Ricorso per  la  Regione  Autonoma  della  Sardegna  (cod.  fisc.
80002870923), con sede legale in 09123 Cagliari (CA), Viale Trento n.
69, in persona del Vice-Presidente pro tempore prof.  Raffaele  Paci,
nominato con decreto del Presidente  della  Regione  n.  101  dell'11
agosto 2014, giusta procura a margine del presente atto rappresentata
e difesa dagli avv.ti Sandra Trincas (cod.  fisc.:  TRNSDR51L55B354V;
fax:      0706062418;      posta       elettronica       certificata:
strincas@pec.regione.sardegna.it)  e  prof.  Massimo  Luciani   (cod.
fisc.:   LCNMSM52L23H501G;   fax:   0690236029;   posta   elettronica
certificata   massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),   elettivamente
domiciliata presso lo studio del secondo in 00153  Roma,  Lungotevere
Raffaello Sanzio n. 9, 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui  uffici  in  00186
Roma e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione dell'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 680 e 711, della legge 28  dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'  2016)»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 2015, n. 302, S.O. 
 
                              F a t t o 
 
    1. - Oggetto del  presente  giudizio  sono  i  commi  680  e  711
dell'unico articolo della legge di stabilita' per il 2016,  legge  n.
208 del 2015. 
    Il comma 680 dispone quanto segue:  «le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, in conseguenza dell'adeguamento  dei
propri  ordinamenti  ai  principi  di  coordinamento  della   finanza
pubblica di cui alla presente legge e a valere sui risparmi derivanti
dalle  disposizioni  ad  esse  direttamente  applicabili   ai   sensi
dell'articolo 117, secondo comma, della per l'anno  2017  e  a  5.480
milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e  2019,  in  ambiti  di
spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali  di
assistenza, in sede di autocoordinamento  dalle  regioni  e  province
autonome medesime, da recepire con intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno.
In assenza di tale intesa entro i predetti termini, con  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,   da   adottare,   previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, entro  venti  giorni  dalla
scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole  regioni  e  province
autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del  PIL,
e  sono  rideterminati  i  livelli  di  finanziamento  degli   ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale. Fermo restando il concorso
complessivo di cui  al  primo  periodo,  il  contributo  di  ciascuna
autonomia speciale e' determinato previa intesa  con  ciascuna  delle
stesse. Le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
assicurano il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza come
eventualmente rideterminato ai sensi del presente comma e  dei  commi
da 681 a 684 del presente articolo e dell'articolo 1, commi da 400  a
417,  della  legge  23  dicembre  2014,  n.  190.  Per   la   regione
Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano
l'applicazione del presente comma avviene nel  rispetto  dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti  enti  in  data  15  ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica previsto dai commi da  406  a  413
dell'articolo 1 della medesima legge». 
    Il comma 711, invece, si inserisce nelle disposizioni della legge
di stabilita' concernenti  la  «tutela  dell'unita'  economica  della
Repubblica», di cui ai commi 709 e seguenti. 
    Esso prevede che, «ai fini dell'applicazione del  comma  710,  le
entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello
schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23  giugno  2011,
n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e  3
del medesimo schema di bilancio. Limitatamente all'anno  2016,  nelle
entrate e nelle spese finali in termini di competenza e'  considerato
il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della
quota riveniente dal ricorso all'indebitamento». 
    Le richiamate disposizioni hanno ad oggetto la  disciplina  della
partecipazione delle Regioni (tra cui la ricorrente) alla complessiva
manovra di finanza pubblica varata con la legge in  oggetto.  Non  e'
giustificabile,  pero',  che  per  alcuni  significativi  profili  il
concorso di tali autonomie (in particolare  di  quelle  regionali,  e
ancor  piu'  in  particolare  della  Regione  Sardegna)   sia   stato
strutturato in forme e con contenuti del tutto illegittimi. 
    Tanto avviene con i  commi  impugnati,  che  sono  illegittimi  e
violativi delle attribuzioni della ricorrente, sicche' devono  essere
dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. - Quanto all'art. 1, comma 680, della legge 30 dicembre  2015,
n. 208. Violazione degli articoli 7, 8, 54 e 56 dello  Statuto  della
Regione Autonoma della Sardegna, degli articoli 5, 116,  117  e  119,
Cost., degli articoli 6 e 13 della CEDU e dell'art. 9 della legge  n.
243 del 2012, anche in riferimento all'art.  4  dell'accordo  tra  il
Ministro dell'economia e delle  finanze  e  la  Regione  Sardegna  in
materia di finanza pubblica, sottoscritto in  data  21  luglio  2014;
agli articoli 3, 81 e 136 Cost. e all'art. 42, commi da 9 a  12,  del
d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv. in legge 11 novembre  2014,  n.
164. Come si e' gia' detto in narrativa, l'art. 1, comma  680,  della
legge n. 208 del 2015, disciplina il contributo delle Regioni e delle
Province autonome alla finanza pubblica per  il  triennio  2017-2019.
Detta disposizione impone alle  Regioni,  tra  cui  la  Sardegna,  un
contributo di finanza  pubblica  e,  di  conseguenza,  un  sacrificio
economico  finanziario  particolarmente  elevato  (ben  maggiore,  ad
esempio, di quello imposto negli anni precedenti cfr. art.  1,  commi
122 e 526 della legge n. 147 del 2013; articoli 15, comma 22;e 16 del
d.l. n. 95 del 2012). 
    1.1. - L'ammontare  di  tale  contributo,  che  non  puo'  essere
modificato  dalle  Regioni,  e'  ripartito  tra  ciascuna  Regione  e
Provincia autonoma tramite un'intesa che recepisce le  determinazioni
assunte dalle autonomie territoriali «in sede di  autocoordinamento».
In caso di inerzia delle Regioni, la legge attribuisce al  Presidente
del Consiglio dei ministri, previa deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri, la fissazione del riparto, sulla  base  dei  criteri  sopra
riportati. 
    L'intesa tra le Regioni e le Province autonome, dunque,  ove  sia
adotatta, e' preordinata al solo riparto dell'onere tra le autonomie,
alle quali, pero', non e' riconosciuto alcun potere di intervento sul
quantum complessivo del contributo. 
    L'ultimo periodo del comma impugnato detta disposizioni di favore
per la sola  Regione  Autonoma  Trentino-Alto  Adige  e  per  le  due
Province autonome di Trento e Bolzano, stabilendo che «per la regione
Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano
l'applicazione del presente comma avviene nel  rispetto  dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti  enti  in  data  15  ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica previsto dai commi da  406  a  413
dell'articolo 1 della medesima legge». 
    1.2. - Va ricordato che anche la Regione Sardegna  ha  stipulato,
in data 21 luglio 2014, un accordo con lo  Stato,  che  disciplina  i
rapporti economico finanziari tra Stato e Regione  all'interno  della
cornice disegnata dagli articoli 7 e 8 dello Statuto. Tale accordo e'
stato stipulato  sulla  base  delle  chiare  indicazioni  fornite  da
codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  nel  contenzioso  sulla  c.d.
«vertenza entrate». 
    Nella sent. n. 118 del 2012, che ha scrutinato il  conflitto  tra
l'odierna ricorrente e lo Stato  sorto  a  seguito  del  diniego  del
Ministero dell'economia e delle finanze alla proposta di accordo  sul
contenuto del patto di stabilita', la Corte  richiamo'  le  parti  in
causa ad articolare i propri rapporti finanziari nel rispetto del «il
criterio del previo confronto  e  della  progressiva  negoziazione  e
specificazione delle singole clausole dell'accordo stesso tra Regione
e Stato», specificando che  il  contenuto  dell'accordo  deve  essere
compatibile «con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita'»
e deve anche essere «conforme e congruente con  le  norme  statutarie
della  Regione,  ed  in  particolare  con  l'art.  8  dello   statuto
modificato  -  per  effetto  del  meccanismo   normativo   introdotto
dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art.  1,  comma  834,  della
legge 27 dicembre 2006, n. 296», che «ha rideterminato e quantificato
le entrate tributarie e la loro misura di  pertinenza  della  Regione
autonoma Sardegna», norme che «costituiscono, nel loro complesso,  il
quadro  normativo  di  riferimento  della  finanza  regionale   della
Sardegna». 
    Nella successiva sent. n. 95 del  2013,  scrutinando  un  secondo
conflitto  concernente  l'effettiva  liquidazione  in  favore   della
Regione Sardegna delle quote di compartecipazione al gettito  di  cui
all'art. 8 dello Statuto,  l'Ecc.ma  Corte  richiamo'  nuovamente  lo
Stato a rispettare, nell'ambito del principio pattizio, la  sfera  di
autonomia  economico-finanziaria  della  Regione,   rircordando   che
«l'inerzia statale troppo a lungo ha fatto  permanere  uno  stato  di
incertezza  che  determina   conseguenze   negative   sulle   finanze
regionali,  alle  quali  occorre   tempestivamente   porre   rimedio,
trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a  norma
dello statuto», anche in ragione del fatto che «il ritardo accumulato
sta determinando una emergenza finanziaria in Sardegna» (sent. n.  95
del 2013). 
