Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della  Regione  Emilia
Romagna, in persona del Presidente  della  giunta  regionale,  legale
rappresentante pro tempore, sig. Stefano Bonaccini,  autorizzato  con
deliberazione della giunta regionale progr.  n.  697  del  16  maggio
2016, rappresentata e difesa per mandato speciale a margine dal prof.
avv.  Franco  Mastragostino  (C.F.  MST   FNC   47E07   A059Q;   pec:
francomastragostino@ordineavvocatibopec.it) e dal prof. avv.  Adriano
Giuffre' (pec: adrianogiuffre@ordineavvocatiroma.org,  C.F.  GFF  DRN
38R28 F912D),  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio  di
quest'ultimo in Roma, via dei Gracchi n. 39, contro la Presidenza del
Consiglio dei ministri, in persona  del  Presidente  in  carica;  per
l'annullamento - della  nota  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze  -  Dipartimento  della  Ragioneria  generale  dello   Stato,
Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione  europea,
a firma del ragioniere generale, trasmessa tramite  PEC  in  data  1°
aprile 2016 al Presidente della Regione Emilia Romagna e  al  sindaco
del Comune di San Giovanni  in  Persiceto  e,  per  conoscenza,  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento affari giuridici
e legislativi, al Ministero ambiente, all'Avvocatura  generale  dello
Stato  e  all'Ufficio   coordinamento   legislativo   del   Ministero
dell'economia e delle  finanze,  avente  ad  oggetto:  «Procedura  di
infrazione P.I. 2003/2077. Esecuzione della sentenza della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014, resa  nella  causa
C-196/13  relativa  alla  condanna  della  Repubblica  italiana   per
inadempimento   e   mancata    esecuzione    delle    direttive    in
materia-sanzioni pecuniarie ai sensi dell'art. 260 del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea - Azione di rivalsa  nei  confronti
degli enti responsabili», nota con la quale, dopo aver ricordato  che
per dare esecuzione alla predetta sentenza il Ministero dell'economia
e delle finanze ha gia' provveduto a pagare la sanzione iniziale e la
prima  penalita'  semestrale,  in  via  di  anticipazione,  ai  sensi
dell'art. 43, comma 9-bis della  legge  n.  242/2012,  la  Ragioneria
dello Stato comunica di dare  avvio  alla  procedura  di  rivalsa  «a
carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni  censurate
dalla Corte di giustizia europea» imputando a  carico  della  Regione
Emilia  Romagna  l'importo  complessivo  di  Euro  776.017,00,  (come
analiticamente riportato nell'elenco in Allegato  2),  relativo  alla
non ancora completata bonifica del sito Razzaboni (discarica  ubicata
in Comune di San Giovanni in Persiceto),  e  con  cui  si  invita  la
Regione medesima, «quale responsabile in solido con i (il) Comuni (e)
in indirizzo, ai sensi  dell'art.  250  del  decreto  legislativo  n.
