Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona  del  Presidente
della Giunta  regionale,  legale  rappresentante  pro  tempore,  Sig.
Stefano  Bonaccini,  autorizzato  con  deliberazione   della   Giunta
regionale progr. n. 59 del 25 gennaio 2016 (doc. 1), rappresentata  e
difesa  per  mandato  speciale  a  margine  dal  Prof.  Avv.   Franco
Mastragostino     (C.F.     MST     FNC     47E07     A059Q;     pec:
francomastragostino@ordineavvocatibopec.it) e dal Prof. Avv.  Adriano
Giuffre' (pec: adrianogiuffre@ordineavvocatiroma.org,  C.F.  GFF  DRN
38R28 F912D),  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo  Studio  di
quest'ultimo in Roma, Via dei Gracchi, n. 39; 
    Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente in carica; 
    Per l'annullamento: 
    della diffida del Presidente Consiglio dei ministri  26  novembre
2015, emanata ai sensi dell'art. 8, comma 1 della legge n. 131/2003 e
dell'art. 41 della legge  24  dicembre  2012,  n.  234  -  Discariche
abusive - trasmessa con nota del Segretariato generale - Dipartimento
coordinamento amm.vo DICA  0030627  P-  4.8.3.7  del  27  novembre  e
pervenuta alla Regione Emilia Romagna in data 30 novembre  2015  come
da timbro di protocollo apposto al margine sinistro  dell'atto  (doc.
2); 
    del mancato riscontro, a valere quale implicito rigetto da  parte
del PCM all'istanza del Presidente della Giunta della Regione  Emilia
Romagna PG. 2015/0888444 del 24 dicembre 2015 (doc  3),  con  cui  si
invitava la Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri  a  ritirare  la
diffida  e  ad  identificare  correttamente   e   legittimamente   la
Amministrazione tenuta all'adempimento, nonche' ad avviare  procedure
di leale collaborazione per individuare le modalita'  di  adempimento
alle istanze della Commissione europea (con particolare  riferimento,
nel caso di specie, al Sito Razzaboni), per violazione dell'art.  250
del d.lgs. n. 152/2006 che, in attuazione  dell'art.  117,  2°  comma
Cost.,  ripartisce  le  funzioni   amministrative   in   materia   di
adempimenti concernenti la bonifica dei siti inquinati,  per  erronea
qualificazione dei presupposti di fatto e di diritto nel ravvisare la
responsabilita' della Regione; per  violazione,  altresi',  dell'art.
120, 2° comma Cost., come attuato dall'art. 8, 1° comma, della  legge
n. 131/2003, che fissa il  principio  di  leale  collaborazione  come
regola per l'esercizio del potere sostitutivo, nonche' dell'art. 117,
5° comma Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234/2012. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Per meglio comprendere il contesto  e  i  presupposti  che  hanno
condotto agli atti qui impugnati dalla  Regione  Emilia  Romagna,  e'
necessario ripercorrere gli antefatti. 
    1. Nel settembre 2001 il Corpo Forestale dello Stato,  nel  corso
di un sopralluogo presso un'area ubicata nel Comune di  San  Giovanni
in Persiceto di proprieta'  della  Societa'  "L.  Razzaboni  S.r.l.",
autorizzata in procedura semplificata al recupero di rifiuti  inerti,
ha rinvenuto  dei  fanghi  industriali  classificabili  come  rifiuti
speciali pericolosi, gestiti in assenza di specifica autorizzazione e
ha, quindi, provveduto al sequestro  dell'area.  A  seguito  di  tale
rinvenimento si sono susseguite numerose azioni da parte del  Comune,
anche impositive, supportate dagli organi di vigilanza (Arpa,  Noe  e
Corpo Forestale dello Stato), affinche' la Societa' responsabile  dei
fatti e proprietaria dell'area effettuasse la messa in sicurezza  del
sito. I comportamenti dilatori  e  oppositivi  della  Societa'  hanno
causato un grande  dispendio  di  tempo  e  risorse  delle  Pubbliche
Amministrazioni coinvolte per la messa in sicurezza del sito. 
    Nel 2003 il  sito  Razzaboni  veniva  inserito,  tra  gli  altri,
nell'ambito della procedura di  infrazione  2003/2077  avviata  dalla
Commissione europea a carico dello Stato italiano. 
    A  fronte  del   permanere   dell'inadempienza   da   parte   del
proprietario responsabile, nel 2004 il Comune  avviava  le  procedure
per intervenire in via sostitutiva ed effettuare  gli  interventi  di
messa in sicurezza d'emergenza del sito. Sempre nel 2004  il  Comune,
in accordo con  Arpa,  Provincia  e  Asl,  avviava  un  programma  di
monitoraggi   ambientali,   tuttora   in   corso,   consistenti    in
campionamenti periodici delle acque sotterranee da piezometri esterni
all'area, nonche' da pozzi appartenenti a privati  posti  nelle  aree
limitrofe. La natura privata dell'area ha costretto il Comune,  nelle
varie fasi di  intervento,  a  richiedere  piu'  volte  all'Autorita'
giudiziaria l'autorizzazione per accedere all'area,  oltre  a  dovere
resistere,  sempre  in  via  giudiziaria,  alle   varie   opposizioni
interposte da parte del proprietario. 
