IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione seconda) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2246 del 2015, proposto da: Cirsa Italia s.p.a, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmelo Barreca e Federico Tedeschini, con i quali e' elettivamente domiciliata in Roma, Largo Messico n. 7, presso lo studio dell'avvocato Federico Tedeschini; contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con la quale sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12; nei confronti di Se. Ma. di Francesco Senese, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: Associazione Concessionari Apparecchi da Intrattenimento (A.C.A.D.I.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Geronimo Cardia, ed e' elettivamente domiciliato in Roma, viale dei Parioli n. 24, presso lo studio del predetto avvocato; ad opponendum: Codacons, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso l'Ufficio legale nazionale del Codacons, in Roma, viale G. Mazzini, 73; per l'annullamento del decreto dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli prot. n. 4076 del 15 gennaio 2015, con il quale - in attuazione dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 - e' stato stabilito che la societa' ricorrente debba versare, per l'anno 2015, l'importo di euro 19.769.025,35, suddiviso in due rate, di cui una, pari al 40%, entro il 30 aprile 2015 ed una, pari al 60%, entro il 31 ottobre 2015, previa disapplicazione, per contrasto con il TFUE, ed eventuale rimessione alla Corte di Giustizia o alla Corte costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie difensive; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del giorno 21 ottobre 2015 il Cons. Silvia Martino; Uditi gli avv.ti, di cui al verbale; 1. La societa' ricorrente espone di essere in atto concessionaria del servizio pubblico di attivazione e conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento, nonche' delle attivita' e funzioni connesse. Venuta a scadenza la convenzione di concessione del luglio 2004, ADM ha indetto una nuova procedura idoneativa di selezione, a cui l'odierna ricorrente ha partecipato con esito favorevole, sottoscrivendo, in data 20 marzo 2013, la convenzione di concessione di durata novennale, attualmente vigente. Si tratta di una convenzione fortemente peggiorativa sotto il profilo economico rispetto alla precedente. Inoltre, l'equilibrio sinallagmatico del rapporto concessorio e' stato fortemente inciso in peius da altri avvenimenti, quali, il significativo aumento del PREU nel settore delle VLT, il significativo restringimento della circolazione delle attivita' concessorie, cui ha fatto seguito l'introduzione di griglie che ormai limitano lo svolgimento delle attivita' concessorie sul territorio, la diffusione, i virtu' di provvedimenti di ADM, di VLT on line etcc. Cio' nondimeno, con l'intervento selettivo di cui all'art. 1, comma 649, della l.n. 190/2014 - che colpisce solo ed esclusivamente gli attuali 13 concessionari del gioco da intrattenimento, sfavorendone ed alterandone ulteriormente la libera concorrenza, e travolgendone ogni legittimo affidamento al mantenimento dei diritti economici quesiti, come stabiliti negli accordi contrattuali sottoscritti e vigenti - il Legislatore ha imposto unilateralmente ai suddetti 13 concessionari una ulteriore, significativa riduzione dei loro compensi, realizzata imponendo ex abrupto il versamento di euro 500 milioni, annui, da ripartire all'interno della c.d. filiera, ciascuno in quota proporzionale al numero degli apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. La ripartizione della quota degli oneri aggiuntivi e' stata effettuata con il provvedimento oggetto dell'odierna impugnativa. Da esso, risulta che la ricorrente dovra' versare in due tranches, entro il 30 aprile 2015 (per il 40%) ed entro il 31 ottobre 2015 (per il 60%), l'importo, da essa ritenuto stratosferico e sproporzionato, di euro 19.769 milioni. Non si tratta di una imposizione una tantum, ma di una misura destinata ad avere applicazione indefinita nel tempo. Con il presente ricorso, deduce: A) vizi del decreto AD del 15 gennaio 2015. 1) violazione di legge. violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190/14. Violazione del giusto procedimento. