IL TRIBUNALE DI VERONA 
 
    Il giudice, dott. Giorgio Piziali, nel procedimento a  carico  di
Riccio' Roberto, imputato della violazione  dell'art.  372  c.p.  per
avere reso una falsa testimonianza in un processo civile. 
    In esito alla discussione  delle  parti,  esaurita  l'istruttoria
dibattimentale, si e' ritenuto che la norma penale  contestata  fosse
in contrasto con la Costituzione, nella parte in  cui,  difformemente
da altre disposizioni che disciplinano situazioni del tutto  analoghe
(segnatamente gli articoli 371-bis c.p. e 371-ter  c.p.),  impone  di
procedere e di giungere anche alla decisione  finale  sulla  falsita'
resa in altro processo, malgrado questo sia ancora in corso e in esso
possa ancora intervenire una ritrattazione. 
    Sentite le parti all'udienza del 2  aprile  2015  osserva  quanto
segue. 
1. Non manifesta infondatezza. 
    Appare indubbio  a  questo  giudice  che  la  questione  non  sia
manifestamente infondata in relazione, per prima cosa,  al  parametro
costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione, in riferimento a
due aspetti. 
    Il primo, per la difformita' radicale di posizione  che  viene  a
concretizzarsi tra  l'imputato  accusato  di  falsa  testimonianza  e
l'imputato accusato di aver  reso  false  dichiarazioni  al  pubblico
ministero o al difensore. 
    Il secondo, per la difformita' radicale di posizione che viene  a
realizzarsi tra i vari accusati di falsa testimonianza, a seconda del
casuale  andamento  del  procedimento  nel  quale   hanno   reso   la
testimonianza, rispetto al procedimento nel quale sono accusati. 
    Ma la disciplina attualmente vigente mostra profili di  contrasto
(non  manifestamente   infondati)   anche   rispetto   al   parametro
costituzionale di cui  all'art.  24,  comma  2,  della  Costituzione,
nonche' dell'art. 110 della Costituzione, per ulteriori due profili. 
    Il primo, perche' consentendo (diversamente  da  quanto  previsto
per il caso  di  false  dichiarazioni  al  pubblico  ministero  o  al
difensore) che possa pervenirsi ad un giudizio di condanna prima  che
sia decorso il termine previsto per effettuare  la  ritrattazione  si
comprime il diritto di difesa, impedendo all'imputato  di  utilizzare
tutti gli strumenti e istituti sostanziali e processuali che  possono
permettere di evitare la condanna. 
    Il secondo, perche' in ragione  di  quella  stesa  disciplina  si
consente la compressione della  liberta'  di  autodeterminazione  del
teste, con cio' compromettendo  l'affidabilita'  della  decisione  e,
quindi, la natura «giusta» del processo. 
    1.a. Per venire nel dettaglio ad esplicitare la questione si deve
prendere le mosse dalla specifica vicenda processuale. 
    Nell'ambito di un  procedimento  civile,  introdotto  da  Stefano
Boninsegna contro il comune di Tevenzuolo e contro Renzo Ricco',  per
ottenere il riconoscimento del suo  acquisto  tramite  usucapione  di
un'area di sedime di una vecchia strada  consortile  denominata  «del
Sacco»,  e'  stato  esaminato  come  testimone,  all'udienza  dell'11
ottobre 2012, l'attuale imputato Roberto Ricco'. 
    L'attore della causa civile Stefano Boninsegna,  avendo  ritenuto
le dichiarazioni testimoniali rese dal Roberto Ricco' in quella  sede
false, ha presentato una denuncia per falsa testimonianza alla locale
Procura della Repubblica. 
    A seguito di quella denuncia la locale Procura  della  Repubblica
ha elevato un'imputazione per falsa testimonianza nei confronti dello
stesso dello stesso Roberto Ricco' e in data 20 novembre 2013  si  e'
pervenuti al suo rinvio a giudizio davanti a questo giudice. 
