TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
            Lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria 
 
    Nella causa iscritta al n. 2130/2014 R.G., promossa  ex  articoli
442 e ss. c.p.c. da Ferruccio Lorenzoni rappresentato e difeso  dagli
avv.ti Corrado Scivoletto, Luca Simonetti e Antonio Giovanni Prati ed
elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio  di  quest'ultimo   in
Brescia, ricorrente, contro INPS - Istituto Nazionale  di  Previdenza
Sociale  in   persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore
rappresentato e difeso dall'avv.  Alfonso  Faienza  ed  elettivamente
domiciliato presso l'Avvocatura distrettuale dell'istituto in Brescia
via P. Bulloni n. 14, resistente. 
    E con l'intervento adesivo dipendente di Dircredito  Associazione
Sindacale Nazionale dell'area direttiva e delle alte professionalita'
del credito, delle Societa'  assicurative,  Agenzie  esattoriali  e\o
Riscossione Tributi,  della  Finanza  delle  attivita'  similare  e\o
strumentali  delle  Poste,  delle   Fondazioni   Bancarie   e   delle
Authorities o Agenzie Nazionali comunque denominate, in  persona  del
segretario nazionale, rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti
Corrado Scivoletto,  Luca  Simonetti  e  Antonio  Giovanni  Prati  ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Brescia
sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 9  novembre  2015,  ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale. 
    Premesso in fatto che: 
        con ricorso depositato il 23 giugno  2014,  il  Lorenzoni  ha
sollecitato la rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte
costituzionale  per   l'esame   della   questione   di   legittimita'
costituzionale del comma 25 dell'art.  24  del  decreto-legge  75  n.
201/2011, per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1, 38  comma  2,
nonche' con il combinato disposto degli art. 3, 36 e  38,  Cost..  ed
altresi' della questione di legittimita'  costituzionale  sulla  base
dei medesimi parametri dell'art. 1 comma 483 della legge 27  dicembre
2013 n. 147 al fine di ottenere la declaratoria di illegittimita' del
reiterato blocco della perequazione automatica della sua pensione che
assumeva  essere  stato  operato  al  di  la'  di  ogni   canone   di
ragionevolezza e proporzionalita'  e  per  poter  ottenere  cosi'  la
condanna dell'INPS a provvedere alla perequazione del suo trattamento
pensionistico ex legge n. 388  del  23  dicembre  2000  art.  69  con
decorrenza dal gennaio 2012 oltre interessi e rivalutazione monetaria
sugli arretrati sino all'effettivo soddisfo; 
        che il Lorenzoni ha riferito di essere stato assunto in  data
4 ottobre 1956 dall'allora Credito Agrario Bresciano presso il  quale
aveva ininterrottamente lavorato sino alla data in cui  era  maturato
il suo diritto alla pensione di anzianita' e cioe' sin al  1°  giugno
1996; 
        che il trattamento pensionistico era stato dal 2002 pari ad €
3.990,35 e quindi per  effetto  di  successive  rivalutazioni  e  per
accumulo di contributi versati  nella  gestione  sperata  INPS  ad  €
4.842,98 sino al 1° gennaio 2012 ; 
        che dal 1° gennaio 2012, a motivo della disposizione di legge
di cui denunciava la incostituzionalita', non era stato rivalutato; 
        che dal gennaio 2014 aveva ricevuto in incremento di €  17,83
mensili pari al 40 per cento dell'incremento del costo della vita sui
primi € 2.972,48 euro di pensione, a loro  volta  equivalenti  a  sei
volte il trattamento minimo INPS e nessun  incremento  per  la  parte
rimanente; 
        ritualmente  instauratosi  il   contraddittorio,   l'istituto
convenuto ha  domandato,  in  via  preliminare,  la  declaratoria  di
inammissibilita'  del  ricorso  affermando  di  essersi  limitato  ad
applicare la normativa vigente  che  il  ricorrente  reputava  essere
incostituzionale, ma in relazione alla quale non poteva  chiedere  la
rimessione alla Corte  costituzionale  in  quanto  la  stessa  poteva
pronunciarsi solo in via incidentale, e, nel merito, il rigetto delle
domande  svolte  nei  suoi  confronti  stante  l'inequivoco   dettato
legislativo; 
        con intervento adesivo  dipendente  l'Associazione  sindacale
indicata in epigrafe ha sostenuto la fondatezza della  richiesta  del
ricorrente ed a sua volta ha insistito per la rimessione  alla  Corte
costituzionale; 
    Osserva che e' del tutto infondata (e persino poco comprensibile)
l'eccezione preliminare sollevata dall'INPS circa  l'inammissibilita'
del  ricorso  sul  presupposto  che  il  pensionato  non  avrebbe  la
possibilita' di sollecitare la rimessione alla  Corte  costituzionale
delle norme, se correttamente applicate dall'Istituto:  al  contrario
proprio dalla circostanza che l'INPS ha  applicato  correttamente  la
vigente disciplina che, ad  avviso  della  parte  ricorrente  sarebbe
viziata di incostituzionalita', discende la necessita\opportunita' di
sottoporre la questione al giudice  delle  leggi  una  volta  che  il
giudice di merito ne riconosca la non  manifesta  infondatezza  e  la
rilevanza per la decisione che e' chiamato a dare; 
    che va subito affermato che la questione sollevata  nel  presente
giudizio e' certamente rilevante in quanto  il  Lorenzoni  invoca  la
perequazione della sua pensione con la conseguente riliquidazione  ed
il  pagamento  di  una  differenza  sul   trattamento   pensionistico
pregresso che non gli puo'  essere  concessa  ne'  dall'INPS  ne'  da
questo Giudice proprio in applicazione  della  normativa  di  cui  si
contesta la costituzionalita'. 
