LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                          Sezione I Civile 
 
    Composta dai Signori Magistrati: 
        Dott. Giulio De Simone Presidente rel.; 
        Dott. Andrea Riccucci Consigliere; 
        Dott. Domenico Paparo Consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 390/2014 del ruolo della  volontaria  giurisdizione  di  questa
Corte  e  vertente  tra  Ernesto  Rabizzi,  Fabio  Borghi,   Graziano
Costantini, Alfredo Monaci  ed  Andrea  Pisaneschi,  rappresentati  e
difesi dagli Avv.ti Prof. Sergio Menchini, Paolo Luccarelli,  Barbara
Terranova e Gian Luca De Angelis in forza  di  procura  in  calce  al
ricorso in opposizione ed elettivamente domiciliati in Firenze presso
lo studio dell'Avv. Isabella  Vellucci  in  via  Settembrini  n.  18,
ricorrenti e  Commissione  Nazionale  per  le  Societa'  e  la  Borsa
(CONSOB) in persona del  presidente  e  legale  rappresentante  Dott.
Giuseppe Carlo Ferdinando Vegas, rappresentata e difesa dagli  Avv.ti
Salvatore Providenti, Gianfranco  Randisi,  Alessandra  Atripaldi  ed
Elisabetta Cappariello, appartenenti alla Consulenza legale  interna,
come da procura a margine della comparsa di costituzione e  risposta,
elettivamente domiciliati  in  Firenze  presso  lo  studio  dell'Avv.
Andrea Vannini, studio Paratore Pasquetti & Partners, in via Pasquale
Villari n. 39, resistente e con intervento del P.G. 
    La Corte letti gli atti del procedimento, osserva quanto segue: 
        la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (d'ora in
avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18866 in  data  18/04/2014
ha applicato a Ernesto Rabizzi, Fabio  Borghi,  Graziano  Costantini,
Alfredo Monaci ed Andrea Pisaneschi (unitamente  ad  altri  esponenti
della Banca  Monte  dei  Paschi  di  Siena  variamente  sanzionati  -
obbligata in solido la Banca Monte dei Paschi di  Siena  S.p.A.)  una
sanzione  pecuniaria  amministrativa  per  una  serie  di  violazioni
asseritamente  compiute  nella  rispettive  qualita'  componenti  del
consiglio d'amministrazione della Banca Monte  dei  Paschi  di  Siena
S.p.A.; 
        avverso tale delibera hanno  proposto  opposizione  a  questa
Corte, ex art.  195  comma  4  del  D.lgs.  58/98,  gli  interessati,
deducendo, oltre a motivi di merito, motivi  attinenti  ai  connotati
del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob ed alla disciplina
dell'opposizione dinanzi alla corte d'appello; 
        in sintesi, gli opponenti hanno  sostenuto  che  la  delibera
sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati  violati  i
principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti  istruttori
e della distinzione fra funzioni  istruttorie  e  funzioni  decisorie
posti dall'art. 195 comma 2 del TUF,  e  quelli  posti  dall'art.  24
comma 1 della legge 262/2005, e cio' in  quanto:  -  la  Consob  allo
scopo della disciplina al suo interno del procedimento  sanzionatorio
aveva adottato le delibere n. 15131 del 5 agosto 2005 e n. 15086  del
21 giugno 2005 (la prima relativa ai termini ed al  responsabile  del
procedimento, e la seconda agli  altri  aspetti  funzionali);  -  per
effetto di quanto sopra gli  interessati  hanno  la  possibilita'  di
presentare deduzioni  all'Ufficio  Sanzioni  Amministrative  (cui  in
precedenza  la  Divisione  operativa  ha  trasmesso  gli   atti   del
procedimento  e  le  sue  valutazioni),  e  questo,  considerate   le
valutazioni   della    Divisione    operativa    e    le    deduzioni
dell'interessato,  formula  le  sue  conclusioni   in   ordine   alla
sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione  da
applicare, conclusioni delle quali  e'  destinataria  la  Commissione
che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se  accogliere  o
meno  la  proposta  dell'Ufficio  Sanzioni  Amministrative;  -   tale
procedimento contrasta con il principio del contraddittorio in quanto
nella fase finale del procedimento ed  immediatamente  precedente  la
decisione della Commissione il soggetto interessato non e'  posto  in
grado di svolgere le sue difese; cio' in quanto interessato non  puo'
interloquire con  la  Commissione  (in  sostanza  la  Commissione  in
composizione collegiale non  puo'  "...  farsi  una  sua  idea  della
vicenda oggetto della proposta sanzionatoria e si limita a ratificare
l'operato svolto  dagli  uffici"  -  cosi'  a  pag.  6  dell'atto  di
opposizione); - la violazione del principio di conoscenza degli  atti
istruttori deriva dal fatto che  la  proposta  dell'Ufficio  Sanzioni
Amministrative non viene  portata  a  conoscenza  degli  interessati,