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Convenzione di concessione. Eccesso di potere per arbitrio e difetto di motivazione. L'importo di 500 milioni annuo va sottratto agli aggi e compensi complessivamente spettanti per l'intera filiera. L'obbligo del versamento dei 500 milioni di euro e' stato previsto, pero', solo a carico del concessionario mentre nulla e' stato previsto in ordine alle modalita' di raccolta tra concessionari ed operatori della filiera, sebbene questi ultimi siano stati onerati di versare ai concessionari l'intero ammontare della raccolta del gioco. Inoltre, nulla si afferma circa le conseguenze in ordine al mancato versamento del dovuto da parte di gestori ed esercenti, con la conseguenza che, di fatto, a parte la denuncia all'a.g. prevista dalla lettera a) dell'art. 1, comma 649 della l.n. 190/2014, viene chiesto ai 13 concessionari di assumersi l'obbligo dell'anticipazione delle somme dovute, salvo eventuale recupero in sede civile. Sono state quindi introdotte plurime modifiche della convenzione di concessione (in materia di misura del compenso economico, variazione delle modalita' dei flussi di pagamento, contenuto delle obbligazioni dei contratti con i terzi incaricati) che ADM non ha trasfuso in un apposito atto integrativo, cosi' come previsto dall'art. 3 della convenzione. 2) Violazione della riserva di legge. Violazione e falsa applicazione della stessa legge n. 190/14. Il decreto impugnato istituisce un "codice tributo" senza considerare che la legge e' intervenuta soltanto sul piano dei compensi contrattuali. B) Vizi della legge provvedimento di cui all'art. 1, comma 649, legge n. 190/14, e conseguente illegittimita' derivata del decreto direttoriale indicato sotto la lettera A). 1) Violazione del principio del legittimo affidamento di rilevanza europea e del principio di buon andamento, quale principio generale del diritto. Eccesso di potere ed evidente sproporzione degli oneri gravanti sul concessionari. violazione dei diritti quesiti. Violazione dell'art. 1, prot. 1, della CEDU. Violazione e contrasto con gli articoli 3, 41, 42, 97 e 117 della costituzione. Come gia' evidenziato, la nuova convenzione di concessione, ha previsto maggiori e gravosi impegni finanziari, quali, ad esempio, l'aumento/raddoppio delle fideiussioni, un maggior costo pari ad euro 2.599.000,00 per il mantenimento degli apparecchi gia' oggetto della precedente concessione e per il rilascio dei nulla osta per l'installazione dei nuovi apparecchi, un maggior costo totale per oneri concessori pari a 9 milioni di euro, un maggior costo di euro 2.000.000,00 per far fronte alle nuove previsioni in materia di georeferenziazione. A tale quadro, si sono poi aggiunti, oltre l'aumento del PREU, la proliferazione di vincoli locali alla diffusione delle AWP e VLT nonche' la diffusione del gioco on line. Invece di procedere al riequilibrio del rapporto concessorio, il legislatore, con le disposizioni in esame, ha modificato ulteriormente in peius i diritti quesiti e le condizioni economiche consacrate nella convenzione di concessione stipulata il 20 marzo 2013, in violazione del principio di affidamento e non discriminazione, come previsti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Parte ricorrente precisa che tali modifiche non hanno riguardato ne' profili di ordine pubblico ne' profili di controllo bensi' un mero materiale peggioramento delle condizioni economiche. L'intervento e' poi palesemente sproporzionato ed in contrasto con l'art. 1, prot. 1, della CEDU, che tutela i diritti di aspettativa economica, risolvendosi in una sorta di esproprio illegittimo di diritti economici non accompagnato da alcun indennizzo. Cita, al riguardo, le sentenze Tre Traktorer c/Svezia (1989), Pine Valley/Irlanda (1991), Oneryildiz/Turchia (2002). La norma e' comunque in contrasto con gli articoli 3, 41, 52 e 97 Cost. 2) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione delle regole della concorrenza. Violazione degli articoli da 101 a 106 del TFUE. Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 97 Cost. Le disposizioni qui in esame incidono selettivamente solo sull'attivita' dei 13 concessionari del gioco da intrattenimento tramite gli apparecchi previsti dall'art. 110, comma 6, del TULPS, mentre nessuna analoga misura e' prevista per gli altri giochi. Esse si pongono in contrasto sia con gli articoli 3, 41 e 97 Cost, che con l'art. 117 della Carta fondamentale, in relazione alla norma interposta contenuta nell'art. 1, protocollo 1, CEDU. Parte ricorrente le ritiene comunque disapplicabili, in quanto in palese contrasto anche con gli art. 101, 102 e 106 TFUE. 3) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli articoli 106 e 107 del TFUE. Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 97 COST. La misura, che colpisce solo i concessionari del gioco attraverso gli apparecchi da intrattenimento, si risolve in una sorta di aiuto di Stato a favore degli altri operatori del settore (cfr. Corte di giustizia, 26 settembre 2014, sez. V^, nella causa T-601/11). 4) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta. Eccesso di potere per violazione dei principi di libera concorrenza. L'art. 1, comma 649 della legge - provvedimento impugnata, ha disatteso il criterio di progressivita' prefigurato dall'art. 14, comma 2, lettera g) della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, richiamato dalla legge di stabilita' e posto quale presupposto dell'intervento normativo. Il criterio utilizzato e', invece, quello del numero di apparecchi posseduti col risultato che, ad esempio, il concessionario che gestisce apparecchi con scarso rendimento, si trova a dover versare allo Stato le stesse identiche somme che dovra' versare un concessionario che gestisce un apparecchio allocato in ricche zone del nord, dove il rendimento e' di 1.000, 1500 euro al giorno. 