    Dopo l'esaurimento dell'istruttoria, nel  processo  qui  pendente
per accertare la fondatezza di quell'accusa, si e' giunti  alla  fase
discussione e, ove non fosse fondata la questione che qui si propone,
si dovrebbe ora pervenire ad una decisione. 
    Nel frattempo il procedimento civile nel quale  la  testimonianza
e' stata resa e', invece, ancora in corso. 
    Per effetto di questa sequenza si  vede  bene  come  vi  sia  una
profonda e radicale diversita' di disciplina tra  questa  situazione,
nella quale dopo l'assunzione della (ritenuta) falsa testimonianza si
e' pervenuti alla fase della decisione penale prima che si  definisse
il giudizio nel quale la testimonianza e' stata resa, e quella in cui
l'eventuale  falsa  dichiarazione  fosse  stata  resa   al   pubblico
ministero o al difensore durante le indagini preliminari. 
    Infatti, il comma 2 dell'art. 371-bis c.p. e il comma 2 dell'art.
371-ter c.p. prevedono che  in  caso  di  false  dichiarazioni  rese,
rispettivamente,  al  pubblico   ministero   o   al   difensore,   il
procedimento penale resti sospeso fino a che  non  sia  definito  con
sentenza di primo grado (oppure con archiviazione o sentenza  di  non
luogo a procedere) il procedimento nel quale le  false  dichiarazioni
sono state rese. 
    E' evidente che la ratio ispiratrice di una simile norma  sia  da
ricercare nella volonta' del legislatore di evitare che  la  liberta'
di autodeterminazione della persona informata dei fatti,  di  cui  si
sospetta la falsita', possa essere coartata in  via  di  fatto  dalla
circostanza di essere sottoposta ad un procedimento penale per quelle
dichiarazioni. Come esattamente  messo  in  luce  anche  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 61 del 1998, ove si  segnalava  che
la ratio della disciplina della sospensione del  procedimento  e'  da
ravvisare  «nell'esigenza  di  garantire  la  liberta'  morale  e  di
autodeterminazione della persona  indagata  per  il  reato  di  false
informazioni da forme di condizionamento psicologico». 
    Se cosi' e' non pare si possa discutere che analoga esigenza  (se
non maggiore) debba ricorrere anche per garantire la liberta'  morale
e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di  falsa
testimonianza, atteso che in modo del  tutto  identico  anche  questa
puo' subire  il  condizionamento  psicologico  derivante  dall'essere
sottoposta a processo per quanto dichiarato. 
    Per vero, non sfugge  a  questo  giudice  che  in  quella  stessa
decisione (n. 61/1998) la Corte costituzionale aveva aggiunto che  lo
scopo perseguito dalla norma in questione fosse di evitare solo forme
di condizionamento psicologico esercitabili dal  «pubblico  ministero
nel momento in cui nel procedimento principale  l'organo  dell'accusa
e' "processualmente" interessato alla formazione della prova». 
    Una limitazione che potrebbe  far  ritenere  non  equivalente  la
posizione  del  soggetto  che  ha  reso  una  (asseritamente)   falsa
testimonianza  da  quella  che  ha  reso  una  (asseritamente)  falsa
dichiarazione al pubblico ministero. 
    Tuttavia, per questo aspetto, per prima cosa la limitazione della
ratio della norma alle sole forme di condizionamento esercitabili dal
pubblico ministero per i casi in cui e' «processualmente» interessato
alla formazione della prova non tiene conto del fatto che  la  stessa
disposizione si  applica  anche  alle  false  dichiarazioni  rese  al
difensore. 
    Ma, soprattutto, quella limitazione non considera la  circostanza
che a chiedere che si proceda per il reato di  cui  all'art.  371-bis
c.p. o all'art. 371-ter c.p., proponendo denuncia, potrebbe benissimo
essere anche l'imputato,  ritenendo  falso  quanto  dichiarato  dalla
persona informata dei  fatti  al  pubblico  ministero  o  al  proprio
difensore o al difensore della  parte  civile.  Oppure  ben  potrebbe
essere anche la persona offesa. 
