LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CAMPOBASSO 
                             (Sezione 2) 
 
    Riunita  con  l'intervento  dei  signori:   Di   Nardo   Giuseppe
presidente e relatore, Catelli Luigi Antonio giudice, Marolla  Angelo
giudice, ha emesso la seguente ordinanza  sul  ricorso  n.  101/2015,
depositata  il   10   febbraio   2015,   avverso   silenzio   rifiuto
IRPEF-ADD.REG. 2001, contro regione Molise, proposto  dal  ricorrente
Mancini Francesco, piazza della Vittoria - 86100  Campobasso,  difeso
da Mancini Francesco, piazza Vittorio Emanuele  -  86100  Campobasso;
altre parti coinvolte: Agenzia delle entrate - Direzione  provinciale
- Ufficio controlli Campobasso, piazzale Palatucci n.  10/A  -  86100
Campobasso. 
    Con ricorso presentato in data 9 febbraio 2015 all'Agenzia  delle
entrate - Direzione provinciale di Campobasso, e alla regione  Molise
l'avv. Mancini Francesco, in proprio e quale difensore di se  stesso,
impugnava innanzi a questa  Commissione  tributaria  provinciale,  il
rifiuto tacito, da parte della regione predetta,  della  restituzione
della somma di € 295,00, riscosso dalla regione a titolo  di  aumento
dell'addizionale regionale IRPEF per l'anno  2013,  aumento  disposto
per effetto dell'automatismo di cui all'art. 2, comma 86, della legge
n. 191/2009 e delle determinazioni assunte dal tavolo tecnico per  la
verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la  verifica
dell'erogazione dei livelli di assistenza sanitaria. 
    Deduceva il ricorrente che,  per  effetto  dell'asserito  mancato
raggiungimento degli obiettivi  fissati  nei  piani  di  rientro  del
deficit sanitario, i  predetti  organismi  tecnici  nell'aprile  2013
avevano  confermato  la  maggiorazione  dell'addizionale  e  che  con
successivo comunicato stampa del 27 settembre  2013  l'Agenzia  delle
entrate  aveva  confermato  per  le  regioni  Calabria  e  Molise  le
maggiorazioni dello 0,15% dell'IRAP e  dello  0,30%  dell'addizionale
IRPEF, avendo il MEF reso noto che per le predette regioni i preposti
organismi tecnici, in esito alla verifica dei risultati di  esercizio
2012,  avevano  constatato  consolidamento   delle   condizioni   per
l'applicazione delle disposizioni contenute nell'art.  2,  comma  86,
legge n. 191/2009 secondo le procedure di cui all'art. 1, comma  174,
legge n. 311/2004 e successive modificazioni. 
    Aggiungeva  che  la  detta  maggiorazione  dello   0,30%,   aveva
comportato per esso ricorrente un maggiore esborso di € 295,00,  onde
aveva presentato istanza di rimborso  sia  alla  regione  Molise  che
all'Agenzia delle entrate eccependo  l'illegittimita'  costituzionale
del suddetto art. 2, comma 86, della legge n. 191/2009 e dell'art. 6,
comma 10, decreto legislativo n. 68/2011 che recavano  l'applicazione
d'imperio della maggiorazione massima, per violazione degli  articoli
53, 3, 97, 23 e 24 Cost. 
    Nessuno dei detti enti si era pero' espresso sulla istanza  onde,
decorso il termine di giorni  novanta,  si  era  formato  il  diniego
tacito della restituzione contro il quale aveva proposto  il  ricorso
de quo. 
    Sulla base di tale premessa in  punto  di  fatto,  il  ricorrente
deduceva che la imposizione di un'aliquota maggiorata dello 0,30% era
stata effettuata sulla base dell'art. 2, comma  86,  della  legge  n.
