IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 333 del  2015,  proposto  da:  Vincenzo  De  Marco,
Antonio Abbinante, Michelangelo  Giannelli,  rappresentati  e  difesi
dall'avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto  presso  il  suo
studio in Bari, Via Putignani, 168; 
    Contro Regione Puglia, in persona  del  Presidente  pro  tempore,
rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Francesco  Silvio  Dodaro,   con
domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via F.  S.  Abbrescia,
83/B; Azienda Sanitaria Locale di Bari; 
    Per   l'annullamento   della   deliberazione   del    Commissario
Straordinario della ASL BA n. 99  del  5  febbraio  2015,  avente  ad
oggetto  l'adeguamento  dell'assistenza  sanitaria  carceraria   alla
deliberazione di Giunta Regionale n. 1076 del 27 maggio 2014, nonche'
di ogni altro atto a questo presupposto, connesso e  conseguente  ed,
in particolare, della deliberazione di Giunta Regionale n.  1076  del
27 maggio 2014, gia' impugnata con ricorso  iscritto  al  n.  925/14,
nella parte in cui, nel richiamare tutte le ASL, ai  sensi  dell'art.
21, comma 7 della l.r. n. 4/2010,  al  rispetto  della  normativa  in
materia  di  lavoro  che  individua  il  tetto  massimo  di  48   ore
settimanali, ha stabilito  modalita'  alternative  per  la  copertura
delle  carenze  orarie  che  si  andranno  a  ravvisare   in   virtu'
dell'applicazione del suddetto limite; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  16  aprile  2015  la
dott.ssa Paola Patatini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  avv.
Antonella Martellotta, su delega dell'avv.  Raffaele  Guido  Rodio  e
avv. Antonio legge Deramo, su delega dell'avv. Francesco S. Dodaro; 
    Con il ricorso in epigrafe, i  ricorrenti,  dirigenti  medici  in
servizio presso la casa circondariale di Bari,  il  cui  rapporto  di
lavoro e' disciplinato dalla legge  n.  740/70,  hanno  impugnato  la
deliberazione del Commissario Straordinario dell'ASL BA  in  epigrafe
che, in esecuzione della delibera di Giunta Regionale  n.  1076/2014,
ha rideterminato l'orario  lavorativo  e  l'impegno  settimanale  dei
ricorrenti riconducendolo al tetto massimo di 48h settimanali. 
    La vicenda trae invero origine dalla sopra citata delibera - gia'
impugnata dalle parti innanzi questo Tribunale con  separato  ricorso
rubricato al n. 925/2014 - con cui  la  Giunta  Regionale  ha  inteso
richiamare tutte le ASL al  rispetto  della  normativa  nazionale  ed
europea che individua il tetto massimo orario di  lavoro  in  48  ore
settimanali, stabilendo altresi' le modalita' con  cui  sopperire  ad
eventuali carenze orarie all'interno degli istituti di pena derivanti
dall'applicazione del suddetto limite. 
    Il contenzioso in esame concerne infatti la  vicenda  applicativa
conseguente all'approvazione della legge Regionale n. 4/2010, con cui
la Regione Puglia ha dettato norme urgenti in materia  di  sanita'  e
servizi sociali, prevedendo in particolare all'art. 21, comma  7,  in
materia di personale degli istituti penitenziari, che  «ai  contratti
di lavoro di cui ai commi 5 e 6, nonche'  nei  confronti  dei  medici
incaricati definitivi, si applicano le deroghe previste  dall'art.  2
della legge n. 740/1970 (...) nel rispetto della normativa  nazionale
ed europea in tema di orario di lavoro, individuando il tetto massimo
orario in quarantotto ore settimanali». 
    Invero, la figura dei cd. «medici incaricati» e' stata introdotta
e disciplinata per la  prima  volta  dall'art.  1,  legge  n.  740/70
(Ordinamento delle categorie  di  personale  sanitario  addetto  agli
istituti di prevenzione e pena non  appartenenti  ai  ruoli  organici
dell'Amministrazione penitenziaria), che  cosi'  qualifica  i  medici
«non appartenenti al personale civile di  ruolo  dell'Amministrazione
degli istituti di prevenzione e di pena, i  quali  prestano  la  loro
opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa». 