    Nel 2005 sono state, quindi, attivate le procedure amministrative
volte all'approvazione e al finanziamento del progetto  di  messa  in
sicurezza  d'emergenza  del  sito  che,   in   breve,   ha   previsto
l'accorpamento dei rifiuti in unico cumulo, la copertura del cumulo e
dell'area  scoperta  circostante   con   geo-membrana   impermeabile,
opportunamente ancorata, cosi' da  garantire  l'allontanamento  delle
acque meteoriche. I lavori di messa in sicurezza d'emergenza si  sono
poi conclusi nel novembre 2007 con relativo sopralluogo  di  collaudo
che e' stato successivamente formalizzato il 20 febbraio  2008  (All.
1). 
    I  monitoraggi  sono  stati  effettuati  da  laboratori   privati
certificati, su incarico pubblico,  nonche'  da  Pubbliche  Autorita'
dello  Stato  italiano  (ARPA  e  ASL)  deputate   per   legge   alla
effettuazione  di  tali  tipologie  di  controllo.  Delle   sud-dette
attivita'  di  collaudo  dei  lavori,  dei   monitoraggi   ambientali
effettuati, nonche' della condizione di sicurezza ambientale  in  cui
versa il sito a seguito  della  messa  in  sicurezza  d'emergenza  e'
stata, nel tempo,  informata  la  Commissione,  per  il  tramite  del
Ministero, con varie note di cui si allegano  le  piu'  significative
(cfr. All. 4 - selezione di note inviate al  Ministero  dell'ambiente
dalla Regione Emilia-Romagna). 
    Nel frattempo, pero', la Repubblica  italiana  veniva  condannata
dalla Corte di Giustizia dell'U.E.,  con  sentenza  C-135/05  del  26
aprile 2007, per non aver  provveduto  ad  adottare  i  provvedimenti
necessari, relativi a 4.866 discariche site nelle  Regioni  ordinarie
(tra cui quella di Razzaboni), venendo meno  agli  obblighi  ad  essa
incombenti ai sensi degli artt. 4, 8  e  9  della  direttiva  75/442,
dell'art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell'art. 14, lett. a)  -
c), della direttiva 1999/31. 
    2. Nel corso del 2010, il Comune ha poi attivato  -  di  concerto
con le altre Amministrazioni territoriali interessate -  un  percorso
finalizzato alla riqualificazione dell'area a parco fotovoltaico  per
la sua successiva fruibilita'  da  parte  del  pubblico.  Durante  le
indagini preliminari alla realizzazione di tale progetto  sono  stati
rinvenuti, in area limitrofa e  diversa  da  quella  interessata  dal
primo rinvenimento del 2001 (e, quindi, estranea  alla  procedura  di
infrazione 2003/2077), ulteriori rifiuti, una prima volta nel 2010 e,
successivamente,  nel  2012.  Delle  attivita'  relative  ai  rifiuti
rinvenuti successivamente al  2001  e'  stata  periodicamente  tenuta
informata la Commissione per il  tramite  del  Ministero  (anche  se,
evidentemente, si tratta di attivita' non ricomprese nella  procedura
d'infrazione). 
    Nel 2012, la Regione Emilia Romagna ha assegnato un finanziamento
di euro 3.604.902 per la realizzazione dell'intervento  di  messa  in
sicurezza dell'area interessata dai rinvenimenti del 2010 e del 2012,
subordinando   la    effettiva    concessione    del    finanziamento
all'acquisizione, da parte del Comune, dell'area stessa (cfr. All.  5
- deliberazione Giunta regionale n. 1512/2012). Nel 2014 il Comune ha
effettuato  l'immissione  in  possesso  dell'area  e  la  Regione  ha
concesso il suddetto finanziamento (cfr. All. 5 bis  -  deliberazione
di Giunta regionale n. 1027/2014). La consegna dei  lavori  e'  stata
effettuata nel maggio 2015 e l'ultimazione e' prevista  per  la  fine
del gennaio 2016. 
    3. Con la sentenza  della  Corte  di  Giustizia  C-196/13  del  2
dicembre 2014, la Repubblica italiana  e'  stata  condannata  ad  una
sanzione  finanziaria,  a  causa  di  196   discariche   non   ancora
bonificate, di cui 13 (tra le quali quella di  Razzaboni)  contenenti
rifiuti pericolosi. In base a quanto risulta affermato  nella  stessa
sentenza  e  come   e'   stato   chiarito   nell'atto   di   notifica
dell'ingiunzione  di  pagamento  della  sanzione   da   parte   della
Commissione, per ritenere tale sito regolarizzato occorre  soddisfare
i seguenti requisiti, sinteticamente descritti: 
    a) assicurare che nei siti non siano piu' depositati rifiuti; 
    b) catalogare e identificare i rifiuti pericolosi; 
    c) attuare le misure necessarie  per  assicurare  che  i  rifiuti
presenti nei siti non mettano  in  pericolo  la  salute  dell'uomo  e
l'ambiente. 
