Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale, legale rappresentante pro tempore, Sig. Stefano Bonaccini, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale progr. n. 59 del 25 gennaio 2016 (doc. 1), rappresentata e difesa per mandato speciale a margine dal Prof. Avv. Franco Mastragostino (C.F. MST FNC 47E07 A059Q; pec: francomastragostino@ordineavvocatibopec.it) e dal Prof. Avv. Adriano Giuffre' (pec: adrianogiuffre@ordineavvocatiroma.org, C.F. GFF DRN 38R28 F912D), ed elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest'ultimo in Roma, Via dei Gracchi, n. 39; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica; Per l'annullamento: della diffida del Presidente Consiglio dei ministri 26 novembre 2015, emanata ai sensi dell'art. 8, comma 1 della legge n. 131/2003 e dell'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - Discariche abusive - trasmessa con nota del Segretariato generale - Dipartimento coordinamento amm.vo DICA 0030627 P- 4.8.3.7 del 27 novembre e pervenuta alla Regione Emilia Romagna in data 30 novembre 2015 come da timbro di protocollo apposto al margine sinistro dell'atto (doc. 2); del mancato riscontro, a valere quale implicito rigetto da parte del PCM all'istanza del Presidente della Giunta della Regione Emilia Romagna PG. 2015/0888444 del 24 dicembre 2015 (doc 3), con cui si invitava la Presidenza del Consiglio dei Ministri a ritirare la diffida e ad identificare correttamente e legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento, nonche' ad avviare procedure di leale collaborazione per individuare le modalita' di adempimento alle istanze della Commissione europea (con particolare riferimento, nel caso di specie, al Sito Razzaboni), per violazione dell'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006 che, in attuazione dell'art. 117, 2° comma Cost., ripartisce le funzioni amministrative in materia di adempimenti concernenti la bonifica dei siti inquinati, per erronea qualificazione dei presupposti di fatto e di diritto nel ravvisare la responsabilita' della Regione; per violazione, altresi', dell'art. 120, 2° comma Cost., come attuato dall'art. 8, 1° comma, della legge n. 131/2003, che fissa il principio di leale collaborazione come regola per l'esercizio del potere sostitutivo, nonche' dell'art. 117, 5° comma Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234/2012. Premesso in fatto Per meglio comprendere il contesto e i presupposti che hanno condotto agli atti qui impugnati dalla Regione Emilia Romagna, e' necessario ripercorrere gli antefatti. 1. Nel settembre 2001 il Corpo Forestale dello Stato, nel corso di un sopralluogo presso un'area ubicata nel Comune di San Giovanni in Persiceto di proprieta' della Societa' "L. Razzaboni S.r.l.", autorizzata in procedura semplificata al recupero di rifiuti inerti, ha rinvenuto dei fanghi industriali classificabili come rifiuti speciali pericolosi, gestiti in assenza di specifica autorizzazione e ha, quindi, provveduto al sequestro dell'area. A seguito di tale rinvenimento si sono susseguite numerose azioni da parte del Comune, anche impositive, supportate dagli organi di vigilanza (Arpa, Noe e Corpo Forestale dello Stato), affinche' la Societa' responsabile dei fatti e proprietaria dell'area effettuasse la messa in sicurezza del sito. I comportamenti dilatori e oppositivi della Societa' hanno causato un grande dispendio di tempo e risorse delle Pubbliche Amministrazioni coinvolte per la messa in sicurezza del sito. Nel 2003 il sito Razzaboni veniva inserito, tra gli altri, nell'ambito della procedura di infrazione 2003/2077 avviata dalla Commissione europea a carico dello Stato italiano. A fronte del permanere dell'inadempienza da parte del proprietario responsabile, nel 2004 il Comune avviava le procedure per intervenire in via sostitutiva ed effettuare gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza del sito. Sempre nel 2004 il Comune, in accordo con Arpa, Provincia e Asl, avviava un programma di monitoraggi ambientali, tuttora in corso, consistenti in campionamenti periodici delle acque sotterranee da piezometri esterni all'area, nonche' da pozzi appartenenti a privati posti nelle aree limitrofe. La natura privata dell'area ha costretto il Comune, nelle varie fasi di intervento, a richiedere piu' volte all'Autorita' giudiziaria l'autorizzazione per accedere all'area, oltre a dovere resistere, sempre in via