    Tant'e' vero che una delle due disposizioni di cui il  ricorrente
ha dubitato essere  conformi  a  Costituzione  e'  stata  oggetto  di
pronuncia di incostituzionalita' con la sentenza n. 70 del  2015  del
1° marzo 2015 (pubblicata in  data  30  aprile  2015  nella  Gazzetta
Ufficiale) in fattispecie del tutto analoga; 
    che nelle more del giudizio non solo  e'  intervenuta  la  citata
pronuncia  che  avrebbe  consentito  al  ricorrente  di  ottenere  la
perequazione per il biennio 2012-2013, bensi' anche decreto-legge  21
maggio 2015 (convertito in legge 17 luglio 2015 n. 109) con il  quale
il legislatore ha modificato  la  norma  questa  volta  inserendo  un
blocco di perequazione solo in relazione alle  pensioni  superiori  a
sei volte  il  complessivo  trattamento  minimo  INPS,  impedendo  la
perequazione  della  pensione  del   ricorrente   (titolare   di   un
trattamento  superiore  a  sei  volte  il   trattamento   minimo)   e
riproponendo (seppure elevando il limite dei trattamenti da incidere)
una norma che si presta alle medesime censure di quella ante modifica
ed in relazione alla  quale  il  Lorenzoni  ha  chiesto  comunque  la
rimessione alla Corte costituzionale; 
    che di conseguenza il ricorrente, titolare di una pensione  di  €
4.842,98 non si vedra' corrispondere nulla per il biennio 2012 e 2013
e per il periodo successivo e segnatamente per l'anno 2014 percepira'
una perequazione parziale  (sino  all'importo  corrispondente  a  sei
volte il trattamento minimo INPS) estremamente ridotta; 
    che, ad avviso di questo giudice, inoltre,  la  questione  appare
non manifestamente infondata. 
    Com'e'  noto  nella  scelta   del   meccanismo   perequativo   da
utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalita', atteso
che  il  combinato  disposto  dell'art.  36  e  38  Cost.  impone  il
raggiungimento del fine (l'adeguamento delle pensioni  all'incremento
del costo  della  vita),  senza  imporre  una  particolare  modalita'
attuativa del principio indicato. 
    E' stato correttamente osservato, nelle ordinanze  di  remissione
dei giudici sulla norma in questione prima della modifica introdotta,
che  sebbene  non  esista  un  principio  costituzionale  che   possa
garantire  l'adeguamento  costante  delle  pensioni   al   successivo
trattamento economico dell'attivita' di servizio  corrispondente,  il
legislatore e' tenuto ad individuare  meccanismi  che  assicurino  la
perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo  della
vita. 
    Tale principio ha portato piu' volte la  Corte  costituzionale  a
dichiarare  l'illegittimita'  di  disposizioni  che  non  contenevano
alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione  del
valore delle prestazioni erogate. 
    In  particolare  proprio  nella  sentenza  n.  70\2015  la  Corte
costituzionale  ha  nuovamente  ribadito  che  «8.   -   Dall'analisi
dell'evoluzione normativa in  subiecta  materia,  si  evince  che  la
perequazione  automatica  dei  trattamenti   pensionistici   e'   uno
strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il  rispetto
del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma,  Cost.
tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio  di
sufficienza della retribuzione di cui all'art.  36  Cost.,  principio
applicato,  per  costante  giurisprudenza   di   questa   Corte,   ai
trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita tra le
altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). 
    Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la
sua strumentalita'  rispetto  all'attuazione  dei  suddetti  principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne   le   modalita',   sulle   scelte   discrezionali   del
legislatore, cui spetta intervenire per determinare  in  concreto  il
quantum di tutela di volta in volta necessario.  Un  tale  intervento
deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo
comma,  e   38,   secondo   comma,   Cost.,   principi   strettamente
interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. 
    La ragionevolezza di tali finalita'  consente  di  predisporre  e
perseguire  un  progetto  di  eguaglianza  sostanziale,  conforme  al
dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost. cosi' da evitare disparita'
di   trattamento   in   danno   dei   destinatari   dei   trattamenti
pensionistici.   Nell'applicare   al   trattamento   di   quiescenza,
configurabile  quale   retribuzione   differita,   il   criterio   di
proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato  (art.
36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza
(art. 38,  secondo  comma,  Cost.),  questa  Corte  ha  tracciato  un
percorso coerente  per  il  legislatore,  con  l'intento  di  inibire
l'adozione di misure  disomogenee  e  irragionevoli  (fra  le  altre,
sentenze n. 208 del 2014 e n. 316 del 2010. Il rispetto dei parametri
citati si fa tanto piu' pressante per il legislatore, quanto piu'  si
allunga la speranza di vita e con  essa  l'aspettativa,  diffusa  fra
quanti  beneficiano  di   trattamenti   pensionistici,   a   condurre
un'esistenza libera e dignitosa,  secondo  il  dettato  dell'art.  36
Cost. 
    Non a caso fin dalla sentenza n. 26 del  1980,  questa  Corte  ha
proposto una lettura sistematica degli articoli 36 e 38 Cost., con la
finalita' di offrire «una particolare protezione per il  lavoratore».
Essa ha affermato  che  proporzionalita'  e  adeguatezza  non  devono
sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo,  «ma  vanno
costantemente  assicurate  anche  nel  prosieguo,  in  relazione   ai
mutamenti  del  potere  d'acquisto  della  moneta»,  senza  che  cio'
comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello  delle
pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore
una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche  graduale,  dei
termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n.  106  del
1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del  1979;  n.  176  del
1975; ordinanza n. 383 del 2004). 
    Nondimeno, dal canone dell'art. 36 Cost. «consegue l'esigenza  di
una  costante  adeguazione  del  trattamento   di   quiescenza   alle
retribuzioni del servizio attivo» (sentenza n. 501 del 1988;  fra  le
altre, negli stessi termini, sentenza n. 30 del 2004). 
    Il legislatore,  sulla  base  di  ragionevole  bilanciamento  dei
valori costituzionali deve «dettare  la  disciplina  di  un  adeguato
trattamento pensionistico, alla  stregua  delle  risorse  finanziarie
attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile  delle  esigenze
minime di protezione della persona» (sentenza n. 316 del  2010).  Per
scongiurare il  verificarsi  di  «un  non  sopportabile  scostamento»
fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni,  il  legislatore
non puo' eludere il limite della ragionevolezza (sentenza n. 226  del
1993)» Omissis. 
    «Pertanto, il criterio di ragionevolezza,  cosi'  come  delineato
dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti  negli
articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive  la
discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali. 
    9. - Nel vagliare la dedotta illegittimita' dell'azzeramento  del
meccanismo perequativo per i trattamenti  pensionistici  superiori  a
otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art.  1,  comma  19  della
gia' citata legge n. 247 del 2007), questa Corte  ha  ricostruito  la
ratio della norma censurata, consistente  nell'esigenza  di  reperire
risorse necessarie  «a  compensare  l'eliminazione  dell'innalzamento
repentino a sessanta anni a decorrere dal 1° gennaio 2008,  dell'eta'
minima gia' prevista per l'accesso alla  pensione  di  anzianita'  in
base all'art. 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004,  n.  243»,  con
«lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento  solidale  degli
interventi sulle pensioni di anzianita', contestualmente adottati con
l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge»  (sentenza  n.  316  del
2010). 