152/2006», «ai fini del raggiungimento dell'intesa sulle procedure di
ricupero degli importi anticipati dallo Stato»  a  voler  «concordare
con gli (l') Enti (e) locali (e) le  modalita'  attraverso  le  quali
procedere al suddetto reintegro»,  con  l'avvertimento  che,  decorsi
novanta giorni senza  alcuna  indicazione  in  merito  alle  predette
modalita' di reintegro, «si procedera' al recupero  delle  risorse  a
carico dei singoli soggetti  interessati  ai  sensi  della  normativa
vigente»; 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Il presente conflitto e' volto a contrastare la  prosecuzione  di
una azione del tutto ingiustificata ed illegittima dello Stato che  -
resosi inadempiente, proprio a  causa  di  una  piu'  volte  rilevata
carenza ed inadeguatezza del sistema legislativo  e  normativo  dallo
stesso apprestato nell'esercizio della propria competenza legislativa
esclusiva,  in  ordine  ai  rimedi  richiesti  e  sollecitati   dalla
Commissione europea, per rendere effettiva e definitiva  la  bonifica
dei siti inquinati rilevati nell'intero nostro Paese  -  intende  ora
riversare e scaricare sulla (singola) Regione, e  segnatamente  sulla
Regione Emilia Romagna, per l'unica discarica risultata in  contrasto
con le richieste della Commissione,  ogni  responsabilita'  per  tale
contestato inadempimento, che e' apparso, in verita',  «di  carattere
generale e strutturale», come rilevato dalla Commissione  dell'Unione
europea nel ricorso che ha dato luogo alla prima sentenza della Corte
di giustizia del 26 aprile 2007 (causa C -  135/05).  Responsabilita'
dell'inadempimento che non e' in alcun modo imputabile  alla  Regione
Emilia   Romagna,   sia    perche'    soggetto    non    responsabile
dell'inquinamento  di  cui  si  discute,  che  riguarda  un  sito  di
proprieta' privata, della quale ha illecitamente abusato  il  privato
proprietario, sia perche' non posta in grado, mediante  dotazione  di
mezzi  finanziari  adeguati,  al  fine  di  mettere   l'ente   locale
territorialmente interessato nelle condizioni di porre  in  campo  le
azioni programmatiche che  risultano  necessarie  per  completare  la
bonifica (mezzi che pure sono stati piu' volte chiesti e  sollecitati
dalla stessa Regione), di far fronte  al  ruolo  di  ente  sostituivo
dello Stato nell'adempimento richiesto dagli organi europei. 
    La mancanza di un  titolo  di  responsabilita'  addossabile  alla
Regione, dovuta ad  una  erronea,  infondata  e  strumentale  lettura
dell'art. 250 del decreto legislativo n.  152/2006,  sostenuta  dagli
apparati  amministrativi  del  Ministero  ambiente,  la   sua   netta
contestazione in relazione al  riparto  di  competenze  fra  Stato  e
regioni in materia ambientale, cosi' come la  palese  violazione  del
procedimento di leale collaborazione,  che  avrebbe  dovuto  e  deve,
secondo la legge e la giurisprudenza ineccepibile  di  codesta  Corte
costituzionale, improntare i rapporti fra  enti  dotati  di  garanzie
costituzionali -  e  che  qui  necessariamente  vengono  in  rilievo,
essendo stato  attivato  un  ruolo  sostitutivo  ed  un  procedimento
sanzionatorio  per  la  pretesa  carenza  di  esercizio  di  funzioni
sostitutive  -  sono  gia'  state  evidenziate  nei  due   precedenti
conflitti di attribuzione, che la Regione ha dovuto intraprendere  in
relazione a questa vicenda. 
    Trattasi del conflitto reg. ric. n. 1/2016, con il quale e' stato
impugnato l'atto di diffida del Presidente del Consiglio dei ministri
26 novembre 2015, emanato ai sensi dell'art. 8, comma 1, della  legge
n. 131 del 2003, e dell'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234,
rivolto sia al Comune di San Giovanni in Persiceto, che alla  Regione
Emilia Romagna, «di rilasciare il provvedimento  di  conclusione  del
procedimento, ai sensi dell'art. 242 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152» (provvedimento che non spetta certamente  alla  Regione
emanare, non essendo soggetto responsabile,  ne'  soggetto  attuatore
della  bonifica);  atto  conclusivo  che  sarebbe   richiesto   dalla
Commissione  per  ritenere  superata  l'infrazione  e   venuto   meno
l'inadempimento; e del conflitto reg. ric. n. 3/2016, con il quale e'
stata impugnata la risposta  negativa  -  peraltro  rilasciata  dalla
Direzione  generale  rifiuti  del  Ministero  ambiente  e  non  dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri - alla  richiesta  inoltrata  a
firma del Presidente della Regione Emilia Romagna,  di  ritiro  della
diffida  per  insussistenza  di  responsabilita'  della   Regione   e
contenente l'invito ad avviare un  procedimento  effettivo  di  leale
collaborazione, secondo le corrette modalita' e le  procedure,  anche
formali, delineate dall'art. 8 della legge n. 131/2003,  e  dall'art.