nonostante contenga sempre elementi nuovi quali quelli attinenti alla
quantificazione della sanzione amministrativa in relazione ai criteri
di cui all'art. 11 della legge 689/1989; - e' esclusa la  distinzione
tra funzioni istruttorie e decisorie in quanto, nonostante vi sia una
distinzione  di  ruoli  fra  gli  Uffici,  non  v'e'  una   "concreta
indipendenza nell'esame delle questioni sottoposte": cio'  in  quanto
la  Commissione,  ricevendo   la   proposta   dell'Ufficio   Sanzioni
Amministrative "perde la sua autonomia di giudizio"  in  quanto  alla
proposta non si contrappone un'attivita' difensiva dell'interessato e
la  Commissione  non  ha  poteri  di  indagine   ed   approfondimento
cosicche',  di  fatto,  l'attivita'  decisoria  che  dovrebbe  essere
demandata  alla   Commissione   e'   rimessa   all'Ufficio   Sanzioni
Amministrative  preposto  ad  attivita'  istruttoria;  -  elementi  a
conforto della tesi della illegittimita' dello specifico procedimento
sanzionatorio devono trarsi dalla sentenza della  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso
n. 18640/10) con la quale, in relazione al procedimento sanzionatorio
di cui all'art. 187-septies TUF (eguale a quello di cui all'art.  195
dello stesso TUF), sono stati accertati vizi dovuti: a) al fatto  che
la  relazione  dell'Ufficio   Sanzioni   Amministrative   non   viene
comunicata agli interessati i quali, quindi, non  possono  difendersi
proprio sul documento in  relazione  al  quale  la  Consob  fonda  la
propria decisione; b) gli interessati non hanno  la  possibilita'  di
interrogare o far interrogare le persone ascoltate dagli Uffici della
Consob  durante  l'istruttoria;  c)  gli  interessati  non  hanno  la
possibilita' di partecipare alla seduta nella quale la Commissione in
composizione collegiale decide sull'applicazione  della  sanzione;  -
sempre in tale sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo  e'
stato affermata per la Commissione la sussistenza della  indipendenza
ma  non  anche  dell'imparzialita'  in  quanto  gli  Uffici  preposti
all'istruttoria e la Commissione "... non sono  che  dei  rami  dello
stesso organo amministrativo, che agiscono  sotto  l'autorita'  e  la
supervisione  di  uno  stesso  Presidente"  e  cio'   comporta   "...
l'esercizio consecutivo delle funzioni di inchiesta  e  di  decisione
nel seno di una stessa  istituzione,  cio'  che  e'  compatibile,  ad
avviso della Corte, con l'esigenza di imparzialita'"; 
        il procedimento di opposizione dinanzi alla  Corte  d'appello
(art. 195 comma 4 del D.lgs. 58/98) e' camerale, come  reso  evidente
dall'art. 195 comma 7 del D.lgs. cit.  ("La  Corte  d'appello  decide
sull'opposizione  in  camera  di  consiglio,  sentito   il   pubblico
ministero, con decreto motivato"); 
        gli opponenti nella sostanza deducono l'illegittimita'  della
delibera  sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio   che   si
collocano all'interno del procedimento Consob, ma non  pare  corretto
valutare  le  garanzie  di  difesa  per  segmenti  del  procedimento,
prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a  cognizione
piena,  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria;  al   riguardo   occorre
richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella  detta  sentenza
n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso  in  cui  si  discuteva  di
sanzioni  per  illeciti  ex  art.  187-ter  TUF  dalla  Corte  stessa
qualificate come sostanzialmente di natura penale; giova al  riguardo
ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) "...  al  fine
di stabilire la  sussistenza  di  una  «accusa  in  materia  penale»,
occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della
misura  in  causa  nel  diritto  nazionale,  la  natura   stessa   di
quest'ultima, e la natura e il grado di  severita'  della  «sanzione»
(Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A  n.  22).
Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi:  affinche'
si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell'articolo
6 § 1, e' sufficiente che il reato in causa sia  di  natura  «penale»
rispetto alla  Convenzione,  o  abbia  esposto  l'interessato  a  una
sanzione che, per natura e livello  di  gravita',  rientri  in  linea
generale nell'ambito della «materia penale». Cio'  non  impedisce  di
adottare un  approccio  cumulativo  se  l'analisi  separata  di  ogni
criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito
alla sussistenza di  una  «accusa  in  materia  penale»  (Jussila  c.
Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c.