    La scelta dei mezzi per raggiungere questi risultati  e'  rimessa
alle Autorita' italiane: in base  alla  situazione  fattuale  in  cui
versa il sito e a quanto  stabilito  dalla  normativa,  esse  possono
optare, a seconda dei casi, per una "messa in  sicurezza"  (che  puo'
consistere  in  misure  di  contenimento  c.d.  "messa  in  sicurezza
d'emergenza - MISE" ovvero in  interventi  di  isolamento  definitivo
delle fonti inquinanti c.d. "messa in sicurezza permanente"); per  la
bonifica, ovvero per il ripristino. 
    Con riferimento al sito Razzaboni, il rispetto dei requisiti  sub
a) e sub  b)  e'  pacifico,  mentre  risulta  ancora  controverso  il
rispetto del requisito sub c). In proposito, la Commissione  sostiene
che gli interventi previsti sarebbero stati suddivisi in  tre  parti;
un  primo  stralcio,  avente  ad  oggetto  la  "messa  in   sicurezza
d'emergenza" (MISE)  dei  rifiuti  rinvenuti  nel  2001;  un  secondo
stralcio, avente ad oggetto  la  messa  in  sicurezza  dell'ulteriore
quantitativo di rifiuti rinvenuti nel  2010,  e  un  terzo  stralcio,
avente ad oggetto ulteriori attivita' di  decontaminazione  del  sito
interessato dai rifiuti rinvenuti nel 2001, per i quali  si  sostiene
che le  Autorita'  italiane  avrebbero  affermato  la  necessita'  di
ulteriori attivita' di decontaminazione. Si conclude quindi che, fino
a quando le Autorita' italiane non avranno fornito la prova che tutti
i suddetti lavori di messa  in  sicurezza  e  decontaminazione  siano
stati terminati  non  si  potra'  ritenere  che  il  sito  sia  stato
regolarizzato. 
    3.1. In proposito, occorre, innanzitutto, chiarire  che  il  sito
interessato dalla procedura di infrazione e' solo quello in cui  sono
stati rinvenuti i rifiuti nell'anno 2001 e, conseguentemente, occorre
circoscrivere l'analisi degli interventi previsti  per  l'adempimento
della  sentenza  a  quelli  che  riguardano   l'area   del   relativo
rinvenimento. Ne consegue che  la  procedura  d'infrazione  non  puo'
essere estesa ai rifiuti rinvenuti nel 2010: su  cio'  la  Corte  di'
Giustizia e' stata chiara (punto 34  della  motivazione  della  sopra
cit. sent. C-196/13 del 2 dicembre 2014,) ribadendo che "e'  costante
in giurisprudenza che, essendo la Commissione tenuta a precisare, nel
parere motivato emesso in applicazione dell'articolo 228,  paragrafi)
2, CE, i punti sui quali  lo  Stato  membro  interessato  non  si  e'
conformato alla sentenza della Corte  che  dichiara  l'inadempimento,
l'oggetto della controversia non puo' essere esteso ad  obblighi  non
previsti nel parere motivato, salvo incorrere nella violazione  delle
firme sostanziali che garantiscono la  regolarita'  del  procedimento
(v. sentenza Commissione/Portogallo, C-457/07,  EU/C/2009/531,  punto
60)". 
    Quello che, pero', alla Regione Emilia Romagna  non  e'  dato  di
sapere  e'  se  la  difesa  della  Repubblica  italiana   sia   stata
sufficientemente  chiara  e  puntuale  nel  circostanziare  i   fatti
specifici relativi alla discarica di Razzaboni. 
    Il dubbio e' piu' che legittimo, ove si abbia riguardo  a  quanto
precisato  dalla  Corte  (al  punto  35)  laddove  spiega  che  "come
evidenziato dall'avvocato generale al paragrafo 35 delle  conclusioni
si deve constatare che la Repubblica italiana  non  motiva  in  quale
misura gli obblighi oggetto del parere motivato emesso  nel  contesto
della presente causa siano stati modificati dalla suddetta nota":  ed
e'  per  questa   ragione   che   la   Corte   respinge   l'eccezione
d'irricevibilita' della nota (la nota e' quella del  14  giugno  2011
della Commissione che, secondo la difesa della  Repubblica  Italiana,
avrebbe ampliato l'oggetto  della  controversia  rispetto  al  parere
motivato - ndr). In effetti, nella conclusione dell'Avvocato Generale
si legge (punto 35) che l'integrazione "sarebbe...  stata  necessaria
solo nel caso in cui la Commissione avesse ampliato  il  procedimento
rispetto al parere motivato... mentre  un  siffatto  ampliamento  non
risulta". 
    3.2. Con riferimento, invece, alla messa in sicurezza dei rifiuti
rinvenuti  nel  2001,  contrariamente  a   quanto   affermato   dalla
Commissione, si ritiene che  il  sito  sia  stato  regolarizzato.  Ed
infatti, come gia' accennato in precedenza, la procedura per  l'avvio
dei lavori di messa in sicurezza d'emergenza e'  stata  attivata  nel
2005 e i lavori si sono effettivamente conclusi  nel  novembre  2007,
con relativo sopralluogo di collaudo, successivamente formalizzato il
20 febbraio 2008 (cfr. All. l gia' citato). L'efficacia e  la  tenuta
degli interventi di contenimento attuati con la  messa  in  sicurezza
d'emergenza e' stata, poi, nel tempo accertata attraverso monitoraggi
periodici,  che  hanno  evidenziato  che  non  sussiste  un  pericolo
concreto  e  significativo  di  peggioramento  della  qualita'  delle
matrici ambientali circostanti l'area e che i  rifiuti  presenti  nel
sito  non  mettono,  quindi,  in  pericolo  la  salute  dell'uomo   e
dell'ambiente. 
