TRIBUNALE DI VENEZIA Sezione del giudice per le indagini preliminari Il giudice, dott.ssa Giuliana Galasso, premesso che: in data 18 febbraio 2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha emesso decreto penale di condanna nei confronti di Canton Davide e Canton Rodolfo, imputati del reato di lesioni colpose commesso in data 21 ottobre 2013, punito con pena fino ad un anno di reclusione e dunque a citazione diretta; il decreto e' stato notificato agli imputati il 30 settembre 2015 e, nei termini, il difensore ha fatto richiesta per entrambi di applicazione della pena nella misura finale di giorni 40 di reclusione, il pubblico ministero ha prestato il consenso ed e' stata fissata per la decisione, l'udienza odierna; preliminarmente solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 464 del codice di procedura penale nella parte in cui secondo l'interpretazione ormai indiscussa attribuisce la competenza alla celebrazione dei riti alternativi e alla emissione del decreto di GI al giudice per le indagini preliminari anche per i reati a citazione diretta (e non solo per quelli che prevedono il rinvio a giudizio in udienza preliminare) per contrasto con l'art. 25 della Costituzione per il quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.» Prima della riforma del giudice unico il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale e il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura emettevano, a richiesta del pubblico ministero, il decreto penale di condanna per i reati di rispettiva competenza; Per i reati di competenza del Tribunale l'imputato poteva chiedere con l'atto di opposizione, ai sensi dell'art. 463 del codice di procedura penale nella formulazione allora vigente, i riti alternativi al giudice che aveva emesso il decreto, ovvero al giudice per le indagini preliminari che era comunque il giudice competente per la trattazione dei riti alternativi nell'udienza preliminare, anche dopo l'esercizio dell'azione penale nelle forme ordinarie della richiesta di rinvio a giudizio. Se l'imputato si opponeva senza optare per i riti alternativi, il Giudice per le indagini preliminari emetteva il decreto di Giudizio Immediato. Nei procedimenti di competenza del Pretore era il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura ad emettere il decreto penale di condanna ai sensi dell'art. 554, c. 1° del codice di procedura penale e, in caso di opposizione a celebrare i riti alternativi, ai sensi dell'art. 565 del codice di procedura penale. Se invece di optare per il rito speciale, il pubblico ministero avesse proceduto col rito ordinario emettendo il decreto di citazione a giudizio (il procedimento presso la Pretura non prevedeva l'udienza preliminare) gli eventuali riti alternativi che l'imputato poteva richiedere entro 15 giorni dalla notifica del decreto erano, comunque, di competenza del giudice delle indagini preliminari, per l'espresso disposto degli articoli 555 e segg. del codice di procedura penale nella formulazione all'epoca vigente. Sia per i reati di competenza del Tribunale, sia per quelli di competenza del Pretore, sia che il pubblico ministero avesse scelto il procedimento per decreto sia che avesse optato per il rito ordinario provvedeva in ogni caso sui riti alternativi il giudice per le indagini preliminari. Il sistema era coerente. Con la riforma del giudice unico, attuata con decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 «Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado» e con la legge 16 dicembre 1999, n. 479 «Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale ...» il legislatore ha pero' innovato, tra l'altro, sulla competenza alla trattazione dei riti alternativi, dopo l'esercizio dell'azione penale. Mentre per i reati per i quali e' prevista l'udienza preliminare, il Giudice per le indagini preliminari e' rimasto competente alla trattazione, in tale udienza, dei riti alternativi, per i reati a citazione diretta ex art. 550 del codice di procedura penale i riti alternativi, dopo l'esercizio dell'azione penale con l'emissione da parte del pubblico ministero del decreto di' citazione a giudizio, sono di competenza del Tribunale Monocratico: gli articoli 552 e 555 del codice di procedura penale stabiliscono che la richiesta di riti alternativi vada formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e naturalmente a decidere e' il giudice del dibattimento. L'art. 464 del codice di procedura penale stabilisce che dopo l'emissione del decreto penale di condanna - attribuita