IL GIUDICE DI PACE DI MATERA Ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, art. 134 Costituzione e 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. Il Giudice dott. Pietro Santoro, chiamato a decidere per competenza in ordine al procedimento penale iscritto al n. 25/10 r.g. a carico di M. C. nt. il 6 giugno 1981, M. R. C. il 15 maggio 1984, M. M. il 1° febbraio 1979, imputati dei reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p.; Rilevato che nel nostro Ordinamento e' stato introdotto il decreto legislativo 16 marzo 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 del 18 marzo 2015 Disposizioni in materia di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera m) della legge 28 aprile 2014, n. 67; Rilevato che detto ultimo articolo ha conferito delega al Governo per «escludere la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non punibilita' del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale»; Rilevato ancora che la norma fondamentale di riferimento e' quella contenuta nell'art. 131-bis del c.p., introdotta con il decreto succitato che, in ossequio alle indicazioni di delega, configura la possibilita' di definire il procedimento con la declaratoria di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto relativamente ai reati per cui e' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva; Rilevato inoltre che ai fini della declaratoria di non punibilita' assumono rilievo gli indici-criteri (secondo la nozione datane nella Relazione di accompagnamento) della «particolare tenuita' dell'offesa», a sua volta desumibile dalle «modalita' della condotta» e dalla «esiguita' del danno o del pericolo» derivato dal reato, e dalla «non abitualita' del comportamento». Rilevato altresi' che il reato per cui questo Giudice e' chiamato a decidere rientra astrattamente tra quelli previsti dall'art. 131-bis c.p., per cui dovrebbe (o potrebbe trovare) applicazione declaratoria di non punibilita', Osserva Questo Giudice non ignora le finalita' di deflazione processuale perseguita dal Legislatore con l'introduzione della nuova normativa introdotta; Dal punto di vista processuale l'art. 131-bis c.p. e' la norma di riferimento, presa in esame in questa fase di giudizio, allorquando la declaratoria intervenga dopo l'esercizio dell'azione penale - sebbene la causa di non punibilita' puo' essere applicata anche durante la fase delle indagini preliminari in quanto l'art. 411-bis c.p.p. prevede che possa essere disposta l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ed in quest'ultimo caso la peculiarita', rispetto alla applicazione successiva all'esercizio dell'azione penale, consiste in un meccanismo di interlocuzione dell'indagato e della persona offesa, che possono censurare nel merito la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero. Orbene, al di la' delle condivisibili finalita' perseguite dal Legislatore, non puo' sfuggire all'operatore del diritto chiamato ad applicare la norma indicata (art. 131-bis c.p.), che il sistema normativo introdotto con il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, si pone in contrasto con principi e valori di rango costituzionale quali, per l'imputato: il diritto alla difesa (art. 24 Cost.), inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, il diritto ad un giusto processo (art. 111 Cost.) nella misura in cui non viene consentito 1) che il processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, 2) di esercitare la facolta', davanti al Giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore, 3) che il processo penale sia retto dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, Viene altresi' leso il diritto a non essere considerato colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna (cd. Presunzione di non colpevolezza - art. 27 Cost. e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) nonche' il diritto alla tutela della propria onorabilita' e reputazione (artt. 2 e 3 Cost. ed art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). E neppure si puo' sottacere che il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 98, introduce degli aspetti di inquisitorieta' che si pongono in aperto ed irragionevole contrasto con l'impianto del nostro sistema penale, riformato in questo senso nell'anno 1992 ed improntato al principio accusatorio nell'ambito del quale la prova, specie quella orale, si forma in dibattimento, nel contraddittorio delle parti salvo specifiche eccezioni espressamente regolamentate dalla legge. Orbene, l'art. 132-bis c.p. prevede che, dopo l'esercizio dell'azione penale, la definizione del giudizio possa avvenire con sentenza anche prima del dibattimento, nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 469 c.p., ovvero all'esito del giudizio (ergo, in esito all'udienza preliminare o in esito al dibattimento). Proprio tale fattispecie - sentenza prima del dibattimento - e' quella che manifesta le maggiori criticita' di contrasto con il dettato costituzionale. Difatti il Giudice, anziche' accertare il fatto in tutti i suoi elementi essenziali attraverso il ricorso al dibattimento, si ritrova a dover verificare, pre-dibattimentalmente (quindi attraverso l'esame dei soli documenti contenuti nel fascicolo del dibattimento - e pertanto in attraverso l'esame del capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione a giudizio, il certificato del Casellario giudiziale ed eventuali atti dal contenuto irripetibile) soltanto la particolare tenuita' dell'offesa, le modalita' della condotta, la esiguita' del danno o del pericolo derivato dal reato e la non abitualita' del comportamento. E' di tutta evidenza, che il Giudice, non inoltrandosi nel merito, e' costretto ad abdigare - con svilimento della funzione - dalle sue prerogative di accertare il fatto in posizione di estraneita', e quindi di terzieta' ed imparzialita', che costituiscono la essenza stessa della Giurisdizione (art. 111 Cost., comma 2). Difatti, il