    Tali ripetute sollecitazioni all'accordo tra le parti sono  state
ribadite nella recente sent. n. 155 del 2015, in cui  l'Ecc.ma  Corte
ha richiamato le medesime parti a una «permanente interlocuzione  tra
Stato e autonomie speciali per quanto attiene ai profili  perequativi
e  finanziari  del  federalismo  fiscale»  (profili  inscindibilmente
connessi a quelli qui in esame), imponendo  loro  di  raggiungere  un
accordo sulle questioni allora oggetto  di  causa  (segnatamente:  la
disciplina dell'IMU  e  i  relativi  effetti  finanziari  sugli  enti
territoriali),  al  fine  di  evitare  che  «gli  effetti  distorsivi
conseguenti  al  mancato  rispetto  dello  schema  pattizio   possano
consolidarsi in un contesto non conforme ne' alla salvaguardia  delle
autonomie speciali ne' agli equilibri della finanza pubblica». 
    1.3. - L'art. 3 dell'accordo stipulato in  data  21  luglio  2014
stabilisce che la Regione Sardegna, a partire dal 2015, partecipa  al
conseguimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica  attraverso  il
rispetto del principio di equilibrio di bilancio, ai sensi  dell'art.
9 della legge n. 243  del  2012.  Contestualmente,  lo  Stato  si  e'
obbligato a rideterminare i contributi di finanza pubblica  a  carico
della Regione Sardegna gia' disposti dalla legislazione  vigente  per
l'anno 2014 (i quali costituiscono  la  base  per  la  determinazione
dell'obiettivo  del  patto  di  stabilita'   anche   per   gli   anni
successivi). 
    Come e' ampiamente noto a codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale,
proprio in considerazione della determinazione pattizia dei  rapporti
economico-finanziari,  la  Regione   Autonoma   della   Sardegna   ha
rinunciato al vasto contenzioso gia' pendente innanzi codesta  Ecc.ma
Corte costituzionale  (nonche'  innanzi  il  Giudice  amministrativo)
concernente la c.d. «vertenza entrate» (cfr. le pronunce Corte cost.,
numeri 19, 62, 63, 65, 68, 77, 239, 258, 263 e 268 del 2015). 
    Alcune clausole dell'accordo, per converso, sono  state  recepite
dallo Stato tramite la loro trasposizione nell'art. 42,  commi  9-12,
del d.l. n. 133 del 2014. Ivi si prevede quanto segue: 
    «9. Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi  di  finanza
pubblica, in applicazione  della  normativa  vigente  e  dell'Accordo
sottoscritto il 21 luglio 2014 fra il Ministro dell'economia e  delle
finanze ed il Presidente della regione Sardegna, l'obiettivo di patto
di stabilita' interno della regione Sardegna, di  cui  al  comma  454
dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e'  determinato
in 2.696 milioni di euro per l'anno 2014.  Dall'obiettivo  2014  sono
escluse le sole spese previste dalla normativa statale vigente  e  le
spese per i  servizi  ferroviari  di  interesse  regionale  e  locale
erogati da Trenitalia s.p.a. 
    10. A decorrere dall'anno 2015 la regione  Sardegna  consegue  il
pareggio di bilancio come definito dall'articolo 9 della legge n. 243
del 2012. A decorrere dal 2015 alla regione Sardegna non si applicano
il limite di spesa di cui al comma 454 dell'articolo 1 della legge 24
dicembre 2012, n. 228 e  le  disposizioni  in  materia  di  patto  di
stabilita' interno in contrasto con il pareggio di bilancio di cui al
primo  periodo.  Restano  ferme  le  disposizioni   in   materia   di
monitoraggio, certificazione e sanzioni previsti dai commi 460, 461 e
462 dell'articolo 1 della citata legge 24 dicembre 2012, n. 228. 
    11. Non si applica alla regione Sardegna  quanto  disposto  dagli
ultimi due periodi del comma  454  dell'articolo  1  della  legge  24
dicembre 2012, n. 228. 
    12. La  regione  Sardegna  nel  2014  non  puo'  impegnare  spese
correnti, al netto delle spese per la sanita',  in  misura  superiore
all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati  nel
triennio 2011-2013. Nell'ambito della certificazione di cui al  comma
461 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la  regione
comunica al Ministero dell'economia e delle finanze il  rispetto  del
predetto limite». 
    1.4. - Appena 17 mesi dopo la stipula  e  15  mesi  dopo  il  suo
recepimento da parte del legislatore statale, le chiarissime clausole
di quell'accordo tra lo Stato e la Regione (redatto - si consenta  di
osservare  -  praticamente  «sotto   dettatura»   dell'Ecc.ma   Corte
costituzionale) sono state stravolte con il comma 680 qui  impugnato.
In conclusione, infatti, il comma in esame: 
        impone nuovi contributi alla finanza pubblica a carico  della
Regione  Sardegna,  senza  far  precedere  tale  imposizione  da  una
regolazione pattizia tra lo Stato e la Regione; 
        impone alla Regione Sardegna di conseguire risparmi di  spesa
in settori che sono  definiti  non  in  via  autonoma  dalla  Regione
medesima bensi' con decisione assunta dalle altre Regioni e  Province
Autonome (che, in forza del comma in oggetto, si trovano ad avere  un
titolo per ingerirsi nelle determinazioni di bilancio  della  Regione
Autonoma della Sardegna) o addirittura dello Stato; 
        recando  una  clausola  di  salvaguardia  del  solo   accordo
stipulato tra lo Stato e la Regione Trentino-Alto Adige e le Province
Autonome di Trento e Bolzano, ha violato  l'accordo  stipulato  dallo
Stato con la Regione Autonoma della Sardegna in data 21 luglio 2014 e
ha derogato le previsioni di cui ai commi 9-12 dell'art. 42 del  d.l.
n. 133 del  2014  che  avevano  recepito  le  clausole  del  predetto
accordo; 
        in particolare, e' violata la clausola di cui all'art. 3  del
predetto accordo, trasposta nell'art. 42, comma 10, del d.l.  n.  133
del  2014,  che  stabilisce  che  la  Regione   Sardegna   garantisce
l'equilibrio del proprio bilancio ai sensi dell'art. 9 della legge n.
243 del 2012. 
    2. - Cosi' ricostruito il contesto, e' opportuno dare conto della
giurisprudenza costituzionale che e' maturata sulla questione. 
    2.1. - Nella sent. n. 19 del 2015 la Corte si e'  pronunciata  su
un caso in parte analogo a quello qui in esame. Le Autonomie speciali
allora ricorrenti censuravano l'art. 32 della legge n. 183 del  2011,
che fissava un contributo straordinario di finanza pubblica a  carico
delle sole Regioni a Statuto speciale, rimettendo all'intesa  tra  le
medesime autonomie speciali il riparto del contributo tra le  singole
autonomie. 
    Le allora ricorrenti censuravano detta  disposizione  sulla  base
delle «seguenti argomentazioni: a) il contributo sarebbe  determinato
in via unilaterale e non preventivamente concordato con le Regioni  e
le  Province  autonome;  b)  l'accordo  sarebbe  svuotato   di   ogni
significato  perche'  le  somme  iscritte  nella   apposita   tabella
sarebbero insuscettibili di negoziazione tra le parti». 
    2.1.1. - Incidentalmente, va  osservato  che,  nell'esaminare  la
questione,  la  Corte  ha  ritenuto  legittima   la   «determinazione
unilaterale  preventiva»  del  contributo  delle  Regioni  a  statuto
speciale alla  manovra  di  finanza  pubblica  anzitutto  in  ragione
dell'intervenuta  introduzione   delle   disposizioni   di   cui   al
Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del  Consiglio
del 16 novembre 2011, che hanno anticipato la data  annuale  per  «la
presentazione e la valutazione dei programmi di stabilita'  da  parte
degli Stati membri», sicche',  considerate  «le  modalita'  temporali
anticipate di quantificazione di detta manovra, non  e'  ipotizzabile
che lo Stato possa presentare quella inerente al  concorso  regionale
dopo aver completato il complesso iter di negoziazione  con  ciascuno
degli enti a statuto speciale interessati». 
    E' evidente che l'introduzione  di  nuove  regole  europee  sulla
sessione di bilancio e' una circostanza straordinaria  che,  se  puo'
giustificare  la  condotta  del  legislatore  statale  nell'anno   di
riferimento, non puo' essere invocata a titolo giustificativo per gli
anni seguenti, quasi che, di volta in volta, fosse una «sorpresa». 
