Ricorso nell'interesse  della  Regione  Puglia,  in  persona  del
Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Michele Emiliano,
a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta  regionale  n.  153
del 23 febbraio 2016, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marcello
Cecchetti  (pec:  marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it)  ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma,
Piazza Barberini n. 12, come da mandato a margine del presente atto; 
    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 108 e 110, della legge 28  dicembre
2015, n. 208 [Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)], pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale, serie generale, 30 dicembre  2015,  n.  302,  per
violazione degli articoli 3, primo e secondo comma, 11,  117,  primo,
terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119, primo e quarto  comma,
della Costituzione. 
    I. - In relazione al comma 108 
    I.1. - Premessa 
    L'art. 1 della legge n. 208 del 2015, nei  commi  da  98  a  107,
istituisce e disciplina un credito di imposta in favore delle imprese
che «effettuano l'acquisizione di beni strumentali nuovi» (comma 98).
Il successivo comma 108 disciplina invece le modalita'  di  copertura
della relativa spesa. Tale disposizione, al riguardo, stima gli oneri
derivanti dai commi da 98 a 107 «in 617 milioni di euro per  ciascuno
degli anni 2016, 2017, 2018 e 2019», e prevede  che  ai  medesimi  si
faccia fronte «per 250 milioni  di  euro  annui,  relativamente  alle
agevolazioni concesse alle piccole e medie imprese,  a  valere  sulle
risorse europee e di cofinanziamento nazionale previste nel programma
operativo  nazionale  "Imprese  e  Competitivita'  2014/2020"  e  nei
programmi operativi relativi al Fondo europeo di  sviluppo  regionale
(FESR) 2014/2020 delle regioni in cui  si  applica  l'incentivo».  La
medesima disposizione  prevede  inoltre,  conseguentemente,  che  «le
amministrazioni  titolari  dei  predetti  programmi   comunicano   al
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -   Dipartimento   della
Ragioneria generale dello Stato gli  importi,  europei  e  nazionali,
riconosciuti a titolo di credito d'imposta  dall'Unione  europea,  da
versare all'entrata del bilancio dello Stato». 
    Infine, il comma 108 dell'art. 1 della legge  n.  208  del  2015,
negli ultimi due periodi, dispone quanto  segue:  «Nelle  more  della
conclusione  della  procedura  finalizzata  all'individuazione  delle
risorse, alla regolazione contabile delle compensazioni esercitate ai
sensi del presente comma si provvede mediante anticipazioni a  carico
delle disponibilita' del Fondo di rotazione di cui all'art.  5  della
legge 16 aprile 1987, n. 183. 
    Le risorse cosi' anticipate vengono reintegrate al Fondo, per  la
parte relativa all'Unione europea, a valere sui successivi  accrediti
delle corrispondenti risorse dell'Unione europea in favore dei citati
programmi operativi e, per la parte di cofinanziamento  nazionale,  a
valere  sulle  corrispondenti  quote  di  cofinanziamento   nazionale
riconosciute a seguito delle predette rendicontazioni di spesa». 
    Con il presente atto la Regione Puglia intende impugnare l'ultimo
periodo del citato comma 108, in ragione - come si dira'  a  breve  -
dei  suoi  effetti  sostanzialmente  retroattivi,  i  quali  incidono
negativamente sull'autonomia regionale  costituzionalmente  garantita
sotto due distinti profili: 
        quello  del  principio   del   legittimo   affidamento,   con
conseguente violazione dell'art.  3  primo  comma,  Costituzione  (ma
anche degli articoli 11 e 117, primo comma,  Costituzione,  dato  che
tale principio e' fatto proprio  da  una  consolidata  giurisprudenza
comunitaria), violazione che ridonda - per i motivi che  piu'  avanti
si esporranno - nella sicura lesione delle sfere di autonomia che gli
articoli 119, primo comma, 118, primo comma, e 117,  terzo  e  quarto
comma, Costituzione  riconoscono  alla  Regione  (cfr.,  infra,  par.
I.2.); 
        quello dell'autonomia finanziaria regionale, dal quale deriva
la violazione dell'art. 119,  primo  e  quarto  comma,  Costituzione,
nonche' - per le ragioni che si  esplicheranno  in  seguito  -  anche
degli articoli  3,  primo  e  secondo  comma,  e  97,  secondo  comma
Costituzione (cfr., infra, par. I.3). 
    I.2 -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  108,
ultimo periodo, della legge n. 208 del  2015,  per  violazione  degli
articoli 3, primo comma, 11, 117, primo comma,  Costituzione,  e  del
principio del legittimo affidamento, dalla quale discende altresi' la
sicura  compressione   dell'autonomia   finanziaria   della   Regione
riconosciuta  dall'art.  119,  primo  comma,  Costituzione,   nonche'
dell'autonomia amministrativa della Regione garantita dall'art.  118,
primo comma,  Costituzione,  in  materie  di  competenza  legislativa
concorrente e residuale regionale ex art. 117, terzo e quarto  comma,
Costituzione. 