191/2009 e dell'art. 6, comma 10,  decreto  legislativo  n.  68/2011,
meritevoli di varie censure per illegittimita'  costituzionale,  onde
il suo diritto alla restituzione di quanto  versato,  non  avendo  la
regione  esercitato  il  potere  concessole  dall'art.  50,   decreto
legislativo n. 446/1997 che riserva appunto alle regioni il potere di
stabilire in autonomia l'aliquota dell'addizionale, non  senza  pero'
dare atto che, ai sensi dell'art. 6, comma 10, decreto legislativo n.
68/2011 «restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente
legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio  economico,
nonche' le disposizioni in  materia  di  applicazione  di  incrementi
delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di  rientro
dai deficit sanitari». 
    Aggiungeva  che  l'obbligo  imposto  dall'art.  2/86,  legge   n.
191/2009  (Finanziaria  2010)  e  dall'art.  6,  comma  10,   decreto
legislativo  n.  68/2011,  alle  regioni  che  non  risultano   avere
raggiunto gli obiettivi del piano di rientro, con conseguente deficit
sanitario, di incrementare nella misura massima l'addizionale  IRPEF,
oltre a quello di applicare le misure previste dai  commi  80  e  83,
obbligo dipendente da  un  giudizio  tecnico  e  discrezionale  sulla
congruita' dei piani di rientro,  contrasta  con  varie  norme  della
Costituzione. 
    Innanzitutto con il principio della capacita' contributiva, posto
dall'art. 53 posto che e' del tutto irragionevole sanzionare con  una
maggiore imposizione i cittadini per la inefficienza ed inadeguatezza
del sistema sanitario, inefficienza gia' sanzionata  con  le  diverse
misure previste dai commi 75 e seguenti, legge n. 191/2009. 
    In secondo luogo con l'art. 3 poiche' differenzia,  con  evidente
maggior peso tributario, i cittadini  delle  regioni  che  presentano
disfunzioni del sistema sanitario rispetto a quelli delle regioni che
dette disfunzioni non presentano. 
    In terzo luogo con l'art. 23 che prevede la riserva di legge  per
le imposizioni patrimoniali, poiche' l'imposizione viene demandata ad
un organo meramente amministrativo (tavoli e comitati amministrativi)
che sulla base di un apprezzamento puramente tecnico e  discrezionale
effettuano il monitoraggio dei piani di rientro dai deficit sanitari. 
    In quarto luogo con l'art. 24 poiche' il diritto alla  difesa  e'
pregiudicato   dalla   valutazione   discrezionale   di   un   organo
amministrativo che limita la tutela giurisdizionale. 
    Ancora con l'art. 97 non risultando garantito  il  principio  del
buon andamento ed imparzialita' della pubblica amministrazione. 
    Infine con i principi ispiratori della riforma del titolo V della
Costituzione, della legge Cost.  n.  3  del  2001  (c.d.  federalismo
fiscale), poiche' priva la regione  dell'autonomia  nella  fissazione
della aliquota de qua. 
    Il ricorrente conclusivamente chiedeva  che  questa  Commissione,
previo riconoscimento dell'illegittimita'  del  diniego  di  rimborso
opposto,  accogliesse  la  istanza  di  restituzione  della  maggiore
addizionale regionale all'IRPEF percio' versata in forza di una legge
incostituzionale. In via subordinata chiedeva sospendersi il processo
e rimettersi gli atti alla Corte costituzionale per  la  declaratoria
di incostituzionalita' delle  norme  censurate,  con  vittoria  delle
spese del giudizio. 
    Instauratosi il contraddittorio si  costituiva  la  sola  Agenzia
delle entrate che, pregiudizialmente,  eccepiva  la  improcedibilita'
del ricorso facendo rilevare  che,  trattandosi  di  controversia  di
valore inferiore ad € 20.000, il ricorrente avrebbe dovuto presentare
il prescritto reclamo/mediazione ed attendere, prima di presentare il
ricorso, la conclusione del procedimento di mediazione, come disposto
dall'art. 17-bis, decreto legislativo n. 546/1992. 