41 della legge n. 234/2012 (potere sostitutivo dello Stato  nel  caso
di obblighi di  adeguamento  ai  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
dell'Unione europea),  per  risolvere  congiuntamente  la  situazione
dell'inadempimento dello Stato italiano nei confronti delle richieste
della Comunita' europea. Mezzi di impugnazione  con  cui  la  Regione
Emilia Romagna ha  reagito  avverso  le  inaccettabili  modalita'  di
relazione  con  le  quali,  scaricando  del  tutto  illogicamente   e
ingiustificatamente sulla Regione una responsabilita' che non  le  e'
propria, lo Stato ha deciso di uscire da una situazione dallo  stesso
originata  e  di  cui  esso  stesso  e  non  la  Regione  e'  l'unico
responsabile. 
    Non tenendo in considerazione alcuna i conflitti di  attribuzione
gia' proposti, e' quindi  sopraggiunta,  mediante  PEC  trasmessa  al
Presidente della Regione Emilia Romagna in data 1°  aprile  2016,  la
nota  del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -  Ragioneria
generale dello Stato, meglio specificata in epigrafe. 
    Nel configurare l'avvio  della  procedura  di  rivalsa,  prevista
dall'art. 43 della legge n. 234/2012, con tale nota risulta  attivato
il relativo procedimento, di cui ai commi 6 e 7, contemplandosi anche
l'invito nei confronti della Regione  a  cercare  «il  raggiungimento
dell'intesa con l'ente locale interessato sulle procedure di ricupero
degli importi anticipati dallo Stato» e a voler «concordare  con  gli
(l') Enti (e) locali (e) le modalita' attraverso le  quali  procedere
al  suddetto  reintegro»,  il  quale  potra'  avvenire   «anche   con
compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello  Stato
in  favore  delle  amministrazioni  stesse»,  ai  sensi   di   quanto
consentito dall'art. 43, comma 9-bis, con l'avvertimento che, decorsi
novanta giorni senza  alcuna  indicazione  in  merito  alle  predette
modalita' di reintegro, «si procedera' al recupero  delle  risorse  a
carico dei singoli soggetti  interessati  ai  sensi  della  normativa
vigente». 
    E' evidente, pertanto, l'interesse della  Regione  a  contrastare
anche questa azione, pur se ancora nella sua fase iniziale,  per  gli
innegabili effetti  lesivi  che  comunque  essa  prefigura,  a  mente
dell'ultimo disposto sopra citato, che sembra porre  le  basi  di  un
recupero mediante compensazione, una volta decorsi i  novanta  giorni
dalla  avvenuta  comunicazione,  senza   riscontro   sull'intesa   da
ricercarsi con l'ente locale coinvolto. 
    Tutto quanto sopra premesso, la Regione Emilia  Romagna  impugna,
pertanto, per conflitto di attribuzione, la nota sopra citata, per  i
seguenti motivi in 
 
                               Diritto 
 
1) Violazione dell'art. 250 del decreto legislativo n. 152/2006  che,
in attuazione dell'art. 117, secondo comma  Costituzione,  ripartisce
le funzioni amministrative in materia di adempimenti  concernenti  la
bonifica  dei  siti  inquinati,  per   erronea   qualificazione   del
presupposto di fatto e di diritto nel  ravvisare  la  responsabilita'
della Regione. Illegittimita' derivata. 