    Il comma 108 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 prevede  due
differenti meccanismi di  finanziamento  dei  nuovi  oneri  derivanti
dalle previsioni contenute nei precedenti commi da 98 a 107. Il primo
di tali meccanismi e' imperniato sulla destinazione a tal fine  delle
«risorse  europee  e  di  cofinanziamento  nazionale   previste   nel
programma operativo nazionale "Imprese e Competitivita' 2014/2020"  e
nei  programmi  operativi  relativi  al  Fondo  europeo  di  sviluppo
regionale  (FESR)  2014/2010  delle  regioni  in   cui   si   applica
l'incentivo; in particolare, le risorse da reperire  ad  opera  delle
amministrazioni titolari dei predetti programmi  dovranno  consistere
negli «importi, europei e nazionali, riconosciuti a titolo di credito
d'imposta dall'Unione europea, da versare  all'entrata  del  bilancio
dello Stato». Il secondo meccanismo, invece, da utilizzare nelle more
dell'individuazione delle risorse secondo le modalita' stabilite  dal
primo, prevede anticipazioni a gravare sul fondo di rotazione per  le
politiche comunitarie di cui all'art. 5 della legge 16  aprile  1987,
n. 183, con il successivo reintegro  delle  stesse,  a  garantire  il
carattere rotativo del fondo,  «a  valere  sui  successivi  accrediti
delle corrispondenti risorse dell'Unione europea in favore dei citati
programmi operativi e, per la parte di cofinanziamento  nazionale,  a
valere  sulle  corrispondenti  quote  di  cofinanziamento   nazionale
riconosciute a seguito delle predette rendicontazioni di spesa». 
    Tale ultima disposizione, dunque,  prevede  lo  storno,  al  fine
sopra indicato, degli accrediti che seguono la rendicontazione  delle
spese gia' sostenute  dalle  Regioni  titolari  dei  Programmi  sopra
menzionati. E cio' sia con riferimento alle somme che dovranno essere
erogate dall'Unione europea a beneficio dello Stato e destinate  alle
predette Regioni, sia con riferimento alla quota  di  cofinanziamento
statale dei medesimi Programmi. 
    Pare opportuno precisare, al riguardo, che i rimborsi  comunitari
e statali inerenti i Programmi  di  spesa  avvengono  successivamente
alla effettuazione della spesa da parte  della  Regione,  in  base  a
singoli  progetti  che  prevedono  la  realizzazione   di   specifici
interventi da parte  di  quest'ultima  a  fronte  del  diritto  della
medesima, a seguito della rendicontazione delle spese  effettuate,  a
percepire il rimborso sia a valere sui  fondi  trasferiti,  con  tale
specifica finalita', dall'UE allo Stato, sia su quelli  appositamente
predisposti da quest'ultimo a titolo di cofinanziamento dei Programmi
europei. 
    Da  quanto  appena  esposto  si  evince  con  chiarezza  che   la
disposizione che qui si contesta incide  profondamente,  con  effetti
sostanzialmente retroattivi, su un quadro giuridico  consolidato  che
regola rapporti  gia'  in  essere,  e  sul  quale le  amministrazioni
regionali coinvolte avevano legittimamente fatto affidamento. Proprio
questo e' il profilo di criticita' piu' significativo della norma  in
esame, poiche', come e' noto,  questa  Ecc.ma  Corte  ha  piu'  volte
affermato «che  in  materia  non  penale  la  legittimita'  di  leggi
retroattive  e'  condizionata  dal   rispetto   di   altri   principi
costituzionali  e,  in  particolare,  di  quello  della  tutela   del
ragionevole, e quindi legittimo, affidamento (ex  plurimis,  sentenze
n. 446 del 2002 e n. 234 del 2007)» (sent. n. 364 del  2007,  par.  4
del Considerato in diritto). 
    La  violazione  del  principio  del  legittimo   affidamento   si
verifica, in particolare,  in  danno  dell'Amministrazione  regionale
odierna ricorrente con riferimento  alla  concessione  gia'  statuita
delle risorse finanziarie comunitarie e statali di cui  al  Programma
Operativo Puglia 2014-2020 approvato con Decisione della  Commissione
Europea (Decisione C (2015) 5854 del 13 agosto 2015). 
    La gravita' e definitivita' del pregiudizio, e la  corrispondente
lesione  del  legittimo  affidamento,  basterebbero   da   sole   per
evidenziare la irragionevolezza della  previsione  qui  contestata  e
dunque  la  conseguente  violazione   dell'art.   3,   primo   comma,
Costituzione. A cio' si aggiunga che  a  fondare  la  violazione  del
principio del legittimo affidamento e' l'alto grado di  meritevolezza
del  medesimo  e  l'insussistenza  di  cause  che  ne  escludano   la
legittimita', posto che esso dipendeva da precedenti  atti  normativi
dei  pubblici  poteri,  interni  ed  europei,  pienamente  validi  ed
efficaci. 