    Nel merito deduceva la piena  legittimita'  del  silenzio-rifiuto
alla richiesta di rimborso della maggiore  imposta  versata,  poiche'
l'Agenzia delle entrate si era attenuta a quanto  disposto  dall'art.
2, comma 86, legge n. 191/2009, essendo stato accertato, in  sede  di
verifica annuale, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano
di rientro, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario. 
    Precisava che le maggiorazioni dell'addizionale IRPEF erano state
determinate con la legge  regionale  del  Molise  n.  9/2013  secondo
aliquote  differenziate,  sulla  base  degli  scaglioni  di   reddito
previsti   per   l'IRPEF,   e    contestava    tutti    profili    di
incostituzionalita' dell'art. 2, comma 86, della legge n. 191/2009  e
dell'art. 6, comma 10, decreto legislativo n. 68/2011 prospettati dal
ricorrente. 
    Conclusivamente chiedeva dichiararsi improcedibile il ricorso  o,
in subordine, rigettarsi lo stesso, vinte le spese del giudizio. 
    Con decreto presidenziale in data 5 maggio 2015 veniva dato  atto
che, in violazione dell'art. 17-bis, decreto legislativo n. 546/1992,
il ricorrente non aveva presentato il reclamo/mediazione  previsto  a
pena di improcedibilita'  ex  art.  17-bis,  decreto  legislativo  n.
546/1992 (come modificato dall'art. 1, comma 611, lettera  A),  legge
n. 147/2013), onde, per consentire l'esperibilita'  del  reclamo,  la
causa era rinviata alla udienza odierna. 
    Nella  odierna  udienza,   acquisita   la   prova   dell'avvenuta
presentazione del reclamo e del rifiuto espresso  dell'Agenzia  delle
entrate, le parti concludevano come da verbale. 
    Va innanzitutto  rilevato  che  correttamente  il  ricorrente  ha
convenuto in giudizio sia l'Agenzia  delle  entrate  che  la  regione
Molise dopo avere ad entrambe  proposto  istanza  di  rimborso  della
corrisposta  maggiorazione  dell'addizionale  IRPEF,  impugnando   il
diniego espresso di restituzione  del  rimborso  emesso  dall'Agenzia
delle entrate, trattandosi di tributo avente natura  erariale  ma  il
cui gettito e' introitato dalla regione che partecipa alla  attivita'
di liquidazione mediante la determinazione delle  relative  aliquote,
pur dovendosi dare atto dell'esistenza di una convenzione tra  i  due
enti  che  devolve  alla  Direzione  regionale  dell'Agenzia,   oltre
all'accertamento, alla  riscossione  e  all'esecuzione  dei  rimborsi
dovuti, anche «la tutela avanti agli organi del  contenzioso  per  le
eventuali controversie che dovessero insorgere con i contribuenti». 
    Tanto  premesso  ritiene  questo  Collegio   che   sussistono   i
presupposti per ritenere rilevante e  non  manifestamente  infondata,
sia pure in relazione ad alcuni  soltanto  dei  profili  dedotti,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 86, legge
n. 191/2009 e della successiva disposizione di cui all'art. 6,  comma
10, decreto legislativo n. 68/2011. 
    Va  pero'  innanzitutto  dichiarata  inammissibile  la  questione
relativa all'assunto contrasto delle norme censurate con  l'art.  119
Cost. (Riforma del titolo V della  Costituzione  di  cui  alla  legge
Cost. n.  3/2001)  deducendosi  che  esse  menomerebbero  l'autonomia
finanziaria delle regioni  nella  fissazione  delle  aliquote  IRPEF.
Invero la legittimazione per censurare l'autonomia finanziaria  delle
regioni compete unicamente alle regioni. 