    2.1.2. - In disparte  tale  circostanza  straordinaria,  l'Ecc.ma
Corte  ha  comunque  affermato  che  la  determinazione   unilaterale
preventiva del contributo delle autonomie speciali alla manovra  puo'
essere «conforme a Costituzione», purche' siano rispettati i «termini
appresso specificati  relativamente  al  carattere  delle  trattative
finalizzate all'accordo». 
    Tali termini sono i seguenti: 
        i)  deve  sussistere  un  «margine  di  negoziabilita'»   del
contributo delle Regioni autonome; 
        ii) tale margine di negoziabilita' non puo'  limitarsi  (come
accade nel caso di specie) «ad una rimodulazione interna tra le varie
componenti  presenti  nella  citata  tabella  relative  alle  diverse
autonomie  speciali,  con  obbligo  di  integrale  compensazione  tra
variazioni attive e passive», per l'ovvia  considerazione  che  «ogni
margine di accordo comportante un miglioramento individuale  dovrebbe
essere compensato da un  acquiescente  reciproco  aggravio  di  altro
ente, difficilmente realizzabile», sicche' «il  meccanismo  normativo
[...]   sarebbe   sostanzialmente    svuotato    dalla    prevedibile
indisponibilita' di tutti gli enti interessati ad accollarsi  l'onere
dei miglioramenti destinati ad  altri  e,  conseguentemente,  sarebbe
lesivo  del  principio  di  leale  collaborazione  e   dell'autonomia
finanziaria regionale»; 
    iii)  «lo  strumento  dell'accordo»,  invece,  deve   servire   a
«determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti  delle
relazioni  finanziarie  tra  Stato  e  Regioni,  sia  ai   fini   del
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel  rispetto  dei
vincoli europei, sia al fine di evitare che  il  necessario  concorso
delle  Regioni  comprima  oltre  i  limiti   consentiti   l'autonomia
finanziaria ad esse spettante»; 
        iv) proprio a  tale  proposito  la  Corte  ha  richiamato  la
«prassi» e la «morfologia degli ultimi accordi  stipulati  in  questa
materia tra Governo ed autonomie speciali (Accordo tra il  Governo  e
la Regione Trentino Alto Adige e le Province autonome di Trento e  di
Bolzano del 15 ottobre 2014; Accordo tra il Ministro dell'economia  e
delle finanze e la Regione siciliana del 9 giugno 2014;  Accordo  tra
il Ministro dell'economia e  delle  finanze  e  la  Regione  autonoma
Sardegna del 21 luglio 2014; Accordo tra il Ministro dell'economia  e
delle finanze e la Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  del  28
ottobre 2014)»; 
        v) «il contenuto degli accordi, oltre che  la  riduzione  dei
programmi in  rapporto  al  concorso  della  Regione  interessata  ad
obiettivi di finanza pubblica, puo' e  deve  riguardare  anche  altri
profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le fonti
di entrata fiscale, la cui  compartecipazione  sia  quantitativamente
controversa, l'accollo di  rischi  di  andamenti  difformi  tra  dati
previsionali  ed  effettivo  gettito  dei  tributi,  le  garanzie  di
finanziamento integrale di spese essenziali, la ricognizione  globale
o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e  di
adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte  o  di  nuova
attribuzione, la verifica di congruita' di dati  e  basi  informative
finanziarie  e   tributarie,   eventualmente   conciliandole   quando
risultino palesemente difformi,  ed  altri  elementi  finalizzati  al
percorso di necessaria  convergenza  verso  gli  obiettivi  derivanti
dall'appartenenza all'Unione europea»; 
        vi) in conclusione,  «l'oggetto  dell'accordo  e'  costituito
dalle diverse componenti delle relazioni finanziarie  che,  nel  loro
complesso,  comprendono  e  trascendono  la   misura   del   concorso
regionale»; 
        vii) ne consegue che, se «gli obiettivi conseguenti al  patto
di stabilita' esterno sono i saldi complessivi, non le allocazioni di
bilancio»,  allora,  «ferme  restando  le   misure   finanziarie   di
contenimento della spesa  concordate  in  sede  europea,  le  risorse
disponibili  nel  complesso  della  finanza  pubblica  allargata  ben
possono essere riallocate, a seguito di accordi, anche  ad  esercizio
inoltrato». 
    L'Ecc.ma Corte costituzionale, dunque,  ha  fornito  una  lettura
costituzionalmente  orientata  della  disposizione  allora  impugnata
(art. 32, legge n. 183 del 2011), che rimetteva (o, a prima  lettura,
sembrava rimettere) all'accordo tra le parti solamente il riparto tra
le autonomie speciali del  contributo  di  finanza  pubblica  imposto
unilateralmente dallo Stato.  Tale  lettura  evolutiva,  giustificata
anche dalla virtuosa prassi (stavolta si') seguita nell'anno 2014 dal
MEF, ha consentito il rigetto delle censure allora proposte (che,  si
badi, riguardava  una  disposizione  precedente  alla  tornata  degli
accordi di finanza pubblica tra Stato e Regioni speciali). 
    2.2. - Nella successiva sent. n. 82 del 2015  l'Ecc.ma  Corte  ha
scrutinato l'art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011  (dunque  una
disposizione anch'essa precedente alla stipula degli accordi  con  le
autonomie speciali, avvenuta nel 2014). In quel caso, si vagliava  la
legittimita' di un  contributo  straordinario  di  finanza  pubblica,
dovuto dalle sole Autonomie speciali, ma da attuare «con le procedure
previste dall'articolo 27, della legge 5 maggio 2009, n.  42»,  ossia
pel tramite  dell'adozione  di  norme  di  attuazione  degli  statuti
speciali, che sono approvate secondo il principio pattizio. 
    Anche in quel caso la Corte ha affermato che «in riferimento alle
Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la  via
dell'accordo, espressione di un  principio  generale  che  governa  i
rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali». 
    Tale principio puo' essere derogato solo a specifiche condizioni: 
        i) qualora tale  principio  non  sia  «stato  recepito  dagli
statuti di autonomia» delle Regioni a statuto speciale; 
        ii) qualora la norma censurata si collochi «in un piu'  ampio
contesto normativo nel quale il principio pattizio e' gia' largamente
adottato per volonta' dello stesso legislatore ordinario»; 
        iii) «affinche' esso (il contributo) non si  tramuti  in  una
definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte
dello Stato, occorre che tale modalita' (di contribuzione  regionale)
non si protragga senza limite»; 
        iv) la misura di contribuzione deve configurarsi «come misura
transitoria, necessaria per  assicurare  il  conseguimento  effettivo
degli obiettivi di coordinamento finanziario»; 
        v)  «deve   essere   rispettato   il   principio   di   leale
collaborazione, il quale richiede un confronto  autentico,  orientato
al superiore interesse pubblico di conciliare l'autonomia finanziaria
delle Regioni con l'indefettibile  vincolo  di  concorso  di  ciascun
soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilita', sicche' su
ciascuna  delle  parti  coinvolte  ricade  un   preciso   dovere   di
collaborazione e di discussione,  articolato  nelle  necessarie  fasi
dialogiche». 
    Anche  in  quel  caso,  la  Corte  ha  dichiarato  legittimo   il
contributo straordinario  di  finanza  pubblica  facendo  leva  sulla
circostanza  che  esso  poteva  essere  rimodulato,  anche  ex  post,
attraverso  le  procedure  pattizie,  specificamente  indicate  dalla
disposizione  impugnata,  sicche'  le  imposizioni  statali  dovevano
considerarsi solamente temporanee,  valide  fino  all'adozione  delle
norme di attuazione dei  rispettivi  statuti,  che  sono  di  origine
pattizia e - per costante giurisprudenza costituzionale -  prevalgono
sulla legge ordinaria. 
    3. - Cosi' illustrati i fatti e la piu' recente giurisprudenza in
materia, l'illegittimita' della disposizione  impugnata  risulta  del
tutto evidente. 
    3.1. - Risulta in primo  luogo  violato  il  principio  di  leale
collaborazione tra Stato e Regione Sardegna, di cui agli articoli 5 e
117 Cost., atteso che  il  legislatore  statale  ha  disciplinato  lo
svolgimento dei rapporti economico-finanziari  tra  Stato  e  Regione
Autonoma  senza  prevedere  i  necessari  e  doverosi  meccanismi  di
interlocuzione e di attuazione del principio  consensualistico,  piu'
volte ribadito dalla giurisprudenza  costituzionale  (cfr.  le  sopra
citate sentt. nn. 19 e 82 del 2015). 