Lettonia, n. 65022/01, § 31,  CEDU  2007-1X  (estratti))";  parimenti
occorre  richiamare  la  giurisprudenza   della   Corte   cost.   (in
particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di
carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle  che
l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita'
delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative); 
        premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare
la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e'
la Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.), il rispetto  della
Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che  possano
essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene  assicurato
dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione
piena quale e' la Corte d'appello; la conclusione cui  e'  giunta  la
Corte EDU e' stata,  quindi,  nel  senso  che  "...  il  procedimento
dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'articolo
6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della
armi tra accusa e difesa e il  mancato  svolgimento  di  una  udienza
pubblica che  permettesse  un  confronto  orale";  nonostante  quanto
precede la Corte ha escluso una  automatica  violazione  dell'art.  6
della Convenzione proprio  in  quanto:  1)  non  era  contrario  alla
Convenzione che le sanzioni, giusta  la  normativa  interna,  fossero
inflitte da  un'autorita'  amministrativa  quale  e'  la  Consob;  2)
occorreva  che  i  soggetti  destinatari  passivi  dei  provvedimenti
sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di
dare una decisione nel rispetto dell'art.  6  della  Convenzione;  3)
cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto  gli  interessati  si
erano avvalsi della possibilita' di impugnare  le  sanzioni  inflitte
dinanzi alla Corte d'appello di Torino; il problema secondo la  Corte
EDU atteneva allo stabilire se tale  Corte  d'appello  fosse  "organo
dotato di piena giurisdizione"  ai  sensi  della  sua  giurisprudenza
(questione risolta in  senso  affermativo),  e  se  l'udienza  svolta
dinanzi  a  tale  giudice  fosse  stata  pubblica;  e'   proprio   in
riferimento alla assenza di udienza pubblica  che  la  Corte  EDU  e'
giunta alla conclusione della  violazione  della  Convenzione  ("161.
Alla luce di quanto esposto,  la  Corte  ritiene  che,  anche  se  il
procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto  le  esigenze  di
equita'  e  di  imparzialita'   oggettiva   dell'articolo   6   della
Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo  controllo
da parte di un organo  indipendente  e  imparziale  dotato  di  piena
giurisdizione, in questo caso la Corte d'appello di Torino. Tuttavia,
quest'ultima non ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso
di specie, ha costituito una violazione dell'articolo  6  §  1  della
Convenzione."); la pubblicita'  dell'udienza,  nell'assunto  espresso
dalla Corte EDU in tale decisione, ha, quindi, assunto  una  funzione
centrale e di necessaria chiusura del sistema delle garanzie; 
        per altro la giurisprudenza della Corte EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un  principio  assoluto
valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in  data  23  novembre
2006 nel caso  Jussila  contro  Finlandia  la  Corte  EDU  dopo  aver
ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio  fondamentale
posto dall'art. 6 della  Convenzione  e  che  tale  principio  e'  di
particolare importanza nella materia penale, ha  osservato  che  "...
l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'articolo 6
non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i  procedimenti.
Cio' vale, in particolare, per i casi che non sollevano questione  di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
organizzazione sistematica di dibattiti possa costituire un  ostacolo
alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza  sociale
ed, in definitiva, impedire il rispetto di un termine ragionevole  ai
sensi dell'articolo 6 § 1 ..."; ancora  in  tale  sentenza  e'  stato
osservato che "... in un procedimento di  prima  ed  ultima  istanza,
l'udienza deve  essere  tenuta,  salvo  circostanze  eccezionali  che
giustifichino di farne a meno ...  l'esistenza  di  tali  circostanze
dipende in gran parte dalla natura dei problemi di  cui  i  tribunali
sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui  si  presentano
..."; 
        la sanzione inflitta agli opponenti deve  essere  qualificata
di natura lato sensu  penale,  nonostante  l'ordinamento  interno  la
qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in  quanto  sono
vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione  da
essa fornita dei criteri in relazione ai quali  vagliare  l'effettiva
natura  di  una  sanzione;  chiarito  che  la   qualificazione   data
dall'ordinamento  interno  non  e'  dirimente,  in   quanto   occorre
verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli effetti  della
applicazione  della  Convenzione,  non  puo'  non   considerarsi   la
particolare gravita' afflittiva della  sanzione  pecuniaria  prevista
dall'art. 190 del D.lgs. 58/98, per la violazione dell'art. 21  dello
stesso D.lgs. in un  importo  da  €  2.500,00  ad  €  250.000,00;  al
riguardo occorre precisare che deve aversi riguardo, agli effetti che
qui interessano, alla sanzione edittale e non a  quella  in  concreto
irrogata in quanto, ovviamente, l'individuazione della  natura  della