    Passando all'esame della rilevanza  della  questione  si  osserva
che,  anche  con  la  proposizione  della  domanda   principale,   il
ricorrente, pur dando atto implicitamente  che  la  norma  successiva
(art. 6/10, decreto legislativo n. 68/2011) ha  modificato  la  norma
precedente (art. 50, decreto legislativo n. 446/1997), ha chiesto che
sia  disposto  il  chiesto  rimborso  della   versata   maggiorazione
dell'addizionale IRPEF previo riconoscimento che  essa  maggiorazione
e' stata disposta sulla base di norme (l'art. 2, comma 86,  legge  n.
191/2009  e  art.  6,  comma  10,  decreto  legislativo  n.  68/2011)
costituzionalmente illegittime, si' che,  ai  fini  della  decisione,
dovrebbe necessariamente essere valutata la conformita' o  meno  alla
Costituzione delle norme indicate. 
    Quanto  alla  subordinata  domanda  e'  lo  stesso  ricorrente  a
chiedere che siano rimessi gli atti alla Corte costituzionale, previa
sospensione del processo, perche' siano valutati i dedotti motivi  di
illegittimita' costituzionale. 
    Per quanto concerne invece la non  manifesta  infondatezza  della
sollevata  eccezione  di  legittimita'  costituzionale  delle   norme
predette si osserva quanto segue. 
    Con l'art. 50 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,  n.  446,
fu istituita l'addizionale regionale all'imposta  sul  reddito  delle
persone fisiche, disponendosi che  essa  «e'  determinata  applicando
l'aliquota, fissata dalla  regione  in  cui  il  contribuente  ha  la
residenza» con la precisazione  che  la  stessa  era  originariamente
fissata nella percentuale dello 0,50, con possibilita', per  ciascuna
regione, di maggiorarla, con proprio provvedimento, fino all'1%. 
    Con l'art. 2, comma 86, legge n. 191/2009 (Finanziaria  2010)  fu
disposto che «L'accertato verificarsi, in sede di  verifica  annuale,
del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro,  con
conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, comporta, oltre
all'applicazione delle misure previste dal comma 80 e ferme  restando
le misure eventualmente scattate ai sensi del comma 83,  l'incremento
nelle  misure  fisse  di   0,15   punti   percentuali   dell'aliquota
dell'imposta regionale sulle attivita' produttive  e  di  0,30  punti
percentuali dell'addizionale  all'IRPEF  rispetto  al  livello  delle
aliquote vigenti, secondo le procedure previste  dall'art.  1,  comma
174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come da ultimo  modificata
dal comma 76 del presente articolo». 
    Successivamente, con l'art. 6 del decreto  legislativo  6  maggio
2011, n. 68, fu disposto che  «per  assicurare  la  razionalita'  del
sistema tributario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di
progressivita' cui il  sistema  medesimo  e'  informato,  le  regioni
possono  stabilire  aliquote  dell'addizionale  regionale   all'IRPEF
differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni  di  reddito
corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale»,  precisandosi
poi al comma 10 che «restano fenici gli automatismi fiscali  previsti
dalla  vigente  legislazione  nel  settore  sanitario  nei  casi   di
squilibrio  economico,  nonche'  le  disposizioni   in   materia   di
applicazione di incrementi delle  aliquote  fiscali  per  le  regioni
sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari». 
    Orbene, come si e' innanzi premesso,  non  tutte  le  censure  di
incostituzionalita' che  il  ricorrente  ha  dedotto  in  riferimento
all'art. 2, comma 86, legge n. 191/2009  ed  all'art.  6,  comma  10,
decreto legislativo n. 68/2011 possono ritenersi  non  manifestamente
infondate. 