giudiziaria, alle varie opposizioni interposte da parte del proprietario. Nel 2005 sono state, quindi, attivate le procedure amministrative volte all'approvazione e al finanziamento del progetto di messa in sicurezza d'emergenza del sito che, in breve, ha previsto l'accorpamento dei rifiuti in unico cumulo, la copertura del cumulo e dell'area scoperta circostante con geo-membrana impermeabile, opportunamente ancorata, cosi' da garantire l'allontanamento delle acque meteoriche. I lavori di messa in sicurezza d'emergenza si sono poi conclusi nel novembre 2007 con relativo sopralluogo di collaudo che e' stato successivamente formalizzato il 20 febbraio 2008 (All. 1). I monitoraggi sono stati effettuati da laboratori privati certificati, su incarico pubblico, nonche' da Pubbliche Autorita' dello Stato italiano (ARPA e ASL) deputate per legge alla effettuazione di tali tipologie di controllo. Delle sud-dette attivita' di collaudo dei lavori, dei monitoraggi ambientali effettuati, nonche' della condizione di sicurezza ambientale in cui versa il sito a seguito della messa in sicurezza d'emergenza e' stata, nel tempo, informata la Commissione, per il tramite del Ministero, con varie note di cui si allegano le piu' significative (cfr. All. 4 - selezione di note inviate al Ministero dell'ambiente dalla Regione Emilia-Romagna). Nel frattempo, pero', la Repubblica italiana veniva condannata dalla Corte di Giustizia dell'U.E., con sentenza C-135/05 del 26 aprile 2007, per non aver provveduto ad adottare i provvedimenti necessari, relativi a 4.866 discariche site nelle Regioni ordinarie (tra cui quella di Razzaboni), venendo meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell'art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell'art. 14, lett. a) - c), della direttiva 1999/31. 2. Nel corso del 2010, il Comune ha poi attivato - di concerto con le altre Amministrazioni territoriali interessate - un percorso finalizzato alla riqualificazione dell'area a parco fotovoltaico per la sua successiva fruibilita' da parte del pubblico. Durante le indagini preliminari alla realizzazione di tale progetto sono stati rinvenuti, in area limitrofa e diversa da quella interessata dal primo rinvenimento del 2001 (e, quindi, estranea alla procedura di infrazione 2003/2077), ulteriori rifiuti, una prima volta nel 2010 e, successivamente, nel 2012. Delle attivita' relative ai rifiuti rinvenuti successivamente al 2001 e' stata periodicamente tenuta informata la Commissione per il tramite del Ministero (anche se, evidentemente, si tratta di attivita' non ricomprese nella procedura d'infrazione). Nel 2012, la Regione Emilia Romagna ha assegnato un finanziamento di euro 3.604.902 per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza dell'area interessata dai rinvenimenti del 2010 e del 2012, subordinando la effettiva concessione del finanziamento all'acquisizione, da parte del Comune, dell'area stessa (cfr. All. 5 - deliberazione Giunta regionale n. 1512/2012). Nel 2014 il Comune ha effettuato l'immissione in possesso dell'area e la Regione ha concesso il suddetto finanziamento (cfr. All. 5 bis - deliberazione di Giunta regionale n. 1027/2014). La consegna dei lavori e' stata effettuata nel maggio 2015 e l'ultimazione e' prevista per la fine del gennaio 2016. 3. Con la sentenza della Corte di Giustizia C-196/13 del 2 dicembre 2014, la Repubblica italiana e' stata condannata ad una sanzione finanziaria, a causa di 196 discariche non ancora bonificate, di cui 13 (tra le quali quella di Razzaboni) contenenti rifiuti pericolosi. In base a quanto risulta affermato nella stessa sentenza e come e' stato chiarito nell'atto di notifica dell'ingiunzione di pagamento della sanzione da parte della Commissione, per ritenere tale sito regolarizzato occorre soddisfare i seguenti requisiti, sinteticamente descritti: a) assicurare che nei siti non siano piu' depositati rifiuti; b) catalogare e identificare i rifiuti pericolosi; c) attuare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti presenti nei siti non mettano in pericolo la salute dell'uomo e l'ambiente. La scelta dei mezzi per raggiungere questi risultati e' rimessa alle Autorita' italiane: in base alla situazione fattuale in cui versa il sito e a quanto stabilito dalla normativa, esse possono optare, a seconda dei casi, per una "messa in sicurezza" (che puo' consistere in misure di contenimento c.d. "messa in sicurezza