alla competenza del giudice per le indagini preliminari, a prescindere dalle modalita' ordinarie di esercizio dell'azione penale - «se l'opponente ha chiesto il giudizio immediato il giudice emette decreto a norma dell'art. 456 comma 3 e 5» del codice di procedura penale e trattiene gli atti per la celebrazione dei riti alternativi ove l'imputato ne abbia fatto richiesta e vi sia, per l'applicazione pena, il consenso del pubblico ministero. L'art. 557 - Procedimento per decreto - inserito nel libro VIII che disciplina il procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica stabilisce analogamente che «1. Con l'atto di opposizione l'imputato chiede al giudice di emettere il decreto di citazione a giudizio ovvero chiede il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 o presenta domanda di oblazione. 2. Nel giudizio conseguente all'opposizione, l'imputato non puo' chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, ne' presentare domanda di oblazione. In ogni caso, il giudice revoca il decreto penale di condanna. 3. Si osservano le disposizioni del titolo V del libro sesto, in quanto applicabili.» Una lettura coordinata degli articoli di legge suggerisce che il legislatore abbia inteso attribuire al Tribunale monocratico la competenza ad emettere il decreto di citazione a giudizio e alla trattazione dei riti alternativi, nel caso di reati a citazione diretta. Cosi' interpretate le norme, il sistema conserverebbe coerenza perche' in caso di opposizione a DP di condanna il Giudice per le indagini preliminari resterebbe competente per la celebrazione dei riti alternativi e l'emissione del decreto di GI per i reati che prevedono l'udienza preliminare, mentre passerebbe al Tribunale Monocratico la competenza all'emissione del decreto di citazione a giudizio e alla celebrazione dei riti alternativi quando i reati sono a citazione diretta. Il vuoto normativo, ad esempio sulla trasmissione degli atti, e' superabile facendo ricorso alla disciplina vigente. Ad esempio in caso di istanza di riti alternativi, il giudice per le indagini preliminari trasmetterebbe al Tribunale monocratico l'intero fascicolo, e, in caso contrario, trasmetterebbe il fascicolo per il dibattimento per l'emissione del decreto di citazione a giudizio, restituendo gli atti al pubblico ministero. In ogni caso non basta a giustificare la violazione del dettato costituzionale. E' invece invalsa ed e' indiscussa l'interpretazione per cui dopo l'opposizione a DP di condanna il giudice per le indagini preliminari resta competente per la celebrazione dei riti alternativi e per l'emissione del decreto di GI in ogni caso, sia che si tratti di reati a citazione diretta, sia che si tratti di reati per i quali il pubblico ministero deve chiedere il rinvio a giudizio in udienza preliminare. Si veda, ad esempio, la sentenza della Corte di' Cassazione, sez. 4ª, del 20 marzo 2013 n. 25987 Rv. 257185, che stabilisce: «la competenza a celebrare il giudizio abbreviato chiesto in sede di opposizione a decreto penale di condanna appartiene al giudice per le indagini preliminari ed ha natura funzionale. (Nella specie, la Corte ha ritenuto la nullita' assoluta del procedimento in quanto svoltosi dinanzi al tribunale, giudice funzionalmente incompetente). La sentenza e' stata emessa in un processo pendente per il reato ex art. 186 CdS, a citazione diretta. Tale interpretazione oltre ad abrogare di fatto l'art. 557 del codice di procedura penale poiche' non e' mai il Tribunale monocratico ad emettere il decreto di citazione a giudizio, «costringe» il giudice per le indagini preliminari ad emettere il decreto di Giudizio Immediato, anche per i reati a citazione diretta, laddove l'art. 464 del codice di procedura penale dispone che «se l'opponente ha chiesto il GI il giudice emette decreto a norma dell'art. 456 commi 1, 3 e 5», con un rimando espresso al Giudizio Immediato quale procedimento speciale diretto a disporre il giudizio senza tenere l'udienza preliminare. Non e' consentito emettere il decreto di GI per i reati a citazione diretta. La Corte di Cassazione, sez. 4ª, con sentenza del 17 dicembre 2014, n. 3805, Rv. 261949 precisa: «L'instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l'esercizio dell'azione penale deve avvenire con citazione diretta integra una ipotesi di nullita' assoluta, in quanto, oltre a precludere all'imputato il diritto a ricevere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis del codice di procedura penale, determina un indebito mutamento del