    Con l'effetto che quella sospensione obbligata  del  procedimento
in questi casi non puo' essere dettata solo per ragioni di «sospetto»
verso  il  pubblico  ministero,  ma,  in  generale,  per  evitare  il
condizionamento psicologico che deriva ad una persona  informata  dei
fatti dal fatto di essere processata per quanto dichiarato. 
    Ma, per di piu', se il  timore  sotteso  alla  norma  fosse  solo
quello di evitare il  condizionamento  psicologico  esercitabile  dal
pubblico ministero, allora, si dovrebbe  per  vero  considerare  che,
come la stessa Corte costituzionale riconosceva nella stessa sentenza
n. 61 del 1998, «una volta che sia stata esercitata  l'azione  penale
per il  reato  di  false  informazioni,  la  posizione  dell'imputato
[sarebbe]    ormai    sottoposta    al    giudizio     dell'autorita'
giurisdizionale, e quindi sottratta a potenziali  condizionamenti  da
parte del pubblico ministero davanti  al  quale  il  reato  e'  stato
commesso». Con l'effetto  paradossale,  che  proprio  la  sospensione
verrebbe  a  consentire  quell'effetto  di  condizionamento,  perche'
proprio il  fatto  che  il  procedimento  sia  sospeso  la  posizione
processuale «resterebbe nelle mani»  del  pubblico  ministero  e  non
perverrebbe, invece, nella cognizione dell'autorita' giurisdizionale,
che  potrebbe  fare  giustizia   di   un'apertura   strumentale   del
procedimento. 
    Insomma,  pare  in  realta'  non  discutibile,  che,  assai  piu'
ampiamente, il legislatore abbia semplicemente  voluto,  con  le  due
previsioni gemelle del comma 2 degli articoli 371-bis e 371-ter c.p.,
che la persona informata dei fatti non debba essere coinvolta  in  un
processo per l'assunta falsita' delle sue dichiarazioni prima che  il
procedimento nel quale ha  reso  quelle  dichiarazioni  sia  definito
almeno con sentenza di primo grado. 
    Con l'effetto, appunto, che non si trova  alcuna  giustificazione
al fatto  che  sia  trattato  diversamente  il  soggetto  che  quelle
dichiarazioni le ha rese nel corso di un processo come testimone. 
    Ma anche a voler ribadire che la  ratio  sia  solo  quella,  piu'
limitata,  di  evitare  forme  di  condizionamento  esercitabili  dal
pubblico  ministero,  in  ogni  caso  sarebbe  un  ratio  del   tutto
applicabile anche ai procedimenti per falsa testimonianza (almeno  se
resa in un procedimento penale), perche'  tanto  piu'  in  quei  casi
«l'organo   dell'accusa   e'   "processualmente"   interessato   alla
formazione della prova». 
    D'altro  canto,  e'  significativo  della  reale   volonta'   del
legislatore,  di  evitare  ogni  forma  di  pressione  sul   soggetto
dichiarante, che con novella del 1995 si  e'  espressamente  previsto
all'art. 381, comma 4-bis, c.p.p. che per le false  dichiarazioni  al
pubblico ministero non sia neppure possibile l'arresto in flagranza. 
    Una norma che, di  nuovo,  se  si  temesse  solo  il  rischio  di
condizionamenti del pubblico  ministero  potrebbe  anche  non  essere
prevista,   perche'   l'arresto   passa   rapidamente    al    vaglio
dell'autorita' giurisdizionale. 
    Ma il richiamo dell'art. 381, comma 4-bis, c.p.p.  e'  importante
anche ad un altro fine. 
    Infatti, quella previsione conferma che  il  legislatore  ritiene
del tutto parificabile, rispetto alla tutela della sua serenita',  la
posizione  del  testimone  e  quella  del  dichiarante  al   pubblico
ministero, visto che la norma ora citata e'  esattamente  identica  a
quella che gia' era dettata  dall'art.  476,  comma  2,  c.p.p.,  che
parimenti vieta l'arresto in fiagranza  del  testimone  asseritamente
falso. 
