione; non appare superfluo procedere  -
anche per i profili di stretta connessione  con  le  questioni  sopra
analizzate - ad un'analisi piu' approfondita del  punto  n.  5  delle
considerazioni preliminari della decisione 2004/757/GAI. 
    Tale norma - vero  fulcro  legislativo  -  costituisce,  infatti,
passo di carattere generale e, comunque, necessariamente propedeutico
alla disamina dell'impianto normativo propriamente  detto,  il  quale
traduce, al successivo art. 4,  in  termini  specifici  l'indicazione
generale. 
    Il punto n. 5) delle premesse della decisione del Consiglio della
UE afferma, infatti, che le sanzioni concernenti le condotte illecite
in materia  di  stupefacenti,  devono  ispirarsi  ai  principi  della
"efficacia", "proporzionalita'" e "dissuasivita'". 
    Tra    questi    canoni    fondamentali,    quello    che    piu'
significativamente si pone in correlazione con le  sanzioni  previste
dall'art.  73,  comma  5,  D.P.R.   309/90,   appare   quello   della
proporzionalita' della pena. 
    Il criterio in parola risulta di  specifica  importanza  tanto  a
livello di legislazione comunitaria, quanto  sul  piano  del  diritto
interno italiano, posto che non e' affatto revocabile  in  dubbio  il
suo rango di natura costituzionale, desumibile dal combinato disposto
dagli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. 
    Affinche' il criterio della proporzionalita'  non  rimanga  pero'
confinato al livello di una mera e semplice petizione  di  principio,
di natura generica e astratta, il punto n.  5)  della  decisione  del
Consiglio dell'Unione  Europea  offre  specifici  e  concreti  canoni
ermeneutici   tendenzialmente   fattuali,   destinati   a    favorire
l'individuazione dei limiti di pena: tra essi, riveste una  peculiare
importanza, "la natura degli stupefacenti oggetto di traffico". 
    Appare   dunque   evidente   che,   in   base   ad   una   simile
caratterizzazione dello scopo  da  raggiungere,  il  principio  della
proporzionalita' della pena si debba  necessariamente  coniugare  con
quelli della "offensivita'" e della "tassativita'". 
    In particolare, la rilevanza del principio  di  "offensivita'"  -
allo  scopo  di  identificare,  in   modo   corretto   e   rispettoso
dell'equazione tra fatto e sanzione concreta, la pena da prevedere in
relazione ad una specifica ipotesi di reato - appare assoluta. 
    Il principio  di  "offensivita'"  diviene,  quindi,  al  contempo
presidio  di  "controllo  delle  scelte  di  politica  criminale"   e
"criterio ermeneutico indirizzato al giudice" (ex plurimis,  pronunce
C. Cost. n. 263 del 2000 e n. 225 del 2008). 
    Il concetto di "offensivita'", dunque, si  pone  come  termometro
del grado di antigiuridicita' del fatto o di un comportamento,  ma  -
in pari tempo -  anche  quale  parametro  del  tipo  di  riprovazione
sociale di una condotta, o ancora, del livello  di  protezione  e  di
tutela di un preciso bene giuridico. 
    Coerentemente,  l'esempio  di  proporzionalita'   predisposto   a
livello comunitario  offre  risposte  sanzionatale  differenziate  in
relazione al diverso grado di offensivita' della condotta incriminata
e,  sotto  un  profilo  meramente  oggettivo,  della   tipologia   di
stupefacente valutata in relazione al danno alla salute che provoca. 
    Se dunque il legame tra proporzionalita' e  offensivita'  risulta
simbiotico  e  diretto  nelle  valutazioni  operate  dalla  decisione
2004/757/GAI,  lo  stesso  non  pare,  pero',  affatto  rispettato  e
declinato dalla struttura dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, cosi'
venutosi a delineare dopo la riforma del 2014. 
    L'omologazione sanzionatoria tra sostanze che  gia',  a  costante
parere  della  stessa  comunita'  scientifica  internazionale,   sono
individuate come differenti tra loro, non  solo  per  caratteristiche
organolettiche, ma soprattutto, in relazione al tipo  di  conseguenze
(psico-fisiche) che la loro assunzione produce, potrebbe determinare,
in forza della sua disapplicazione, un notevole vulnus del  ricordato
principio di  offensivita':  e'  indiscutibile  dal  punto  di  vista
scientifico che la cannabis produce effetti psicotropi e sulla salute
dell'assuntore    neppure    comparabili    con    quelli    derivati
dall'assunzione di  cocaina,  eroina  o  extasy,  tanto  per  citarne
alcune. 