5) Eccesso di poter per irragionevolezza manifesta sotto ulteriore profilo. La legge impone la modifica delle gestione dei flussi finanziari, imponendo al concessionario di ricevere le somme, senza operare e/o consentire la compensazione, ed imponendo, poi, di riversare le somme ai gestori, effettuando in tal modo per ogni periodo contabile migliaia di bonifici. Cio' provoca una intromissione nella liberta' contrattuale ed un maggior costo, sia in termini di operazioni bancarie, sia in termini di risorse/uomo da destinare all'esecuzione dei bonifici. Del tutto irrealizzabile e', infine, la rinegoziazione obbligatoria dei contratti, essendo evidente che non si puo' imporre ex lege ai concessionari di rinegoziare unilateralmente i contratti gia' stipulati e vigenti con i propri gestori, riproducendosi "a cascata", la violazione dei diritti quesiti dei contratti privatistici stipulati inter partes. La rinegoziazione, per giunta, (che andra' effettuata solo laddove si intendano variare le condizioni contrattuali), e' prevista con modalita' che parte ricorrente ritiene quasi "estorsive". I concessionari dovrebbe infatti imporre unilateralmente ai gestori una modifica contrattuale, poi dovrebbero far leva sul fatto di avere "i soldi in mano", rifiutandosi di erogare il legittimo compenso ai gestori ed esercenti che hanno eseguito la raccolta (senza la cui collaborazione non vi sarebbe ovviamente stata alcuna raccolta e nessun provento per l'erario), in mancanza di adesione e sottoscrizione dei contratti rinegoziati. In questo modo diventa pero' pressoche' impossibile assicurare la raccolta. 6) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta sotto ulteriore e diverso profilo. Pure censurabile e' il riferimento al numero degli apparecchi posseduti alla data del 31 dicembre 2014, ove si consideri che, nel corso del 2015, un concessionario potrebbe dismettere (ovvero acquisire) un certo numero di apparecchi, senza che cio' abbia alcuna influenza sulla somma da versare. Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. E' altresi' intervenuta ad adiuvandum, l'Associazione A.C.A.D.I. Con memoria del 13 marzo 2015, la difesa erariale, dopo aver formulato un'eccezione di difetto di legittimazione passiva del MEF e della PCM, che non hanno emesso gli atti ex adverso impugnati, ha preliminarmente descritto le modalita' di funzionamento delle reti di raccolta del gioco mediante apparecchi. Ha quindi precisato che, sia per le AWP sia per le WLT, i concessionari, i gestori e gli esercenti - quali segmenti articolati nella rete di raccolta - vengono compensati per le quote di attivita' che a ciascuno competono nell'organizzazione e funzionamento della rete. Il denaro con cui tali attivita' vengono compensate proviene dalla stesso gioco ed appartiene, in origine, allo Stato. Le risorse pubbliche cui esso rinuncia per remunerare le filiere di raccolta del gioco, ammontano a circa 4 miliardi di euro. Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della filiera sono regolati dal diritto privato, ha poi descritto il sistema di remunerazione della filiera. E' il concessionario che, per contratto, deve corrispondere una remunerazione al gestore e all'esercente. Nella pratica, in realta', e' il gestore ad avere in pugno la "cassa", ovvero l'ammontare di denaro destinato ad essere ripartito a titolo di compensi. La norma della legge di stabilita' oggetto di contestazione non ha istituto un nuovo tributo ma ha operato una riduzione dei compensi dei soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato mediante apparecchi. E' come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a 3,5 miliardi di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione stabilendo poi una apposita procedura perche' questo contenimento forzoso della remunerazione si "spalmasse" tra i diversi soggetti interessati. Il sacrificio del "taglio" solo per una parte e' subito dai concessionari in quanto per il resto il sacrificio e' dei gestori e degli esercenti. La rinegoziazione potrebbe semplicemente avvenire per fatti concludenti. Poiche' il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera, non e' stabilito in misura fissa bensi' percentuale rispetto alla raccolta, non vi sarebbe nulla di piu' semplice di una rinegoziazione di un contratto la cui componente patrimoniale e' in percentuale, purche' si accetti la minore somma complessiva da ripartire. Ad un settore che da anni percepisce cumulativamente una remunerazione di circa 4 miliardi di euro, e' stato chiesto, in sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. Ad ogni buon conto i concessionari, salvo iniziare direttamente azioni recuperatorie nei confronti dei gestori, eventualmente "riottosi", potrebbero limitarsi a disvelare all'amministrazione l'elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti. Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato delle nuova misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. La volonta' di intervento legislativo sugli aggi era gia' nota ai concessionari e agli operatori di filiera, a mente del criterio di delega legislativa recato dall'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014. La decisione di operare in prima battuta nel settore degli apparecchi da intrattenimento, dipende dal fatto che tale segmento di gioco esprime circa la meta' delle entrate erariali di tutti i giochi praticati nel territorio dello Stato. La norma individua un criterio proporzionale, legato ad un elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che e' potenzialmente correlato agli introiti. Parte ricorrente non potrebbe invocare il principio dell'affidamento in quanto non vi e' stato uno stravolgimento degli elementi essenziali del rapporto. Ad ogni buon conto, la convenzione impegna il concessionario ad agire nel rispetto della normativa dettata in materia di gioco. Non saremmo, comunque, di fronte ad una legge - provvedimento, in quanto la norma della legge di stabilita' incide sull'intero comparto del gioco in esame. In tale contesto, la riduzione delle somme a disposizione per la remunerazione della filiera ha una portata equivalente all'1,06% della raccolta di gioco e all'8,3% dei compensi della filiera. Quanto alle censure relative al criterio prescelto per commisurare la riduzione dei compensi, vi sarebbe una tendenziale coerenza tra il dato della raccolta e il numero degli apparecchi riferibili al concessionario. Neppure vi sarebbe lesione della liberta' d'impresa ove si consideri che i concessionari sono agenti contabili, tenuti al conto giudiziale degli introiti derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito. L'invocato art. 3 della convenzione si riferisce alle ipotesi in cui si rendano necessarie variazioni delle attivita' tecniche indicate nell'atto di convenzione e nel capitolato tecnico. In sostanza, le prescrizioni contenute nella legge di stabilita' 2015, per potere essere applicate ai concessionari, non necessitano di essere recepite e formalizzate in un atto integrativo, trovando applicazione le previsioni dell'art. 12, secondo cui il concessionario e' obbligato a versare le somme a qualsiasi titolo dovute non solo in base all'atto di convenzione ma anche in esecuzione di ogni altra norma o provvedimento che disciplini gli apparecchi in questione. Infine, la norma non ha introdotto un tributo, con la conseguenza che ad essa e' possibile sottrarsi, ad esempio, sciogliendo i rispettivi contratti (tra i concessionari e ADM, ovvero tra i concessionari e gli altri operatori della filiera). Con ordinanza n. 1465 del 2 aprile 2015, e' stata respinta l'istanza cautelare. In data 29 maggio 2015, e' intervenuto ad opponendum il Codacons. Il ricorso e' passato in decisione una prima volta, alla pubblica udienza del 1° luglio 2015. Con ordinanza n. 9817 del 20 luglio 2015, la Sezione ha disposto incombenti istruttori. Segnatamente, ha richiesto al concessionario "di depositare in giudizio: A) copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2013 e copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2014, ove approvato dall'Assemblea ordinaria, accompagnato da una tabella riassuntiva, per ciascuno dei due anni, del valore aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione al netto del costo delle materie prime consumate e del costo dei servizi esterni e di altri eventuali costi di gestione), del margine operativo lordo (intendendosi per tale il valore aggiunto al netto del costo del lavoro) e del risultato operativo (intendendosi per tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti della gestione tipica); B) una tabella riassuntiva dei compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013 e 2014 agli altri operatori della propria filiera, con espressa indicazione circa l'appostazione degli stessi nel conto economico tra i costi della produzione e, in particolare, tra i costi per servizi o in altra voce". L'Agenzia delle dogane e dei monopoli e' stata invece onerata di depositare in giudizio una dettagliata relazione, per quanto di propria conoscenza, in ordine all'aggregazione dei suddetti dati richiesti al concessionario ricorrente per l'intero settore dei giochi in discorso, comprensiva di ogni ulteriore eventuale chiarimento sull'incidenza dell'intervento legislativo sui margini di redditivita' delle imprese del settore. La ricorrente e l'amministrazione resistente, per quanto di rispettiva competenza, hanno adempiuto l'incombente istruttorio e, unitamente al Codacons e A.C.A.D.I., hanno prodotto altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni. La causa e' stata infine trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 21 ottobre 2015. 