    Lo storno delle risorse destinate ai rimborsi di spese  attuative
di interventi ricadenti nell'ambito di Programmi Operativi  approvati
in favore delle finalita' di cui all'art.  1,  commi  da  98  a  107,
determina inoltre la violazione degli articoli 11 e 117, primo comma,
Costituzione, poiche', come e' risaputo, il principio  del  legittimo
affidamento e' da molto tempo riconosciuto dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia UE quale principio di fondamentale importanza  del
diritto dell'Unione europea: la sua violazione, dunque, ridonda nella
lesione dei parametri costituzionali sopra dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia. Del resto, vertendosi nell'ambito di una  materia
certamente coinvolta dal processo di integrazione europea,  non  puo'
non  prendersi  in  considerazione  lo  statuto  giuridico   che   la
giurisprudenza della Corte di giustizia UE ha, nel corso degli  anni,
delineato ai fini dello scrutinio di  legittimita'  degli  interventi
caratterizzati da profili di retroattivita'. 
    Al riguardo, giova il rilievo secondo il  quale  la  disposizione
qui in discussione non rispetta  alcuna  delle  due  condizioni  che,
secondo la Corte di giustizia,  devono  ricorrere  affinche'  possano
porsi  norme  con  caratteri  di   retroattivita',   ossia:   a)   la
«necessarieta'»  di  tali  caratteri  ai   fini   del   perseguimento
dell'interesse pubblico in questione  (ad  es.  sentt.  30.9.1982  in
C-108/81, 19.5.1982 in  C-84/81);  b)  il  rispetto  dell'affidamento
degli interessati (sent. 14.7.1983 in C-224/82) ove sia meritevole di
tutela (sent. Fedesa  in  C-331/88),  lesi  dalla  «imprevedibilita'»
della modifica normativa (sent. Gerkesen in C-459/02). 
    Quanto  al  requisito  sub  a),  e'  agevole   notare   come   la
configurazione della misura in esame come retroattiva non sia affatto
l'unico modo possibile per raggiungere il fine che la norma impugnata
si propone,  dal  momento  che  sarebbe  stato  senz'altro  possibile
reperire altre forme di finanziamento delle  misure  incentivanti  de
quibus. 
    Quanto al requisito sub  b),  e'  sufficiente,  in  questa  sede,
riferirsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE piu'  sopra
richiamata. In essa, ad esempio, si evidenzia con assoluta  chiarezza
la possibilita' di far valere il principio della tutela del legittimo
affidamento «nei confronti di una regolamentazione» nel caso  in  cui
«i pubblici poteri hanno essi stessi precedentemente determinato  una
situazione tale da ingenerare un legittimo affidamento» (si veda,  in
tal senso, la sent. Gerkesen  in  C-459/02,  che  richiama  anche  la
sentenza 15 gennaio 2002, in C-179/00, Weidacher, Racc.  pag.  I-501,
punto 31). O ancora, rileva sul punto quanto evidenziato dalla  sent.
14.7.1983  in  C-224/82,  secondo  la  quale  deve  essere   tutelato
l'affidamento  dei  soggetti  che   «non   potevano   ragionevolmente
presumere» un cambio di regolamentazione. Ebbene, non vi e'  chi  non
veda come ambedue i caratteri ricorrano nel presente caso, posto  che
- ovviamente - l'affidamento e' stato ingenerato da atti dei pubblici
poteri perfettamente validi e vigenti. 
    In base alle precedenti considerazioni, devono  dunque  ritenersi
violati i seguenti parametri costituzionali: 
        l'art. 3, primo comma, Costituzione, e il connesso  principio
di  ragionevolezza,  al  quale   la   giurisprudenza   costituzionale
consolidata  riferisce  il  principio  della  tutela  del   legittimo
affidamento (tra le altre, ad es., cfr. Corte costituzionale,  sentt.
nn. 416 del 1999, 446 del 2002, 234, 314 e 346 del 2007); 
        gli articoli 11 e 117, primo  comma,  Costituzione,  poiche',
come si e' gia' documentato, i principi di certezza giuridica  e  del
legittimo affidamento sono sanciti in modo chiaro e rigoroso  da  una
cospicua giurisprudenza della Corte di giustizia UE; dal che consegue
che una norma che viola il  principio  del  legittimo  affidamento  -
tanto piu' in un ambito certamente ricompreso nelle  materie  su  cui
esiste una competenza europea - viola anche le  norme  costituzionali
che fondano il rispetto, da parte della legislazione dello Stato, del
diritto dell'UE: in sintesi, il principio della tutela del  legittimo
affidamento  assume,  nella  presente   questione   di   legittimita'
costituzionale, la veste  di  norma  interposta,  in  relazione  agli
articoli 11 e 117, primo comma, Cost, rispetto al comma  108,  ultimo
periodo, dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. 