    Precisamente, i monitoraggi ambientali effettuati hanno  mostrato
che i valori di concentrazione degli inquinanti non si discostano  in
modo significativo dai limiti tabellari di legge.  In  proposito,  si
evidenzia che per Ferro, Manganese e Solfati si riscontrano nell'area
interessata superamenti dei limiti di normativa interpretabili  quali
scostamenti  dovuti  a  fattori  naturali,  fenomeno   noto   e   ben
documentato in base al quale i parametri citati, non  possono  essere
utilizzati come  marcatori  spia  di  inquinamento  (cfr.  All.  3  -
risultati delle analisi condotte sui campioni prelevati da piezometri
e pozzi esterni all'area nel corso del 2015). 
    La  suddetta  interpretazione  e'  stata,  inoltre,  di   recente
avallata anche da uno studio condotto dalla  AUSL  di  Bologna  e  da
ARPA. Lo studio evidenzia, altresi', che le analisi eseguite dal 2005
al 2014 presso  4  pozzi  domestici  localizzati  tra  250  e  500  m
nell'intorno  del  sito  Razzaboni  non  hanno  mostrato,  per  i  40
parametri ricercati, valori anomali rispetto al limite di riferimento
normativo, fatte salve alcune evidenze riferibili  alla  presenza  di
Ferro e Manganese. Le competenti Autorita' nazionali  hanno,  quindi,
posto in essere attraverso "la messa in sicurezza  di  emergenza"  le
idonee misure di contenimento per impedire che i rifiuti presenti nel
sito possano mettere in pericolo la salute  umana  e  l'ambiente.  Di
tali interventi e' stata regolarmente informata la  Commissione,  per
il tramite del Ministero (cfr. All. 4 - selezione di note inviate  al
Ministero dell'ambiente dalla Regione Emilia-Romagna). 
    Non  corrisponde,  quindi,  al  vero   quanto   affermato   dalla
Commissione nella nota di ingiunzione  circa  il  mancato  invio,  da
parte della Regione, dei documenti che proverebbero che la  messa  in
sicurezza di emergenza iniziata nel 2007 sarebbe stata  ultimata  nel
2008 (e nel 2009 con riferimento all'intervento di  sostituzione  del
telo - All. 2). In proposito, e' inoltre il caso di precisare che, in
base alle regole  del  contraddittorio  in  sede  procedimentale,  in
ipotesi di mancato recapito di un documento  che  certifica  uno  dei
fatti fondamentali affermati da una delle parti, prima  di  procedere
alla decisione in ordine a quel determinato fatto,  occorre  chiedere
senz'altro  una  integrazione   documentale.   Ma   la   mancanza   o
l'insufficienza della documentazione relativa al  sito  di  Razzaboni
non puo' in alcun modo essere addebitata alla Regione Emilia Romagna,
che  si  e'  sempre  fatta   carico   di   inviare   informazioni   e
documentazione relativa alla  situazione  e  ai  fatti  sopra  citati
(cfr., da ultimo, la nota RER D.G. Ambiente, Inviata al Min. ambiente
D.G. per i rifiuti e l'inquinamento, PG2015/0725915 in data 5 ottobre
2015 - All. 6). 
    4. In tale contesto,  del  tutto  inaspettatamente,  in  data  30
novembre 2015 e' pervenuta alla Regione Emilia Romagna, oltre che  al
Comune di San Giovanni in Persiceto, la "diffida del  Presidente  del
Consiglio dei Ministri 26 novembre 2015, emanata ai  sensi  dell'art.
8, comma 1, della legge n. 131 del 2003, e dell'art. 41  della  legge
24 dicembre 2012, n. 234" - Discariche abusive,  trasmessa  con  nota
del Dipartimento per il Coord. Amm.vo presso il Segretariato Generale
della P.C.M., con la quale,  relativamente  alla  "discarica  abusiva
ubicata nel Comune di San Giovanni  in  Persiceto,  il  localita'  V.
Samoggia n. 26 (sito Razzaboni), oggetto della sentenza  di  condanna
della Corte di Giustizia del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13, in
ordine alla applicazione delle Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE",  si
impone "di rilasciare entro 30 giorni dal  ricevimento  del  presente
atto il  provvedimento  di  conclusione  del  procedimento  ai  sensi
dell'art. 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152". 
    La diffida risulta rivolta sia  al  Comune  di  San  Giovanni  in
Persiceto, in persona del  Sindaco  pro  tempore,  sia  alla  Regione
Emilia Romagna, in persona del  suo  Presidente,  con  l'avvertimento
che: "in caso di mancato adempimento, da parte di codesti Enti, entro
il  termine  assegnato,  il   Consiglio   dei   Ministri   adotta   i
provvedimenti necessari di cui all'art. 8 della citata legge 5 giugno
2003 n. 131". Cioe', viene prefigurato, del  tutto  sorprendentemente
(non sussistendone i presupposti), l'uso del potere sostitutivo dello
Stato. 
