TRIBUNALE DI ROMA
(Sezione IV Penale)
Ordinanza propositiva di questione di legittimita' costituzionale
- articolo 23, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87
Il giudice, dott. Pierluigi Picozzi, esaminati gli atti del
procedimento iscritto al n. 11601 del Registro Generale del
Dibattimento dell'anno 2012 e vista l'istanza presentata in data 18
luglio 2014 (ma consegnata a questo stesso giudice solo in data 12
marzo 2015) dall'avv. Giuseppe Vercelli, con la quale e' stata
chiesta la liquidazione degli onorari professionali spettanti per
l'attivita' prestata quale difensore di ufficio di Rachid Zahraoui,
imputato nel detto procedimento, rileva quanto segue.
L'avv. Vercelli ha avanzato la suddetta istanza ai sensi
dell'articolo 116 del Decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115. Egli, infatti, nominato difensore di ufficio, ai
sensi dell'articolo 97, comma 1, c.p.p., del cittadino marocchino
Rachid Zahraoui nel corso dell'udienza del 3 luglio 2012, non e'
riuscito ad ottenere il pagamento delle proprie spettanze, in quanto
non e' stato in grado di reperire il suo assistito, nonostante i
tentativi di rintraccio posti in essere e documentati.
Sussisterebbero, dunque, le condizioni previste dalla norma citata
(«... quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le
procedure per il recupero dei crediti professionali) perche' questo
giudice debba procedere all'accoglimento dell'istanza.
Si dubita, tuttavia, della legittimita' costituzionale della
norma richiamata in relazione agli articoli 3 - sotto un duplice
profilo - e 97 della Costituzione.
Prima di esplicitare tali dubbi, peraltro, preme evidenziare, da
un lato, come la questione proposta debba ritenersi ammissibile alla
luce della natura giudiziale del procedimento introdotto dall'istanza
del difensore, confermata dalla possibilita' di impugnazione del
provvedimento decisorio, prevista dallo stesso articolo 116, secondo
le modalita' di cui all'articolo 84 del medesimo d.P.R. n. 115/2002 e
gia' ritenuta dalla Corte costituzionale in vari precedenti (si veda,
da ultimo, l'ordinanza n. 191 del 2013, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 29 del 17 luglio 2013) che hanno preso in esame la norma
evidenziata, sia pure sotto diversi profili.
Dall'altro l'evidente rilevanza dell'eventuale pronuncia di
illegittimita' costituzionale dell'articolo 116 nel procedimento
sopra ricordato, atteso che cio' comporterebbe il rigetto
dell'istanza proposta dall'avv. Vercelli.
Sotto un primo profilo, l'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002
appare introdurre un principio di irragionevole disparita' - in
contrasto, dunque, con il disposto dell'articolo 3 della Costituzione
- tra il difensore di ufficio di un imputato resosi irreperibile
(indipendentemente da una formale dichiarazione al riguardo, ai sensi
dell'articolo 159 c.p.p.: fattispecie presa in esame dal diverso
articolo 117 del d.P.R. n. 115/2002) o, addirittura, semplicemente
non in grado di onorare l'obbligazione assunta (per come la norma
viene interpretata dalla giurisprudenza della Suprema Corte: vedi
Cassazione, Sezione VI civile, ordinanza 20 dicembre 2011, n. 27854,
o Cassazione, Sezione IV penale, 26 marzo 2009, n. 27473) e tutti gli
altri difensori impegnati in processi penali o civili - per non
parlare delle altre categorie di liberi professionisti o imprenditori
- che si trovino a fronteggiare una situazione di insolvenza del
proprio assistito. Il difensore considerato dall'articolo 116 citato,
in sostanza, vede garantito e tutelato il proprio credito dallo
Stato, mentre il difensore di fiducia di un imputato altrettanto
impossidente o irreperibile o il difensore di una parte in un
processo civile, devono sopportare l'onere ed il rischio di non poter
vedere soddisfatto il proprio credito. Tale disparita' non appare
giustificata dal bilanciamento con il diritto di difesa previsto
dall'articolo 24 della Costituzione, che, con tutta evidenza, mira a
tutelare anche le parti dei procedimenti civili o gli imputati che
intendono avvalersi di un difensore di propria fiducia. Ne' appare
fondata l'obiezione che la necessita' di assicurare la difesa anche a
coloro che si disinteressano del giudizio a proprio carico,
giustifichi l'assunzione dell'onere delle spese del difensore da
parte dello Stato: se, infatti, a differenza dell'assunzione di un
mandato fiduciario, l'incarico della difesa di ufficio deve ritenersi
obbligatorio per il professionista designato, l'iscrizione nelle
liste dei difensori di ufficio avviene, comunque, su base volontaria.
Ciononostante, in virtu' dell'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002,
l'avvocato incaricato di ufficio viene escluso dalla condizione di
accettazione del rischio di insolvenza del proprio assistito in cui
invece si trova il suo collega che assume un incarico fiduciario. Non
puo' rilevare, peraltro, come elemento discriminante, l'anticipazione
della valutazione di tale rischio - connessa al momento della
iscrizione nelle liste e, dunque, disgiunta dalla conoscenza
personale dell'assistito - che appare, invero, compensata dal
meccanismo casuale di assunzione dell'incarico e dall'affidamento
degli incarichi stessi indipendentemente dalla predisposizione di
un'attivita' imprenditoriale di procacciamento della clientela.