    Le   violazioni   appena   evidenziate,    peraltro,    ridondano
palesemente, in modo evidentemente negativo, sul  concreto  esercizio
dell'autonomia  finanziaria  e  di  bilancio  della  Regione  di  cui
all'art. 119 Costituzione poiche' - a seguito dell'entrata in  vigore
della disposizione che qui  si  contesta,  e  del  venir  meno  delle
risorse che lo Stato aveva gia' destinato ai programmi in questione -
quest'ultima si trova  vincolata  a  procedere  a  una  significativa
modifica del proprio bilancio, sia con riferimento alle  entrate  che
con riferimento alle  spese.  D'altra  parte,  in  conseguenza  della
necessita' di  riprogrammare  la  propria  spesa  in  relazione  alle
attivita' e agli  interventi  ricompresi  nei  citati  programmi,  la
Regione vede compressa anche  la  propria  autonomia  amministrativa,
tutelata dall'art. 118, primo comma, Costituzione,  che  in  base  al
quadro normativo previgente era destinata  ad  esplicarsi  in  ambiti
materiali   (quelli   connessi   agli   interventi   compresi   nella
programmazione di utilizzo dei  fondi  erogati  dall'Unione  europea)
affidati alla sua potesta' legislativa concorrente  e  residuale,  ai
sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, Costituzione. 
    I.3. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  108,
ultimo  periodo,  della  legge  n.  208  del  2015,  per   violazione
dell'autonomia finanziaria della regione riconosciuta dall'art.  119,
primo e quarto comma, Costituzione. 
    Violazione dell'art. 3, primo e secondo comma,  e  dell'art.  97,
secondo comma, Costituzione. 
    Il quadro normativo di cui si e' dato  conto  piu'  sopra  (parr.
I.1. e I.2), con la sua sostanziale retroattivita',  determina  anche
la  violazione  diretta   (e   non   solo   la   lesione   indiretta)
dell'autonomia finanziaria regionale garantita dell'art.  119,  primo
comma, Costituzione, nonche'  del  principio  di  corrispondenza  tra
risorse e  funzioni  amministrative  sancito  dall'art.  119,  quarto
comma, Costituzione. 
    La Regione, infatti, sulla base della  previsione  normativa  che
qui si contesta, si trovera'  costretta  ad  anticipare  nel  proprio
bilancio ingenti somme per la realizzazione di  interventi  ricadenti
nell'ambito del POR Puglia 2014-2020 senza poter fare affidamento sul
legittimo rimborso che dovrebbe pervenire dallo Stato  e  dall'Unione
europea. In assenza di tali rimborsi, dunque, la Regione si  trovera'
a carico del proprio bilancio  spese  regolarmente  rendicontate  dai
beneficiari cui dovra' necessariamente far  fronte  con  risorse  del
bilancio autonomo, se disponibili, altrimenti andando incontro a  una
situazione di criticita' finanziaria in alcun modo risanabile. 
    La necessita' di ricorrere al bilancio autonomo tra  l'altro,  in
un contesto di significativa contrazione delle risorse a disposizione
(si vedano gli ulteriori ingenti tagli ai bilanci regionali  previsti
dalla   medesima   legge   di   stabilita'   2016   come   contributo
all'equilibrio  della  finanza  pubblica),  determina   il   concreto
pericolo di compromettere la capacita' della Regione di  garantire  i
livelli minimi di servizi essenziali a cittadini e famiglie disagiate
previsti dalla Costituzione. A cio'  si  aggiunga  la  considerazione
secondo cui una insufficiente  capacita'  di  ricorrere  al  bilancio
autonomo per sopperire ai mancati  rimborsi  comunitari  e  nazionali
provocherebbe rallentamenti nella capacita' di  spesa della  Regione,
con conseguente elevato rischio di  non  riuscire  a  conseguire  gli
obiettivi annuali di  spesa  previsti  dal  Programma,  e  di  essere
sottoposti  a  perdita  delle  risorse  programmate,  come  stabilito
dall'art. 136 del Regolamento UE n. 1303/2013. 
    Cio' conduce a ritenere direttamente violato dal censurato  comma
108, ultimo periodo, dell'art. 1 della legge n. 208  del  2015  anche
l'art. 119, primo comma, Costituzione, e il  principio  di  autonomia
finanziaria, sub  specie  della  spesa,  poiche'  per  effetto  della
previsione che qui si contesta la Regione  non  potra'  autonomamente
determinarsi per le proprie future spese in  ragione  di  un  importo
corrispettivo,  dovendo  far  fronte  alle   spese   per   interventi
rientranti nell'ambito del Programma Operativo 2014-2020. 
    A cio' si aggiunga, infine, che la previsione di  cui  all'ultimo
periodo del comma 108 dell'art. 1, legge n. 208  del  2015,  presenta
profili di  ulteriore  possibile  contrasto  con  i  parametri  sopra
evocati nella parte in cui specificamente  prevede  che  «le  risorse
cosi' anticipate vengono reintegrate al Fondo (...) per la  parte  di
cofinanziamento nazionale, a valere  sulle  corrispondenti  quote  di
cofinanziamento  nazionale  riconosciute  a  seguito  delle  predette
rendicontazioni di spesa». Ove, infatti, nell'ambito della  quota  di
cofinanziamento nazionale si ritenesse di dover includere,  oltre  la
quota statale, anche la quota regionale, la «anticipazione» a  carico
della Regione risulterebbe ancora  piu'  ingente  nel  suo  ammontare
richiedendo ulteriore  apporto  di  risorse  a  valere  sul  bilancio
autonomo. 