    A tal proposito; va ricordato che: 
        i) diversamente da quanto previsto nell'art.  32,  comma  10,
della legge n. 183 del 2011 e nell'art. 28, comma 3, del d.l. n.  201
del 2011 (scrutinati dalle sopra citate sentt. nn. 19 e 82 del 2015),
la disposizione in  esame  non  contempla  alcun  accordo  che  possa
consentire di superare le rigidita' della fissazione unilaterale  del
contributo di finanza pubblica  a  carico  delle  Regioni  a  statuto
speciale; 
        ii)   al   contrario,   le   autonomie    speciali    vengono
esplicitamente   e   inequivocabilmente   equiparate   alle   Regioni
ordinarie, dato che l'intesa sul riparto e' adottata con accordo  fra
tutte le Regioni e Province autonome; 
        iii)  non  risulta   possibile   fornire   un'interpretazione
adeguatrice e conforme  a  Costituzione  del  comma  in  esame,  come
l'Ecc.ma Corte ha fatto nella sent. n. 19 del 2015. La  garanzia  del
metodo pattizio nelle determinazioni  del  quantum  di  contribuzione
alla finanza pubblica e' riconosciuta  dalla  Costituzione  (e  dagli
Statuti speciali) alle sole autonomie speciali di  cui  all'art.  116
Cost. e non e' riconosciuta alle Regioni ordinarie.  Di  conseguenza,
il fatto che all'intesa sul riparto ex art. 1, comma 680, della legge
impugnata   partecipino   anche   le   Regioni   ordinarie   comporta
necessariamente che detto accordo non sia in  gado  di  rideterminare
(anche ex post) il volume  del  contributo  imposto  alle  Regioni  a
statuto speciale, ne' di avere  ad  oggetto  le  «diverse  componenti
delle relazioni finanziarie che, nel loro  complesso,  comprendono  e
trascendono la misura del  concorso  regionale»  (cosi',  ancora,  la
sent. n. 19 del 2015); 
        iv) non sana le criticita' della  disposizione  in  esame  la
previsione che, «fermo restando il concorso  complessivo  di  cui  al
primo periodo,  il  contributo  di  ciascuna  autonomia  speciale  e'
determinato previa intesa con ciascuna delle stesse». Tale  ulteriore
intesa con le singole autonomie speciali, infatti, non  solo  esclude
qualsiasi  rideterminazione  del  quantum  del   contributo   imposto
all'intero «comparto» delle Regioni e Province autonome, ma e'  anche
condizionata dalla generale «intesa in autocoordinamento» adottata da
tutte le Regioni (non solo quelle a Statuto speciale); 
    v) ne consegue che il comma in esame si situa necessariamente  al
di fuori del principio pattizio, che dovrebbe campeggiare, nelle piu'
ampie forme e declinazioni, nella definizione dei rapporti tra  Stato
e autonomie speciali, come  richiede  la  giurisprudenza  dell'Ecc.ma
Corte. 
    3.2. - La violazione del principio di leale collaborazione  e  la
lesione dell'autonomia economico-finanziaria della Regione  (tutelata
dagli articoli 117 e 119 Cost. e 7 e 8 dello Statuto) si palesa anche
per il profilo della contestuale violazione dell'art. 3 Cost. 
    Come si e' gia' osservato, il comma  impugnato  ha  salvaguardato
solo l'accordo stipulato tra Stato e Regione  Autonoma  Trentino-Alto
Adige e Province Autonome di Trento e Bolzano (che e'  stato  appunto
tenuto al riparo dagli effetti del comma in esame nella sua interezza
e non solo nella parte in cui  ha  disposto  una  novellazione  dello
Statuto di autonomia regionale)  mentre  ha  totalmente  pretermesso,
violandolo, l'accordo stipulato tra il MEF e la Regione  Sardegna  in
data 21 luglio 2014. Tanto, nonostante che proprio la  giurisprudenza
dell'Ecc.ma Corte avesse accomunato quei due atti negoziali (e quelli
stipulati con le altre autonomie speciali) quanto ad  ampiezza  degli
effetti, natura costituzionale delle esigenze giustificative e  ratio
di tutela dell'autonomia economico-finanziaria delle Regioni Autonome
(si rinvia ancora alla sent. n. 82 del 2015). 
    E',  dunque,   manifestamente   ingiustificato   il   trattamento
differenziato (e deteriore)  della  Sardegna  rispetto  alla  Regione
Trentino-Alto Adige e alle Province Autonome di Trento e Bolzano,  il
che comporta, appunto, la violazione degli  articoli  3,  117  e  119
Cost., oltre che degli articoli 7 e 8 dello Statuto sardo. 
    Per le medesime ragioni risulta violato anche l'art.  116  Cost.,
che riconosce l'autonomia differenziata di tutte le (e  non  solo  di
alcune)  Regioni  a  Statuto  speciale,  autonomia  che,  invece,  il
legislatore  statale  ha  illegittimamente  riconosciuto  alla   sola
Regione Trentino-Alto Adige e alle Province Autonome. 
    3.3.  -  La  circostanza  che  il   legislatore   statale   abbia
salvaguardato il solo  accordo  stipulato  con  la  Regione  Autonoma
Trentino-Alto Adige e le due Province Autonome dimostra che il  comma
impugnato: 
        non ha garantito  un  sufficiente  margine  di  flessibilita'
rispetto alla unilaterale determinazione del contributo imposto  alle
altre autonomie speciali; 
        ha sostanzialmente soppresso anche gli  ambiti  dei  rapporti
economico-finanziari tra lo Stato e le altre autonomie speciali  che,
con gli accordi richiamati dalla sent. Corte cost., n. 19  del  2015,
avevano trovato una regolamentazione su base pattizia. 
    Sul fatto che il comma in esame sia violativo di  quegli  accordi
non si puo' nutrire alcun dubbio:  proprio  la  clausola  di  maggior
favore per la Regione Autonoma Trentino-Alto  Adige  dimostra  questo
assunto, dato che tale clausola non avrebbe alcuna ragion d'essere se
il comma 680 qui impugnato  potesse  essere  ex  se  compatibile  con
quelle intese. 
    Ne consegue che il  principio  di  leale  collaborazione  risulta
violato anche per un altro e differente profilo, ossia per  il  fatto
che il legislatore statale, intervenuto successivamente alla  stipula
degli accordi di finanza  pubblica  del  2014,  ne  ha  espressamente
violato le clausole, peraltro senza prevedere un meccanismo  adeguato
che possa recuperare,  anche  ex  post,  la  leale  cooperazione  nei
rapporti economico-finanziari. 
    Anche per questo profilo, dunque, risultano di bel nuovo  violati
gli articoli 5, 117 e 119 Cost. (che fissano il principio della leale
collaborazione e  tutelano  l'autonomia  economico-finanziaria  della
Regione) e gli articoli 7 e  8  dello  Statuto  (disposizioni,  anche
queste,  che  garantiscono  l'autonomia  economico-finanziaria  della
Regione ricorrente  e  che  impongono  che  il  regime  dei  rapporti
economico-finanziari  sia  improntato  al   paradigma   della   leale
cooperazione). 
    Anche per questo profilo, poi, si coglie la violazione  dell'art.
3 Cost., ancora in combinato disposto con gli articoli 7  e  8  dello
Statuto e 117 e 119 Cost., per  l'evidente  irragionevolezza  di  una
produzione legislativa che smentisce l'impostazione  consensualistica
dei rapporti Stato-Regione e che calpesta le clausole di  un  accordo
faticosamente raggiunto tra la Regione e lo Stato, ponendo fine a  un
risalente contenzioso che l'Ecc.ma Corte conosce perfettamente,  dato
che -  si  ribadisce  -  aveva  piu'  volte  imposto  alle  parti  di
accordarsi. 
    3.4. - Il piu' volte menzionato accordo del 21 luglio 2014 non ha
solamente risolto in  forma  consensuale  quella  che  anche  codesta
Ecc.ma  Corte  aveva  definito  «vertenza  entrate»  tra  la  Regione
Sardegna e lo Stato (cfr.  sent.  n.  95  del  2013).  Tale  accordo,
infatti, ha anche dato attuazione al  principio  dell'equilibrio  dei
bilanci pubblici, per come specificato dalla  riforma  costituzionale
del 2012. 
    3.4.1. - Come e' noto, il novellato art. 81 Cost. ha previsto, al
sesto comma, che «il contenuto della  legge  di  bilancio,  le  norme
fondamentali e i criteri volti  ad  assicurare  l'equilibrio  tra  le
entrate e le spese dei bilanci e la  sostenibilita'  del  debito  del
complesso delle pubbliche amministrazioni sono  stabiliti  con  legge
approvata a maggioranza assoluta dei componenti di  ciascuna  Camera,
nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale». 
    La legge n. 243 del 2012, approvata ai sensi di tale comma, detta
specifiche previsioni sull'equilibrio dei  bilanci  delle  Regioni  e
degli enti locali. L'art. 9 della  legge,  infatti,  prevede  che  «i
bilanci delle regioni,  dei  comuni,  delle  province,  delle  citta'
metropolitane e delle province autonome di Trento  e  di  Bolzano  si
considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di
rendiconto, registrano: a) un  saldo  non  negativo,  in  termini  di
competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; b) un
saldo non negativo, in termini di  competenza  e  di  cassa,  tra  le
entrate correnti e le spese correnti, incluse le  quote  di  capitale
delle rate di ammortamento dei prestiti». 