    La previsione normativa di una pena assolutamente  identica  (nel
minimo edittale come nel massimo edittale), in relazione a precisi  e
dettagliati comportamenti aventi a oggetto sostanze che, seppur tutte
classificate come illecite, esprimono una diversa,  quanto  evidente,
capacita' di attentato alla salute di chi ne faccia uso,  non  appare
affatto improntata a canoni di ragionevolezza o logicita' e, inoltre,
risulta in netto contrasto la citata normativa comunitaria. 
    Pertanto,  atteso  che  la  legislazione  comunitaria   riconosce
l'esistenza di stupefacenti piu' dannosi per la salute prevedendo  un
trattamento punitivo  differenziato,  la  reintrodotta  equiparazione
delle sanzioni per il fatto di lieve entita' e'  sospetta  di  essere
costituzionalmente illegittima, al punto tale da esporre lo Stato  ad
ipotesi di risarcimento del danno da parte del cittadino  danneggiato
dall'inadempimento comunitario. 
    In altri termini, nell'adozione di una disposizione normativa che
non corrisponde agli obiettivi denunciati in  sede  comunitaria,  ne'
alle indicazioni della Corte costituzionale che  fa  distinzione  tra
droghe pesanti e droghe leggere, deve ritenersi violato il  principio
di  ragionevolezza  nonche'  l'impegno  di  leale  cooperazione,  che
dovrebbe governare il rapporto tra gli Stati membri e l'Unione. 
    Peraltro, la stessa violazione dell'art. 117 Cost. si  propone  -
in punto di proporzionalita' - in relazione all'art. 49, 3 paragrafo,
Carta dei  Diritti  Fondamentali  dell'Unione  Europea  (adottata  al
Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2012), la' dove pretende che
"Le pene  inflitte  non  devono  essere  sproporzionate  rispetto  al
reato". 
    L'inadempimento   dello   Stato   Italiano    alle    statuizioni
sopranazionali  della  decisione  quadro   2004/757/GAI   e'   stato,
peraltro, implicitamente ribadito dalla Commissione  delle  Comunita'
Europee con relazione del 10 dicembre 2009 (Com/2009/669 definitivo). 
    La Commissione, dopo avere premesso che  alcuni  Stati,  tra  cui
l'Italia non hanno  rispettato  l'obbligo  di  comunicazione  di  cui
all'art. 9, paragrafo 2 della decisione  quadro,  nell'analizzare  le
misure nazionali di attuazione ha segnalato che in molti Stati membri
pene detentive massime stabilite per i reati ordinari (art.  4,  par.
1) sono in realta' molto piu' elevate rispetto  alla  proposta  della
decisione quadro (1-3 anni), cosi' come  avviene  in  Italia  con  la
disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Il complesso delle condizioni riassunte ha indotto la Commissione
a trarre la  conclusione  che  l'attuazione  della  Decisione  quadro
2004/757/GAI del Consiglio del 25 ottobre  2004  "non  e'  del  tutto
soddisfacente,  non  avendo  molti  Stati  adeguato  la  legislazione
vigente in funzione della decisione quadro...Senza contare che almeno
sei Stati membri  (tra  cui  l'Italia)  non  hanno  trasmesso  alcuna
informazione,  obbligatoria  ai  sensi  dell'art.  9  della  medesima
decisione quadro". 
    Per tali motivi la Commissione ha invitato gli Stati  membri  che
non hanno adempiuto o abbiano adempiuto solo in parte  agli  obblighi
di cui all'art. 9 della decisione quadro  (1)  a  trasmettere  quanto
prima alla Commissione e al Segretario generale del  Consiglio  tutte
le rispettive disposizioni di attuazione. 