    A conferma, anche  per  questa  via,  che  analoga  parificazione
dovrebbe sussistere, per  evitare  una  disparita'  irragionevole  di
trattamento contrastante con l'art.  3  Cost.,  anche  rispetto  alla
norma che qui si e' individuata del comma 2 dell'art. 371-bis c.p. 
    1.b. Proprio in  ragione  delle  osservazioni  che  si  sono  qui
svolte, si deve, pero', ancora  evidenziare  come  l'assenza  di  una
norma analoga rispetto alla falsa  testimonianza  collida  anche  con
altri valori di rango costituzionale. 
    Infatti, il legislatore mostra di aver correttamente percepito ed
evitato il rischio che la persona informata dei  fatti  che  ha  reso
dichiarazioni ad un pubblico ministero o ad un difensore possa venire
coartata nella sua liberta' morale e di autodeterminazione dal  fatto
di essere sottoposta  a  processo  per  quelle  dichiarazioni,  prima
ancora che il processo nel quale le ha rese  abbia  avuto  una  prima
stabilizzazione. 
    Ma questa scelta non puo'  che  trovare  il  suo  fondamento  sia
nell'intento di preservare il  diritto  di  difesa  del  dichiarante,
tutelato dall'art. 24, comma 2 della Costituzione,  quanto  meno  per
quel che si dira' subito circa  la  facolta'  di  ritrattazione,  sia
nell'intento di garantire un accertamento della verita' nel  processo
che non sia viziato  da  possibili  condizionamenti  in  capo  ad  un
soggetto le cui dichiarazioni possono assumere valore probatorio,  in
modo coerente a come l'art. 111 della  Costituzione  impone  che  sia
conformato un processo per essere «giusto». 
    Ma se cosi' e', tanto piu'  quell'esigenza  deve  valere  per  un
testimone, perche' tanto piu' occorre evitare  che  le  dichiarazioni
rese in una  fase  addirittura  processuale,  e  quindi  direttamente
incidenti  sulla  decisione  finale,  possano   essere   viziate   da
condizionamenti di sorta in capo al testimone. 
    E, d'altro canto, si  e'  gia'  visto  come  per  una  norma  che
certamente e' stata dettata per scopi  esattamente  identici,  quella
che fa divieto di arresto  in  flagranza,  gia'  il  legislatore  sia
intervenuto  per  trattare  in  modo  identico  il  testimone  e   il
dichiarante, vietando per tutti e due  un  intervento  potenzialmente
coartante  della  loro  liberta'  di  autodeterminazione   e   quindi
potenzialmente inficiante della bonta' delle dichiarazioni. 
    1.c. Merita a  questo  proposito,  come  anticipato,  che  ci  si
soffermi ora, ai fini qui in  esame  (e  salvo  ritornare  sul  tema)
sull'istituto    della    ritrattazione,    che    il     legislatore
(significativamente) ha dettato in modo identico, ancora  una  volta,
per il testimone e per il dichiarante  al  pubblico  ministero  o  al
difensore. 
    L'art. 376 c.p.,  infatti,  consente  sia  al  testimone  che  al
dichiarante al pubblico  ministero  o  al  difensore  di  evitare  la
punizione per la falsa dichiarazione in  caso  di  ritrattazione  del
falso e manifestazione del vero, fissando  come  termine  ultimo  per
questa condotta, per le falsita' avvenute in sede penale la  chiusura
del dibattimento e per  le  falsita'  avvenute  in  sede  civile,  il
momento precedente alla pronuncia di una sentenza  definitiva,  anche
se non irrevocabile. 
    In ragione di cio', da  un  lato,  e'  evidente  che  se  non  si
preclude lo svolgimento del procedimento per la  falsa  testimonianza
(o per la falsa dichiarazione a pubblico ministero  e  difensore)  si
realizza   quel   rischio   di   coartazione   della   liberta'    di
autodeterminazione del testimone, proprio perche' in presenza di fasi
avanzare  del  processo  a  proprio  carico,   che   potrebbero   far
intravedere il rischio di condanna, piu' elevata  sarebbe  la  spinta
del testimone o del dichiarante a ritrattare, per salvare  se  stesso
dalle imminenti conseguenze negative. 