sanzione  prescinde  dalle  circostanze   che   ne   determinano   la
modulazione fra il minimo ed il massimo; convince ulteriormente della
detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta  dall'art.  190
del  D.lgs.  58/98  dell'applicabilita'  dell'art.  16  legge  689/81
(pagamento in misura ridotta), e soprattutto il regime  pubblicitario
proprio delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che
giusta l'art. 195 comma 3  del  D.lgs.  58/98  "Il  provvedimento  di
applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino
della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o  la  CONSOB,
tenuto  conto  della  natura  della  violazione  e  degli   interessi
coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dare pubblicita'
al provvedimento, ponendo le  relative  spese  a  carico  dell'autore
della violazione, ovvero escludere la pubblicita' del  provvedimento,
quando la  stessa  possa  mettere  gravemente  a  rischio  i  mercati
finanziari  o  arrecare  un  danno  sproporzionato  alle  parti":  la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio; 
        le considerazioni che precedono evidenziano una questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del  D.lgs.  58/98,
norma che potrebbe essere in contrasto con l'art. 117 Cost. in quanto
non conforme all'art. 6 della Convenzione; 
        la questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu  penale  della  sanzione  giusta  i   vincolanti   criteri   di
valutazione posti dalla Corte EDU,  dovendo  questa  Corte  d'appello
necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195  comma
7  del  D.lgs.  58/98  (senza   che   sia   possibile   una   diversa
interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma,
e senza che sia possibile introdurre il correttivo della  pubblicita'
dell'udienza  che,  di  per   se',   renderebbe   non   camerale   il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al  riguardo
inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio  che
lo conclude; 
        preme  rilevare  che  il  sospetto  di  non   conformita'   a
Costituzione (art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del D.lgs.
58/98, e non anche le norme del codice di rito che prevedono il  rito
camerale; la Corte costituzionale in ordine a tale rito  si  e'  gia'
espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza 543/1989  con
la quale e' stato affermato che secondo  la  costante  giurisprudenza
della Corte stessa "... Il procedimento camerale non e' di per se' in
contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio  di  questi
ultimo e' variamente configurabile dalla  legge,  in  relazione  alle
peculiari esigenze dei vari processi 'purche' ne  vengano  assicurati
lo scopo e la funzione', cioe' la garanzia  del  contraddittorio,  in
modo che sia escluso ogni ostacolo a  far  valere  le  ragioni  delle
parti"; nella stessa sentenza e' stato osservato che "...  L'adozione
della procedura camerale, anche nei casi in cui si e' in presenza  di
elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque a  criteri  di
politica legislativa, inerenti alla valutazione  che  il  legislatore
compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme processuali
in relazione alla natura degli interessi da regolare  ed,  in  quanto
tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte nei limiti  in  cui,
ovviamente, non si risolve nella  violazione  di  specifici  precetti
costituzionali e non sia viziata da  irragionevolezza  (ordinanza  n.
748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970)"; la Corte cost. nella detta
sentenza, non ha mancato di rilevare che il rito camerale  non  viola
il diritto di prova in quanto "... anche nel rito camerale in appello
e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere
alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche'  il  relativo
modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico -  risulti,
da  un  lato,  sempre  compatibile  con  la   natura   camerale   del
procedimento, e, dall'altro, non violi il  principio  generale  della
idoneita' degli atti processuali al  raggiungimento  del  loro  scopo
..."; 
        la questione pero' non e' quella  di  stabilire  se  il  rito
camerale assicuri sufficientemente la difesa od  il  contraddittorio,
bensi' quella di stabilire se un'opposizione  avanti  ad  un  giudice
dotato di giurisdizione piena ma vincolato  al  rito  camerale  possa
integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta
negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del D.lgs.  in
contrasto con art. 6 § 1 della Convenzione e, quindi, con l'art.  117
Cost.; il dubbio al riguardo non e' manifestamente  infondato  stante
la ricordata giurisprudenza della Corte EDU laddove ha  segnalato  la
particolare importanza dell'udienza pubblica  quando  si  discute  di
sanzioni  penali;  certo,  come  si  e'  detto,  il  principio  della
pubblicita' dell'udienza non e' stato espresso in termini assoluti, e
la necessita' o meno  di  una  pubblica  udienza  va  ricostruita  in
relazione alla natura della questione controversa, ma tale operazione
si risolve nel giudizio di conformita' all'art.  117  comma  1  Cost.
della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte non puo'  non
esprimere un dubbio sulla base della giurisprudenza della  Corte  EDU
(analoga questione, per altro, risulta sollevata  recentemente  dalla
Corte d'appello di Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014 - 8 gennaio
2015).