    E' invero  da  ritenersi  palesemente  infondata  la  censura  di
incostituzionalita'  per  violazione  del  principio  di  uguaglianza
sull'assunto che, per effetto delle norme de quibus, si  verifica,  a
parita' di imponibile, un trattamento differenziato tra  i  cittadini
della regione Molise rispetto a quelli delle altre  regioni  virtuose
(ovvero che hanno rispettato i piani di rientro) poiche' solo i primi
sono assoggettati  ad  una  maggiore  aliquota  dell'addizionale.  La
diversita'  di  trattamento  tra  i  cittadini  predetti  e'  infatti
conseguenza  dell'autonomo  potere   delle   regioni   di   prevedere
liberamente - se pure entro i limiti stabiliti dalla legge statale  -
aliquote della stessa addizionale  che  possono  risultare  tra  loro
diverse. 
    Del pari e' a  dirsi  in  ordine  alla  eccepita  violazione  del
principio della riserva di legge per la  imposizione  di  prestazioni
patrimoniali, e quindi anche  dei  tributi,  contenuto  nell'art.  23
della Costituzione. 
    Invero il potere di accertare la sussistenza delle condizioni per
l'automatica applicazione delle maggiorazioni dell'addizionale  IRPEF
e' demandato agli organi tecnici amministrativi (Tavolo  tecnico  per
la verifica degli adempimenti e Comitato permanente per  la  verifica
dell'erogazione dei livelli  di  assistenza  sanitaria)  dalla  legge
dello Stato in considerazione  della  complessita'  dell'accertamento
per individuare gli adempimenti necessari per il rientro dal  deficit
sanitario, accertamento che deve  essere  effettuato  sulla  base  di
circostanze oggettive che devono (o comunque dovrebbero) essere  bene
motivate nelle relazioni  da  redigere  e  sottoporre  ai  competenti
organi statali e regionali. 
    Sono  invece  da  ritenere  non  manifestamente   infondati   gli
ulteriori rilievi di  illegittimita'  costituzionale  per  violazione
degli articoli 53, 97 e 24 della Costituzione. 
    Come e' ben noto ai sensi dell'art. 53 Cost. «Tutti sono tenuti a
concorrere alle spese  pubbliche  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva». 
    Trattasi   di   un   principio,   fondamentale   dell'ordinamento
tributario, che ha la duplice funzione di  solidarieta'  (vedi  anche
art. 2  Cost.),  nel  senso  che  ogni  cittadino  ha  il  dovere  di
concorrere alle spese necessarie per  il  benessere  della  comunita'
sostenute  dagli  enti  a  tanto  preposti  (Stato  ed  enti   locali
territoriali), e di garanzia, nel senso che la  tassazione  non  puo'
giammai  travalicare  il  limite  della   capacita'   economica   del
contribuente, cosi' salvaguardando il c.d. minimo vitale. 
    In altri termini la capacita' contributiva  puo'  essere  incisa,
salvaguardando il minimo vitale e con criteri  di  progressivita'  in
considerazione della situazione economica del contribuente, solo  per
la soddisfazione del benessere generale e collettivo che si  consegue
quando i servizi erogati dagli enti  preposti  a  tutti  i  cittadini
posseggono livelli di efficienza e  tempestivita'  tali  da  produrre
situazioni di benessere qualitativo  diffuso,  assicurando  una  vita
dignitosa e decorosa per la persona. 
    Ai sensi dell'art. 97 Cost. «I pubblici uffici  sono  organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati  il  buon
andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione». 
    I    principi    di    buon    andamento     ed     imparzialita'
dell'amministrazione comportano  che  l'imposizione  tributaria  deve
essere improntata alla massima  semplicita'  di  normazione  ed  alla
agevole conoscenza dei criteri di controllo affinche'  siano  evitati
sperperi dannosi e sia sempre perseguito il bene e l'interesse  della
comunita'. 
    Dispone infine l'art.  24  Cost.  che  «Tutti  possono  agire  in
giudizio per la tutela dei propri diritti  ed  interessi  legittimi»,
sancendo in tal modo, nel campo del diritto tributario, nel quale  il
principio trova piu' specifica attuazione con le norme della legge n.