d'emergenza - MISE" ovvero in interventi di isolamento definitivo delle fonti inquinanti c.d. "messa in sicurezza permanente"); per la bonifica, ovvero per il ripristino. Con riferimento al sito Razzaboni, il rispetto dei requisiti sub a) e sub b) e' pacifico, mentre risulta ancora controverso il rispetto del requisito sub c). In proposito, la Commissione sostiene che gli interventi previsti sarebbero stati suddivisi in tre parti; un primo stralcio, avente ad oggetto la "messa in sicurezza d'emergenza" (MISE) dei rifiuti rinvenuti nel 2001; un secondo stralcio, avente ad oggetto la messa in sicurezza dell'ulteriore quantitativo di rifiuti rinvenuti nel 2010, e un terzo stralcio, avente ad oggetto ulteriori attivita' di decontaminazione del sito interessato dai rifiuti rinvenuti nel 2001, per i quali si sostiene che le Autorita' italiane avrebbero affermato la necessita' di ulteriori attivita' di decontaminazione. Si conclude quindi che, fino a quando le Autorita' italiane non avranno fornito la prova che tutti i suddetti lavori di messa in sicurezza e decontaminazione siano stati terminati non si potra' ritenere che il sito sia stato regolarizzato. 3.1. In proposito, occorre, innanzitutto, chiarire che il sito interessato dalla procedura di infrazione e' solo quello in cui sono stati rinvenuti i rifiuti nell'anno 2001 e, conseguentemente, occorre circoscrivere l'analisi degli interventi previsti per l'adempimento della sentenza a quelli che riguardano l'area del relativo rinvenimento. Ne consegue che la procedura d'infrazione non puo' essere estesa ai rifiuti rinvenuti nel 2010: su cio' la Corte di' Giustizia e' stata chiara (punto 34 della motivazione della sopra cit. sent. C-196/13 del 2 dicembre 2014,) ribadendo che "e' costante in giurisprudenza che, essendo la Commissione tenuta a precisare, nel parere motivato emesso in applicazione dell'articolo 228, paragrafi) 2, CE, i punti sui quali lo Stato membro interessato non si e' conformato alla sentenza della Corte che dichiara l'inadempimento, l'oggetto della controversia non puo' essere esteso ad obblighi non previsti nel parere motivato, salvo incorrere nella violazione delle firme sostanziali che garantiscono la regolarita' del procedimento (v. sentenza Commissione/Portogallo, C-457/07, EU/C/2009/531, punto 60)". Quello che, pero', alla Regione Emilia Romagna non e' dato di sapere e' se la difesa della Repubblica italiana sia stata sufficientemente chiara e puntuale nel circostanziare i fatti specifici relativi alla discarica di Razzaboni. Il dubbio e' piu' che legittimo, ove si abbia riguardo a quanto precisato dalla Corte (al punto 35) laddove spiega che "come evidenziato dall'avvocato generale al paragrafo 35 delle conclusioni si deve constatare che la Repubblica italiana non motiva in quale misura gli obblighi oggetto del parere motivato emesso nel contesto della presente causa siano stati modificati dalla suddetta nota": ed e' per questa ragione che la Corte respinge l'eccezione d'irricevibilita' della nota (la nota e' quella del 14 giugno 2011 della Commissione che, secondo la difesa della Repubblica Italiana, avrebbe ampliato l'oggetto della controversia rispetto al parere motivato - ndr). In effetti, nella conclusione dell'Avvocato Generale si legge (punto 35) che l'integrazione "sarebbe... stata necessaria solo nel caso in cui la Commissione avesse ampliato il procedimento rispetto al parere motivato... mentre un siffatto ampliamento non risulta". 3.2. Con riferimento, invece, alla messa in sicurezza dei rifiuti rinvenuti nel 2001, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, si ritiene che il sito sia stato regolarizzato. Ed infatti, come gia' accennato in precedenza, la procedura per l'avvio dei lavori di messa in sicurezza d'emergenza e' stata attivata nel 2005 e i lavori si sono effettivamente conclusi nel novembre 2007, con relativo sopralluogo di collaudo, successivamente formalizzato il 20 febbraio 2008 (cfr. All. l gia' citato). L'efficacia e la tenuta degli interventi di contenimento attuati con la messa in sicurezza d'emergenza e' stata, poi, nel tempo accertata attraverso monitoraggi periodici, che hanno evidenziato che non sussiste un pericolo concreto e significativo di peggioramento della qualita' delle matrici ambientali circostanti l'area e che i rifiuti presenti nel sito non mettono, quindi, in pericolo la salute dell'uomo e dell'ambiente. Precisamente, i