    In base alla predetta disciplina statale dunque,  le  prestazioni
rese da questi  ultimi  non  ineriscono  ad  un  rapporto  di  lavoro
subordinato,  ma  sono   inquadrabili   nella   prestazione   d'opera
professionale  in  regime  di  parasubordinazione,  come   la   Corte
costituzionale ha piu' volte  riconosciuto  (da  ultimo  sentenza  n.
149/2010) affermando che, diversamente dagli  impieghi  civili  dello
Stato,  i  medici  incaricati  possono  esercitare   liberamente   la
professione e assumere altri impieghi o incarichi. 
    Sotto tale aspetto, la natura giuridica del contratto  di  lavoro
di tali figure non  e'  stata  alterata  dal  loro  trasferimento  al
Servizio Sanitario regionale in forza del decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri 1° aprile 2008. 
    I ricorrenti infatti, sono transitati presso le ASL  pugliesi  ed
inseriti in un apposito ruolo unico, fino alla scadenza dei  relativi
rapporti di lavoro, per effetto del sopra citato DPCM,  il  quale  ha
altresi' disposto che i rapporti di lavoro, instaurati ai sensi della
legge n. 740/70 e trasferiti alle Aziende Sanitarie  Locali  del  SSN
nei  cui  territori  sono  ubicati  gli  istituti   penitenziari   di
riferimento, continuino ad  essere  disciplinati  dalla  legge  sopra
citata fino alla relativa scadenza. 
    Ora, l'art. 2 della legge n. 740 cit. stabilisce  in  particolare
che «ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla
incompatibilita' e al cumulo  di  impieghi  ne'  alcuna  altra  norma
concernente gli impiegati civili dello Stato. A tutti  i  medici  che
svolgono, a qualsiasi titolo, attivita'  nell'ambito  degli  istituti
penitenziari non sono applicabili altresi' le incompatibilita'  e  le
limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il SSN». 
    In ragione di tale disposizione, le parti, dirigenti medici,  pur
svolgendo servizio presso gli istituti penitenziari, prestano  quindi
attivita' anche in qualita' di medici ospedalieri o medici di base  o
medici del SSN. 
    La Regione Puglia, come sopra visto, pur riconoscendo  ai  medici
«incaricati»  degli  istituti  le  deroghe  stabilite   dalla   legge
nazionale, con l'art. 21, comma 7, l.r. citata, ha fissato  per  essi
il tetto massimo orario di lavoro in 48 ore settimanali, nel rispetto
della normativa nazionale ed europea in tema di lavoro. 
    Col presente gravame dunque, i ricorrenti hanno  dedotto  avverso
la delibera aslina diversi motivi di illegittimita', per vizi  propri
e derivati, riconducibili in sostanza all'eccesso di  potere  e  alla
violazione e falsa applicazione di legge, nonche'  all'illegittimita'
derivata dall'illegittimita' costituzionale dell'art.  21,  comma  7,
l.r. n. 4/10 per violazione dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    Hanno  pertanto  chiesto   l'annullamento,   previa   sospensione
dell'efficacia, della delibera  dell'ASL  nonche'  della  presupposta
delibera regionale, chiedendo altresi' l'eventuale  rimessione  degli
atti alla Corte costituzionale nonche' il rinvio  pregiudiziale  alla
Corte di Giustizia UE per il contrasto tra la normativa  regionale  e
la disciplina comunitaria sull'orario di lavoro. 
    La Regione  Puglia,  costituitasi  in  giudizio,  ha  chiesto  il
rigetto  dell'avversa  impugnativa  previa   reiezione   dell'istanza
cautelare. 