2. L'Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce l'offerta del gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS ed a tal fine seleziona, attraverso procedure ad evidenza pubblica, i soggetti cui affidare in concessione la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco. I concessionari, che hanno sottoscritto una convenzione di concessione di durata novennale, sono attualmente tredici. Gli apparecchi da divertimento e intrattenimento sono di due tipi: le Amusement With Prizes (AWP) e le Video Lottery Terminal (VLT). Le AWP sono apparecchi che vengono installati principalmente presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio, i bar e le rivendite di tabacchi), denominati "esercenti", ed operano con una posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima di 100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati da operatori terzi, i cc.dd. "gestori", che si occupano anche dell'installazione e della manutenzione presso gli "esercenti", titolari di esercizi commerciali dotati di specifica autorizzazione ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori o con i concessionari. Nella filiera del comparto delle VLT, invece, e' di solito assente il gestore perche' gli apparecchi sono forniti direttamente dal concessionario, che si prende carico dell'intera gestione operativa degli stessi. La posta di gioco con le VLT e' consentita fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino a 5.000 euro. I rapporti tra lo Stato ed i concessionari sono regolati da apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che, secondo quanto riferito dalla difesa erariale, non rispondono a modelli tipo redatti o approvati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il compenso spettante ai concessionari e' calcolato in via residuale, in quanto e' pari all'importo delle giocate dedotti: le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati; gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione; gli importi dovuti all'Erario, principalmente il PREU ai sensi dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per gli apparecchi AWP ed al 5% delle giocate per gli apparecchi VLT. La remunerazione dei concessionari e dell'intera filiera di gestori ed esercenti che ad essi fa capo, quindi, proviene dall'insieme delle giocate ed e' carico dello Stato in quanto il denaro, una volta inserito nell'apparecchio da gioco, diviene di proprieta' dello Stato. 3. L'art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare "il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attivita' criminose, nonche' per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi". Tra i principi e criteri direttivi cui dovra' essere improntato il riordino, la lettera g) del secondo comma prevede la "revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate". L'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015), nelle more, ha previsto che: "[...] e' stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall'anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: a) ai concessionari e' versato dagli operatori di filiera l'intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell'eventuale successiva denuncia all'autorita' giudiziaria competente; b) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresi' annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonche' le modalita' di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall'anno 2016, previa periodica ricognizione, all'eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi; c) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.". L'Agenzia delle dogane e dei monopoli, con l'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015, ai fini della ripartizione del versamento dell'anzidetto importo di 500 milioni di euro, ha individuato il numero degli apparecchi riferibile a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014, per cui ha ripartito in maniera proporzionale il versamento a carico di ciascun concessionario (alla Societa' ricorrente, per un totale di 16.375 apparecchi riferibili, e' stato imposta una quota annuale di versamento di euro 19.769.025,35), stabilendo che ciascun concessionario effettua il versamento nella misura del 40% entro il 30 aprile 2015 e per il residuo 60% entro il 31 ottobre 2015. Ne consegue che, in ragione del disposto della norma di legge la cui legittimita' costituzionale e' in questa sede contestata, il compenso spettante ai concessionari e' ora calcolato in via residuale sottraendo al totale delle somme raccolte non soltanto quanto in precedenza esposto, vale a dire: le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati; gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione; gli importi dovuti all'Erario, principalmente il PREU ai sensi dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per gli apparecchi AWP ed al 5% per gli apparecchi VLT; ma anche il versamento dovuto allo Stato ai sensi dell'art. 1, comma 649, lettera b), della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015). 