    In nome e nel rispetto del principio di leale collaborazione,  il
Presidente della Giunta  regionale  si  e',  quindi,  determinato  ad
inoltrare una specifica istanza alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri, e cio'  in  data  24  dicembre  2015,  con  la  quale,  sul
presupposto che la Regione Emilia  Romagna  "non  e'  Amministrazione
procedente tenuta all'adempimento, ai sensi dell'art. 250 del  d.lgs.
n. 152/2006" (come si e' dato conto e come si dira' piu' diffusamente
in prosieguo invitava, da un lato, ad  identificare  correttamente  e
legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento, dall'altro,
ad avviare procedure  di  leale  collaborazione  per  individuare  le
modalita' di adempimento alle istanze della Commissione europea. 
    A tale istanza, che risponde ad una  esigenza  di  confronto  del
tutto consona con il principio di leale collaborazione, in un  ambito
materiale - misure di tutela ambientale e in esecuzione  di  obblighi
derivanti da pronunciamenti della Corte di Giustizia europea -  dove,
peraltro, vige la competenza esclusiva dello Stato, non e' stato dato
riscontro alcuno. 
    Anche il silenzio in tal senso serbato,  unitamente  all'atto  di
diffida, e' suscettibile, dunque,  di  rilevare,  da  un  lato,  come
violazione  del  principio/dovere  di  leale  collaborazione,  a  cui
debbono  essere  improntati,  in  sede  di   esercizio   del   potere
sostitutivo, i rapporti fra gli Enti  e  gli  Organi  costituzionali;
dall'altro, quale comportamento/provvedimento implicito di rigetto, e
pertanto suscettibile  di  annullamento  anch'esso,  per  i  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Violazione dell'art. 120, 2° comma Cost., come  attuato  dall'art.
8, 1° comma legge n. 131/2003, e dell'art. 117, 5° comma Cost. , come
attuato dall'art.  41  della  legge  n.  234/2012,  per  carenza  dei
presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo. Falso ed  erroneo
supposto di fatto e di diritto  nella  individuazione  della  Regione
quale Amministrazione responsabile della bonifica e, di  conseguenza,
dell'inadempimento  eccepito  a  livello  comunitario  e,   pertanto,
violazione dell'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006 e dell'art. 41  della
legge n. 234/2012. Violazione dell'art. 117, 2°  comma,  lettera  s),
Cost., quanto alla ripartizione delle competenze fra Stato e  Regioni
in materia di "ambiente". 
    Va, innanzitutto, evidenziato che la  disciplina  dei  rifiuti  e
della bonifica dei  siti  contaminati  rientra  sicuramente  a  pieno
titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato ex art.  117,
2° comma, lett. s), Cost. (sent. nn. 96 e 312/2003,  161  e  62/2005,
per citarne alcune). 
    Ora, la Commissione europea ha fatto rilevare, sia nella  lettera
di contestazione, che  nel  ricorso  alla  Corte  di  Giustizia,  che
"sarebbe  di  importanza  fondamentale  che  la  Repubblica  italiana
disponesse di una legislazione adeguata a una corretta  gestione  dei
rifiuti. A tal  riguardo,  le  stesse  autorita'  italiane  avrebbero
osservato che una modifica legislativa  avrebbe  consentito  di  dare
esecuzione   alla   sentenza   Commissione/Italia    (EU/C/2007/250)"
(C-196/13, punto 29, ma vedi anche il punto 36). 
    Anche l'Avvocato Generale ha sottolineato, nelle sue  conclusioni
(punti 50 e 51), che la Commissione censura il  fatto  che  "l'Italia
non avrebbe adeguatamente potenziato le sue norme volte  a  prevenire
abbandoni illegali di rifiuti ne'  il  suo  sistema  di  sorveglianza
riguardo ai rifiuti, sebbene le autorita' italiane  avessero  intanto
annunciato  riforme  in  materia  finalizzate  all'esecuzione   della
sentenza Commissione/Italia (EU/C/2007/250)", e  che  "effettivamente
la sentenza  Commissione/Italia  (EU/C/2007/250)  ha  dichiarato  una
violazione generale e persistente delle disposizioni della  normativa
in materia di rifiuti". 
    Come e' evidente e senza bisogno di aggiungere altro,  di  queste
lacune e inadempienze, innanzitutto sotto il profilo della carenza ed
insufficienza sul piano  legislativo,  e'  lo  Stato  a  doversi  far
carico, senza  pretendere  di  scaricarne  la  responsabilita'  sulle
Regioni. 
    Ma in effetti, poi, anche sotto  il  profilo  del  riparto  delle
funzioni amministrative, la legislazione dello Stato appare del tutto
carente. Il d.lgs. n. 152/2006, che dedica il Titolo V della parte IV
alla bonifica dei siti inquinati",  affida  alla  Regione  competenze
precise nella procedura di approvazione della caratterizzazione e del
progetto di bonifica del sito (art. 242) e obbliga la Regione, quando
i  privati  non  adempiano  ai  loro  obblighi,   a   provvedere   in
sostituzione del Comune territorialmente competente,  qualora  questo
non provveda,  "secondo  l'ordine  di  priorita'  fissato  dal  piano
regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche  di
altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito  di  apposite
procedure ad evidenza pubblica"(art. 250) e aggiunge che "al fine  di
anticipare le somme per i  predetti  interventi  le  Regioni  possono
istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilita'  di
bilancio" (sempre art. 250), fermo restando che  l'onere  finanziario
resta a carico del soggetto responsabile (o in determinati  casi  del
proprietario del sito), mentre il  contributo  pubblico  puo'  essere
concesso,  "sulla  base  di  apposita  disposizione  legislativa   di
finanziamento", entro il limite massimo del cinquanta per cento della
spesa "qualora sussistano preminenti interessi pubblici  connessi  ad
esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale  o  occupazionali"
(art. 253, comma 5). 