    In altre parole, anche se l'art. 1, comma 108, della legge n. 208
del 2015 non  impone  vincoli  formali  all'esercizio  dell'autonomia
finanziaria  regionale,  e'  chiaro  che  la   condiziona   in   modo
estremamente vistoso da un punto di  vista  sostanziale.  Le  risorse
finanziarie da utilizzare per far  fronte  alle  spese  per  progetti
comunitari, necessarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti
a livello europeo, dovranno essere reperite in  sacrificio  di  altre
destinazioni ove presenti,  con  conseguente  forte  riduzione  della
possibilita',   per   l'autonomia   regionale,   di   stabilire    la
finalizzazione delle proprie spese, se non addirittura con  l'effetto
di produrre insanabili criticita' finanziarie. 
    Da quanto fin qui  evidenziato,  peraltro,  scaturisce  anche  la
palmare violazione dell'autonomia finanziaria, e in  particolare  del
principio di corrispondenza tra  risorse  e  funzioni  amministrative
sancito dall'art. 119,  quarto  comma,  Costituzione,  nonche'  degli
articoli 3, primo e secondo comma, e 97, primo comma, Costituzione. 
    Tale conclusione si  raggiunge  agevolmente  prendendo  le  mosse
dalla giunsprudenza costituzionale, in particolare  richiamando,  tra
le altre, la recente sent. n. 10 del 2016. 
    Tale decisione, infatti  -  con  un  ragionamento  specificamente
dedicato alle Province, ma senz'altro estendibile  anche  agli  altri
enti  autonomi  territoriali  -  ha  chiaramente  affermato  che  una
significativa «riduzione delle risorse  necessarie  per  le  funzioni
conferite  (...)  si  riverbera  sull'autonomia  di  queste   ultime,
entrando in contrasto» con gli articoli 117 e 119  «nella  misura  in
cui non consente di  finanziare  adeguatamente  le  funzioni  stesse»
(sent. n. 10 del 2016). 
    La decisione da ultimo menzionata, peraltro, chiarisce al di  la'
di ogni possibile dubbio come la forte riduzione  delle  risorse  del
bilancio destinate all'esercizio delle funzioni amministrative che la
legge assegna all'ente territoriale non puo' che determinare anche la
violazione dell'art. 3, primo e secondo comma, e dell'art. 97,  primo
comma, Costituzione. 
    Le accennate riduzioni, infatti, arrecano innanzi tutto un vulnus
al principio di programmazione  e  di  proporzionalita'  tra  risorse
assegnate e funzioni esercitate, il cui rispetto  e'  essenziale  per
garantire  il  buon  andamento  dell'azione  amministrativa  di   cui
all'art. 97, secondo comma, Costituzione Secondo la sent. n.  10  del
2016,  infatti,  in  casi   similari   «la   lesione   dell'autonomia
finanziaria  si   riflette   inevitabilmente   sul   buon   andamento
dell'azione amministrativa in quanto la diminuzione delle risorse  in
cosi' elevata percentuale, "in assenza di  correlate  misure  che  ne
possano giustificare il dimensionamento  attraverso  il  recupero  di
efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni  a  suo  tempo
conferite" (sentenza n. 188 del 2015),  costituisce  una  menomazione
della  autonomia  stessa,  che  comporta  contestualmente  un   grave
pregiudizio  all'assolvimento  delle   funzioni   attribuite»   dalla
legislazione vigente.  Da  qui,  dunque,  l'inevitabile  lesione  del
principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art.  97,
primo comma, Costituzione. 
    Quanto  all'art.  3,  primo  comma,  Costituzione,  deve   essere
evidenziato come la sua lesione, per effetto  della  riduzione  delle
risorse operata dalla previsione legislativa che qui si contesta,  si
verifica in quanto  essa,  ove  «non  corredata  da  adeguate  misure
compensative, e' (...)  in  grado  di  determinare  un  grave  vulnus
all'espletamento da parte delle Province delle funzioni espressamente
conferite dalla legge regionale».  Ebbene,  questa  Ecc.ma  Corte  ha
chiaramente evidenziato in piu' di una occasione come norme  similari
non siano in grado di  superare  il  test  di  proporzionalita',  che
«richiede di valutare se la norma  oggetto  di  scrutinio  [...]  sia
necessaria e idonea  al  conseguimento  di  obiettivi  legittimamente
perseguiti [e se] stabilisca oneri  non  sproporzionati  rispetto  al
perseguimento di detti obiettivi» (cosi', ancora, la citata sent.  n.
10 del 2016, che richiama le sentt. nn. 1 del 2014 e 272  del  2015).
In tal caso appare non superata la terza «tappa» del predetto test di
proporzionalita', ossia il c.d. «test di  proporzionalita'  in  senso
stretto», in ragione  dell'eccessivo  peso  degli  oneri  imposti  ad
interessi concorrenti rispetto a quelli perseguiti  dalla  misura  de
qua.  La  giurisprudenza  di  questa  Ecc.ma  Corte,  del  resto,  ha
chiaramente affermato la  manifesta  irragionevolezza  di  misure  di
riduzione delle risorse quali quella in oggetto, ove adottate -  come
nel caso di specie - in  «assenza  di  proporzionate  misure  che  ne
possano in qualche modo giustificare il dimensionamento» (sent n.  10
del 2016). 