    La sopra citata nota del Ministero dell'economia e delle  finanze
- Dipartimento Ragioneria  generale  dello  Stato  con  la  quale  si
comunica di avviare il procedimento di rivalsa  nei  confronti  della
Regione (e dell'ente locale interessato), per il  titolo  di  cui  in
premessa, costituisce la prosecuzione dell'illegittimo  comportamento
e dell'illegittimo procedimento avviato con la diffida gia' impugnata
ed e' espressione di un orientamento governativo che continua a  dare
per scontata la responsabilita'  della  Regione  per  l'inadempimento
alle  richieste  della  Commissione  dell'Unione  europea  e  per  la
conseguente maturazione delle sanzioni comminate, invero, allo  Stato
italiano,  da  ultimo  con  la  sentenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea del 2 dicembre 2014. 
    In tale prospettiva, siffatta  determinazione  appare,  pertanto,
illegittima  per  illegittimita'  derivata,  poiche'  insiste   sulla
erronea interpretazione del riparto delle competenze ed  attribuzioni
fra Stato e Regioni  in  materia  di  bonifica  dei  siti  inquinati,
invocando  l'art.  250  del  decreto  legislativo  n.  152/2006,  che
tuttavia,  come  e'  gia'  stato  contestato  con  i  due  precedenti
conflitti, non e'  norma  fondativa  del  titolo  di  responsabilita'
pretesamente ravvisato in materia e nella specifica situazione. 
    Al contrario - come si e' gia' rilevato -  la  Regione  ha  fatto
tutto quanto era in suo potere, sorreggendo le operazioni di bonifica
messe in campo dal Comune di San  Giovanni  in  Persiceto  (a  fronte
della  impossibilita'  di   costringere   il   privato   proprietario
dell'area, ad eseguirli), finanziando, dapprima, con l'erogazione  di
Euro 216.200,00  a  totale  copertura  delle  spese  occorrenti,  gli
interventi di messa in sicurezza del sito (MISE), che ha  dato  luogo
al  collaudo  positivo,  nel  2008,  degli  interventi  relativi   ai
rinvenimenti di rifiuti del 2001 (quelli per i  quali  era  sorta  la
procedura di infrazione, poi conclusa con la sentenza della Corte  di
giustizia del 2007) e, di seguito, finanziando, con fondi provenienti
da risorse proprie, con ben Euro 3.604.902,00 la realizzazione  delle
opere  di  messa  in  sicurezza  e  di   bonifica   degli   ulteriori
rinvenimenti di rifiuti, avvenuti  nel  2010  e  nel  2012,  in  area
limitrofa  e  diversa  da  quella  interessata  dalla  procedura   di
infrazione.  Per   il   definitivo   completamento   della   bonifica
dell'intera area in cui sono emersi  rifiuti  -  che  la  Commissione
dell'Unione  europea  richiede  sia  integralmente  svolta,  pena  il
protrarsi dell'inadempimento -  la  Regione,  ha,  altresi',  chiesto
ripetutamente  al  Ministero  dell'ambiente  di  essere  ammessa   ai
relativi finanziamenti statali, ma senza esito alcuno. 
    Ora, il Ministero dell'economia e delle  finanze  mostra  di  non
avere contezza alcuna di tutti i precedenti rapporti  intercorsi  fra
il Governo e, in particolare, fra il Ministero ambiente e la  Regione
Emilia Romagna, sia per quanto riguarda le ripetute  richieste  dalla
stessa avanzate, affinche'  fosse  previsto  ed  ammesso  ad  urgente
finanziamento un intervento finanziario dello Stato per realizzare la
definitiva bonifica del sito in questione (si veda l'allegato n. 7 al
primo conflitto reg. ric. n. 1/2015), da ultimo nuovamente  richiesto
con nota dell'assessore regionale  all'ambiente,  Paola  Gazzolo,  in
data 18 marzo 2016 (che si allega alla  presente  impugnazione),  sia
con riferimento alla richiesta di procedere in base alle procedure di
leale  collaborazione  a  definire  la  vertenza,  sia,  infine,  con
riferimento  ai  conflitti  di  attribuzione  sollevati   di   fronte
all'inerzia dello Stato. 
    Il che  rende  ancora  piu'  grave  e  lesiva  la  posizione  nel
complesso assunta ed oggi proseguita. 