 
                       Valutazioni conclusive 
 
    Seguendo le direttrici delle sentenze "gemelle" n. 348 e  n.  349
del 2007 della Corte costituzionale, non si puo' non riconoscere che,
tra normativa interna di rango primario  e  la  Costituzione,  si  e'
"interposta" una decisione, attuativa di un trattato  internazionale,
che, pur non  direttamente  applicabile,  crea  obblighi  del  nostro
paese, quale Stato contraente. 
    Secondo l'indicazione proveniente  dalle  citate  sentenze,  tali
obblighi,  in  primo  luogo,   impongono   al   giudice   comune   di
"interpretare la norma interna in  modo  conforme  alla  disposizione
internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai  testi
delle norme. Qualora cio' non sia possibile, ovvero il giudice dubiti
della  compatibilita'  della  norma  interna  con   la   disposizione
convenzionale 'interposta', egli deve investire  questa  Corte  della
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale   rispetto   al
parametro dell'art. 117, primo comma .... spettera'  poi  alla  Corte
.... accertare il contrasto e, in caso affermativo, verificare se  le
stesse norme .... garantiscono una tutela  dei  diritti  fondamentali
almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione  italiana"
(Corte Cost. 349/2007). 
    Cio'  premesso,  e'  indubbio  che  il  contrasto  tra  l'attuale
formulazione dell'art. 73, comma V,  D.P.R.  309/90  e  la  decisione
quadro richiamata sia insanabile in via interpretativa  (non  potendo
questo  giudice  intaccare   -   con   un'esegesi   adeguatrice   che
rischierebbe di sconfinare nell'arbitrio - i limiti minimi e  massimi
di pena detentiva previsti dalla disposizione e, comunque, dosare  la
sanzione in funzione delle differenze sostanze) e  non  puo'  trovare
rimedio nella disapplicazione della  norma  nazionale  da  parte  del
giudice  comune,  essendo  la  norma  dell'Unione  Europea  priva  di
efficacia diretta. 
    E' peraltro indiscutibile che il legislatore italiano  non  abbia
provveduto, in ottemperanza  al  dovere  derivante  dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione Europea, a conformare la normativa interna  ai
dettami di quella comunitaria sopra indicata, anche  con  riferimento
ai parametri edittali. 
    Il contrasto segnalato deve,  pertanto,  essere  sottoposto  alla
verifica di costituzionalita' del giudice ad quem, che, in virtu' dei
poteri derivanti ex art. 27, legge 11  marzo  1953,  n.  87  potrebbe
dichiarare anche l'illegittimita' derivata  dell'art.  73,  comma  V,
D.P.R. 309/90, nella parte relativa alla violazione  dei  minimi  dei
massimi edittali previsti per le droghe piu' dannose della salute  di
cui all'art. 4 della medesima decisione quadro. 
    La declaratoria di incostituzionalita'  dell'art.  73,  comma  V,
D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla legge 16 maggio 2014 n. 79,
nella parte in cui non prevede un regime sanzionatorio  differenziato
in  relazione  alla  tipologia  e  classificazione  tabellare   della
sostanza stupefacente, conformemente ai parametri anche  edittali  di
cui all'art. 4 della  Decisione  Quadro  2004/757/Gai  del  Consiglio
dell'Unione Europea del 25 ottobre  2004,  appare  l'unica  soluzione
idonea (e propedeutica) a garantire l'adeguamento del diritto interno
agli obblighi comunitari assunti in materia, oltre che un trattamento
sanzionatorio proporzionato in relazione a situazioni  di  differente
offensivita'  e  allarme  sociale,   funzionale   al   principio   di
rieducazione della pena. 

(1) Articolo 9 Decisione quadro 2004/757/Gai  del  Consiglio  del  25
    ottobre 2004:  1.  Gli  Stati  membri  adottano  le  disposizioni
    necessarie  per  conformarsi  alle  disposizioni  della  presente
    decisione quadro entro il 12 maggio  2006.  2  Gli  Stati  membri
    trasmettono  al  Segretario  Generale  del  Consiglio   e   della
    Commissione, entro il termine di cui al  paragrafo  1,  il  testo
    delle disposizioni inerenti  al  recepimento  nella  legislazione
    nazionale degli obblighi loro imposti  dalla  presente  decisione
    quadro. La Commissione, entro il  12  maggio  2009,  presenta  al
    Parlamento Europeo e al Consiglio una  relazione  sull'attuazione
    della decisione quadro