4. Il Collegio ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014. 4.1 La questione si presenta all'evidenza rilevante ai fini della decisione della controversia in quanto l'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015 e' stato adottato nell'esercizio di un potere del tutto vincolato e, in particolare, nella doverosa applicazione della richiamata norma di legge, sicche' la definizione del presente giudizio discende inevitabilmente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. 4.2 Detta questione, oltre che rilevante ai fini della decisione della controversia, non e' manifestamente infondata alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale in subiectamateria. In una fattispecie per alcuni versi analoga a quella in esame (sentenza n. 92 del 22 maggio 2013) la Corte, in continuita' con la propria consolidata giurisprudenza in materia di tutela dell'affidamento, ha giudicato costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza, l'art. 38, commi 2, 4, 6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003 nella parte in cui determina effetti retroattivi in peius sul regime dei compensi spettanti ai custodi di veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca. In tale circostanza, il Giudice delle leggi ha rappresentato che la ragionevolezza complessiva della trasformazione alla quale sono stati assoggettati i rapporti negoziali deve "essere apprezzata nel quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli interessi - tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro di cui all'art. 3 Cost. - che risultano nella specie coinvolti; ad evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi". Con specifico riguardo al settore in esame, la Corte, nella successiva sentenza n. 56 del 2015, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010, in riferimento agli articoli 3, 41, comma primo, e 42, terzo comma, Cost.; tali norme prevedono l'aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l'esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici, in modo che i concessionari siano dotati dei nuovi "requisiti" e accettino i nuovi "obblighi" prescritti, rispettivamente, nelle lettere a) e b) del comma 78, e che i contenuti delle convenzioni in essere siano adeguati agli "obblighi" di cui sopra. La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' per il 2011), in particolare, ha introdotto le norme oggetto di censura a garanzia di plurimi interessi pubblici, quali la trasparenza, la pubblica fede, l'ordine pubblico e la sicurezza, la salute dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti piu' deboli, la protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla raccolta del gioco; con esse, sia i nuovi concessionari, sia i titolari delle concessioni in corso sono assoggettati a nuovi "obblighi", in prevalenza di natura gestionale, diretti al mantenimento di indici di solidita' patrimoniale per tutta la durata del rapporto ed a questi si affiancano "obblighi" che concorrono alla protezione dei consumatori e alla riduzione dei rischi connessi al gioco o che introducono clausole penali e meccanismi diretti a rendere effettive le cause di decadenza della concessione. Sono infine previsti "obblighi" di prosecuzione interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di devoluzione all'amministrazione concedente, su sua richiesta, della rete infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco dopo la scadenza del rapporto. Nel caso richiamato, si e' posto in rilievo che "il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova si' copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti ed inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico". Ne consegue che "non e' affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto". Nella fattispecie in esame, gli interessi pubblici tutelati sono individuabili nella necessita', a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, testo unico n. 773 del 1931. Al fine di valutare il superamento o meno del limite della proporzionalita' rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione, con ordinanza del 20 luglio 2015, ha disposto incombenti istruttori a carico delle parti per individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell'intera filiera incida sui margini di redditivita' della singola impresa. La Societa' ricorrente ha depositato copia dei conti economici relativi ai bilanci al 31 dicembre 2013 e al 31 dicembre 2014, con una tabella riassuntiva, per ciascuno dei due anni, del valore aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione al netto del costo delle materie prime consumate e del costo dei servizi esterni e di altri eventuali costi di gestione), del margine operativo lordo (intendendosi per tale il valore