2) Violazione dei principi  di  leale  collaborazione,  di  cui  agli
articoli 8 legge n. 131/2003 e 41 della legge n. 234/2012,  attuativi
dell'art.  120,   secondo   comma   Costituzione,   nell'applicazione
dell'art.  43  della  medesima  legge  n.  234/2012  sulla   rivalsa.
Incompetenza dell'Organo Dipartimento Ragioneria generale dello Stato
presso il Ministero dell'economia e  delle  finanze  in  luogo  della
Presidenza del  Consiglio  dei  ministri.  Violazione  dell'autonomia
politica della Regione. 
    La nota impugnata,  emessa  dalla  Ragioneria,  fa  parte  di  un
procedimento  di   ricupero   amministrativo.   Se   dovesse   essere
qualificata gia' come titolo esecutivo, essa sarebbe illegittima, per
violazione del procedimento stesso di rivalsa, in quanto  assunta  da
un Organo tecnico-burocratico, e in assenza di una intesa, laddove la
legge prevede, invece, che il titolo esecutivo  sia  formato  con  un
decreto  ministeriale,  previa  intesa  con  gli  enti   territoriali
interessati (art. 43, comma 7, legge n. 234/2012). 
    In disparte tale profilo, su cui si tornera' in  prosieguo,  essa
e' sicuramente  illegittima  per  gli  enunciati  motivi  di  cui  in
epigrafe, con riferimento alla sottostante questione dei rapporti fra
enti costituzionali, sollevata dalla Regione nella complessiva azione
di conflitto sulla vicenda, in quanto non spetta allo  Stato,  e  per
esso alla Presidenza del Consiglio dei ministri,  consentire  ad  una
struttura  tecnico-burocratica,  quale  la  Ragioneria   generale   -
Ispettorato per i rapporti  finanziari  con  l'Unione  europea  -  di
emanare un atto  prescrittivo  nei  confronti  della  Regione  Emilia
Romagna, al di fuori dallo  schema  normativo  definito  dall'art.  8
della legge n. 131/2003 e, con specifico riferimento  alle  questioni
che sorgono con gli organi comunitari, dall'art. 41  della  legge  n.
234/2012. 
    La Regione Emilia Romagna ha avviato da subito  le  procedure  di
leale collaborazione per venire  a  capo  del  problema  posto  dalla
sentenza di condanna del 2 dicembre 2014, ma lo Stato non vi ha  dato
seguito,  ed  ha  invece  proseguito   attraverso   un   procedimento
burocratico-amministrativo, spostando la questione  su  di  un  altro
piano, utilizzando un circuito che si e'  posto  al  di  fuori  delle
invocate corrette modalita' di leale collaborazione, lasciando  senza
risposta la  richiesta  avanzata  dal  Presidente  della  Regione  di
affrontare la questione con le procedure di leale  collaborazione  in
ordine al riscontro da fornire alla Commissione dell'Unione europea e
al sollecitato completamento  delle  operazioni  di  risanamento  del
sito. 
    E' evidente, quindi, l'illegittimita' di un atto che da' avvio ad
un procedimento amministrativo privo  del  presupposto  della  previa
decisione politica che ne costituisce  la  condizione  di  legalita'.
Oltre che giuridica, la questione  pone  una  priorita'  logica,  nel
senso che prima del quantum e del quomodo,  va  valutato  l'an  della
pretesa  debitoria.  L'an  avrebbe  dovuto  essere  oggetto  di   una
valutazione congiunta degli Organi politici statali e regionali o, in
alternativa, di una decisione di questa Ecc.ma  Corte  quale  giudice
del conflitto. Inoltre, anche il quantum deve essere determinato solo
a seguito della ricognizione del ruolo  e  della  responsabilita'  di
ciascuna    delle    amministrazioni    coinvolte,     sicche'     la
comunicazione/atto della Ragioneria, resa in un'ottica  squisitamente
burocratica,  degrada  ogni  valutazione  ad  un'attivita'  di   mero
rapporto amministrativo-contabile, come se fosse gia' accertato  ogni
presupposto della  rivalsa  e  come  se  l'Ufficio  Ragioneria  fosse
collocato in una posizione di supremazia diretta con l'Ente  Regione.