212/2000 (c.d. statuto del contribuente),  la  piena  contestabilita'
della pretesa impositiva  che  deve  essere  garantita  dal  rispetto
dell'obbligo del contraddittorio, della motivazione dei provvedimenti
impositivi e della tutela giurisdizionale. 
    Orbene, per le ragioni di seguito esposte,  i  predetti  principi
costituzionali si ritengono violati dalle norme censurate. 
    Invero, per quanto concerne la  violazione  dell'art.  53  Cost.,
dalla    semplice    lettura    delle    norme    predette    risulta
incontestabilmente che l'aggravio  della  imposizione  tributaria  e'
fatto discendere non gia', come dovrebbe essere,  unicamente  da  una
maggiore domanda di assistenza sanitaria, ovvero da maggiori esigenze
sanitarie della popolazione, bensi' dalla necessita' di porre  riparo
deficit economici generati da cattiva (dolosa o anche  solo  colposa)
amministrazione dei soggetti concretamente preposti alla gestione del
servizio sanitario, si' che lo sforamento dei piani sanitari non puo'
avere alcun collegamento con la capacita' contributiva dei cittadini. 
    Si legge infatti nei commi 73 e seguenti dell'art.  2,  legge  n.
191/2009 che le misure previste per porre riparo all'inefficienza del
sistema sanitario  e  all'inadeguatezza  dei  piani  di  rientro  dal
disavanzo sono, tra l'altro: 
    1) il blocco delle assunzioni e del turn-over; 
    2) la sospensione dei trasferimenti statali; 
    3) il divieto di effettuare spese non obbligatorie; 
    4) la decadenza dei direttori generali; 
    5) la nomina del commissario ad acta. 
    Trattasi, come e' evidente, di misure del tutto  ingiustificabili
se la causa del deficit fosse una accresciuta domanda  di  assistenza
sanitaria da parte della popolazione, ma pienamente  compatibili  con
una accertata cattiva amministrazione della sanita'. 
    Del resto la riprova eclatante di quanto affermato la si  ritrova
leggendo il comma 84 dell'art.  2  cit.  la'  dove  e'  espressamente
previsto che, in caso di inadempimento da parte  del  commissario  ad
acta degli obblighi  derivanti  dal  piano  «indipendentemente  dalle
ragioni dell'inadempimento» il Consiglio dei  ministri  adotta  tutti
gli atti necessari per la predisposizione del piano di rientro  e  la
sua attuazione. 
    Non  sembra  superfluo,  in  proposito,  a  dimostrazione   della
effettiva sussistenza della mala gestio nel  settore  della  sanita',
riportare quanto si legge nella relazione del  procuratore  regionale
della Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  il  Molise,  per
l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015: «Alla precaria situazione
della sanita' pubblica in questa regione hanno concorso e  concorrono
molteplici fattori, tra cui, anche, comportamenti produttivi di danno
posti in essere dai soggetti  che  operano,  a  diversi  livelli,  in
questo delicato settore dell'attivita' amministrativa.  Tra  di  essi
...  condotte  non  consone  alla   deontologia   professionale   dei
principali operatori del settore (medici e personale paramedico)  ...
atti  di  citazione  per  indebita  percezione   dell'indennita'   di
esclusivita' ... € 70.926,10 e € 13.857,61 ... rinvio a giudizio  nei
confronti di un medico per il reato di cui agli articoli  81  cpv.  e
640, comma 2, c.p. ... danno eraraiale di €  27.145,68  di  cui  sono
chiamati  a  rispondere  ...  i  Direttori  generali  ...  irregolare
erogazione  di   indennita'   per   l'effettuazione   di   turni   di
reperibilita' e pagamenti di ore di lavoro  straordinarie  ad  alcuni
medici  dell'ASREM  ...  complessivi  €  21.388,53  ...  chiamati   a
rispondere anche il Direttore amministrativo e il Direttore sanitario
...  spese  per  consulenze  sanitarie  molto   distanti   dal   dato
previsionale (44% in piu') ...  ricorrente  violazione  dell'art.  23
della legge n. 62/2005 in tema di rinnovo per l'approvvigionamento di
beni e servizi ... incarichi illecitamente affidati ...». 
