LA CORTE D'APPELLO DI MILANO sezione penale per i minorenni In persona dei magistrati: Dott.ssa Bianca La Monica - Presidente est.; Dott.ssa Maria Cristina Canziani - Consigliere; Dott.ssa Flavia Tuia - Consigliere; Dott.ssa Susanna Raimondi - Consigliere onorario; Dott. Fabian Oscar Ottaviano - Consigliere onorario. Ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di V. S. nato a ...), il ..., attualmente ristretto presso IPM Beccaria di Milano. Con istanza depositata in data 22 dicembre 2015 nell'interesse di V. S. e' stato proposto incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 codice di procedura penale avverso l'ordine di esecuzione di pene concorrenti n. SIEP 1189/2015, emesso in data 25 novembre 2015 a carico dello S. dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Milano e notificato in data 4 dicembre 2015. Con tale ordine di esecuzione, il Procuratore Generale, richiamati i provvedimenti di condanna eseguibili a carico dello S. ritenuta la propria competenza risultando emessa in data 5 maggio 2015 dalla Sezione penale per i Minorenni della Corte d'Appello di Milano l'ultima sentenza passata in giudicato, determinava la pena residua da espiare nella misura di anni uno e mesi 11 di reclusione e euro 400 di multa, previa considerazione che i reati di rapina aggravata ex art. 628, comma 3, codice penale di cui alla sentenza 101/2015 di questa Corte erano ostativi alla applicazione della sospensione ex art. 656, 5° e 9° comma, c.p.p. Con il ricorso per incidente di esecuzione, la difesa dell'imputato, dando atto che il Procuratore Generale, in funzione di Ufficio di Esecuzione, aveva respinto con provvedimento notificato il 18 dicembre 2015 la richiesta di disporre, «con decisione favorevolmente orientata», la sospensione dell'ordine di esecuzione, ha sollevato «questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a) codice di procedura penale in quanto in conflitto con gli articoli 27, 3° comma, e 31 della Costituzione, nella parte in cui si riferisce a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne», rilevando come il rigido automatismo dell'esecuzione della pena in presenza di un reato cosiddetto ostativo sia contrario alla ratio che guida l'intera disciplina della giustizia minorile che intende come prioritario l'interesse a promuovere o a rimuovere gli ostacoli ai processi evolutivi dell'imputato minorenne, anziche' sancirne gli esiti negativi, in vista del preminente obiettivo di inserimento nella societa'. La difesa di V. S. ha richiamato le ampie e ripetute indicazioni con le quali la Corte costituzionale ha sottolineato, in riferimento alla normativa penale minorile, che la realizzazione della pretesa punitiva nei confronti dei minori e' subordinata al peculiare interesse-dovere dello Stato al loro recupero (sent. 49/1973), dovendo ritenersi che nei confronti dell'imputato minorenne la funzione (ri)-educativa della pena sia da considerarsi, se non esclusiva, certamente preminente (sent. 168/1992). La finalita' di recupero del minore mediante la sua (ri)-educazione e il suo inserimento sociale deve quindi caratterizzare tutti i momenti e le fasi processuali, connotando anche il trattamento del minore nella fase esecutiva, dovendo escludersi qualsiasi parificazione tra adulti e minori, confliggente con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilita' di trattamento proprie della giustizia minorile (sent. 403/1997), e anche ogni rigido automatismo contrastante con la finalita' di risocializzazione (sent. 109/1997 e n. 403/1997). Riferito e documentato che dal mese di giugno 2015 V. S. era domiciliato presso la residenza materna, gravato da obbligo di presentazione alla P.G.; che si era rivolto in via autonoma (non essendo piu' in carico all'USSM) all'Istituto Il Minotauro di Milano intraprendendo un percorso di psicoterapia a cadenza settimanale; e che stava iniziando lo svolgimento di attivita' socialmente utile presso l'Associazione Campacavallo, il difensore del ricorrente ha evidenziato che l'intrapreso percorso di recupero sociale era stato interrotto dall'inizio della fase esecutiva. Fissata udienza per la data del 2 febbraio 2016, la difesa depositava in data 27 gennaio 2016, a supporto delle argomentazioni svolte nel ricorso, una memoria difensiva nella quale si sottolineava ancora la mancanza di un ordinamento penitenziario specifico per i minori (nonostante la previsione dell'art. 79 Ordinamento penitenziario e nonostante i numerosi richiami della Corte costituzionale al legislatore perche' venisse colmata tale lacuna), richiamando il recente d.d.l. 2798/15, avente tra l'altro ad oggetto «modifiche all'ordinamento penitenziario per l'effettivita' rieducativa della pena», contenente pregnanti indicazioni anche in ordine ai criteri che devono ispirare l'esecuzione della pena nei confronti dei minori. All'odierna udienza camerale svoltasi in presenza dello S., il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, per il cui accoglimento ha argomentato il presente difensore. Questa Corte ritiene la proposta questione di costituzionalita' non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. Il quadro normativo e giurisprudenziale che interessa il caso di specie puo' essere cosi' sintetizzato: l'art. 656 c.p.p., nel testo attualmente in vigore, prevede al comma 5 che il Pubblico Ministero, con decreto notificato al condannato e al difensore, sospenda l'esecuzione della pena detentiva non superiore a tre anni, avvisando il condannato che ha facolta' di presentare entro 30 giorni domanda per ottenere dal Tribunale