    Il  sesto  comma  di  tale  articolo,  pero',  specifica  che  le
disposizioni relative all'equilibrio  dei  bilanci  delle  Regioni  e
degli enti locali «si applicano alle regioni  a  statuto  speciale  e
alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con  le
norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di  attuazione».
Ne consegue che la legge «rinforzata» ex art.  81  Cost.  ha  rimesso
ancora una volta al principio  consensualistico  la  definizione  dei
criteri di «equilibrio» dei bilanci delle autonomie speciali. 
    3.4.2. - In ossequio a tale  precetto,  lo  Stato  e  la  Regione
Sardegna hanno consensualmente disciplinato le modalita' con le quali
il principio dell'equilibrio di  bilancio  si  applica  alla  Regione
medesima, convenendo che il bilancio della Regione Sardegna  si  deve
considerare in equilibrio alle condizioni di  cui  all'art.  9  della
medesima legge n. 243 del 2012. Altri oneri che si  sottraggano  alla
determinazione consensuale delle parti risultano,  dunque,  violativi
dell'accordo del 21 luglio 2014, e, per  l'effetto,  violativi  anche
dell'art. 9, comma 6, della legge n. 243 del 2012 e dello stesso art.
81 della Costituzione. 
    La violazione dei precetti costituzionali e delle disposizioni di
legge (rinforzata) che  ne  sono  immediato  svolgimento  comportano,
ovviamente,   di   bel    nuovo    la    violazione    dell'autonomia
economico-finanziaria  della  Regione   Sardegna,   garantita   dagli
articoli 7 e 8 dello Statuto e 117 e 119 Cost. 
    3.5. - Come si  e'  gia'  osservato,  l'impugnato  comma  680  e'
incompatibile con le disposizioni dell'accordo del 21 luglio 2014. Ne
consegue che esso ha anche sovvertito le disposizioni di cui all'art.
42, commi da 9 a 12, del d.l. n.  133  del  2014,  con  le  quali  il
legislatore statale ha  recepito  le  clausole  dell'accordo  del  21
luglio 2014 e ha definito  i  rapporti  economico-finanziari  tra  lo
Stato e la Regione Sardegna sia  per  quanto  concerne  l'obbligo  di
mantenere  in  equilibrio  il  bilancio  regionale,  sia  per  quanto
concerne l'obbligo di partecipare al  conseguimento  degli  obiettivi
generali di finanza pubblica. 
    Ebbene: il legislatore statale non poteva,  senza  la  preventiva
intesa con la Regione, abrogare, modificare o  comunque  derogare  le
previsioni dei commi sopra menzionati. Essi, infatti, pur non essendo
stati formalmente inseriti nello Statuto della Regione o nelle  norme
di  attuazione,  costituiscono  attuazione  del  medesimo   principio
consesualistico che deve governare  i  rapporti  economico-finanziari
tra lo Stato e la Regione ricorrente. 
    Tale principio consensualistico e' sancito: 
        dall'art. 54, comma 5, dello Statuto, a tenor  del  quale  le
disposizioni statutarie in tema di autonomia finanziaria ed economica
della Regione «possono essere modificate con  leggi  ordinarie  della
Repubblica su proposta del Governo o  della  Regione,  in  ogni  caso
sentita la Regione»; 
        dall'art. 56 dello Statuto,  che,  per  l'approvazione  delle
norme di attuazione statutaria (e per la loro  modificazione)  impone
un specifico procedimento rinforzato, che richiede  l'adesione  della
Regione; 
        dall'art. 9 della legge (rinforzata) n. 243  del  2012,  che,
per la determinazione dell'equilibrio  dei  bilanci  delle  autonomie
speciali rinvia alle «norme dei rispettivi statuti» e alle  «relative
norme di attuazione». 
    Cio' considerato, dato che i commi da 9 a 12 del d.l. n. 133  del
2014 hanno regolato i rapporti economico-finanziari tra lo Stato e la
Regione Sardegna previa intesa con la Regione medesima, essi  possono
essere modificati (o  derogati)  solo  tramite  procedimenti  che  la
coinvolgano e che siano ispirati al principio consensualistico e alla
leale collaborazione tra le parti. 
    Inopinatamente, invece, il comma in esame non e' stato  approvato
previa intesa con la Regione, sicche' esso  risulta  illegittimo  per
violazione degli articoli 54 e 56 dello Statuto, anche  in  relazione
agli articoli 7 e 8 dello Statuto e 117 e  119  Cost.,  che  tutelano
l'autonomia finanziaria della Regione. 
    3.6.  -  Come  si  e'  gia'  osservato,  codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale ha gia' scrutinato a piu' riprese  la  c.d.  «vertenza
entrate» insorta tra lo Stato e la Regione  Sardegna  a  causa  della
mancata esecuzione, da parte dello Stato, della  riforma  del  regime
delle  entrate  regionali  di  cui  all'art.  8  dello   Statuto   e,
contemporaneamente, dall'imposizione di ulteriori oneri e restrizioni
di finanza pubblica imposti sulla Regione. 
    3.6.1. - In particolare, come gia' rilevato supra, sub par. 1.2.,
nelle sue decisioni codesta Ecc.ma Corte non ha solamente rivolto  un
mero «monito» allo Stato e alla Regione, ma (con le sentt. nn.  99  e
118 del 2012 e 95 del 2013) ha accertato e dichiarato  che  lo  Stato
aveva e ha un preciso  e  specifico  obbligo  giuridico  di  definire
consensualmente  con  la  Regione  il  regime   dei   loro   rapporti
economico-finanziari, anche allo scopo di dare compiuta  e  integrale
esecuzione al novellato art. 8 dello Statuto  regionale,  un  obbligo
giuridico perfetto che  scaturiva  e  scaturisce  dalle  disposizioni
costituzionali e statutarie che  regolano  -  appunto  -  i  rapporti
economico-finanziari tra Stato e Regione. 
    Che sia cosi' e'  stato  riconosciuto  dallo  stesso  legislatore
statale. L'art. 11, comma 5-bis, del d.l. n. 35 del 2013, infatti, ha
disposto che, «al fine di dare piena applicazione, secondo i principi
enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 118 del  2012,
al nuovo regime regolatore dei rapporti finanziari tra lo Stato e  la
Regione Sardegna, disciplinato dalle disposizioni di cui all'articolo
1, comma 834, della legge 27  dicembre  2006,  n.  296,  [...]  entro
centoventi giorni dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, il Ministro dell'economia  e  delle
finanze concorda, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, con  la
Regione Sardegna, con le procedure di cui all'articolo 27 della legge
5 maggio  2009,  n.  42,  le  modifiche  da  apportare  al  patto  di
stabilita' interno per la Regione Sardegna». 
    Lo stesso legislatore statale, dunque,  ha  riconosciuto  che  le
sentenze  dell'Ecc.ma  Corte  sulla  c.d.  «vertenza  entrate»  hanno
definito, con la  forza  del  giudicato  costituzionale,  un  preciso
obbligo giuridico, al quale lo Stato non puo' sottrarsi. 
    Detto accordo, come si e' detto, e' stato finalmente sottoscritto
in data 21 luglio 2014. Il comma 680 della legge in esame, pero',  ne
viola  le  clausole,  imponendo  alla  Regione  nuovi   e   ulteriori
contributi di finanza pubblica. Per  tale  ragione,  detto  comma  e'
violativo anche del giudicato costituzionale e dell'art.  136  Cost.,
proprio perche', eludendo le clausole dell'accordo, si  e'  sottratto
all'efficacia    conformativa    delle    decisioni    della    Corte
costituzionale. 
    3.6.2. -  Per  le  medesime  ragioni  risulta  violato  anche  il
principio del legittimo  affidamento,  che  trova  riconoscimento  di
rango costituzionale ai sensi dell'art. 3 Cost. nonche' degli artt. 6
e 13 della CEDU (ovviamente in combinato  disposto  con  l'art.  117,
comma 1, Cost.). 
    Per mero tuziorismo si rammenta che il  principio  del  legittimo
affidamento, proprio per la sua natura di «principio connaturato allo
Stato di diritto» (sentt. Corte cost., nn. 206 del  2009  e  156  del
2007) si applica anche ai rapporti tra Stato e Regioni, specie a quei
rapporti che, incidendo sugli  ambiti  di  autonomia  garantita  alle
autonomie, devono ispirarsi alla leale collaborazione  tra  le  parti
(si veda la sent. Corte cost., n. 207 del 2011). 
    In  questo  contesto,  e'  evidente  che  in  capo  alla  Regione
ricorrente e' sorto un affidamento  legittimo  sulla  stabilita'  del
quadro di regolamentazione dei rapporti economici con lo Stato,  che,
invece, e' stato inopinatamente sovvertito  dal  legislatore  statale
con la disposizione in esame. 