    Infine,   nella   decisione   da   ultimo   citata    e'    stato
significativamente  chiarito  che  misure   quali   quella   qui   in
discussione hanno altresi'  l'effetto  di  pregiudicare  la  corretta
fruizione dei diritti sociali che dovrebbero  essere  assicurati  per
mezzo dell'esercizio delle funzioni il cui finanziamento di trova  ad
essere  significativamente  ridotto:  cio'   in   palese   violazione
dell'art. 3, secondo comma, Costituzione (cosi', ancora, sent. n.  10
del 2016, parr. 6.3 del Considerato in diritto). 
    II. - In relazione al comma 110 
    II.1. - Premessa 
    L'art. 1, comma 109, della legge n.  208  del  2015  prevede  che
entro il 31 marzo 2016 si provveda, «con le procedure di cui all'art.
4, comma 3, del decreto-legge  28  giugno  2013,  n.  76  (...)  alla
ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione di cui  all'art.  5
della legge 16 aprile 1987, n. 183, gia'  destinate  agli  interventi
del Piano di Azione Coesione (PAC), non  ancora  oggetto  di  impegni
giuridicamente  vincolanti  rispetto  ai  cronoprogrammi  approvati»,
disponendo, inoltre, che a tal fine «le amministrazioni  titolari  di
interventi del PAC, approvati alla data di entrata  in  vigore  della
presente legge», inoltrino «al  sistema  di  monitoraggio  nazionale,
entro il 31 gennaio 2016, i dati relativi alle  risorse  impegnate  e
pagate per ciascuna linea di intervento». 
    A seguito di tali adempimenti, in base al successivo  comma  110,
dovra' essere adottato, entro  il  31  marzo  2016,  un  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e con il Ministro del  lavoro  e  delle
politiche  sociali,  il  quale  avra'  il  compito   di   determinare
«l'ammontare  delle  risorse  disponibili»  in  esito  alla  predetta
ricognizione,  nonche'  di  disporre  «l'utilizzo  delle  stesse  per
l'estensione dell'esonero contributivo di cui ai commi 178 e 179 alle
assunzioni a tempo indeterminato effettuate nell'anno 2017 in  favore
dei datori di lavoro privati, operanti nelle regioni Abruzzo, Molise,
Campania, Basilicata, Sicilia,  Puglia,  Calabria  e  Sardegna,  alle
medesime  condizioni  previste  dai  predetti  commi,   eventualmente
rimodulando la durata temporale e l'entita' dell'esonero  e  comunque
assicurando una maggiorazione della percentuale di decontribuzione  e
del relativo importo massimo per l'assunzione di donne  di  qualsiasi
eta', prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi,
in ragione delle risorse che si renderanno disponibili ai  sensi  del
comma 109». 
    Con il presente ricorso  la  Regione  Puglia  intende  impugnare,
oltre al comma 108 dell'art. 1, legge n. 208 del 2015, anche il comma
110, per violazione degli articoli  11  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in  riferimento  all'art.  33  del  Regolamento  CE  n.
1083/2006, cui consegue la violazione  dell'art.  119,  primo  comma,
nonche' degli articoli 118, primo e secondo comma,  e  117,  terzo  e
quarto  comma,  della  Costituzione:  cio'  per  le  ragioni  che  si
espongono di seguito. 
    II.2. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  110,
della legge n. 208 del 2015, per violazione degli articoli 11 e  117,
primo comma, Costituzione, in riferimento all'art. 33 del Regolamento
CE n. 1083/2006, dalla quale discende la compressione  dell'autonomia
finanziaria della  Regione  garantita  dall'art.  119,  primo  comma,
Costituzione,   nonche'   dell'autonomia   amministrativa   garantita
dall'art. 118, primo e secondo comma,  Costituzione,  in  materie  di
competenza legislativa concorrente e residuale regionale ex art. 117,
terzo e quarto comma, Costituzione. 
    Come si e' avuto modo di vedere, il comma 110 dell'art. 1,  legge
n. 208 del 2015, prevede la destinazione, per mezzo di un d.P.C.M. da
adottare entro il 31 marzo 2016, delle somme del Fondo  di  rotazione
per le politiche comunitarie dell'art. 5 della legge 16 aprile  1987,
n. 183, gia' preordinate alla copertura finanziaria degli  interventi
del Piano di Azione  Coesione  (PAC),  che  non  siano  state  ancora
oggetto di impegni  giuridicamente  vincolanti  agli  incentivi  alle
assunzioni di cui ai successivi commi 178 e  179  dell'art.  1  della
legge n. 208 del 2015. Tale norma determina una  evidente  violazione
degli articoli 11 e  117,  primo  comma,  Costituzione,  per  effetto
dell'altrettanto evidente violazione dell'art. 33 del Regolamento  CE
n. 1083/2006 del Consiglio dell'11 luglio 2006. 