    E' conclusivamente da ritenere  che,  con  riferimento  all'unico
parametro   adottato   per   disciplinare   l'entita'    dell'aumento
dell'addizionale regionale all'IRPEF (ovvero la  sanita'),  la  legge
non adotta il criterio, ragionevole e rispettoso dell'art. 53  Cost.,
della valutazione  della  domanda  sanitaria  della  popolazione,  ma
ancora l'aumento stesso al modo di  gestire  il  servizio  sanitario,
apprestando rimedi che presuppongono una mala gestio, sia essa dolosa
od anche solo colposa, in tal modo  illegittimamente  costringendo  i
cittadini a pagare un maggiore tributo, per la colpa (o il dolo)  dei
soggetti  che  amministrano  il  servizio  sanitario,  e  ad  essere,
inoltre, penalizzati per le deficienze del servizio  ed  il  maggiore
costo dello stesso. 
    Non puo' sottacersi, del resto, che anche  nelle  sentenze  della
Corte di giustizia l'equilibrio finanziario non e'  affatto  ritenuto
di per se' meritevole di tutela, ma solo in quanto  strumentale  alla
realizzazione della efficienza e continuita' dei servizi pubblici che
erogano prestazioni di sicurezza sociale, come quello  della  sanita'
(Corte di giustizia 23 maggio 2000,  Buchner,  causa  C-104/98)  onde
devono  ritenersi  del  tutto  contrastanti  anche  con  i   principi
comunitari  le  norme  censurate  che,  per  rimediare  alla  cattiva
gestione  del  servizio  sanitario,  impongono  maggiori  prestazioni
tributarie e limitano l'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie  in
danno della popolazione. 
    In ordine, poi, alla denunciata  violazione  dell'art.  97  della
Costituzione  si  osserva  che  i  principi  di  buon  andamento   ed
imparzialita' della pubblica amministrazione comportano l'obbligo  da
parte   della   pubblica   amministrazione   di    una    trasparente
amministrazione del denaro pubblico. 
    In particolare per  quanto  concerne  le  entrate  tributarie  la
trasparenza  esige  la  semplicita'  della  formazione,  nonche'   la
conoscibilita' dei criteri selettivi di controllo e nei controlli. 
    Non puo' di certo  considerarsi  espressione  di  detti  principi
l'adozione di un parametro del tutto discrezionale, quale il  mancato
raggiungimento degli  obiettivi  di  rientro  dai  deficit  sanitari,
rimesso   alla   valutazione   di   organi   tecnici,   senza   alcun
contraddittorio, che di fatto viene assunto come fattore determinante
di una maggiore imposizione tributaria. 
    E' sufficiente, in proposito, la mera disamina del verbale  della
Riunione  congiunta  del  tavolo  tecnico  per  la   verifica   degli
adempimenti regionali con il Comitato permanente per la verifica  dei
livelli essenziali di  assistenza,  per  la  regione  Molise  del  21
novembre 2013, per rendersi conto  della  evidente  lesione,  per  il
palese eccesso di tecnicismo e difetto di motivazione,  dei  principi
di  collaborazione  e  buona  fede   tra   l'Amministrazione   e   il
contribuente  che  e'   di   fatto   completamente   estromesso   dal
procedimento, con grave lesione dei suoi diritti. 
    Ne' puo' omettersi  di  rilevare,  sempre  con  riferimento  alla
violazione  dell'art.  97  Cost.,  che  la  pubblica  amministrazione
statale partecipa al giudizio tecnico sullo stato di avanzamento  del
piano di rientro provvedendo anche alla gestione commissariale,  onde
e' condizionata dalle  sue  stesse  valutazioni,  si'  che  per  essa
difetta  del  tutto,  quale  ente  impositore,   la   condizione   di
imparzialita' nei confronti della regione controllata. 