monitoraggi ambientali effettuati hanno mostrato che i valori di concentrazione degli inquinanti non si discostano in modo significativo dai limiti tabellari di legge. In proposito, si evidenzia che per Ferro, Manganese e Solfati si riscontrano nell'area interessata superamenti dei limiti di normativa interpretabili quali scostamenti dovuti a fattori naturali, fenomeno noto e ben documentato in base al quale i parametri citati, non possono essere utilizzati come marcatori spia di inquinamento (cfr. All. 3 - risultati delle analisi condotte sui campioni prelevati da piezometri e pozzi esterni all'area nel corso del 2015). La suddetta interpretazione e' stata, inoltre, di recente avallata anche da uno studio condotto dalla AUSL di Bologna e da ARPA. Lo studio evidenzia, altresi', che le analisi eseguite dal 2005 al 2014 presso 4 pozzi domestici localizzati tra 250 e 500 m nell'intorno del sito Razzaboni non hanno mostrato, per i 40 parametri ricercati, valori anomali rispetto al limite di riferimento normativo, fatte salve alcune evidenze riferibili alla presenza di Ferro e Manganese. Le competenti Autorita' nazionali hanno, quindi, posto in essere attraverso "la messa in sicurezza di emergenza" le idonee misure di contenimento per impedire che i rifiuti presenti nel sito possano mettere in pericolo la salute umana e l'ambiente. Di tali interventi e' stata regolarmente informata la Commissione, per il tramite del Ministero (cfr. All. 4 - selezione di note inviate al Ministero dell'ambiente dalla Regione Emilia-Romagna). Non corrisponde, quindi, al vero quanto affermato dalla Commissione nella nota di ingiunzione circa il mancato invio, da parte della Regione, dei documenti che proverebbero che la messa in sicurezza di emergenza iniziata nel 2007 sarebbe stata ultimata nel 2008 (e nel 2009 con riferimento all'intervento di sostituzione del telo - All. 2). In proposito, e' inoltre il caso di precisare che, in base alle regole del contraddittorio in sede procedimentale, in ipotesi di mancato recapito di un documento che certifica uno dei fatti fondamentali affermati da una delle parti, prima di procedere alla decisione in ordine a quel determinato fatto, occorre chiedere senz'altro una integrazione documentale. Ma la mancanza o l'insufficienza della documentazione relativa al sito di Razzaboni non puo' in alcun modo essere addebitata alla Regione Emilia Romagna, che si e' sempre fatta carico di inviare informazioni e documentazione relativa alla situazione e ai fatti sopra citati (cfr., da ultimo, la nota RER D.G. Ambiente, Inviata al Min. ambiente D.G. per i rifiuti e l'inquinamento, PG2015/0725915 in data 5 ottobre 2015 - All. 6). 4. In tale contesto, del tutto inaspettatamente, in data 30 novembre 2015 e' pervenuta alla Regione Emilia Romagna, oltre che al Comune di San Giovanni in Persiceto, la "diffida del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 novembre 2015, emanata ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003, e dell'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234" - Discariche abusive, trasmessa con nota del Dipartimento per il Coord. Amm.vo presso il Segretariato Generale della P.C.M., con la quale, relativamente alla "discarica abusiva ubicata nel Comune di San Giovanni in Persiceto, il localita' V. Samoggia n. 26 (sito Razzaboni), oggetto della sentenza di condanna della Corte di Giustizia del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13, in ordine alla applicazione delle Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE", si impone "di rilasciare entro 30 giorni dal ricevimento del presente atto il provvedimento di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152". La diffida risulta rivolta sia al Comune di San Giovanni in Persiceto, in persona del Sindaco pro tempore, sia alla Regione Emilia Romagna, in persona del suo Presidente, con l'avvertimento che: "in caso di mancato adempimento, da parte di codesti Enti, entro il termine assegnato, il Consiglio dei Ministri adotta i provvedimenti necessari di cui all'art. 8 della citata legge 5 giugno 2003 n. 131". Cioe', viene prefigurato, del tutto sorprendentemente (non sussistendone i presupposti), l'uso del potere sostitutivo dello Stato. In nome e nel rispetto del principio di leale collaborazione, il Presidente della Giunta regionale si e', quindi, determinato ad inoltrare una specifica istanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e cio' in data 24 dicembre 2015, con la quale, sul presupposto che la Regione Emilia Romagna "non e' Amministrazione procedente tenuta all'adempimento, ai sensi dell'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006" (come si e' dato conto e come si dira' piu' diffusamente in prosieguo invitava, da un lato, ad identificare correttamente e legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento, dall'altro, ad avviare procedure di leale collaborazione per individuare le modalita' di adempimento alle istanze della Commissione europea. A tale istanza, che risponde ad una esigenza di confronto del tutto consona con il principio di leale collaborazione, in un ambito materiale - misure di tutela ambientale e in esecuzione di obblighi derivanti da pronunciamenti della Corte di Giustizia europea - dove, peraltro, vige la competenza esclusiva dello Stato, non e' stato dato riscontro alcuno. Anche il silenzio in tal senso serbato, unitamente all'atto di diffida, e' suscettibile, dunque, di rilevare, da un lato, come violazione del principio/dovere di leale collaborazione, a cui debbono essere improntati, in sede di esercizio del potere sostitutivo, i rapporti fra gli Enti e gli Organi costituzionali; dall'altro, quale comportamento/provvedimento implicito di rigetto, e pertanto suscettibile di annullamento anch'esso, per i seguenti motivi di Diritto 1. Violazione dell'art. 120, 2° comma Cost., come attuato dall'art. 8, 1° comma legge n. 131/2003, e dell'art. 117, 5° comma Cost. , come attuato dall'art. 41 della legge n. 234/2012, per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo. Falso ed erroneo supposto di fatto e di diritto nella individuazione della Regione quale Amministrazione responsabile della bonifica e, di conseguenza, dell'inadempimento eccepito a livello comunitario e, pertanto, violazione dell'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006 e dell'art. 41 della legge n. 234/2012. Violazione dell'art. 117, 2° comma, lettera s), Cost., quanto alla ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni in materia di "ambiente". Va, innanzitutto, evidenziato che la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati rientra sicuramente a pieno titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, 2° comma, lett. s), Cost. (sent. nn. 96 e 312/2003, 161 e 62/2005, per citarne alcune). Ora, la Commissione europea ha fatto rilevare, sia nella lettera di contestazione, che nel ricorso alla Corte di Giustizia, che "sarebbe di importanza fondamentale che la Repubblica italiana disponesse di una legislazione adeguata a una corretta gestione dei rifiuti. A tal riguardo, le stesse autorita' italiane avrebbero osservato che una modifica legislativa avrebbe consentito di dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (EU/C/2007/250)" (C-196/13, punto 29, ma vedi anche il punto 36). Anche l'Avvocato Generale ha sottolineato, nelle sue conclusioni (punti 50 e 51), che la Commissione censura il fatto che "l'Italia non avrebbe adeguatamente potenziato le sue norme volte a prevenire abbandoni illegali di rifiuti ne' il suo sistema di sorveglianza riguardo ai rifiuti, sebbene le autorita' italiane avessero intanto annunciato riforme in materia finalizzate all'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU/C/2007/250)", e che "effettivamente la sentenza Commissione/Italia (EU/C/2007/250) ha dichiarato una violazione generale e persistente delle disposizioni della normativa in materia di rifiuti". Come e' evidente e senza bisogno di aggiungere altro, di queste lacune e inadempienze, innanzitutto sotto il profilo della carenza ed insufficienza sul piano legislativo, e' lo Stato a doversi far carico, senza pretendere di scaricarne la responsabilita' sulle Regioni. Ma in effetti, poi, anche sotto il profilo del riparto delle funzioni amministrative, la legislazione dello Stato appare del tutto carente. Il d.lgs. n. 152/2006, che dedica il Titolo V della parte IV alla bonifica dei siti inquinati", affida alla Regione competenze precise nella procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica del sito (art. 242) e obbliga la Regione, quando i privati non adempiano ai loro obblighi, a provvedere in sostituzione del Comune territorialmente competente, qualora questo non provveda, "secondo l'ordine di priorita' fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica"(art. 