    Piu'  in  particolare,  l'illegittimita'  costituzionale   appena
rilevata consegue alla violazione dell'intesa tra Governo italiano  e
Commissione europea del 7 novembre 2011, con  la  quale  si  e'  dato
avvio, congiuntamente e simultaneamente, alla revisione dei programmi
operativi riferiti ai fondi  strutturali  2007-2013  e  al  Piano  di
Azione Coesione, nonche' dalla conseguente  violazione  dell'art.  33
del Regolamento CE n. 1083/2006 del Consiglio  dell'11  luglio  2006,
che rappresenta la cornice normativa  nella  quale  si  colloca  tale
intesa. La  violazione  di  tali  obblighi  del  diritto  dell'Unione
europea, evidentemente, non puo' infatti  non  determinare  anche  la
violazione degli articoli 11 e 117, primo comma, Costituzione. 
    Non e' necessario spendere molte parole per illustrare il  punto.
Basti osservare, al  riguardo,  che  il  PAC,  lungi  dall'essere  un
programma operativo di spesa rilevante solo per il  diritto  interno,
si inquadra saldamente nel contesto  normativo  della  programmazione
concernente i fondi strutturali europei 2007-2013, ed in  specie  nel
menzionato Regolamento  CE  n.  1083/2006.  Di  tale  atto  normativo
rileva, in particolare, l'art. 33, che disciplina  la  revisione  dei
programmi operativi rinviando ad un «concerto» tra  lo  Stato  membro
interessato e la Commissione. In base a tale  disposizione  e'  stata
stipulata, in data 7 novembre 2011, l'intesa tra Governo  italiano  e
Commissione europea, sottoscritta dal Ministro per i rapporti con  le
Regioni e la coesione territoriale Raffaele Fitto per il primo e  dal
Commissario europeo per la politica regionale Johannes  Hahn  per  la
seconda, con la quale si e'  definita  una  revisione  dei  programmi
cofinanziati dai fondi strutturali europei 2007-2013, al fine di  far
fronte  al  ritardo  che  gravava  sulla  utilizzazione   dei   fondi
strutturali europei 2007-2013. In conseguenza di tale  revisione,  si
e' approvato il Piano  di  Azione  Coesione  presentato  dal  Governo
italiano per la utilizzazione, in conformita' con gli obiettivi sopra
richiamati, delle somme risultanti dalla rimodulazione al ribasso del
cofinanziamento statale. Con l'intesa sottoscritta dal Ministro per i
rapporti con le Regioni e la coesione territoriale Raffaele  Fitto  e
dal Commissario europeo per la politica regionale Johannes Hahn sopra
menzionata, piu' in particolare, si e' stabilita, ai sensi e per  gli
effetti dell'art.  33  sopra  citato,  l'invarianza  della  quota  di
cofinanziamento  europea  dei  Programmi  Operativi  nel  suo  valore
assoluto  pur   a   fronte   della   diminuzione   della   quota   di
cofinanziamento  nazionale,  in  ragione  della  destinazione   delle
risorse cosi' ottenute al Piano di Azione Coesione. 
    In estrema sintesi, e' dunque possibile evidenziare come  il  PAC
derivi da un accordo tra  Governo  italiano  e  Commissione  europea,
stipulato  ai  sensi  dell'art.  33  del  citato  Regolamento  CE  n.
1083/2006,  che   prevede   lo   spostamento   di   una   parte   del
cofinanziamento nazionale al di fuori dai Programmi europei, in  modo
da poter attuare i  progetti  prescindendo  dalle  relative  scadenze
temporali, a  fronte  del  mantenimento,  in  termini  assoluti,  del
livello di cofinanziamento europeo dei medesimi progetti, e dunque di
un suo incremento in termini percentuali. Illustra chiaramente questo
punto il Compendio sulla programmazione e  sull'attuazione  del  PAC,
redatto nel novembre 2014, che raccoglie gli  esiti  di  una  ricerca
realizzata da FORMEZ PA nell'ambito del Progetto «POAT  2012-2015»  -
Ambito 2, Linea 1, a titolarita' della Presidenza del  Consiglio  dei
ministri, Dipartimento della funzione pubblica (reperibile on line al
seguente                        indirizzo                        web:
http://fondistrutturali.formez.it/sites/all/files/compendio_pac_forme
zpa.pdf,): «Con l'introduzione del PAC, in accordo con la Commissione
(ai sensi dell'art. 33 del Regolamento CE n. 1083/2006), i  Programmi
piu' in ritardo vengono  riprogrammati  portando  la  percentuale  di
cofinanziamento  comunitario  ad   una   percentuale   piu'   elevata
dell'originario  50%   (...);   cio'   ha   consentito   di   ridurre
contestualmente la  quota  di  cofinanziamento  nazionale,  liberando
risorse in favore del Piano di Azione Coesione»  (cfr.  pag.  11  del
documento citato). Nello stesso senso, del  resto,  depone  l'accordo
stipulato il 3 novembre 2011 tra il Governo e le Regioni destinatarie
del PAC, nel quale e' possibile leggere  che  «le  rimodulazioni  dei
programmi   potranno   prevedere   la   revisione   del   tasso    di
cofinanziamento comunitario a condizione che  le  risultanti  risorse
nazionali siano vincolate al riutilizzo nel rispetto del principio di
territorialita'», e che «il Ministro per i Rapporti con le Regioni  e
per la Coesione territoriale assicurera' che queste condizioni  siano
condivise  dal  Commissario  europeo  responsabile   della   politica
regionale Hahn e, conseguentemente, poste a base del  Piano  d'azione
che il Governo e il Commissario sottoscriveranno». 