Il che apertamente viola l'autonomia politica della Regione e il  suo
ruolo istituzionale, e configura una grave  violazione  dei  principi
costituzionali posti a garanzia dei rapporti fra Stato e Regioni. 
3. Violazione dell'art. 43, comma 7 della legge  n.  234/2012  e  del
principio  di  leale  collaborazione,   nonche'   delle   prerogative
costituzionali   della   Regione.   Comunque    illegittimita'    del
procedimento posto in essere per il  raggiungimento  dell'intesa  sul
quantum. 
    Prova di questo appiattimento della questione ad un  livello  non
consono e' data dalla stessa  prospettiva  in  cui  l'amministrazione
colloca l'intesa di  cui  all'art.  43,  comma  7  (sull'entita'  del
credito e sulle modalita' e termini del  pagamento),  quasi  come  se
fosse una questione lasciata alla trattativa fra la Regione e  l'ente
locale interessato. 
    Nella nota della Ragioneria e' contenuto, infatti, l'invito  alla
Regione a cercare «il raggiungimento dell'intesa  con  l'ente  locale
sulle procedure di ricupero degli importi anticipati dallo Stato» e a
voler «concordare con gli (l')  Enti  (e)  locali  (e)  le  modalita'
attraverso le quali procedere al suddetto reintegro». 
    Completamente  ignorando  ogni  questione  sull'an  debeatur,  si
procede,  quindi,  unicamente  per  la  riscossione  del  quantum,  e
dovrebbe  essere  la  Regione  a  provvedere,  in   ogni   caso,   al
raggiungimento  di  un  accordo  (intesa)  con  l'Ente  locale,   che
riguarderebbe le sole modalita' attraverso le quali  provvedere  alla
restituzione della somma gia' pagata dallo Stato, recupero che potra'
avvenire, in  base  al  richiamo  fatto  dalla  Ragioneria  a  quanto
disposto dal comma  9-bis  del  medesimo  art.  43,  «anche  mediante
compensazione con altri trasferimenti dovuti dallo Stato». 
    Non vi e' chi non veda la gravita' del meccanismo a  cui  si  sta
prefigurando di dare corso, poiche', a prescindere dal fatto  che  lo
Stato, per cautelarsi, abbia previsto, con legge, la possibilita'  di
conseguire il recupero dei suoi  crediti  mediante  il  trattenimento
(compensazione), per pari importo, di somme  che  altrimenti  sarebbe
tenuto a trasferire alla Regione, qui vi e' da evidenziare  che  tale
procedura amministrativo/contabile e' messa in  atto  senza  che  sia
stata prima affrontata  -  con  il  dovuto  confronto  politico,  nel
rispetto delle forme, delle modalita'  e  dei  livelli  in  cui  deve
esprimersi la leale collaborazione, di cui piu' volte si e'  detto  -
la questione della sussistenza  della  responsabilita'  che  ha  dato
luogo alla sanzione comunitaria e,  quindi,  del  presupposto  stesso
dell'azione di rivalsa. Tale responsabilita', lo  si  ribadisce,  del
tutto inopinatamente e' stata posta a  carico  alla  Regione,  quando
invece e' da ascrivere unicamente allo Stato, essendo  peraltro  essa
addebitata dalla stessa  Corte  di  giustizia  allo  Stato  italiano,
rispetto  ad  una  disciplina  sulla  bonifica  dei  siti   inquinati
giudicata in linea generale affetta da «grave e  strutturale  carenza
normativa»  e  rispetto  ad  un  comportamento  dello  Stato  rimasto
inadempiente  rispetto  al  dovere  di  assumere  «i   provvedimenti»
attuativi degli obblighi comunitari; responsabilita',  quindi,  prima
di tutto per carenza legislativa e per non aver  saputo  adottare  le
misure adeguate, che non involge il ruolo, le competenze, ne'  alcuna
inerzia della Regione Emilia Romagna, che anzi, ha fatto tutto quanto
era possibile mettere in campo per risolvere la questione (come si e'
dato motivatamente conto e comprovato nei due precedenti  conflitti).