250) e aggiunge che "al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilita' di bilancio" (sempre art. 250), fermo restando che l'onere finanziario resta a carico del soggetto responsabile (o in determinati casi del proprietario del sito), mentre il contributo pubblico puo' essere concesso, "sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento", entro il limite massimo del cinquanta per cento della spesa "qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali" (art. 253, comma 5). Inoltre, in base all'art. 251, le Regioni devono predisporre il censimento e l'anagrafe dei siti da bonificare. Rispetto alle competenze della Regione, come delineate dall'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006, norma richiamata dalla diffida (e a quelle fissate negli artt. 196 e 199 del d.lgs. n. 152/2006, disposizioni anch'esse richiamate dalla diffida qui impugnata, ma, si ritiene, indebitamente, perche' riguardano genericamente le competenze regionali in materia di gestione dei rifiuti, che qui non rilevano), nessun addebito puo', quindi, essere mosso alla Regione Emilia Romagna, in quanto non e' la Regione l'Amministrazione responsabile della bonifica, ma "il Comune territorialmente competente", non avendo "il soggetto responsabile della contaminazione provveduto direttamente agli adempimenti disposti nel presente titolo", come dispone l'art. 250. Ed in effetti, il procedimento di bonifica che e' stato avviato ed eseguito e' in capo al Comune di San Giovanni in Persiceto, al quale unicamente la diffida doveva essere rivolta (ammesso e non concesso che ne ricorrano i presupposti anche con riferimento a tale Amministrazione); Amministrazione che - lo si ribadisce - e' quella preposta agli adempimenti in materia, avendo la Regione espletato, nel caso di specie e del tutto provvidenzialmente in assoluta carenza di un intervento finanziario dello Stato, un mero ruolo di Ente finanziatore, oltretutto erogando risorse proprie e non attribuite dallo Stato per gli specifici adempimenti collegati all'esercizio di funzioni delegate, come sarebbe dovuto avvenire per il caso in esame. Si rammenta, peraltro, come gia' sottolineato nella premessa di fatto, che le procedure amministrative volte all'approvazione e al finanziamento del progetto di messa in sicurezza d'emergenza del sito sono state effettivamente attivate dalla Amministrazione comunale, soggetto responsabile della bonifica, nel 2005: la Regione, con deliberazione di Giunta n. 1752 del 2005, ha assegnato al Comune di S. Giovanni un finanziamento di euro 216.200,00 a totale copertura delle spese per gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza del sito, a valere sul capitolo relativo al fondo per l'anticipazione delle somme dovute per tali interventi, da effettuarsi in sostituzione dei privati (articolo 134.1, legge regionale 3/1999), volontariamente istituito nell'ambito delle proprie disponibilita' di bilancio. I lavori di messa in sicurezza d'emergenza si sono conclusi nel novembre 2007, con relativo sopralluogo di collaudo formalizzato il 20 febbraio 2008. Di tutto cio' e' stata data informazione al Ministero e alla Commissione. Abbiamo, poi, visto come nel corso del 2010, il Comune ha attivato, di concerto con le altre Amministrazioni territoriali interessate, un percorso finalizzato alla riqualificazione dell'area (a parco fotovoltaico) per la sua successiva fruibilita' da parte del pubblico e che, durante le indagini preliminari alla realizzazione di tale progetto, sono stati rinvenuti, in area limitrofa e diversa da quella interessata dal primo rinvenimento del 2001, ulteriori rifiuti, una prima volta nel 2010 e, successivamente, nel 2012. Nel 2012 la Regione Emilia Romagna ha, quindi, assegnato un finanziamento di euro 3.604.902 per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza dell'area interessata dai rinvenimenti del 2010 e del 2012 (la cui spesa ha trovato copertura sul capitolo 37374 "Finanziamenti a favore dei soggetti pubblici attuatori di interventi urgenti e di prevenzione di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree pubbliche o soggette ad uso pubblico: art. 134, comma 3, L.R. 21 aprile 1999, n. 3)", subordinando la effettiva concessione del finanziamento all'acquisizione da parte del Comune dell'area stessa. Al fine di completare la bonifica complessiva di tutta l'area (cioe' sia di quella sottoposta a messa in sicurezza