    Tale affidamento e' stato legittimamente indotto in ragione: 
        delle disposizioni statutarie e costituzionali che fissano il
principio consensualistico nei rapporti tra Stato e Regione Sardegna; 
        dalle sopra richiamate decisioni della  Corte  costituzionale
che hanno  sancito  l'obbligo  per  lo  Stato  di  addivenire  ad  un
complessivo accordo di finanza pubblica con la Regione; 
        dall'inequivoca disposizione di cui all'art. 11, comma 5-bis,
del d.l. n. 35 del 2013, sopra riportata; 
        dalla stipula dell'accordo di finanza pubblica del 21  luglio
2014; 
        dal recepimento delle clausole dell'accordo nell'art. 42  del
d.l. n. 133 del 2014, sopra menzionato. 
    Dal canto suo, la Regione Sardegna  non  ha  mai  dubitato  della
validita', della stabilita'  e  della  cogenza  dell'accordo  del  21
luglio 2014, tanto che, come si e' gia' detto, proprio in ossequio  a
tale accordo ha ritirato un gran numero di impugnazioni gia' proposte
non solo innanzi l'Ecc.ma Corte costituzionale, confidando,  appunto,
nel ristabilito  ordine  nei  rapporti  economico-finanziari  con  lo
Stato. Risulta inciso, dunque, anche il diritto di difesa in giudizio
della Regione, tutelato dall'art. 24 Cost. 
    3.6.3. - Se e' evidente l'esistenza di un affidamento legittimo e
qualificato in capo alla ricorrente sulla stabilita'  delle  clausole
dell'accordo del 2014, non meno evidente e' la sua lesione, visto che
la ricorrente vede oggi violate le clausole di detto accordo con  una
disposizione con esso esplicitamente incompatibile. 
    3.6.4. - Si configura, dunque, la  violazione  degli  articoli  3
Cost., 6 e 13 della CEDU in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost.,
nonche'  in  riferimento  all'autonomia  economico-finanziaria  della
Regione, tutelata dagli articoli 7 e 8 dello  Statuto  e  117  e  119
Cost. 
    A tal proposito, e' per mera  completezza  d'esposizione  che  si
ricorda che, a partire dalle sentenze n.  348  e  349  del  2007,  la
giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che  le  norme
della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea  dei
diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per  dare   ad   esse
interpretazione e applicazione - integrino, quali «norme interposte»,
il parametro costituzionale  espresso  dall'art.  117,  primo  comma,
Cost., nella parte in cui impone la conformazione della  legislazione
interna  ai  vincoli  derivanti  dagli  obblighi  internazionali  (ex
plurimis: sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010). 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha  piu'  volte  affermato
che gli articoli 6 e 13 della Convenzione EDU proteggono i  legittimo
affidamento dei soggetti di diritto, che puo'  essere  legittimamente
compresso solo a fronte di imperative ragioni di  interesse  generale
(ex plurimis: sent. Sez. II,  7  giugno  2011,  Agrati  ed  altri  c.
Italia; 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; 10 giugno 2008,  Bortesi  e
altri c. Italia; 24 giugno  2014,  Azienda  Agricola  Silverfunghi  e
altri c. Italia; Sez. V, 11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia). 
    Ebbene: tra i motivi imperativi di interesse generale non rientra
l'ottenimento di un mero beneficio economico per la finanza pubblica.
La  Corte  EDU  lo  ha  piu'  volte  statuito.  Per  tutte  valga  il
riferimento alle sentt. Sez. IV, 28 ottobre 1999, Zielinsky, Pradal e
Gonzales c. Francia, e Sez. III,  21  giugno  2007,  SCM  Scanner  de
l'Ouest Lyonnais c. Francia. In entrambi i casi la Corte ha affermato
che le giustificazioni di tipo economico - riguardanti il rischio  di
mettere in pericolo l'equilibrio finanziario e la prospettiva  di  un
aumento esponenziale dei costi del personale - che lo Stato pone alla
base del suo intervento non possono essere considerate di  importanza
generale tale da giustificare un'ingerenza sul legittimo  affidamento
dei soggetti di diritto. 
    Di conseguenza, atteso che l'unica  ragione  giustificatrice  del
comma impugnato potrebbe essere il conseguimento di un risparmio  per
lo Stato, esso risulta violativo degli articoli 6 e 13 della  CEDU  e
117 Cost. e, di conseguenza, degli articoli 117 e 119 Cost. e 7  e  8
dello    Statuto    sardo,    che     ne     tutelano     l'autonomia
economico-finanziaria. 
    3.7. - Per consolidata giurisprudenza costituzionale  (si  vedano
ancora le sentt.  nn.  19  e  82  del  2015,  che  hanno  ribadito  e
ulteriormente precisato un  orientamento  costante),  lo  Stato  puo'
imporre risparmi di spesa alle Regioni, purche' l'ambito  all'interno
del quale ottenere tali risparmi  sia  individuato  autonomamente  da
ciascuna di esse. 
    Nel caso del comma in esame, pero', la Regione Sardegna si  trova
vincolata  dalla  volonta'  anche  delle  altre  Regioni  e  Province
autonome,   che   potranno   definire,   seppure   in    regime    di
«autocoordinamento»,  gli  ambiti  di  spesa  sui  quali  la  Regione
Sardegna dovra' operare per ottemperare al  medesimo  comma  680.  In
mancanza di tale autocoordinamento, la Regione Sardegna e' consegnata
alle arbitrarie determinazioni del Presidente del Consiglio. 
    Anche   per   questo   profilo   si   evidenzia   la   violazione
dell'autonomia economico-finanziaria della  Regione  Sardegna  e,  di
conseguenza, degli articoli 7 e 8 dello Statuto e 117 e 119 Cost. 
    3.8. - Per costante giurisprudenza costituzionale, lo Stato  puo'
imporre  in  via  autoritativa  contributi  straordinari  di  finanza
pubblica alle Regioni ordinarie e alle Autonomie speciali, ma solo in
presenza di un'ulteriore condizione: che il contributo richiesto  sia
imposto per un periodo di tempo limitato e ragionevole.  Nella  sent.
n. 193 del 2012, ad esempio, codesta Ecc.ma Corte  costituzionale  ha
ricordato di essersi «espressa  sulla  non  incompatibilita'  con  la
Costituzione delle misure disposte con l'art. 14, commi 1  e  2,  del
d.l. n. 78 del  2010,  sul  presupposto  -  richiesto  dalla  propria
costante giurisprudenza - che  (sono  legittime)  le  norme  che  «si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio  della  finanza  pubblica,
intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se
non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del
2011 e n. 326 del 2010)». 
    Ove tale limite non sia  rispettato,  il  contributo  di  finanza
pubblica imposto alle Regioni costituisce disposizione «di dettaglio»
in una materia affidata alla competenza legislativa  concorrente,  ai
sensi dell'art. 117 Cost.,  con  la  conseguenza  che  essa  esorbita
dall'ambito competenziale riconosciuto al legislatore statale. 
    A tal proposito, il contributo di  finanza  pubblica  di  cui  al
comma impugnato e'  previsto  per  un  solo  trienno.  Esso,  dunque,
sembrerebbe  essere  astrattamente  compatibile  con   l'obbligo   di
«temporaneita'»  del  prelievo,  riconosciuto  dalla   giurisprudenza
costituzionale. A tal proposito, pero',  si  deve  osservare  che  le
Regioni, tra cui la Sardegna,  sono  sottoposte  da  diversi  anni  a
contributi di finanza pubblica sempre  crescenti,  alcuni  dei  quali
imposti non in via temporanea, bensi' senza  limiti  di  tempo  (cfr.
art. 20, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011; art. 15, comma 22;  e  16,
comma 3; del d.l. n. 95 del 2012; art. 28, comma 3, del d.l.  n.  201
del 2011; art. 1, commi 118 e 132, della legge n. 228 del 2012;  art.
1, commi 429, 481, 499 e 526 della l. n. 147 del 2013). 
    Per tale ragione, il contributo di finanza pubblica  imposto  con
il comma in esame  elude  l'obbligo  di  temporaneita'  delle  misure
restrittive di finanza  pubblica,  piu'  volte  sancito  dalla  Corte
costituzionale. Per tale ragione detto comma e'  violativo  dell'art.
117, comma 3, Cost., per avere  lo  Stato  debordato  dall'ambito  di
competenza legislativa concorrente nella materia  del  «coordinamento
della finanza pubblica», nonche' degli articoli 7 e 8  dello  Statuto
sardo, che tutelano l'autonomia finanziaria della Regione. 
    3.9. - Infine, il comma in esame  e'  illegittimo  anche  per  un
ulteriore profilo. 