    Alla camera di consiglio del 1° aprile 2015, il Collegio, sentite
le parti sulla giurisdizione ai sensi dell'art. 73, comma 3,  c.p.a.,
e  preso  atto  della  rinuncia  alla  domanda  cautelare  fatta  dal
difensore di parte ricorrente, ha fissato la trattazione  del  merito
alla successiva udienza del 16 aprile 2015 - la medesima fissata  per
il connesso ricorso n. 925/14 - previa rinuncia delle parti a tutti i
termini processuali, dando  termine  fino  al  12  aprile  2015,  per
eventuale deposito di memorie. 
    All'udienza pubblica del 16  aprile  2015,  la  causa  e'  quindi
passata  in  decisione  e  successivamente  riportata  in  camera  di
consiglio in data 3 giugno 2015 con una nuova e modificata decisione. 
    Il  Collegio  infatti,   ritenuta   sussistente,   ad   un   piu'
approfondito esame, la propria giurisdizione,  ha  ravvisato  la  non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata
dai ricorrenti. 
    Prima ancora, la questione di legittimita' costituzionale  appare
rilevante  nel  presente  giudizio,  in  quanto  la  norma  regionale
censurata preclude il percorso che  porterebbe  all'accoglimento  del
ricorso atteso che l'atto gravato  costituisce  diretta  e  immediata
conseguenza della sua applicazione. 
    Invero, la circostanza che il giudizio non possa essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della suddetta  questione  emerge
alla luce della stessa esposizione dei fatti di causa, atteso che  il
provvedimento impugnato trova  un'indefettibile  base  normativa  nel
piu' volte citato art. 21, comma 7, l.r., di modo  che  solo  il  suo
eventuale    annullamento    per    illegittimita'     costituzionale
comporterebbe l'illegittimita' derivata della  delibera  impugnata  e
degli  eventuali  successivi  atti  applicativi  con  il  conseguente
accoglimento del ricorso che  altrimenti  dovrebbe  essere  respinto,
avendo l'Amministrazione operato in  virtu'  della  citata  normativa
regionale. 
    Ne'   il   Collegio    ravvisa    un'interpretazione    normativa
costituzionalmente orientata, della norma regionale censurata. 
    Passando quindi all'esame della non manifesta infondatezza  della
questione, e' opportuna una breve ricognizione del  quadro  normativo
di riferimento. 
    In particolare, la Direttiva  2003/88/CE  del  4  novembre  2003,
concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro,
ha stabilito all'art. 6 che la durata media dell'orario di lavoro per
ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro
straordinario, prevedendo altresi' all'art. 17 una deroga  quando  si
tratti di dirigenti o di altre persone  aventi  potere  di  decisione
autonomo. 
    La normativa comunitaria ha  trovato  attuazione  in  Italia  col
decreto legislativo n. 66/2003 che ha riportato quasi testualmente il
contenuto della direttiva, statuendo all'art. 17, comma 5,  che  "nel
rispetto dei principi generali della  protezione  della  sicurezza  e
della salute dei lavoratori, le disposizioni  di  cui  agli  articoli
...,  4  (relativo  alla  durata  massima  dell'orario   di   lavoro,
n.d.r.),.... non si applicano ai lavoratori la cui durata dell'orario
di lavoro, a causa delle caratteristiche  dell'attivita'  esercitata,
non e' misurata  o  predeterminata  o  puo'  essere  determinata  dai
lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta: 
        a) di dirigenti, di personale direttivo delle  aziende  o  di
altre persone aventi potere di decisione autonomo ...Omissis. 
    Con l'art. 41, comma 13,  decreto-legge  n.  112/2008,  conv.  in
legge n. 133/2008, il legislatore nazionale ha poi previsto  che  «Al
personale delle aree dirigenziali degli  Enti  e  delle  Aziende  del
Servizio Sanitario Nazionale, in ragione della qualifica posseduta  e
delle  necessita'  di  conformare  l'impegno  di  servizio  al  pieno
esercizio della responsabilita'  propria  dell'incarico  dirigenziale
affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7
del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66». 