d'emergenza, collaudata nel 2009, e sia quella relativa ai rifiuti rinvenuti nel 2010), l'Amministrazione regionale ha, poi, ritenuto opportuno inoltrare, nel giugno 2014, una richiesta di finanziamento al Ministero dell'ambiente, nell'ambito dei fondi previsti dalla legge di stabilita' 2014 per la regolarizzazione dei siti interessati dalla procedura di infrazione in esame. Ma all'esito della gara per l'assegnazione dei suddetti fondi, ai lavori relativi all'area Razzaboni, e' stata attribuita una classe di priorita' bassa e cioe' 4, in una scala da 1 a 5, non idonea ad essere ammessa a finanziamento (cfr. D.M. n. 303 del 9 dicembre 2014). Nel 2014 il Comune ha conseguito la proprieta' dell'area e la Regione ha quindi concesso il finanziamento di cui alla succitata deliberazione n. 1512/2012 (cfr. D.G.R. n. 1027/2014) e ha ribadito, con nota del 21 luglio 2014 (PG.2014.0268291 - All. 7), la richiesta al Ministero di un ulteriore finanziamento a valere sul fondo istituito con la legge di stabilita' 2014, evidenziando che i fondi ministeriali, unitamente ai fondi regionali gia' stanziati, avrebbe garantito la bonifica complessiva dell'area ex Razzaboni (attualmente, in ogni caso, in condizioni di sicurezza) senza, pero', ottenere un riscontro positivo. Successivamente, nel luglio del 2015 la Regione ha effettuato ulteriore richiesta di accesso ai Fondi ministeriali per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) (All. 8), sempre pero' con esito negativo. Come si puo' riscontrare ictu oculi, se c'e' una parte inadempiente non e' certo la Regione Emilia Romagna. La Regione, pur non avendo alcuna responsabilita' diretta in ordine al verificarsi dell'evento di contaminazione del sito Razzaboni, che ha dato luogo alla procedura di infrazione comunitaria, ha in ogni fase contribuito, nell'ambito e nei limiti delle proprie disponibilita' di bilancio, a finanziare volontariamente gli interventi per la messa in sicurezza del sito, senza poter contare su risorse strutturali, in ragione del mancato conferimento delle stesse da parte dello Stato a cio' tenuto, a seguito della delega delle funzioni di intervento pubblico in sostituzione del privato responsabile della contaminazione nell'ambito delle norme del codice ambientale. Quindi, al contrario di quanto risulterebbe implicitamente presupposto nella diffida, la Regione e' l'unica ad aver posto in campo azioni concrete - di natura finanziaria, certo, e non come responsabile dell'attuazione degli adempimenti di bonifica, a cui non e' tenuta - sopperendo alla totale inerzia e carenza operativa dello Stato ed avendo, percio', agito ultra vires. D'altra parte, l'atto di diffida, come puo' verificarsi leggendo i "considerato" e i "ritenuto", e' costruito come un involucro destinato ad essere riempito con i dati di ognuno dei siti contaminati oggetto delle contestazioni europee, senza particolari addebiti relativi al sito Razzaboni. Cio' che alla Regione viene, infatti, richiesto e' il "rilascio del provvedimento di conclusione del procedimento, ai sensi dell'art. 242 del d.lgs. n. 152/2006". Di un provvedimento, cioe', che innanzitutto non risulta compatibile e pertinente con quanto e' gia' stato eseguito in ordine alla compiuta messa in sicurezza del sito "Razzaboni" per la parte che riguarda i rinvenimenti del 2001, oggetto specifico della sentenza comunitaria di cui si chiede l'adempimento; e che non si comprende come possa essere imposto ed emesso dalla Regione, rispetto ad attivita' ed adempimenti di bonifica che sta portando avanti il Comune di San Giovanni in Persiceto, come Amministrazione procedente, tenuta ai sensi del d.lgs. n. 152/2006 e che cosi' come e' stato chiesto (in termini di adozione del "provvedimento di conclusione del procedimento di bonifica ai sensi dell'art. 242"), pare riferirsi, oltretutto, ad un'area, ad una fase, e ad adempimenti tuttora in corso ma comunque estranei all'oggetto della richiesta di adempimento comunitaria. Per gli enunciati profili, dunque, deve senz'altro ritenersi che l'atto di diffida impugnato - quale primo avvio dell'attivazione del potere sostitutivo - sia stato emesso in totale violazione e carenza dei presupposti per il corretto esercizio di tale potere dello Stato, in violazione delle garanzie costituzionali ad esso sottese. 