    In quell'occasione questa Corte non ha ritenuto che fossero stati
violati i parametri di cui agli artt.  3,  36,  primo  comma,  e  38,
secondo comma, Cost. Le pensioni incise per un solo anno dalla  norma
allora impugnata, di importo piuttosto elevato, presentavano «margini
di resistenza  all'erosione  determinata  dal  fenomeno  inflattivo».
L'esigenza di  una  rivalutazione  costante  del  correlativo  valore
monetario e' apparsa per esse meno pressante. 
    Questa Corte ha ritenuto, inoltre, non violato  il  principio  di
eguaglianza, poiche' il  blocco  della  perequazione  automatica  per
l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni  superiori  ad  un
limite d'importo di  sicura  rilevanza,  realizzava  «un  trattamento
differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle,
non incise dalla norma  impugnata,  dei  titolari  di  pensioni  piu'
modeste». La previsione generale  della  perequazione  automatica  e'
definita da questa Corte «a regime»,  proprio  perche'  «prevede  una
copertura decrescente, a mano a mano  che  aumenta  il  valore  della
prestazione». La scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da
una ratio redistributiva del sacrificio imposto,  a  conferma  di  un
principio solidaristico, che affianca l'introduzione di piu' rigorosi
criteri di accesso al trattamento di  quiescenza.  Non  si  viola  il
principio di eguaglianza, proprio perche' si muove dalla ricognizione
di situazioni disomogenee. 
    La norma, allora oggetto d'impugnazione,  ha  anche  superato  le
censure di palese irragionevolezza, poiche' si e' ritenuto che non vi
fosse riduzione quantitativa dei trattamenti  in  godimento  ma  solo
rallentamento della dinamica perequativa  delle  pensioni  di  valore
piu' cospicuo. Le esigenze  di  bilancio,  affiancate  al  dovere  di
solidarieta', hanno  fornito  una  giustificazione  ragionevole  alla
soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti
di importo otto volte  superiore  al  trattamento  minimo  INPS,  «di
sicura rilevanza», secondo questa Corte, e, quindi, meno  esposte  al
rischio di inflazione. 
    La richiamata pronuncia ha inteso segnalare che la sospensione  a
tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero  la  frequente
reiterazione  di  misure  intese  a  paralizzarlo,  «esporrebbero  il
sistema  ad  evidenti  tensioni  con  gli  invalicabili  principi  di
ragionevolezza e proporzionalita'», poiche' risulterebbe incrinata la
principale  finalita'  di  tutela,  insita   nel   meccanismo   della
perequazione, quella che  prevede  una  difesa  modulare  del  potere
d'acquisto delle pensioni.  Omissis. 
    Deve  rammentarsi  che,  per  le  modalita'  con  cui  opera   il
meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del  potere  di
acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e',  per
sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti,
calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo
nominale, che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato. 
    10.-  La  censura  relativa  al  comma  25   dell'art.   24   del
decreto-legge n. 201 del 2011, se  vagliata  sotto  i  profili  della
proporzionalita' e adeguatezza del trattamento pensionistico,  induce
a ritenere che siano stati valicati  i  limiti  di  ragionevolezza  e
proporzionalita',  con  conseguente  pregiudizio  per  il  potere  di
acquisto del trattamento stesso e  con  «irrimediabile  vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita'» (sentenza n.  349
del 1985). 
    Ebbene la norma recentemente introdotta ha nuovamente escluso  la
perequazione  per  gli  anni  2012  e   2013,   per   i   trattamenti
pensionistici di importo complessivo superiore sino a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi (ved. lettera c) del comma 25 del  decreto-legge
n. 201\11 come novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65 del 2015
conv. con legge n. 109 del 7 luglio 2015). 
    In tal modo e' stato reiterato il blocco della  perequazione  dei
trattamenti pensionistici per un biennio  innalzandone  la  soglia  e
quindi in concreto contravvenendo proprio  alle  indicazioni  fornite
dalla Corte costituzionale e sopra analiticamente richiamate  e  cio'
in quanto la somma corrispondente a sei volte il  trattamento  minimo
INPS, cioe' € 2972,58 non  appare  trattamento  di  sicura  rilevanza
come, invece, e' stato riconosciuto essere il trattamento di  importo
«otto  volte  superiore  al  trattamento  minimo  INPS»  dalla  Corte
costituzionale quando peraltro  l'esclusione  dalla  perequazione  di
tali trattamenti era stato previsto con riferimento ad un  solo  anno
(2008). 