    In tale quadro, si e' quindi inserito  il  legislatore  regionale
che, con l'art. 21 della legge censurata, ha previsto all'art. 7, che
«Ai contratti di lavoro di cui ai commi  5  e  6  -  gia'  dichiarati
incostituzionali dal Giudice delle Leggi con Sentenza n. 68/2011  per
contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera l, Cost., n.d.r. - nonche'
nei confronti dei  medici  incaricati  definitivi,  si  applicano  le
deroghe previste dall'art. 2 della legge n. 740/1970, come modificato
dall'art. 6 del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nel rispetto della
normativa  nazionale  ed  europea  in  tema  di  orario  di   lavoro,
individuando il tetto massimo orario in quarantotto  ore  settimanali
(art. 6 della direttiva  2003/88/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 4 novembre 2003)». 
    Assumono  quindi   i   ricorrenti   che   la   norma   regionale,
disciplinando  l'orario  di  lavoro  del  personale  degli   istituti
penitenziari, avrebbe  invaso  la  materia  dell'ordinamento  civile,
invece riservata alla legislazione esclusiva nazionale, in violazione
dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    A  giudizio  del  Collegio,  invero,  la  questione  appare   non
manifestamente infondata alla luce del quadro comunitario e nazionale
come  sopra  ricostruito,  non  potendosi  infatti   condividere   le
argomentazioni della difesa dell'Amministrazione regionale, la  quale
sul punto ha ritenuto  che  la  Regione  Puglia  si  sia  limitata  a
riprodurre il contenuto di  una  disposizione  comunitaria,  trasfusa
fedelmente  nel  nostro  ordinamento  con   il   d.lgs.   n.   66/03,
argomentando altresi'  che  le  uniche  deroghe  possibili  al  tetto
massimo sarebbero quelle espressamente subordinate all'emanazione  di
apposito decreto da parte del Ministro  della  Funzione  Pubblica,  o
alla contrattazione collettiva, nella fattispecie non intervenuti. 
    Tuttavia, il Collegio deve rilevare  che  le  ipotesi  richiamate
dall'Amministrazione quali  le  uniche  deroghe  possibili  al  tetto
massimo  orario,  fanno  chiaramente  riferimento  ad  altre  ipotesi
derogatorie previste dal  diverso  comma  2,  dell'art.  17,  decreto
legislativo n. 66 citato, e non  gia'  a  quelle,  applicabili  nella
fattispecie, previste dal successivo comma 5, lettera a), e dall'art.
41, comma 13, decreto-legge n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008. 
    Pertanto,  la  Regione  non  si  sarebbe  limitata  a  riprodurre
fedelmente la normativa nazionale, e prima ancora europea, in materia
di orario di lavoro, ma, fissando autoritativamente il  tetto  orario
senza fare salve tutte le diverse ipotesi  derogatorie  previste  dal
legislatore   nazionale   nonche'   quello    comunitario,    avrebbe
illegittimamente  invaso  la  materia   riservata   alla   competenza
esclusiva del primo in materia di ordinamento civile  ed  altresi'  -
rilevandolo d'ufficio - in  spregio  all'art.  117  comma  1,  Cost.,
avrebbe   legiferato   nell'inosservanza   dei   vincoli    derivanti
dall'ordinamento comunitario. 
    Alla stregua di quanto sopra, la decisione del  presente  ricorso
presuppone  quindi  la  previa   delibazione   della   questione   di
costituzionalita' della norma applicata  (art.  21,  comma  7,  della
legge regionale Puglia n. 4/2010) in relazione all'art. 117, comma  1
e comma 2, lettera l), Cost. 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge  n.  87/53,
ritenendola  rilevante  e  non   manifestamente   infondata,   questo
Tribunale  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale   nei
termini sopra enunciati, con rimessione  degli  atti  di  causa  alla
Corte  costituzionale  e  sospensione  del  giudizio  fino  alla  sua
decisione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
italiana, ai sensi e per gli effetti di cui agli  articoli  79  e  80
c.p.a. e 295 c.p.c.. 
    Va riservata alla sentenza definitiva ogni  ulteriore  decisione,
nel merito e sulle spese.