    Inoltre, in base all'art. 251, le Regioni devono  predisporre  il
censimento e l'anagrafe dei siti da bonificare. 
    Rispetto alle competenze della Regione, come delineate  dall'art.
250 del d.lgs. n. 152/2006,  norma  richiamata  dalla  diffida  (e  a
quelle fissate  negli  artt.  196  e  199  del  d.lgs.  n.  152/2006,
disposizioni anch'esse richiamate dalla diffida qui impugnata, ma, si
ritiene,   indebitamente,   perche'   riguardano   genericamente   le
competenze regionali in materia di gestione dei rifiuti, che qui  non
rilevano), nessun addebito puo', quindi, essere  mosso  alla  Regione
Emilia  Romagna,  in  quanto  non  e'  la  Regione  l'Amministrazione
responsabile  della  bonifica,   ma   "il   Comune   territorialmente
competente",   non   avendo   "il   soggetto    responsabile    della
contaminazione provveduto direttamente agli adempimenti disposti  nel
presente  titolo",  come  dispone  l'art.  250.  Ed  in  effetti,  il
procedimento di bonifica che e' stato avviato ed eseguito e' in  capo
al Comune di San  Giovanni  in  Persiceto,  al  quale  unicamente  la
diffida  doveva  essere  rivolta  (ammesso  e  non  concesso  che  ne
ricorrano   i   presupposti   anche   con    riferimento    a    tale
Amministrazione); Amministrazione che - lo si ribadisce -  e'  quella
preposta agli adempimenti in materia, avendo  la  Regione  espletato,
nel caso di specie e del tutto provvidenzialmente in assoluta carenza
di un intervento finanziario dello  Stato,  un  mero  ruolo  di  Ente
finanziatore, oltretutto erogando risorse proprie  e  non  attribuite
dallo Stato per gli specifici adempimenti collegati all'esercizio  di
funzioni delegate, come sarebbe dovuto avvenire per il caso in esame. 
    Si rammenta, peraltro, come gia' sottolineato nella  premessa  di
fatto, che le procedure amministrative volte  all'approvazione  e  al
finanziamento del progetto di messa in sicurezza d'emergenza del sito
sono state effettivamente attivate  dalla  Amministrazione  comunale,
soggetto responsabile della  bonifica,  nel  2005:  la  Regione,  con
deliberazione di Giunta n. 1752 del 2005, ha assegnato al  Comune  di
S. Giovanni un finanziamento di euro 216.200,00  a  totale  copertura
delle spese per gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza  del
sito, a valere sul capitolo relativo  al  fondo  per  l'anticipazione
delle  somme  dovute  per  tali   interventi,   da   effettuarsi   in
sostituzione dei privati (articolo 134.1,  legge  regionale  3/1999),
volontariamente istituito nell'ambito delle proprie disponibilita' di
bilancio. I lavori di messa in sicurezza d'emergenza si sono conclusi
nel novembre 2007, con relativo sopralluogo di collaudo  formalizzato
il 20 febbraio 2008. Di tutto cio'  e'  stata  data  informazione  al
Ministero e alla Commissione. 
    Abbiamo, poi, visto  come  nel  corso  del  2010,  il  Comune  ha
attivato, di  concerto  con  le  altre  Amministrazioni  territoriali
interessate, un percorso finalizzato alla riqualificazione  dell'area
(a parco fotovoltaico) per la sua successiva fruibilita' da parte del
pubblico e che, durante le indagini preliminari alla realizzazione di
tale progetto, sono stati rinvenuti, in area limitrofa e  diversa  da
quella  interessata  dal  primo  rinvenimento  del  2001,   ulteriori
rifiuti, una prima volta nel 2010 e, successivamente, nel 2012. 