giudizio (rectius la valutazione) del Giudice rimane vincolato irragionevolmente alle valutazioni finali dell'Organo dell'accusa che ha raccolto il materiale probatorio nel segreto istruttorio, unilateralmente, nel corso delle indagini preliminari; valutazioni, inoltre, basate per dato di esperienza su atti provenienti dalla persona offesa (es.: querele, dichiarazioni o produzioni) parte interessata per antonomasia. Ebbene, il Giudice, viene cosi' spogliato delle sue prerogative e, quasi fosse un mero organo rogante, e' chiamato ad avallare, senza contraddittorio, le prospettazioni e valutazioni del p.m. Il tutto, sacrificando anche il principio del proprio libero convincimento. Grazie a questo meccanismo, introdotto dal decreto legislativo de quo, l'imputato - magari innocente - senza alcun contraddittorio e senza la benche' minima possibilita' di difendersi potrebbe vedersi attinto da sentenza di non doversi procedere ex art. 131-bis c.p., per il solo fatto di essere stato rinviato a giudizio, (l'inconveniente e' particolarmente avvertito nel procedimento innanzi al Giudice Pace disciplinato dal d.lgs. n. 274/2000, che non prevede l'istituto della chiusura delle indagini e la facolta' per l'indagato nei 20 giorni successivi di esercitare le facolta' difensive di cui all'art. 425 c.p.p. e nel quale non di rado, l'imputato viene rinviato a giudizio sulla base della sola querela sporta dalla persona offesa). Ed a nulla varrebbe una manifestazione di volonta' contraria dell'imputato - diretta a voler sostenere il processo per dimostrare la propria innocenza - poiche' il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, non prevede che quest'ultimo possa dissentire da un'eventuale sentenza di non doversi procedere per particolare tenuita'. Orbene, si osserva che il meccanismo adottato dal Legislatore, come detto finalizzato alla deflazione processuale non porrebbe problemi di sorta circa il rispetto dei valori lesi della Costituzione se la emissione della sentenza di declaratoria di improcedibilita' non avesse ripercussioni negative sulla sfera giuridica dell'imputato (che, come si e' visto, nulla puo' fare per opporsi alla declaratoria di non punibilita'). Ed invece, a ben vedere proprio tale declaratoria, quando e' emessa dopo l'esercizio dell'azione penale ma prima del dibattimento, incide negativamente sugli interessi giuridici della persona sottoposta a processo. Difatti, l'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 2015 rende possibile l'iscrizione nel Casellario giudiziale dei provvedimenti in materia di particolare tenuita' del fatto. Cio' comporta che: 1) restera' traccia nel casellario giudiziale al fine di evitare che l'iscritto, in caso di nuovo procedimento possa essere considerato un soggetto non abituale; 2) l'iscrizione finisce per ledere, indubitabilmente, il diritto all'onorabilita' dell'imputato che si ritrova nell'impossibilita' di difendere il suo buon nome. Si avra' la indefettibile conseguenza che l'imputato, pur se innocente del reato ascrittogli, a causa dell'iscrizione intervenuta, si trovera' nelle condizioni di non poter usufruire di una declaratoria di improcedibilita' qualora dovesse davvero commettere un fatto rilevante penalmente che rientrasse nelle previsioni del decreto legislativo. Ma, ancor piu' grave e' la lesione della sua onorabilita' poiche' si troverebbe, ingiustamente, soltanto perche' querelato a ritrovarsi una iscrizione penale nel casellario giudiziale. E' allora evidente che la norma di cui all'art. 131-bis c.p. (derivante dall'art. 1, d.d.lgs. n. 28/2015) e quella di cui all'art. 4 del suddetto decreto (che ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2012, n. 313, recante disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti) risultano incostituzionali nella parte in cui statuiscono che il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, senza alcun approfondimento dibattimentale, emetta sentenza declaratoria di non punibilita' che dara' luogo alla relativa iscrizione nel casellario giudiziale; l'incostituzionalita' di dette norme e' pertanto legata alla mancata previsione che l'imputato possa esprimere al Giudice, in maniera vincolante, il proprio dissenso in ordine alla definizione del giudizio con sentenza di improcedibilita' per lieve entita', in maniera tale che, una volta manifestata tale volonta' negativa, debba procedersi all'accertamento del fatto, dibattimentalmente (e solo all'esito, in mancanza di presupposti per l'assoluzione, procedere con la declaratoria di improcedibilita'). Il Giudice, ritenuta pertanto la rilevanza ai fini della decisione e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli art. 131-bis c.p. e dell'art. 4 del d.lgs. n. 29/2015 in riferimento ai principi di rango costituzionale di seguito indicati: il diritto della difesa (art. 24 Cost.), il diritto ad un giusto processo (art. 111 Cost.) nella misura in cui non viene consentito 1) che il processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, 2) di esercitare la facolta', davanti al Giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prove a suo favore, 3) che il processo penale sia retto dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, il diritto a non essere considerato colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna (cd. Presunzione di non colpevolezza - art. 27 Cost. e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) ed il diritto alla tutela della propria onorabilita' e reputazione (art. 2 e 3 Cost. ed art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), principio di ragionevolezza in quanto il Giudice irragionevolmente e' chiamato ad esprimere una valutazione in ordine alla gravita' o tenuita' del fatto rimanendo tuttavia vincolato in maniera esclusiva alle valutazioni espresse dal P.M. a seguito delle indagini preliminari, Letti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione e 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87,