E' evidente che non puo' esservi alcuna intesa sul quantum. 
    Si  deve,  percio',  concludere  che  lo  Stato,  attraverso  una
procedura burocratica sta  consolidando  la  sua  pretesa  creditoria
sulla  base  di  un'inaccettabile  interpretazione  del  riparto   di
competenze e che la nota del Ministero dell'economia e delle  finanze
-  Ragioneria  dello  Stato,  da  ultimo   emessa,   costituisce   un
intollerabile tentativo  di  ridurre  i  rapporti  istituzionali  fra
Regione e Governo al piano dei rapporti gerarchico-amministrativi fra
strutture amministrative ministeriali, Regione e Comune, con evidente
lesione delle prerogative costituzionali della Regione,  suscettibile
di riversarsi anche in lesione dell'autonomia e capacita' finanziaria
del Comune. 
    In tal  senso  e  per  questi  motivi,  la  Regione  ha  peraltro
provveduto ad inviare una risposta formale al Ministero dell'economia
e delle finanze - Ragioneria dello  Stato,  sulla  impossibilita'  di
addivenire alla richiesta intesa con l'ente locale (cfr. doc. n. 3). 
    Non da ultimo, si noti che l'atto della Ragioneria, nel  definire
gia'  il  quantum,  che  dovrebbe  essere  oggetto  dell'intesa,  nel
ritenere gia' determinata «la misura degli importi dovuti allo  Stato
a titolo di rivalsa»  (comma  6,  art.  43),  la  quale  e',  invece,
«stabilita con decreto del Ministero dell'economia e delle  finanze»,
che «costituisce  -  esso  solo  -  titolo  esecutivo  nei  confronti
dell'obbligato» (sempre comma 6) e che nel caso  in  cui  l'obbligato
sia un ente territoriale deve seguire peculiare  il  procedimento  di
cui al comma 7, ha osservato un  percorso  procedimentale  del  tutto
diverso da quello delineato dalla legge, determinando un ribaltamento
della  sequenza  procedimentale  stabilita  dal  suddetto  comma   7.
Infatti, li' e' previsto che l'intesa sia acquisita prima del decreto
del Ministero dell'economia e delle finanze con cui si  stabiliscono,
ovviamente in sede di intesa, l'importo e le modalita' del  recupero,
mentre  nella  nota  della  Ragioneria  e'  gia'  determinato   -   a
prescindere dall'intesa, che diventa «successiva» - sia l'importo (la
nota  gia'  reca  nella  tabella  Allegato  2,  il  quantum  di  Euro
776.017,10 da chiedere in rivalsa), sia l'intimazione che, se non  si
perviene a nessuna intesa,  si  provvedera'  al  recupero,  ai  sensi
dell'art. 43, comma 9-bis e, quindi,  in  compensazione  rispetto  ai
trasferimenti dovuti dallo Stato. 
    Quindi, mediante una semplice nota della Ragioneria  dello  Stato
parrebbero essere gia' attivati i presupposti per far scattare,  dopo
novanta giorni  dalla  comunicazione  e  a  prescindere  dai  diversi
termini e dalla diversa sequenza indicati dal  comma  7,  il  diritto
dello Stato ad esercitare la rivalsa mediante compensazione.  Non  si
vede dove stiano i margini di una intesa, a questo punto. 
