TRIBUNALE DI TREVISO Sezione penale Il Giudice nel procedimento penale n. 829/14 r.g. Trib. pronuncia la seguente Ordinanza. Berton Duilio veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, perche' nella sua veste di legale rappresentate della ditta «Asolana Societa' Cooperativa» non versava nei termini previsti per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta (modello 770) ritenute alla fonte risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti e relative ad emolumenti erogati nell'anno d'imposta 2008 per un ammontare pari ad € 76.336 e percio' eccedente i 50.000 euro per periodo d'imposta. Con memoria depositata il 4 luglio 2014 la difesa ha prospettato un'eccezione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice in questione nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti anche per importi inferiori ad € 103.291,38; in particolare, la difesa ha richiamato la sentenza n. 80 dell'8 aprile 2014 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad € 103.291,38, sostenendo, in estrema sintesi, che si prospetterebbero i medesimi profili di' censura costituzionale. Non vi e' dubbio, in primo luogo, che se la questione sollevata fosse fondata sarebbe rilevante nel presente procedimento, atteso che all'imputato viene contestato l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare di € 76.336, in relazione all'anno d'imposta 2008. Ne consegue che se per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011 la punibilita' ai sensi dell'art. 10-bis fosse limitata alle condotte che comportano un'evasione superiore all'importo di € 103.291,38 l'imputato dovrebbe essere mandato esente da responsabilita' penale. Venendo alla non manifesta infondatezza va premesso, come gia' ricordato, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 80 dell'8 aprile 2014, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad € 103.291,38, e questo, in estrema sintesi, per violazione del principio di uguaglianza rispetto alla disciplina dettata per i reati di cui agli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo che prevedevano delle soglie di punibilita' piu' elevate nonostante l'omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele costituiscano degli illeciti incontestabilmente piu' gravi rispetto all'omesso versamento dell'iva dichiarata. Cio' premesso, ritiene questo Giudice che la questione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa non sia manifestamente infondata non tanto raffrontando l'art. 10-bis con gli artt. 4 e 5 del decreto legislativo n. 74/2000, ma raffrontando l'art. 10-bis direttamente con l'art. 10-ter cosi' come ricondotto a legittimita' costituzionale. Entrando nel merito, oggi l'art. 10-ter del decreto legislativo n. 74/2000, per i fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce solo chi ometta il versamento dell'iva entro il termine fissato dalla legge quando la somma non pagata superi la soglia di € 103.291,38; l'art. 10-bis, invece, per i fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce per l'omesso versamento, entro il termine fissato dalla legge, di importi trattenuti quale sostituto quando la somma evasa sia superiore alla soglia di € 50.000 che era anche quella prevista dall'art. 10-ter prima dell'intervento della Consulta. Ebbene, prima facie, tale «differenziazione di importi da scavalcare» ai fini della assunzione di rilevanza penale delle condotte incriminate non e' ragionevole, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. In primo luogo e' da escludersi che la suddetta differenziazione possa trovare ragionevole giustificazione nella diversa natura delle somme non versate (iva e trattenute), in quanto, da un lato, trattasi comunque di somme dovute all'erario in adempimento degli obblighi tributari (il che differenzia entrambe le ipotesi dalla fattispecie di cui all'art. 2, comma 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463 che riguarda gli obblighi previdenziali, sul punto cfr. Corte Costituzionale, 19 maggio 2014, n. 139), dall'altro lato era stato sostanzialmente lo stesso legislatore a sottendere che la diversa natura delle somme non comportasse una differente offensivita' prevedendo originariamente la medesima soglia di punibilita' per le due fattispecie, quella, per l'appunto, di € 50.000. In secondo luogo, non pare neppure corretto sostenere che la punizione della condotta