di sorveglianza alcune misure alternative previste dalla legge 354/1975. Con tale norma il legislatore ha inteso evitare a chi fosse stato condannato a pena inferiore a tre anni l'ingresso in carcere per il tempo necessario ad avanzare l'istanza di misura alternativa alla detenzione e a consentire lo svolgimento del relativo procedimento; il comma 9, lettera a), dello stesso articolo prevede che la sospensione non possa essere disposta a favore dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge 354/1975, e successive modificazioni; l'art. 4-bis della legge 354/1975 e' articolato su piu' «gruppi» o «fasce» di delitti per i quali il legislatore ha, a monte, presunto una specifica pericolosita' sociale dei condannati, tale da porre divieto di concessione dei «benefici» elencati al comma 1 dello stesso articolo; in particolare, per quanto qui interessa, l'art. 4-bis, comma 1-ter, prevede che «...i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purche' non vi siano elementi tali a' far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli...628, terzo comma, c.p....»; secondo la giurisprudenza della Corte di legittimita', il rinvio operato dall'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., all'art. 4-bis della legge 354/75, come negli anni modificata, ha natura di «...rinvio formale (dinamico) e non recettizio (statico), perche' non recepisce materialmente la norma richiamata e i suoi presupposti soggettivi di applicabilita', ma si limita ad affidare alla norma richiamata l'individuazione delle categorie di delitti per i quali non si applica la sospensione delle pene detentive brevi...» (Cass. Sezioni Unite Penali 24561/2006), risultando cosi' evidente l'intento del legislatore di assegnare esclusivo rilievo, ai fini della sospensione, al profilo oggettivo del mero titolo del reato giudicato. Alla stregua del delineato quadro, il divieto di sospensione opera, quindi, semplicemente in presenza dei titoli di reato ostativi elencati nell'art. 4-bis legge n. 354/1975, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni - quali l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata - che, nel contesto della disposizione penitenziaria, consentirebbero la concessione delle misure alternative. Sicche', anche nei casi in cui sia possibile ottenere i benefici penitenziari, il condannato per taluno dei reati di cui all'art. 4-bis legge n. 354/1975 non usufruisce della sospensione dell'esecuzione. Ritiene questa Corte che nei confronti di imputato condannato per reati commessi da minorenne, il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena in caso di reato ostativo presenti profili che fanno dubitare della costituzionalita' dell'art. 656, comma 9, lett. a), nella parte in cui si riferisce anche a titolo esecutivo per reati commessi da minorenne, con riferimento all'art. 27, comma 3, della Costituzione, in relazione all'art. 31, comma 2, della Costituzione secondo cui la Repubblica «protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo», rafforzandosi, con tale considerata esigenza di protezione, il principio contenuto al terzo comma dell'art. 27, per cui la sanzione penale deve costituire occasione per il reinserimento sociale e la risocializzazione del condannato minorenne. Nel processo penale minorile disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 448/1988, si realizza una connessione forte tra le richiamate norme costituzionali, in quanto l'intera normativa del decreto e' attraversata da una tensione ideale verso l'obiettivo che quel processo sia il piu' possibile confacente alle esigenze educative del minore imputato, sicche' espressamente nel decreto si prevede che il processo penale non interrompa processi educativi in atto (art. 19, comma 2), si regolano plurimi interventi finalizzati a non intralciare lo svolgersi di un percorso educativo-evolutivo-relazionale, nel presupposto che l'interruzione potrebbe cagionare pregiudizio a personalita' in via di strutturazione, e si prevedono istituti inquadrabili in un ampio principio di residualita' della detenzione quale paradigma sanzionatorio. Peraltro, anche prima che venisse emanato il decreto del Presidente della Repubblica 448/1988, la Corte costituzionale gia' aveva sottolineato, in numerose decisioni, che il processo penale a carico di imputati minorenni si caratterizza per la specifica funzione di recupero del minore, assunta a «peculiare interesse-dovere dello Stato», anche a scapito della realizzazione della pretesa punitiva, che resta subordinata rispetto al recupero del minore (sent. 49/1973), essendo l'imputato del processo penale minorile un soggetto protetto dalla Costituzione nel suo diritto allo sviluppo. La compiuta realizzazione dei principi sopra richiamati richiede che di essi si tenga conto non solo nella fase di cognizione del processo penale, ma anche in quella esecutiva, attualmente regolata dall'Ordinamento penitenziario degli adulti, non risultando emanata la «apposita legge» prevista dall'art. 79 della legge 354/1975. Proprio con riferimento alla materia della esecuzione della pena, la Corte costituzionale, sul rilievo della particolare finalizzazione del processo penale per i minorenni, ha gia' piu' volte sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti e minori possa confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilita' del trattamento del detenuto minorenne, ribadendo che l'essenziale finalizzazione al recupero deve caratterizzare tutte le fasi del trattamento penale del minore, ivi compresa quella di esecuzione della pena, e che la pura