    Che il PAC non  sia  un  mero  «affare  interno»  all'ordinamento
italiano, ma un elemento  essenziale  del  «concerto»  stipulato,  ai
sensi e per gli effetti della rimodulazione dei  Programmi  operativi
di cui all'art. 33 del Regolamento CE n. 1083/2006, d'altra parte, e'
provato inequivocabilmente dal tenore testuale dell'art. 23, comma 4,
della legge n. 183 del 2011, ai sensi del quale le risorse  derivanti
dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei  programmi
dei fondi strutturali 2007/2013 vengono destinate alla  realizzazione
di interventi «concordati tra le Autorita' italiane e la  Commissione
europea  nell'ambito  del  processo   di   revisione   dei   predetti
programmi». 
    Nessun dubbio puo' esservi, dunque, ne' sulla circostanza secondo
la quale anche il PAC, e non  solo  la  rimodulazione  dei  tassi  di
cofinanziamento (nazionale ed europeo) dei Programmi  Operativi,  sia
frutto di una intesa tra Governo italiano e Commissione europea,  ne'
sulla riconducibilita' di tale intesa al «concerto» di  cui  all'art.
33 del Regolamento CE  n.  1083/2006,  che  dunque  rappresenta,  con
altrettanta certezza, la «copertura normativa» dell'intesa  stipulata
in data 7 novembre 2011. 
    Ma se la revisione dei  Programmi  Operativi  e'  consentita,  ai
sensi  del  citato  art.  33  del  Regolamento  europeo,  solo   alle
condizioni individuate di «concerto» tra Stato membro e  Commissione,
risulta del tutto evidente che  tali  condizioni  assumono  carattere
giuridicamente vincolante, in particolare (per quel  che  qui  e'  di
piu' prossimo interesse) per lo Stato  membro  in  questione.  Assume
dunque carattere giuridicamente vincolante per l'ordinamento italiano
la destinazione delle risorse derivanti dalla riduzione  della  quota
di cofinanziamento nazionale alle linee di intervento  del  Piano  di
Azione Coesione. Qualunque atto che disponga in contrario, imprimendo
un'altra destinazione a tali risorse, violerebbe  infatti  la  citata
intesa  del  7  novembre  2011  e,  per  l'effetto,  l'art.  33   del
Regolamento CE n. 1083/2006. 
    Da tali considerazioni, dunque, risulta chiaramente che il  comma
110 dell'art. 1 della legge n. 208  del  2015,  nella  parte  in  cui
prevede che il d.P.C.M. ivi menzionato  «disponga»  l'utilizzo  delle
risorse  gia'  destinate  al  PAC  e  non  oggetto  di   obbligazioni
giuridicamente  vincolanti  a  finalita'  diverse   da   quelle   che
caratterizzano il menzionato PAC,  frutto  dell'accordo  tra  Governo
italiano e Commissione europea ai sensi e per gli  effetti  dell'art.
33 del Regolamento CE n. 1083/2006, contrasta con la norma da  ultimo
richiamata e, in conseguenza di cio', viola gli articoli  11  e  117,
primo comma, Costituzione. 
    Le   violazioni   appena   evidenziate,    peraltro,    ridondano
palesemente, in modo evidentemente negativo, sul  concreto  esercizio
dell'autonomia  finanziaria  e  di  bilancio  della  Regione  di  cui
all'art. 119 Costituzione, poiche' - a seguito dell'entrata in vigore
delle disposizioni che qui si contestano,  e  del  venir  meno  delle
risorse che lo Stato aveva gia' destinato al PAC  -  quest'ultima  si
trova vincolata a procedere ad una significativa modifica del proprio
bilancio, sia con riferimento alle entrate che con  riferimento  alle
spese.  D'altra   parte,   in   conseguenza   della   necessita'   di
riprogrammare la propria spesa in relazione  alle  attivita'  e  agli
interventi ricompresi nel PAC, la  Regione  odierna  ricorrente  vede
compressa  anche  la  propria  autonomia   amministrativa,   tutelata
dall'art. 118, primo comma e secondo comma, Costituzione, che in base
al quadro normativo previgente era destinata ad esplicarsi in  ambiti
materiali   (quelli   connessi   agli   interventi   compresi   nella
programmazione di utilizzo dei  fondi  erogati  dall'Unione  europea)
affidati alla sua potesta' legislativa concorrente  o  residuale,  ai
sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, Costituzione.