    Per consolidata  giurisprudenza  costituzionale,  il  legislatore
statale puo'  imporre,  tramite  contributi  di  finanza  pubblica  o
riduzioni di risorse in entrata, un sacrificio economico alle Regioni
«purche' non tale da rendere impossibile  lo  svolgimento  delle  sue
funzioni» (sentt. nn. 138 del 1999 e 155 del 2015). 
    Nel caso della Regione Autonoma della Sardegna, la condizione  di
«impossibilita'  di  svolgimento  delle  funzioni»  attribuite  dalla
Costituzione, dallo Statuto e dalla  legge  e'  stata  specificamente
riconosciuta dal legislatore statale,  dall'Amministrazione  statale,
dalla Corte dei conti e da codesta Ecc.ma Corte costituzionale. 
    Tutte queste circostanze sono ampiamente note  all'Ecc.ma  Corte,
che le ha gia' esaminate nelle piu' volte citate sentt. nn. 99 e  118
del 2012 e 83 del 2013. E' sufficiente qui darne una breve sintesi. 
    i) La necessita' di  riformare  le  entrate  regionali  e'  stata
affermata dal Ragioniere  Generale  dello  Stato,  come  dimostra  il
carteggio intervenuto tra la Ragioneria e la Regione  ricorrente  tra
l'agosto e il settembre del 2005,  relativamente  alla  misura  delle
entrate  di  maggiore  rilevanza  per  le   finanze   regionali:   la
compartecipazione all'imposta  sul  reddito  e  la  compartecipazione
all'I.V.A.  Con  nota  del  3  agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il
Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato una proposta  di
quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A.  «nell'attesa
che  si  proceda  alla  revisione  dell'ordinamento  finanziario  che
consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a
quota fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando
[...]  il  criterio  incrementale  del  tasso  di   inflazione   che,
comportando nel tempo la progressiva svalutazione  in  termini  reali
del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento  di  garanzia
previsto  dallo  Statuto,  che  mirava  a  consentire  il  tempestivo
adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa
derivanti dall'espletamento delle funzioni  normali  della  Regione».
Con successiva nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il
Ragioniere Generale rappresentava che  «il  gettito  IRPEF  regionale
[...]  registra  una  crescita,   nell'arco   temporale   considerato
[1991-2003],  pari  all'1,9%,  avallando,  pertanto,  la  tesi  della
Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a  quello
nazionale». 
    ii) La necessita' di stanziare maggiori risorse per permettere lo
svolgimento delle funzioni  pubbliche  attribuite  alla  Sardegna  e'
stata poi riconosciuta dal legislatore statale, che, con la legge  n.
296 del 2006, ha novellato l'art. 8 dello Statuto  sardo,  aumentando
le  entrate  erariali  compartecipate  e  innalzando  la   quota   di
compartecipazione fissa al gettito. 
    iii) Il novellato  regime  delle  entrate  regionali,  pero',  e'
rimasto ineseguito da parte dello Stato per diversi anni,  tanto  che
codesta Ecc.ma Corte, nella sent. n. 95 del 2013, ha riconosciuto che
l'inerzia dello Stato nel dare  esecuzione  alle  previsioni  di  cui
all'art. 8 dello Statuto speciale aveva generato una vera  «emergenza
finanziaria». 
    iv) Nella stessa sent. n. 95 del 2013 si e' ricordato che  «negli
anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove  previsioni
hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese,  con  la
conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del  periodo  transitorio
(2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto pubblico locale
e alla continuita' territoriale sono venuti a  gravare  sul  bilancio
della Regione Sardegna», mentre «sul fronte delle  entrate  [...]  lo
Stato non ha trasferito alla Regione le risorse  corrispondenti  alle
maggiori compartecipazioni al gettito  dei  tributi  erariali,  cosi'
come previsto dall'art. 8 dello statuto». 
    v) La Corte dei conti, Sez. controllo per  la  Regione  Sardegna,
nel giudizio di parificazione del bilancio regionale per  l'esercizio
2010, ha affermato che «la gestione del bilancio regionale  e'  stata
pesantemente condizionata dal quadro di  rigidita'  costituito  dalla
mancata soluzione della vertenza  "entrate"  e  dall'immobilismo  dei
vincoli imposti dal patto di  stabilita',  che  hanno  cristallizzato
l'intero quadro di riferimento finanziario  alle  disponibilita'  del
2005» (anno in cui si sono svolte le interlocuzioni sopra  menzionate
tra Ragioneria Generale  dello  Stato  e  Regione  sull'insufficienza
delle risorse regionali). 
    vi) Ancora in sede di parificazione del bilancio, ma per il  2011
(e stavolta nella Requisitoria del Procuratore  regionale)  la  Corte
dei conti ha rinnovato «l'auspicio, gia' espresso  in  occasione  del
referto sul rendiconto 2010, che le problematiche connesse al  regime
di compartecipazione al gettito dei tributi erariali siano risolte al
piu' presto, ora anche avuto riguardo  al  contenuto  delle  sentenze
della Corte costituzionale intervenute nei mesi scorsi»,  in  quanto,
«fra le fonti di  finanziamento  della  spesa,  il  maggiore  gettito
deriva  dalla  compartecipazione  ai  tributi  erariali,  e  cio'  in
particolare in  seguito  al  venir  meno  dei  trasferimenti  statali
afferenti alla sanita' (art. 1, comma 836, legge  n.  296/2006),  dal
2007  finanziata  totalmente  dalla  Regione,  senza  alcun   apporto
statale». 
    vii) Perdurante la grave «l'inerzia statale» che «troppo a  lungo
ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina  conseguenze
negative sulle finanze regionali»  (sent.  Corte  cost.,  n.  95  del
2013), il legislatore statale ha costantemente imposto alle  Regioni,
tra  cui  la  ricorrente,  contributi  di  finanza  pubblica   sempre
crescenti, gia' ricordati nel precedente  paragrafo  (cfr.  art.  20,
comma 5, del d.l. n. 98 del 2011; art. 15, comma 22; e 16,  comma  3;
del d.l. n. 95 del 2012; art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del  2011;
art. 1, commi 118 e 132, della legge n. 228 del 2012; art.  1,  commi
429, 481, 499 e 526 della legge n. 147 del 2013). 
    viii) Solamente con il  piu'  volte  menzionato  accordo  del  21
luglio 2014 lo Stato ha finalmente riconosciuto alla Regione Sardegna
gli  «spazi»  finanziari  necessari  per  lo  svolgimento  delle  sue
funzioni pubbliche. La violazione delle  clausole  di  quell'accordo,
pero', riporta nuovamente  la  Regione  ricorrente  nella  precedente
condizione, di non poter strutturalmente far fronte  al  costo  delle
funzioni pubbliche che le sono  state  affidate  dalla  Costituzione,
dallo Statuto e dalla legge.  Risulta,  dunque,  evidente  anche  per
questo profilo la violazione degli articoli 7 e 8 dello Statuto sardo
e degli  articoli  117  e  119  Cost.,  che  riconoscono  l'autonomia
finanziaria della Regione. 
    4. - Quanto all'art. 1, comma 711, della legge 30 dicembre  2015,
n. 208. Come si e'  detto  in  narrativa,  il  comma  in  oggetto  si
inserisce tra le disposizioni con cui la legge di stabilita'  per  il
2016 ha riformato il meccanismo del patto di stabilita'  interno  per
gli enti territoriali. 
    4.1. - L'art. 1, comma 709, della legge n. 208 del  2015  dispone
che «ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, gli
enti di cui al comma 1 dell'articolo 9 della legge 24 dicembre  2012,
n. 243» - ossia Regioni, comuni,  province,  citta'  metropolitane  e
Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  -  «concorrono   alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto  delle
disposizioni di cui ai commi da 707 a 734 del presente articolo,  che
costituiscono principi fondamentali di  coordinamento  della  finanza
pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma,  e  119,  secondo
comma, della Costituzione». 
    Ai sensi del successivo comma  710,  «ai  fini  del  concorso  al
contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli enti di cui al  comma
709  devono  conseguire  un  saldo  non  negativo,  in   termini   di
competenza,  tra  le  entrate  finali  e  le   spese   finali,   come
eventualmente modificato ai sensi dei commi 728, 730, 731 e 732». 
    La disposizione prevede pertanto l'abbandono del  meccanismo  che
vincolava gli enti territoriali  a  conseguire  uno  specifico  saldo
finanziario in termini di «competenza mista» come  era  previsto  nel
meccanismo del «patto di  stabilita'»  propriamente  detto  ai  sensi
dell'art. 1, comma 454, della  legge  n.  228  del  2012,  oltre  che
dall'art. 1, comma 415, della legge n. 190 del 2014. Il rispetto  dei
vincoli di finanza pubblica, dunque, e' valutato solo in  termini  di
differenza tra entrate e spese finali in conto competenza. 