e semplice estensione ai detenuti minorenni della disciplina generale dell'Ordinamento penitenziario disposta in via provvisoria dall'art. 79 della legge contrasti con le esigenze - discendenti dalla considerazione unitaria degli articoli 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione - del recupero e della risocializzazione dei minori devianti, esigenze che comportano la necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto ai detenuti adulti e di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena (Corte Cost. sentenze 125/1992; 109/1997). In questa direzione, possono, in particolare, richiamarsi le sentenze con le quali la Corte costituzionale ha statuito che non debbano esservi preclusioni soggettive all'applicazione delle sanzioni sostitutive per i minorenni (sent. 16/1998); che per i minorenni i benefici dell'ordinamento Penitenziario possono essere concessi sulla pena derivante da conversione di pena sostitutiva (sent. 190/1997); che per i minorenni i permessi premio ex art. 30-ter Ordinamento Penitenziario possono essere concessi senza limiti temporali in caso di reato commesso successivamente al titolo da espiare (sent. 403/1997); che non vale per i minorenni il divieto di benefici penitenziari per tre anni dopo la revoca di altri precedenti (sent. 436/1999). Ulteriore conferma della esigenza di un allineamento delle regole dell'esecuzione da applicarsi nei confronti dei minori ai principi espressi nelle richiamate pronunce della Corte costituzionale si rinviene nel recente ddl 2798/15, approvato dalla Camera dei deputati il 23 settembre 2015. Il predetto decreto, infatti, che si iscrive in una prospettiva di' generale consolidamento delle opportunita' di accesso alle misure ex extracarcerarie e indica, tra i principi e i criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario, l'eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o rendono gravoso, per gli autori di determinate categorie di reati, l'individualizzazione del trattamento rieducativo (art. 31, lettera e), prevede espressamente con riferimento al processo penale minorile «...l'adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative...» dei minori (art. 31, lett. o). Tale indicazione e' poi declinata in numerosi specifici criteri direttivi che hanno riferimento anche alle misure alternative alla detenzione, prevedendo la loro conformita' alle istanze educative del condannato, l'ampliamento dei criteri di accesso e l'eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefici penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell'individualizzazione del trattamento. Considera la Corte che la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena previsto dall'art. 656, comma 5, codice di procedura penale rappresenta il complemento necessario alla previsione delle misure alternative alla detenzione carceraria, perche' evita gli effetti desocializzanti correlati a un passaggio diretto in carcere del condannato che provenga dalla liberta' e che potrebbe avere diritto, previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale di sorveglianza, a misura alternativa. Nel caso di condannato per reato commesso da minorenne, per il quale il sistema di giustizia penale prevede il carcere come risorsa estrema, il meccanismo della sospensione della pena, volto ad evitare un impatto con la struttura carceraria si presenta, quindi inestricabilmente connesso con la finalita' (ri)-educativa della pena. Pertanto, il rigido automatismo che preclude la sospensione - peraltro di per se' privo di apprezzabile significato di «difesa sociale», fondandosi la preclusione solo su presunzione legale generale e astratta di aver riportato una condanna per taluni reati - assume, per il condannato da minorenne, un significato configgente con la richiamata funzione (ri)-educatrice della pena perche' lo conduce, comunque, in carcere, demandandogli l'attivazione del procedimento per l'applicazione di misure alternative, con protrazione nel tempo di quello stato detentivo che, nel processo penale minorile, rappresenta l'ultima opzione praticabile. Alla luce di quanto considerato, appare quindi non manifestamente infondato il prospettato dubbio di costituzionalita', sotto il profilo che il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena possa irrimediabilmente compromettere le specifiche esigenze costituzionali che debbono informare il diritto penale minorile. Il dubbio di costituzionalita' non e' superabile alla stregua dei rilievi svolti dal PG in ordine all'esistenza di istituti, propri del processo penale minorile (quali il perdono giudiziale, l'irrilevanza del fatto, la messa alla prova...), che consentono risoluzioni alternative alla pena detentiva, per l'evidente ragione che l'esistenza di istituti peculiari nell'ambito della fase di' cognizione del processo penale minorile, non esclude la necessita' che anche la fase esecutiva sia disciplinata da regole ispirate all'esigenza costituzionalizzata all'art. 31 della Costituzione, nel suo collegamento con l'art. 27, terzo comma, di preservare eventuali processi educativi in atto, valorizzando, e non compromettendo, ogni sintomo di evoluzione in positivo Poiche' la questione, come si desume dalla pregressa narrazione, e' evidentemente rilevante nel caso di specie, gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale, con sospensione del procedimento esecutivo in corso, esitato nell'emissione di ordine di esecuzione della pena in forma carceraria, e con conseguente scarcerazione dell'imputato ricorrente se non detenuto per altra causa.