    Un rischio tanto piu' rilevante se si considera che  addirittura,
per quel  che  si  dira'  di  seguito,  potrebbe  anche  gia'  essere
intervenuta  una  condanna  prima  dello  spirare  del  termine   per
ritrattare. 
    Da altro lato, pero', e' allo stesso modo evidente che se non  si
preclude lo svolgimento del procedimento per la  falsa  testimonianza
(o, come in  effetti  e',  per  la  falsa  dichiarazione  a  pubblico
ministero e difensore), nell'attesa che si  chiuda  il  processo  nel
quale sono state rese quelle dichiarazioni, vi e' il rischio  che  al
testimone  o  dichiarante  venga  ridotto  lo  spazio  temporale  per
esercitare la facolta' di ritrattare, da cui conseguirebbe la sua non
punibilita', perche' il processo  a  suo  carico  potrebbe  definirsi
anche prima dello scadere del suo termine ultimo per  effettuare  una
ritrattazione. 
    Allora tanto piu' e' irragionevole che per il falso dichiarato al
pubblico ministero o al difensore vi sia la  certezza  che  cio'  non
potra' mai accadere, perche' il procedimento a carico di chi ha  reso
la dichiarazione falsa e' sospeso, mentre  per  il  testimone  questa
certezza non vi sia. 
    Caso che, fra l'altro,  qui  non  si  adombra  in  via  meramente
ipotetica,  perche'  l'imputato  del  presente  procedimento   poteva
trovarsi condannato per falsa testimonia (ove non si fosse  sollevata
questa questione) gia' alla data del 2  aprile  2015,  prima  che  si
concludesse il processo civile nel quale quella testimonianza egli ha
reso e nel quale, quindi, ancora puo' ritrattare. 
    Ma in modo simile  questa  situazione  si  connota  negativamente
anche per il caso in cui dovesse intervenire un'assoluzione,  perche'
anche questa potrebbe ugualmente falsare la dinamica che  l'art.  376
c.p. vuole regolare a tutela del corretto accertamento della  verita'
nel  processo,  perche'  certamente  si  perderebbe  la  spinta  alla
ritrattazione (o certamente se ne ridurrebbe lo  spazio)  ove  quella
dichiarazione testimoniale avesse gia' passato un vaglio  processuale
di non falsita', prima della scadenza dei termini consentiti  per  la
ritrattazione. 
    1.d. Vi e', infine, un ultimo  aspetto  da  svolgere  a  supporto
della  fondatezza  della  questione,  che  trova   fondamento   negli
insegamenti ricavabili dall'ordinanza della Corte costituzionale 2001
n.  22.  In  quella  occasione,  infatti,  il  giudice  a  quo  aveva
denunciato la disparita'  di  trattamento  processuale  riservata  al
reato  di  cui  all'art.  378  c.p.,  per  il  fatto  che  non  fosse
applicabile il disposto dell'art. 371-bis, secondo  comma,  c.p.  qui
richiamato. 
    La Corte costituzionale in quella occasione  aveva  rilevato  che
«stante il suo carattere derogatorio, la disciplina dettata dall'art.
371-bis, secondo comma, codice penale potrebbe  essere  assunta  come
termine di raffronto al fine di verificare il rispetto del  principio
di eguaglianza solo se fosse  sorretta  da  una  ratio  integralmente
estensibile alla fattispecie di cui all'art. 378 c.p., si' da rendere
la  diversita'  di  trattamento  del  tutto  priva   di   ragionevole
giustificazione». E aveva osservato che «invece, la diversita'  degli
elementi che integrano il modello legale delle due fattispecie  poste
a raffronto - nel reato di falsa informazioni al pubblico  ministero,
rendere dichiarazioni false, ovvero tacere in tutto o in  parte;  nel
reato di favoreggiamento  personale,  aiutare  taluno  a  eludere  le
investigazioni dell'Autorita' mediante una  condotta  che,  come  nel
caso di specie, puo' sostanziarsi in false  dichiarazioni  rese  alla
polizia  giudiziaria  delegata  dal  pubblico  ministero  -  dimostra
all'evidenza che diversa e' l'oggettivita' giuridica  dei  due  reati
presi in esame sicche'  essi  non  sono  comparabili  ai  fini  della
denunciata disparita' di trattamento processuale». 