    Attualmente quindi le pensioni di importo superiore a  sei  volte
il trattamento minimo complessivo  INPS  sono  integralmente  escluse
dalla perequazione per il  biennio  2012  e  2013  ed,  inoltre,  sui
trattamenti nuovamente non perequati si innesta la  disciplina  della
legge n.  147  del  27  dicembre  2013  per  il  triennio  successivo
2014-2016 che ha previsto il blocco di perequazione per  l'anno  2014
sulla parte di pensione superiore a sei volte il  trattamento  minimo
complessivo INPS e lasciando la  perequazione  del  40%  sull'importo
inferiore (ma non sul trattamento complessivo bensi' solo fino a  sei
volte l'importo del trattamento minimo, nulla  essendo  previsto  per
l'eccedenza) e cio' senza che il legislatore abbia ben specificato le
esigenze finanziarie a fronte delle quali si impone  tale  sacrificio
ai soggetti incisi ne' la destinazione dei risparmi cosi' ottenuti. 
    Conclusivamente, ad avviso di questo giudice, in  relazione  alla
novella introdotta dalla legge del 2015 ed in relazione alla legge n.
147\2013 con riferimento al blocco afferente l'anno 2014 si  assumono
violati: 
        a) il principio di cui all'art. 38 comma 2, Cost., perche' la
mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore
della pensione, menomandone l'adeguatezza; 
        b) il principio di cui all'art. 36 comma 1, Cost., poiche' la
mancata rivalutazione viola  il  principio  di  proporzionalita'  tra
pensione  (che  costituisce  il  prolungamento  in   pensione   della
retribuzione goduta in costanza  di  lavoro)  e  retribuzione  goduta
durante l'attivita' lavorativa; 
        c)  il  principio  derivante  dal  combinato  disposto  degli
articoli 36, 38, 3 Cost., perche' la mancata rivalutazione,  violando
il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello
di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera  il  principio
di   eguaglianza   e   ragionevolezza,   causando   una   irrazionale
discriminazione in danno della categoria dei  pensionati  a  cui  non
viene   garantito   il    rispetto    dei    principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale. 
    Ancora  una  volta  «risultano,  dunque,  intaccati   i   diritti
fondamentali   connessi   al    rapporto    previdenziale,    fondati
inequivocabili  parametri  costituzionali:  la  proporzionalita'  del
trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita  (art.
36, primo comma, Cost.) e  l'adeguatezza  (art  38.,  secondo  comma,
Cost.). Quest'ultimo e' da intendersi quale espressione certa,  anche
se non esplicita, del principio di solidarieta'  di  cui  all'art.  2
Cost.  e  al  contempo  attuazione  del  principio   di   eguaglianza
sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.» (cosi'  sentenza
n. 70 del 2015 Corte costituzionale). 
    Inoltre solo con riferimento alla modifica legislativa introdotta
con la legge n. 109 del 17 luglio 2015 in relazione alla reiterazione
del blocco della rivalutazione per le annualita' 2012 e  2013  per  i
trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore sino a sei
volte  il  trattamento  minimo  INPS  con   riferimento   all'importo
complessivo dei trattamenti  medesimi  (ved.  lettera  c)  del  comma
25 del  decreto-legge n.  201\11  come  novellato  dall'art.  1   del
decreto-legge n. 65 del 2015 conv. con legge n.  109  del  17  luglio
2015) si assume violato l'art. 136 Costituzione: 
        a) in quanto il decreto-legge n. 65\15 e la successiva  legge
di conversione hanno violato il giudicato  costituzionale  in  quanto
hanno, di fatto, riproposto il  blocco  della  rivalutazione  per  il
2012\2013 gia' dichiarato incostituzionale semplicemente  alzando  la
soglia e, nel caso concreto, facendo venir meno per il ricorrente  il
diritto appena riconosciutogli dalla Corte costituzionale stessa.  Si
ricorda, in proposito, che la Corte costituzionale sin dal 1963 e  da
ultimo nella sentenza n. 169 del 2015 richiamando  il  suo  indirizzo
precedente (sentenza n. 88 del 1966) ha evidenziato che l'art. 136 C.
sarebbe violato «non solo ove espressamente  si  disponesse  che  una
norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove
una legge, per il modo con cui provvede  a  regolare  le  fattispecie
verificatesi  prima  della  sua  entrata  in  vigore,  perseguisse  e
raggiungesse,  «anche  se  indirettamente,  lo  stesso   risultato»).
Principi, questi, ripresi e ribaditi  in  numerose  altre  successive
decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012;
n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983)».