giudice naturale all'esito del giudizio abbreviato.» L'interpretazione che attribuisce al giudice per le indagini preliminari la competenza funzionale alla trattazione dei riti alternativi, in sede di opposizione a DP di condanna, anche per i reati a citazione diretta e non solo e soltanto per quelli per i quali sia previsto il rinvio a giudizio in udienza preliminare, si pone in contrasto con l'art. 25 della Costituzione per il quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.» Il giudice naturale precostituito per legge alla trattazione dei riti alternativi, dopo l'esercizio dell'azione penale, nei reati a citazione diretta. e', dopo la riforma del giudice unico, il Tribunale monocratico e non il giudice per le indagini preliminari. La scelta meramente discrezionale del pubblico ministero di esercitare l'azione penale con la richiesta di emissione di Decreto Penale di condanna, anziche' col rito ordinario della citazione diretta a giudizio, ottiene l'effetto di fare celebrare i riti alternativi al giudice per le indagini preliminari anziche' al Tribunale in composizione monocratica. Non v'e' dubbio che il pubblico ministero possa ogni volta scegliere, in piena discrezionalita' - e poteva ben farlo anche nel presente processo - di procedere o col rito ordinario (decreto di citazione a giudizio e quindi riti alternativi al Tribunale monocratico) o con richiesta di emissione di DP di condanna (e in caso di opposizione riti alternativi e decreto di GI al giudice per le indagini preliminari). L'unica condizione, la sostituzione della pena detentiva con la pecuniaria, non e' vincolata ad alcun parametro rigido ed indiscutibile, ma e' rimessa alla valutazione del pubblico ministero come risulta chiaramente dall'art. 459 del codice di procedura penale per il quale il pubblico ministero «quando ritiene ..... puo' presentare al giudice per le indagini preliminari .... richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna.» Non v'e' dubbio che per la medesima imputazione contestata nel presente processo il pubblico ministero avrebbe potuto procedere con citazione diretta, Anche il limite posto dalla norma, che la richiesta sia formulata entro sei mesi dall'iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato, non vale a circoscrivere in alcun modo la discrezionalita' del pubblico ministero - che rimarrebbe comunque ampia - dal momento che il termine ha natura ordinatoria e il suo mancato rispetto configura una mera irritualita', come hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, fin dal lontano 1992 (sentenza 6 marzo 1992, n. 3 Rv. 189402). Concludendo, nel presente procedimento pendente per il reato ex art. 590 del codice penale (a citazione diretta) il pubblico ministero ben poteva emettere il decreto di citazione diretta a giudizio e sarebbe stato competente per l'applicazione della pena richiesta, il Tribunale in composizione monocratica; avendo optato, nell'esercizio della discrezionalita' attribuitagli dalla norma e ben oltre i sei mesi dall'iscrizione nel registro mod. 21, di formulare richiesta di emissione di DP di condanna, gli imputati si trovano ad essere giudicati dal giudice per le indagini preliminari, sottratti al giudice naturale precostituito per legge, ovvero il Tribunale monocratico. L'interpretazione costituzionalmente orientata consentirebbe, tra l'altro, di superare tutte le problematiche connesse all'istituto della messa alla prova, qualora la richiesta sia formulata in sede di opposizione a DP di condanna in uno con la subordinata di rito alternativo (AP o abbreviato che sia). Il giudice per le indagini preliminari dovrebbe e potrebbe trattenere il processo sia per la messa alla prova che, eventualmente, per i riti alternativi, quando si proceda per reati che prevedono il rinvio a giudizio in udienza preliminare, riti che e' competente, appunto, a trattare in udienza preliminare; quando il DP e' stato emesso per reati a citazione diretta dovrebbe e potrebbe trasmettere gli atti al Tribunale monocratico, competente, dopo l'esercizio dell'azione penale, sia sulla messa alla prova che sui riti alternativi. La questione e' rilevante: trattandosi di reato a citazione diretta, ove la Corte dichiarasse l'incostituzionalita' della norma nel senso sopra indicato il processo potrebbe essere trasmesso per la decisione sulla richiesta di applicazione pena al Tribunale monocratico, competente nel caso in cui il pubblico ministero avesse scelto di procedere con rito ordinario anziche' con richiesta di DP di condanna.