    Ora, si ritiene che  non  possa  essere  negato  che,  per  usare
l'espressione  utilizzata  dalla  stessa  Corte,  «gli  elementi  che
integrano il modello legale  delle  due  fattispecie»  oggi  messe  a
raffronto, art. 372 c.p. e 371-bis c.p. (o 371-ter  c.p.),  sono  gli
stessi, perche' in ambedue (o tre) i reati la condotta e' sempre,  di
nuovo citando la  stessa  Corte,  il  «rendere  dichiarazioni  false,
ovvero tacere in tutto o in parte». 
    In tutti  i  casi  a  tutela  dell'accertamento  della  «verita'»
processuale, senza che neppure  si  possa  adombrare  una  diversita'
rilevante per il fatto che in un caso  si  stratta  di  dichiarazioni
rese nel  processo  e  nell'altro  (negli  altri)  nel  procedimento,
perche' la ragione della sanzione penale per le  false  dichiarazioni
rese in fase di procedimento discende  anche  dal  fatto  che  quelle
dichiarazioni possono assurgere al rango di prove  piene,  del  tutto
analoghe a quelle assunte  nel  processo,  per  effetto  dei  diversi
istituti processuali. 
    Come, d'altra parte, espressamente ratificato dall'art. 375 c.p.,
che prevede la possibilita' che anche in  forza  delle  dichiarazioni
assunte ex art. 371-bis  e  ter  c.p.  si  possa  addivenire  ad  una
condanna, dettando per questa ipotesi una circostanza  aggravante  ad
effetto speciale identica. 
    Anche per questo aspetto, quindi, davvero sembrerebbe  fortemente
irragionevole che quella parificazione rispetto a questo  caso  debba
essere negata. 
    1.f. Da ultimo, poi, alla luce dei principi gia' affermati con la
sentenza n. 101 del 1999, appare altresi' privo di ragionevolezza che
per tutti gli istituti sostanziali l'art. 372  c.p.  e  gli  articoli
371-bis c.p. e 371-ter c.p.  siano  regolati  in  modo  identico  (v.
aggravanti ex art. 375 c.p., ritrattazione ex art. 376 c.p., casi  di
non punibilita' ex art. 384 c.p., punibilita' per i fatti commessi in
collegamento audiovisivo ex art. 384-bis c.p.), mentre  solo  per  un
istituto processuale  -  quella  qui  in  esame  -  troverebbero  una
disciplina diversa. 
2. Rilevanza. 
    Quanto alla rilevanza si deve  osservare  che  ove  la  questione
fosse fondata sarebbe certamente rilevante nel presente procedimento,
in quanto dopo l'esaurimento dell'istruttoria e la discussione  delle
parti deve essere adottata la decisione  finale  sulla  contestazione
elevata,  con  affermazione  di  responsabilita'   o   con   giudizio
assoluzione, mentre se fosse estensibile anche a  questa  fattispecie
la disposizione di cui  al  secondo  comma  dell'art.  371-bis  c.p.,
individuato come tertium compa rationis, ne seguirebbe la sospensione
del procedimento. 
    E  vi  e'  solo  da  aggiungere  che  neppure  e'   prospettabile
un'applicazione analogica, perche',  condivisibilmente,  nel  diritto
vivente si ritiene che quella  di  cui  al  secondo  comma  dell'art.
371-bis c.p. sia una norma eccezionale, che non consente  per  questo
un'applicazione in via analogica nei procedimenti aventi  ad  oggetto
il diverso delitto di falsa testimonianza (Cass., sez. VI, 21 ottobre
2010).