    In ordine, infine, alla violazione del diritto della  difesa,  di
cui  all'art.  24  Cost.  si  evidenzia  che  nei   confronti   delle
valutazioni dei tavoli tecnici non e' previsto  alcun  intervento,  o
comunque possibilita' di contestazione,  da  parte  del  contribuente
inciso dalla maggiorazione dell'aliquota. 
    Come e' ben noto la  contestabilita'  della  pretesa  impositiva,
ovvero il c.d. diritto di contestare le tasse ingiuste,  deve  essere
garantito dagli obblighi  della  motivazione  e  del  contraddittorio
nonche' della tutela giurisdizionale. 
    Le Sezioni unite della Corte di  cassazione,  riprendendo  quanto
gia' sancito dalla nota sentenza Soprope' della  Corte  di  giustizia
(sentenza C 349/07) nonche' nella piu' recente sentenza del 3  luglio
2014 (cause riunite C 129/13 e  C  130/13),  hanno  ribadito  che  il
rispetto dei diritti della difesa e del conseguente diritto  di  ogni
persona  di  essere  sentito  prima  che  sia  adottata  qualsivoglia
decisione  che  possa  incidere  negativamente  sui  suoi  interessi,
costituisce  un  principio  fondamentale  del   diritto   dell'Unione
europea. 
    Ne' e'  possibile  ritenere  che  al  contribuente  sia  comunque
apprestata una tutela indiretta, assicurata dalla partecipazione  dei
rappresentanti  del  governo  regionale  alle  decisioni  dei  tavoli
tecnici che valutano i  piani  di  risanamento,  attesa  la  evidente
incompatibilita' degli stessi che, avendo formulato i  piani  stessi,
non possono di certo avvertirne i  limiti  e  le  inadeguatezze.  Non
senza   considerare,   inoltre,   gli   evidenti   limiti   ad   essi
rappresentanti derivanti dalla loro condizione di  soggetti  politici
e, in quanto tali, interessati a deresponsabilizzarsi per non esporsi
alla impopolarita'. 
    L'adeguata  motivazione  dei  provvedimenti,  il   rispetto   del
contraddittorio e l'uso corretto delle presunzioni sono criteri a cui
devono necessariamente essere improntate le decisioni  che  impongono
tributi al fine di consentire che, con  una  oculata  amministrazione
della cosa pubblica, siano evitati  sperperi  dannosi  e  le  entrate
tributarie  siano  sempre  impiegate  per  conseguire   il   bene   e
l'interesse comune. 
    Nella specie al contribuente non e' concesso alcuno strumento per
contestare la legittimita' e  fondatezza  della  pretesa  tributaria,
ovvero per verificare l'effettivita' del mancato raggiungimento degli
obiettivi di rientro del disavanzo sanitario, non essendogli  nemmeno
consentito di conoscere se gli organismi tecnici abbiano congruamente
valutato e motivato  lo  stato  di  rientro  dal  deficit  sanitario,
dovendo solo subire un aggravio tributario con evidente  lesione  del
proprio diritto di difesa. 
    Non sembra superfluo, infine e con riferimento alle norme di  cui
si denuncia la  incostituzionalita',  ricordare  la  remota,  ma  pur
sempre attuale, affermazione della adita Consulta secondo la quale il
controllo della Corte consiste in un «giudizio sull'uso  ragionevole,
o meno, che il legislatore abbia fatto dei suoi poteri  discrezionali
in materia tributaria, al fine  di  verificare  la  coerenza  interna
della struttura dell'imposta con il suo presupposto  economico,  come
pure  la  non  arbitrarieta'  dell'entita'  dell'imposizione»  (sent.
111/79).