di cui all'art. 10-bis a partire da una soglia inferiore sia giustificata da un maggiore disvalore derivante dal fatto che il sostituto agisce in un certo qual modo come «esattore» per conto dell'amministrazione finanziaria, trattenendo alla fonte una somma di denaro la cui destinazione naturale e' quella di confluire nelle casse dell'erario; a parte la considerazione per la quale una simile osservazione puo' essere svolta anche per la fattispecie di cui all'art. 10-ter (anche qui il soggetto obbligato riceve da terzi, dal precettore del bene o del servizio, la somma corrispondete all'iva proprio al fine di versarla all'erario con, allora, un originario e preciso vincolo di destinazione che fa ritenere sussistente un obbligo di immediato accantonamento in vista del successivo versamento, cfr. Cass. Pen., sez. un., 28 marzo - 17 settembre 2013, n. 37424 e n. 27425), va ulteriormente rilevato che la suddetta impostazione non sembra corrispondere a quella che e' la sostanza tributaristica del fenomeno sostitutivo; infatti, il sostituto non trattiene materialmente alcuna somma di denaro dal compenso corrisposto al sostituito: si limita a pagare una somma «al netto della ritenuta», ma non trattiene fisicamente alcun importo, come facilmente desumibile dall'esame di una qualsiasi certificazione spedita al sostituito dove si certifica di avere corrisposto una certa somma con indicazione dell'importo della ritenuta che il sostituto detrarra' da quanto a sua volta da lui dovuto al fisco. Infine, neppure sembra possibile sostenere che la piu' bassa soglia di punibilita' prevista per la fattispecie di cui all'art. 10-bis possa essere giustificata nella maggiore gravita' insita nella condotta dal sostituto che, oltre a non versare al fisco le ritenute (come nell'art. 10-ter il soggetto attivo non versa l'iva), rilascia al sostituito una certificazione che dovrebbe considerarsi menzognera, in cui attesta l'avvenuta effettuazione delle ritenute, tenendo conto che tale certificazione viene poi utilizzata dal sostituito per dimostrare di avere assolto al proprio obbligo tributario, ove la ritenuta sia stata effettuata a titolo di imposta, ovvero per dimostrare di avere diritto alla compensazione tra il credito corrispondente alla ritenuta subita ed il proprio debito d'imposta, ove la ritenuta sia stata effettuata in acconto. Questa argomentazione non regge perche', in primo luogo, il legislatore ha previsto una certificazione delle ritenute operate e non una certificazione dei versamenti effettuati dal sostituto d'imposta, cosicche', da un lato, la certificazione puo' non essere affatto menzognera (il sostituto ha effettivamente effettuato le ritenute, solo che poi non le versa al fisco), dall'altro lato, il rilascio di tale certificazione non appare strettamente connesso al disvalore della «condotta principale» del sostituto sanzionata penalmente, che e' quella dell'omettere il versamento delle ritenute effettuate. In secondo luogo, sotto il secondo profilo, il presupposto che determina il diritto del sostituito a scomputare le ritenute subite non e' dato dall'avvenuto rilascio della certificazione, ma dalla circostanza che dette ritenute siano state affettivamente operate dal sostituto; tale interpretazione e' confortata dal dato letterale della norma di cui all'art. 4 del d.p.r. 322/1998 che prevede la possibilita' per il sostituito di scomputare «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate», senza richiedere che siano anche certificate, nonche' dal prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria secondo il quale anche il sostituito che non e' in possesso della certificazione e' liberato dal proprio obbligo tributario se riesce a dimostrare di avere subito la ritenuta attraverso l'esibizione di documenti equipollenti alla certificazione (cosi', Cass., 2 ottobre 1996, n. 8806; Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, 4 marzo 2008, n. 60; Commissione Tributaria di Bari, 16 giugno 2008, n. 48; Commissione Tributaria Provinciale di Teramo, 18 dicembre 2007, n. 198; contra, peraltro, Cass., 14 maggio 2008, n. 12072). Ne discende che neppure l'elemento del rilascio ai sostituiti della certificazione circa l'effettuazione delle ritenute appare in grado di giustificare la differente soglia di punibilita' rispetto alla norma di cui all'art. 10-ter del decreto legislativo n. 74/2000.