    Nel 2012 la Regione  Emilia  Romagna  ha,  quindi,  assegnato  un
finanziamento di euro 3.604.902 per la realizzazione  dell'intervento
di messa in sicurezza dell'area interessata dai rinvenimenti del 2010
e del 2012 (la cui spesa ha  trovato  copertura  sul  capitolo  37374
"Finanziamenti a favore dei soggetti pubblici attuatori di interventi
urgenti e di prevenzione di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale delle aree pubbliche o soggette ad uso pubblico: art. 134,
comma 3, L.R. 21 aprile  1999,  n.  3)",  subordinando  la  effettiva
concessione del finanziamento all'acquisizione da  parte  del  Comune
dell'area stessa. Al fine di completare la  bonifica  complessiva  di
tutta l'area (cioe' sia di quella sottoposta  a  messa  in  sicurezza
d'emergenza, collaudata nel 2009, e sia quella  relativa  ai  rifiuti
rinvenuti nel 2010), l'Amministrazione regionale  ha,  poi,  ritenuto
opportuno inoltrare, nel giugno 2014, una richiesta di  finanziamento
al Ministero dell'ambiente,  nell'ambito  dei  fondi  previsti  dalla
legge di stabilita' 2014 per la regolarizzazione dei siti interessati
dalla procedura di infrazione in esame. Ma all'esito della  gara  per
l'assegnazione  dei  suddetti  fondi,  ai  lavori  relativi  all'area
Razzaboni, e' stata attribuita una classe di priorita' bassa e  cioe'
4,  in  una  scala  da  1  a  5,  non  idonea  ad  essere  ammessa  a
finanziamento (cfr. D.M. n. 303 del 9 dicembre  2014).  Nel  2014  il
Comune ha conseguito la proprieta' dell'area e la Regione  ha  quindi
concesso il finanziamento di  cui  alla  succitata  deliberazione  n.
1512/2012 (cfr. D.G.R. n. 1027/2014) e ha ribadito, con nota  del  21
luglio 2014 (PG.2014.0268291 - All. 7), la richiesta al Ministero  di
un ulteriore finanziamento a valere sul fondo istituito con la  legge
di stabilita' 2014, evidenziando che i fondi ministeriali, unitamente
ai fondi regionali gia'  stanziati,  avrebbe  garantito  la  bonifica
complessiva dell'area ex Razzaboni (attualmente,  in  ogni  caso,  in
condizioni  di  sicurezza)  senza,  pero',  ottenere   un   riscontro
positivo. 
    Successivamente, nel luglio del 2015  la  Regione  ha  effettuato
ulteriore richiesta di accesso ai Fondi ministeriali per lo  Sviluppo
e la Coesione (FSC) (All. 8), sempre pero' con esito negativo. 
    Come  si  puo'  riscontrare  ictu  oculi,  se  c'e'   una   parte
inadempiente non e' certo la Regione Emilia Romagna. La Regione,  pur
non avendo alcuna responsabilita' diretta in  ordine  al  verificarsi
dell'evento di contaminazione del sito Razzaboni, che ha  dato  luogo
alla  procedura  di  infrazione  comunitaria,   ha   in   ogni   fase
contribuito, nell'ambito e nei limiti delle proprie disponibilita' di
bilancio, a finanziare volontariamente gli interventi per la messa in
sicurezza del sito, senza poter contare su  risorse  strutturali,  in
ragione del mancato conferimento delle stesse da parte dello Stato  a
cio' tenuto, a seguito della  delega  delle  funzioni  di  intervento
pubblico   in   sostituzione   del   privato    responsabile    della
contaminazione nell'ambito delle norme del codice ambientale. 
    Quindi,  al  contrario  di  quanto  risulterebbe   implicitamente
presupposto nella diffida, la Regione e' l'unica  ad  aver  posto  in
campo azioni concrete - di natura  finanziaria,  certo,  e  non  come
responsabile dell'attuazione degli adempimenti di bonifica, a cui non
e' tenuta - sopperendo alla totale inerzia e carenza operativa  dello
Stato ed avendo, percio', agito ultra vires. 
    D'altra parte, l'atto di diffida, come puo' verificarsi  leggendo
i "considerato" e  i  "ritenuto",  e'  costruito  come  un  involucro
destinato  ad  essere  riempito  con  i  dati  di  ognuno  dei   siti
contaminati oggetto delle contestazioni  europee,  senza  particolari
addebiti relativi al sito Razzaboni. 
    Cio' che alla Regione viene, infatti, richiesto e'  il  "rilascio
del provvedimento di conclusione del procedimento, ai sensi dell'art.
242  del  d.lgs.  n.  152/2006".  Di  un  provvedimento,  cioe',  che
innanzitutto non risulta compatibile e pertinente con quanto e'  gia'
stato eseguito in ordine alla compiuta messa in  sicurezza  del  sito
"Razzaboni" per la  parte  che  riguarda  i  rinvenimenti  del  2001,
oggetto  specifico  della  sentenza  comunitaria  di  cui  si  chiede
l'adempimento; e che non si comprende come possa  essere  imposto  ed
emesso  dalla  Regione,  rispetto  ad  attivita'  ed  adempimenti  di
bonifica che sta  portando  avanti  il  Comune  di  San  Giovanni  in
Persiceto, come  Amministrazione  procedente,  tenuta  ai  sensi  del
d.lgs. n. 152/2006 e che cosi' come e' stato chiesto (in  termini  di
adozione  del  "provvedimento  di  conclusione  del  procedimento  di
bonifica ai sensi dell'art. 242"),  pare  riferirsi,  oltretutto,  ad
un'area, ad una fase, e ad adempimenti tuttora in corso  ma  comunque
estranei all'oggetto della richiesta di adempimento comunitaria. 
    Per gli enunciati profili, dunque, deve senz'altro ritenersi  che
l'atto di diffida impugnato - quale primo avvio dell'attivazione  del
potere sostitutivo - sia stato emesso in totale violazione e  carenza
dei presupposti per il corretto esercizio di tale potere dello Stato,
in violazione delle garanzie costituzionali ad esso sottese. 