aggiunto al netto del costo del lavoro) e del risultato operativo (intendendosi per tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti della gestione tipica) nonche' con indicazione dei compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013 e 2014 agli altri operatori della propria filiera. Da tale documentazione, e' emerso che, generalmente, rispetto all'intera filiera, l'incidenza del versamento imposto non appare ictu oculi violativo del principio di proporzionalita', vale a dire del "limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico", indicato dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2015. Il Collegio, tuttavia, ritiene che la norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge di stabilita' per il 2015 presenti altri profili che rendono la questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 41, comma 1, Cost. Viene qui in rilievo il canone di ragionevolezza, assurto nella giurisprudenza costituzionale a clausola generale, anche quale limite immanente all'esercizio della discrezionalita' del legislatore. Tale giudizio di ragionevolezza, per lungo tempo caratterizzato dalla necessaria individuazione di un termine di raffronto (tertium comparationis) soltanto a fronte del quale la normativa denunciata puo' rivelarsi incostituzionale (schema di giudizio ternario), si e' via via affrancato dal giudizio di comparazione ed e' divenuto un canone autonomo. L'autonomia della ragionevolezza rispetto al giudizio di eguaglianza appare con tutta evidenza laddove l'art. 3 Cost. viene evocato congiuntamente sotto il profilo della disparita' di trattamento e sotto il profilo della ragionevolezza, e la Corte argomenta distintamente per ciascuno dei due profili. Il Collegio ritiene che la norma contestata presenti dubbi di compatibilita' costituzionale con riferimento sia al profilo della disparita' di trattamento sia al profilo della ragionevolezza. Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo luogo considerato che l'intervento legislativo e' avvenuto in dichiarata anticipazione del piu' organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014. Sennonche', mentre il criterio per il riordino previsto dall'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014 prevede la revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori "secondo un criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate", la norma in contestazione ha previsto la riduzione dei compensi in "quota proporzionale" al numero di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del 31 dicembre 2014. Ne consegue che, sebbene sia stato fatto specifico riferimento alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi secondo un "criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate", il criterio introdotto per ripartire tra i concessionari l'importo totale di euro 500 milioni e' legato non ad un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti e riferibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di ricognizione successiva. Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, e' di per se' idonea ad indurre il sospetto che la norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge di stabilita' per il 2015 abbia violato sia il principio di ragionevolezza che quello di uguaglianza. Premessa, infatti, la contraddittorieta' intrinseca della disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure soggetto ad aggiornamento), cioe' il numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario ad una certa data, anziche' ad un dato dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacita' di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera e' misurata in maniera molto piu' propria dall'entita' complessiva degli importi incassati che dal numero degli apparecchi riferibile a ciascun soggetto. Il criterio individuato, in altri termini, postula che ogni apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare del tutto implausibile. Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra violare il principio di uguaglianza in quanto, essendo il riferimento al numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario non compitamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. La previsione normativa, in sostanza, sembra avere violato i canoni di ragionevolezza e parita' di trattamento presumendo, in maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la stessa potenzialita' di reddito laddove quest'ultima dipende da una molteplicita' di fattori (quali, in primo luogo, la differenza tra AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la strada in cui l'apparecchio e' situato nonche' la sua ubicazione all'interno del locale) che rendono implausibile il criterio scelto dal legislatore. La violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, peraltro, e' individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre la legge delega n. 23 del 2014, ha previsto