    E' evidente che un  siffatto  modo  di  procedere  e'  del  tutto
illegittimo e che la Ragioneria dello Stato  ha  compiuto  una  grave
violazione della norma di legge  a  cui  intende  dare  applicazione,
sicche' l'atto impugnato e' illegittimo anche per tale autonomo vizio
di erronea applicazione di legge. 
4. In via subordinata: insussistenza dei presupposti per  l'esercizio
dell'azione di rivalsa nei confronti di Regione e Comune per  mancato
previo  esercizio  del  potere  sostitutivo  dello  Stato  ai   sensi
dell'art. 43, comma 4 della legge n. 234/2012. 
    Come si e' sin qui argomentato, non e' in  alcun  modo  possibile
affermare che la sentenza di condanna al pagamento della sanzione, da
cui deriva il pregiudizio economico per lo Stato, sia  stata  causata
da un asserito iniziale inadempimento  della  Regione  o  del  Comune
territorialmente interessato. L'art. 250 del decreto  legislativo  n.
152/2006,  invocato  dallo  Stato  come  fondamento  normativo  della
ritenuta responsabilita' di Regione  e  Comune  non  fissa,  infatti,
alcun trasferimento di funzioni in tal senso. 
    Lo Stato avrebbe, peraltro, invece potuto in ogni momento ovviare
alla situazione di  mancato  rispetto  della  normativa  comunitaria,
utilizzando  gli  strumenti  sostitutivi  previsti  dall'ordinamento.
Durante il procedimento di infrazione lo  Stato  e'  stato  messo  in
condizione di prendere  provvedimenti  per  evitare  la  sentenza  di
condanna. C'e' stata una fase pre-contenziosa, nella quale la lettera
di  messa  in  mora  della  Commissione  ha  definito  l'oggetto  del
contendere e offerto dati affinche' lo Stato organizzasse la  propria
difesa ed inviasse osservazioni. C'e' stato il parere  motivato,  che
ha fissato  allo  Stato  il  termine  ultimo  per  provvedere  e  per
conformarsi. Disatteso quest'ultimo, la Commissione ha adito la Corte
di giustizia; la Corte ha riconosciuto l'inadempimento ed  ha  emesso
la prima sentenza del 2007, che ha  accertato  la  sussistenza  della
violazione e l'obbligo dello Stato di adottare le misure necessarie a
porre fine alla situazione di inadempimento. La sentenza di  condanna
di cui oggi si pagano le conseguenze  e',  poi,  intervenuta  solo  a
seguito di un nuovo procedimento instaurato  dinanzi  alla  Corte  di
giustizia, per mancata ottemperanza dello Stato italiano  alla  prima
sentenza della Corte del 2007 e solo dopo che, anche in questo  caso,
si era esaurita la fase pre-contenziosa con la Commissione. 
    Nel corso del  procedimento  vi  sono  state  numerose  lacune  e
omissioni da parte del Ministero (si vedano i paragrafi 34 e 35 della
sentenza della Corte di giustizia del 2014, che  ne  da'  chiaramente
conto). 
    Nonostante le sue evidenti lacune, il Ministero ambiente continua
a ritenere che i comuni e le regioni risponderebbero  in  solido,  in
quanto queste  ultime,  essendo  dotate  dall'art.  250  del  decreto
legislativo n. 152/2006, di poteri sostitutivi, sarebbero da ritenere
corresponsabili in relazione agli oneri  finanziari  derivanti  dalla
sentenza comunitaria, per non averli esercitati. 
    E' evidente, per tutto quanto esposto, che tale argomentazione va
respinta  in  toto;  ma  comunque,  qualora  codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale dovesse, invece, ritenerla  accoglibile,  configurando
cioe' la sussistenza di una piena competenza regionale in materia  di
bonifica, a maggior ragione si dovra'  ritenere  lo  Stato  in  primo
luogo responsabile  della  violazione,  per  non  avere  esso  stesso
esercitato il potere sostitutivo di cui  e'  dotato  in  materia,  ai
sensi del medesimo art. 43, comma 4, della legge n. 234/2012.