E' appena il caso di osservare che la previsione dell'articolo
116 del d.P.R. n. 115/2002 non appare necessitata dal dettato
dell'articolo 24, comma 3, della Costituzione, che e' pienamente
rispettato dal legislatore attraverso il meccanismo del patrocinio a
spese dello Stato di cui agli articoli 74 e seguenti (in particolare
90 e seguenti con riferimento al processo penale) del d.P.R. n.
115/2002. Cosi' come l'articolo 36 della Costituzione, nel prevedere
il diritto di qualunque lavoratore ad una retribuzione proporzionata
alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, non ammette differenze
tra lavoratori della medesima categoria che giustifichino
l'intervento statale a tutela del compenso solo per alcuni di essi a
parita' di prestazioni svolte.
Il richiamo alla disciplina dell'ammissione al patrocinio a spese
dello Stato consente di introdurre il secondo profilo di
irragionevole disparita' - e, dunque, di contrasto con l'articolo 3
della Costituzione - cui si e' accennato con riferimento all'articolo
116 del d.P.R. n. 115/2002. Le norme in questione, invero, prevedono
da, un lato una serie di oneri e di assunzioni di responsabilita' per
l'istante - riassunti nell'articolo 79 del d.P.R. n. 115/2002 - e
dall'altro una serie di limiti alla possibilita' di accedere al
beneficio - esplicitati negli articoli 76, 91 e 92 del richiamato
Decreto. Inoltre, l'istante e' sottoposto al controllo della
sussistenza delle condizioni per accedere al patrocinio, sia in via
preventiva (articolo 96, comma 2, d.P.R. n. 115/2002) che successiva
(articoli 88 e 98 del detto d.P.R.) ed il beneficio puo' essere
revocato (articolo 112 del d.P.R. n. 115/2002). Senza considerare le
sanzioni penali previste dall'articolo 95 in caso di dichiarazioni
non corrispondenti al vero. Nulla di tutto cio' e' previsto
dall'articolo 116 in questione: il pagamento dell'onorario difensivo
e' rimesso a carico dello Stato indipendentemente dal reddito
dell'assistito, dai suoi precedenti penali, dal titolo di reato per
cui e' stato processato. E' sufficiente che egli non sia stato
reperito dal difensore (peraltro senza neppure la garanzia di
ricerche accurate, come quelle previste dall'articolo 159 c.p.p.) o
che si sia dimostrato insolvente nei suoi confronti (senza alcuna
valutazione in ordine al possibile occultamento di beni
patrimoniali), perche' il credito del professionista venga garantito
dallo Stato. Tenuto conto che il patrocinio a spese dello Stato e',
ovviamente, garantito anche a chi e' assistito da un difensore di
ufficio, la disparita' sopra evidenziata si rende palese nella
considerazione del vantaggio che ha tale difensore a trovarsi nelle
condizioni di cui all'articolo 116 citato (e, dunque, eventualmente a
favorirne la realizzazione) piuttosto che a dover intraprendere la
farraginosa procedura di cui agli articoli 74 e seguenti del d.P.R.
n. 115/2002. Tanto piu' che, anche qualora il suo assistito dovesse
vedersi rigettata l'istanza di ammissione, egli puo' comunque vedersi
garantire il compenso qualora ricorrano le condizioni di cui
all'articolo 116 in questione.
L'agevole accesso al rimedio di cui alla norma che si intende
sottoporre al vaglio di legittimita' introduce l'ultimo degli aspetti
di contrasto della stessa con il dettato costituzionale e, in
particolare, con il principio di buon andamento ed imparzialita'
dell'amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione. La
certezza di veder remunerato il proprio operato, infatti,
indipendentemente da ogni valutazione circa la sua efficacia e,
soprattutto, la sua necessita' e da ogni confronto con il proprio
cliente, puo', infatti, spingere il difensore - al di la' di ogni
considerazione degli aspetti deontologici di tale comportamento - ad
effettuare scelte di strategia processuale che non siano finalizzate
al miglior interesse del suo assistito, ma a garantirsi un piu' alto
compenso. Le modalita' di liquidazione degli onorari del difensore da
parte del giudice, previste dalla legge, portano, infatti, a ritenere
meno vantaggioso per il legale, ad esempio, adire un rito alternativo
a quello ordinario ovvero inducono la proposizione di impugnazioni
anche nel caso di palese infondatezza delle stesse. Tutte soluzioni
che il controllo del proprio assistito o la consapevolezza della
difficolta' nel recupero del proprio credito, comune a quella di
qualsiasi altro professionista, contribuiscono a calmierare, con
notevole sgravio per le gia' ingolfate strutture giudiziarie.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il procedimento per
la liquidazione delle competenze richieste dall'avv. Vercelli deve
essere sospeso, con rimessione degli atti dello stesso alla Corte
costituzionale.