il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici e, quindi, del loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi praticati mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, TU n. 773 del 1931 e, per l'effetto, e' destinata solo ad un segmento, sia pure di enorme rilievo, al suo interno. Va da se' che la descritta irragionevole ripartizione del versamento imposto tra i concessionari potrebbe produrre un'alterazione del libero gioco della concorrenza tra gli stessi, favorendo quelli che, in presenza di una redditivita' superiore per singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione al volume di giocate raccolte, un importo minore, per cui possono destinare maggiori risorse agli investimenti e, in senso piu' lato, favorendo gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi da quelli in discorso. La questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 non appare manifestamente infondata anche con riferimento alla violazione dell'art. 41 Cost. che sancisce il principio di liberta' dell'iniziativa economica privata. Il Collegio rileva infatti che, qualora si tratti di soggetti privati che, nell'intraprendere attivita' d'impresa, sostengono consistenti investimenti, la legittima aspettativa ad una certa stabilita' nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare tutela costituzionale, riconducibile non solo all'art. 3 Cost., ma anche all'art. 41 Cost. In particolare, il legittimo affidamento dell'imprenditore implica l'aspettativa che le sopravvenienze normative non finiscano per vanificare l'iniziativa economica intrapresa e gli investimenti sostenuti, atteso che, se l'imprenditore evidentemente deve assumere su di se' i rischi d'impresa derivanti da mutamenti della situazione di fatto, non puo' dirsi allo stesso modo per le sopravvenienze normative che incidono sulle condizioni economiche stabilite nella convenzione accessiva al rapporto concessorio. Nel caso di specie, se, da un lato, il versamento imposto non appare prima facie violativo del richiamato "principio di proporzionalita'" scolpito nella sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2015, dall'altro, la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditivita' della stessa dovessero consistentemente ridursi. In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo "taglio" alla sua capacita' di reddito, non appare tale da violare il "principio di proporzionalita'" in un'ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non e' possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosita' degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera. Parimenti irragionevoli e lesive della liberta' di iniziativa economica dell'impresa si rivelano poi le previsioni, contenute nelle lettera a) e c) del secondo comma dell'art. 1, comma 649 della legge di stabilita' per il 2015, secondo cui "ai concessionari e' versato dagli operatori di filiera l'intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate" e "i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati". Tali disposizioni appaiono idonee a riflettersi sulla liberta' contrattuale di tutti gli operatori della filiera. In particolare, per quanto riguarda i concessionari, il meccanismo imposto dal legislatore, di inversione del flusso dei pagamenti attraverso cui si e' sino ad ora proceduto alla remunerazione del settore (oggetto di specifiche pattuizioni contrattuali), aumenta il rischi cui sono esposti i concessionari del mancato adempimento degli obblighi gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che tale circostanza faccia comunque venire meno l'obbligo dei concessionari medesimi di versare allo Stato, nei termini indicati, l'importo, concernente l'intera filiera, quantificato nell'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015. La profonda modifica dell'assetto della concessione, non risulta invero controbilanciata dall'obbligo di rinegoziazione dei contratti imposto, a cascata, nei rapporti con gli operatori interni alla filiera, sia in quanto la concreta modifica di tali rapporti e' rimessa (ne' potrebbe essere diversamente) alla libera volonta' delle parti, sia perche' i concessionari non sono stati dotati di strumenti diversi dagli ordinari rimedi contrattuali per conseguire l'adempimento delle obbligazioni dei gestori, cosi' come, almeno in parte, direttamente innovativamente conformate dallo stesso legislatore. Cio' senza dire che, sebbene non rilevi nella fattispecie in esame, anche la stessa imposizione autoritativa della rinegoziazione, riguardata dal lato dei gestori, si appalesa lesiva della loro liberta' di iniziativa economica e negoziale nonche' dell'affidamento nella percezione del compenso quale in precedenza contrattato. 5. Per tutte le ragioni sopraesposte, il Collegio ritiene rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 per violazione degli articoli 3 e 41, primo comma, Cost. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.