    4.2. In questo contesto, l'impugnato comma 711 specifica che  «ai
fini dell'applicazione del comma 710, le entrate finali  sono  quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2,  3,  4  e  5  dello  schema  di  bilancio
previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e  le  spese
finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema
di bilancio. Limitatamente all'anno 2016, nelle entrate e nelle spese
finali in termini di competenza e' considerato il  fondo  pluriennale
vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal
ricorso all'indebitamento». 
    Il fondo pluriennale vincolato, disciplinato dall'art. 3, commi 4
sgg., del d.lgs. n. 118 del 2011, e' lo strumento con cui si consente
alla P.A. di dare attuazione al «principio contabile della competenza
finanziaria». In  particolare,  l'art.  3,  comma  4,  sopra  citato,
prevede che  «le  entrate  e  le  spese  accertate  e  impegnate  non
esigibili nell'esercizio considerato, sono immediatamente  reimputate
all'esercizio in cui sono esigibili» e che  «La  reimputazione  degli
impegni e'  effettuata  incrementando,  di  pari  importo,  il  fondo
pluriennale di spesa,  al  fine  di  consentire,  nell'entrata  degli
esercizi successivi, l'iscrizione del fondo pluriennale  vincolato  a
copertura delle spese reimputate». 
    Le spese oggetto del fondo, dunque,  sono  gia'  state  impegnate
sull'esercizio in corso o su esercizi precedenti, sicche' esse  hanno
gia' trovato copertura nell'esercizio di riferimento.  Per  converso,
le risorse del fondo pluriennale vincolato di  entrata  sono  risorse
che sono state accantonate  per  coprire  spese  che  giungeranno  ad
essere liquidate in un esercizio successivo. La rilevanza  del  fondo
pluriennale  vincolato  tra  gli  aggregati  utili  ai   fini   della
determinazione del saldo finale di competenza e' intesa  (specie  per
le spese in conto capitale, ma, in ogni caso, per  ogni  progetto  di
spesa pluriennale), a «neutralizzare»  la  differenza  temporale  tra
l'acquisizione delle risorse in entrata e l'impiego delle risorse  in
uscita. In questo senso il fondo pluriennale  vincolato  consente  di
conciliare il principio costituzionale della certezza della copertura
finanziaria  degli  impegni  pluriennali  e  il  principio  contabile
dell'ascrizione  della   spesa   al   momento   del   suo   effettivo
perfezionamento, garantendo la veridicita' della scrittura contabile. 
    4.3. - Dall'esercizio 2017, pero', ai sensi  del  comma  711,  ai
fini degli equilibri di finanza pubblica, gli enti  territoriali  non
potranno piu' considerare tra le  entrate  il  saldo  tra  il  «fondo
pluriennale vincolato di entrata» e il «fondo  pluriennale  vincolato
di spesa». Ne consegue che ciascun ente  (ivi  comprese  le  Regioni)
dovra' trovare copertura con risorse nuove di competenza  alle  spese
reimputate sul medesimo esercizio, non potendo utilizzare le  risorse
accantonate nel fondo pluriermale vincolato. 
    Tale   circostanza   comporta    una    rilevante    compressione
dell'autonomia   finanziaria   degli   enti   territoriali,   perche'
irrigidisce le  condizioni  alle  quali  le  Regioni  possono  essere
considerate con i «saldi in equilibrio», ai sensi del comma 709 sopra
indicato. Tale irrigidimento, pero', e'  del  tutto  irragionevole  e
ingiustificato. 
    In primo luogo si deve osservare che l'inclusione nel  saldo  del
fondo  pluriennale  vincolato  per  il  solo  esercizio   2016   crea
un'evidente difficolta' nella costruzione del bilancio finanziario su
base triennale come imposto dal comma 712 della legge  di  stabilita'
2016, che impone di allegare al bilancio di previsione  un  prospetto
contenente le previsioni di competenza triennali rilevanti in sede di
rendiconto ai fini della verifica del rispetto del  saldo  finale  di
competenza. La triennalita' del bilancio e l'esclusione del saldo del
fondo pluriennale vincolato per gli  anni  a  partire  dal  2017  e',
dunque, gia'  un  primo  elemento  sintomatico  dell'irragionevolezza
della misura. 
    In secondo luogo, si deve osservare che disporre la rilevanza del
fondo pluriennale vincolato, sia  per  quanto  concerne  le  voci  di
entrata che le voci di spesa, per il solo anno 2016 comporta che: 
        le  poste  residue  del   fondo   pluriennale   che   saranno
effettivamente riscosse negli anni dal 2017  in  avanti  non  saranno
considerate al fine dell'equilibrio dei saldi; 
        per converso, le poste  residue  del  fondo  pluriennale  che
saranno effettivamente impiegate in  uscita  saranno  considerate  al
fine  dell'equilibrio  dei  saldi  (cfr.  E.  Civetta,  La  legge  di
stabilita' 2016, Roma, Maggioli, 2016, 65: «la  parte  non  esigibile
nel  2016  costituira'   fondo   pluriennale   vincolato   in   spesa
dell'esercizio 2016 e in entrata dell'esercizio 2017  e  quindi,  nel
2017, l'operazione tornera' a essere penalizzante in quanto, ai  fini
del nuovo "pareggio di  bilancio",  nel  2017  non  si  terra'  conto
dell'entrata ma solo della spesa»). 
    Ne consegue che le  poste  in  uscita  che  saranno  impiegate  a
partire  dal  2017  dovranno  sostanzialmente  essere  ri-finanziate,
nonostante che le risorse in entrata per il loro finanziamento  siano
state gia' individuate e contabilizzate  per  il  tramite  del  fondo
pluriennale vincolato. 
    4.4. - Per tale ragione il comma 711, nella parte in  cui  limita
al solo anno 2016 la rilevanza del saldo  del  fondo  pluriennale  di
entrata e di spesa, risulta irragionevole e violativo degli  articoli
3, 81, 117 e 119 Cost. e 7 e 8 dello Statuto della  Regione  Autonoma
della Sardegna. 
    Tale  disposizione,  infatti,  nella  parte  impugnata,  sortisce
l'irragionevole effetto di richiedere agli enti territoriali, tra cui
la Sardegna, di stanziare ulteriori risorse  per  spese  che  trovano
gia' la loro copertura nel fondo pluriennale vincolato,  determinando
un  irragionevole  sacrificio  della  loro   autonomia   finanziaria,
protetta dagli articoli 7 e  8  dello  Statuto  e  117  e  118  della
Costituzione. 
    Si aggiunga che la mancata considerazione  del  saldo  del  fondo
pluriennale di spesa, impedendo  l'effetto  di  neutralizzazione  tra
entrate e spese che  si  compensano,  ma  che  intervengono  in  anni
diversi, comporta anche la violazione del  principio  di  veridicita'
dei bilanci pubblici, di cui all'art. 81 Cost. In  particolare,  dato
che non si verifica l'effetto di «neutralizzazione» temporale cui  e'
preordinato il fondo pluriennale vincolato  secondo  le  prescrizioni
del d.lgs. n. 118 del 2011, gli enti territoriali vincolati dal comma
711  si  troveranno  ad  aver  accumulato  poste   in   entrata   non
utilizzabili  e,  per  converso,  a  doverne  stanziare  di  nuove  a
copertura di spese gia' finanziate. 
    La violazione del principio di veridicita' del bilancio,  dunque,
si  accompagna  alla  gia'  segnalata  compressione  degli  spazi  di
autonomia finanziaria della Regione ricorrente, con cio' violando  le
disposizioni costituzionali e statutarie che  proteggono  l'autonomia
economico finanziaria della  Regione  Sardegna  (art.  7  e  8  dello
Statuto e 117 e 119 Cost.). 
    L'art. 117 Cost., risulta violato anche  per  un  altro  profilo:
dato che il comma in esame determina una compressione  dell'autonomia
economico-finanziaria degli enti territoriali ingiustificata ai sensi
dell'art. 81 Cost., l'imposizione di tale vincolo nei confronti delle
Regioni  costituisce  un  esercizio  illegittimo   della   competenza
legislativa concorrente in materia di  «coordinamento  della  finanza
pubblica» ex art. 117, comma 3, Cost. Il legislatore  statale,  nella
sostanza, non ha fissato un principio  di  contenimento  della  spesa
collegato all'attuazione dell'art. 81 Cost., bensi' ha determinato un
vincolo sugli «spazi» economico-finanziari delle  Regioni  specifico,
arbitrario  e  illimitato  nel  tempo.  Una  tale   previsione,   per
consolidata  giurisprudenza  costituzionale,  costituisce  «norma  di
dettaglio» nella materia  di  competenza  concorrente  «coordinamento
della finanza pubblica», circostanza che dimostra che il  legislatore
statale ha  esorbitato  dall'ambito  competenziale  (circoscritto  ai
"principi della materia)  riconosciutogli  dall'art.  117,  comma  3,
Cost.