2. Violazione dell'art. 120, 2° comma Cost. e dell'art. 8, 1° comma della legge n. 131/2003 sotto il profilo della violazione del principio/dovere costituzionale di leale collaborazione. Va, invece, attribuita allo Stato la responsabilita' di gravi infrazioni al principio costituzionale di leale collaborazione, come enunciato dall'art. 120.2 Cost. e dalle norme d'attuazione contenute nella legge n. 131/2003 (art. 8). E cio' avuto riguardo a comportamenti sia antecedenti, che successivi all'atto di diffida qui impugnato. La Regione Emilia Romagna ha infatti sistematicamente informato il Ministero dell'ambiente delle fasi di avanzamento della messa in sicurezza del sito di Razzaboni, sollecitando piu' volte il contributo finanziario dello Stato. Essendo stato questo negato, la Regione ha fatto presente di non essere, in base alla normativa vigente, destinataria dell'obbligo di bonifica, ne' responsabile dei presunti addebiti della Commissione. Ne' tanto meno e' stata coinvolta nella linea di difesa tenuta dalla Repubblica italiana nei confronti della Commissione europea e in sede di giudizio davanti alla Corte di Giustizia. A tale proposito la Regione Emilia Romagna ha pero' inviato, secondo quanto si era concordato durante la riunione tenuta presso il Ministero dell'ambiente il 2 settembre 2015, una relazione con ricostruzione storica delle vicende che hanno riguardato il sito Razzaboni e un contributo per la predisposizione della memoria di impugnazione della sentenza C-196/13 (cfr. All. 6 cit. - Procedura di infrazione comunitaria 2003/2007 Esecuzione sentenza 2 dicembre 2014). Di fronte a tale corretto modus agendi di piena e fattiva collaborazione della Regione, la diffida da ultimo emessa risulta del tutto infondata e inopportuna, priva, oltretutto, di qualsiasi preventiva contestazione rivolta agli organi della Regione. A seguito dell'invio della lettera di diffida, il Presidente della RER ha indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministro competente (cfr. doc n. 3) una risposta formale in cui si fa presente che: la RER non costituisce l'Amministrazione tenuta all'esecuzione degli adempimenti prescritti dalla diffida; che l'area in questione e' stata a suo tempo oggetto di un progetto di messa in sicurezza conclusosi positivamente con rilascio di regolare collaudo; che la documentazione relativa e' gia' stata trasmessa a suo tempo al Ministero dell'ambiente; che la RER, benche' non tenuta, si e' fatta carico del finanziamento del progetto con risorse proprie per far fronte agli interventi a cui era tenuto il Comune di S. Giovanni in Persiceto. La lettera concludeva invitando la Presidenza del Consiglio dei ministri a ritirare la diffida e a indirizzarla semmai alla sola amministrazione tenuta all'adempimento, cioe' il Comune di S. Giovanni in Persiceto: e proponeva di definire le necessarie eventuali misure di adeguamento a carico del Comune "attraverso un percorso collaborativo e di condivisione". Anche questo ennesimo tentativo di ricercare la soluzione del problema che ha causato la condanna della Repubblica italiana davanti alla Corte di Giustizia, e al conseguente obbligo di ottemperare alla sanzione finanziaria irrogata, e' pero' naufragato. L'Amministrazione dello Stato non ha dato seguito a questa richiesta, ma anzi minaccia di agire in via di sostituzione (salvo capire in che cosa possano consistere i "provvedimenti necessari", essendo quello che viene richiesto un "provvedimento di conclusione del procedimento", che non sembra configurarsi come un adempimento burocratico separabile da una certificazione della realta' effettuale). E' del tutto palese il rischio a cui la situazione descritta espone la Regione e che lo Stato, a seguito della impugnata diffida, pretenda anche di agire per rivalsa, ai sensi dell'art. 43 della legge n. 234/2012. Sicche' la Regione Emilia Romagna, riscontrando la ripetuta violazione degli obblighi di leale collaborazione fissati dalla Costituzione, cosi' come costantemente interpretati da questa ecc.ma Corte, e delle specifiche prescrizioni contenute nell'art. 120.2 Cost. (e nella legge d'attuazione n. 131/2003) e nell'art. 117.5 Cost. (cosi' come attuato dall'art. 41 della legge n. 234/2012), anche per tale rilevante profilo di illegittimita' non puo' che chiedere l'annullamento della diffida e dell'implicito rigetto dell'istanza di ritiro della stessa, determinato dal silenzio su di essa serbato, e del rifiuto di porre in essere misure collaborative e condivise di superamento del problema.