2. Violazione dell'art. 120, 2° comma Cost. e dell'art. 8,  1°  comma
della legge  n.  131/2003  sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio/dovere costituzionale di leale collaborazione. 
    Va, invece, attribuita allo Stato  la  responsabilita'  di  gravi
infrazioni al principio costituzionale di leale collaborazione,  come
enunciato dall'art. 120.2 Cost. e dalle norme d'attuazione  contenute
nella  legge  n.  131/2003  (art.  8).  E  cio'  avuto   riguardo   a
comportamenti sia antecedenti, che successivi all'atto di diffida qui
impugnato. 
    La Regione Emilia Romagna ha infatti  sistematicamente  informato
il Ministero dell'ambiente delle fasi di avanzamento della  messa  in
sicurezza  del  sito  di  Razzaboni,  sollecitando  piu'   volte   il
contributo finanziario dello Stato. Essendo stato questo  negato,  la
Regione ha fatto presente di  non  essere,  in  base  alla  normativa
vigente, destinataria dell'obbligo di bonifica, ne' responsabile  dei
presunti  addebiti  della  Commissione.  Ne'  tanto  meno  e'   stata
coinvolta nella linea di difesa tenuta dalla Repubblica italiana  nei
confronti della Commissione europea e in  sede  di  giudizio  davanti
alla Corte di Giustizia. A tale proposito la Regione  Emilia  Romagna
ha pero'  inviato,  secondo  quanto  si  era  concordato  durante  la
riunione tenuta presso il  Ministero  dell'ambiente  il  2  settembre
2015, una relazione con ricostruzione storica delle vicende che hanno
riguardato il sito Razzaboni e un contributo per  la  predisposizione
della memoria di impugnazione della sentenza C-196/13  (cfr.  All.  6
cit. -  Procedura  di  infrazione  comunitaria  2003/2007  Esecuzione
sentenza 2 dicembre 2014). 
    Di fronte a  tale  corretto  modus  agendi  di  piena  e  fattiva
collaborazione della Regione, la diffida da ultimo emessa risulta del
tutto  infondata  e  inopportuna,  priva,  oltretutto,  di  qualsiasi
preventiva contestazione rivolta agli organi della Regione. 
    A seguito dell'invio della  lettera  di  diffida,  il  Presidente
della RER ha indirizzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e
al Ministro competente (cfr. doc n. 3) una risposta formale in cui si
fa presente che: 
    la RER non costituisce  l'Amministrazione  tenuta  all'esecuzione
degli adempimenti prescritti dalla diffida; 
    che l'area in questione e'  stata  a  suo  tempo  oggetto  di  un
progetto di messa in sicurezza conclusosi positivamente con  rilascio
di regolare collaudo; 
    che la documentazione relativa e'  gia'  stata  trasmessa  a  suo
tempo al Ministero dell'ambiente; 
    che  la  RER,  benche'  non  tenuta,  si  e'  fatta  carico   del
finanziamento del progetto con risorse proprie per  far  fronte  agli
interventi a cui era tenuto il Comune di S. Giovanni in Persiceto. 
    La lettera concludeva invitando la Presidenza del  Consiglio  dei
ministri a ritirare la diffida e  a  indirizzarla  semmai  alla  sola
amministrazione  tenuta  all'adempimento,  cioe'  il  Comune  di   S.
Giovanni  in  Persiceto:  e  proponeva  di  definire  le   necessarie
eventuali misure di adeguamento a carico del  Comune  "attraverso  un
percorso collaborativo e di condivisione". 
    Anche questo ennesimo tentativo di  ricercare  la  soluzione  del
problema che ha causato la condanna della Repubblica italiana davanti
alla Corte di Giustizia, e al conseguente obbligo di ottemperare alla
sanzione finanziaria irrogata, e' pero' naufragato. L'Amministrazione
dello Stato non ha dato seguito a questa richiesta, ma anzi  minaccia
di agire in via di sostituzione (salvo capire  in  che  cosa  possano
consistere i "provvedimenti  necessari",  essendo  quello  che  viene
richiesto un "provvedimento di conclusione del procedimento", che non
sembra configurarsi come un adempimento burocratico separabile da una
certificazione della realta' effettuale).  E'  del  tutto  palese  il
rischio a cui la situazione descritta espone  la  Regione  e  che  lo
Stato, a seguito della impugnata diffida, pretenda anche di agire per
rivalsa, ai sensi dell'art. 43 della legge n.  234/2012.  Sicche'  la
Regione Emilia Romagna, riscontrando  la  ripetuta  violazione  degli
obblighi di leale collaborazione fissati  dalla  Costituzione,  cosi'
come costantemente interpretati  da  questa  ecc.ma  Corte,  e  delle
specifiche prescrizioni contenute  nell'art.  120.2  Cost.  (e  nella
legge d'attuazione n. 131/2003) e nell'art. 117.5 Cost.  (cosi'  come
attuato dall'art.  41  della  legge  n.  234/2012),  anche  per  tale
rilevante  profilo  di   illegittimita'   non   puo'   che   chiedere
l'annullamento della diffida e dell'implicito rigetto dell'istanza di
ritiro della stessa, determinato dal silenzio su di essa  serbato,  e
del rifiuto di porre in essere misure collaborative  e  condivise  di
superamento del problema.