TRIBUNALE ORDINARIO DI FORLI' Sezione civile Nel giudizio di merito iscritto al n. R.G. 1634/2013, instaurato con atto di citazione ai sensi dell'art. 618, comma 2 del codice di procedura civile da V. C., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Domenica Viggiani e Paolo Volpi, nei confronti di Equitalia Centro S.p.a., ora Equitalia Romagna S.p.a., e M. G., rimasti contumaci, trattenuto in decisione all'udienza del 25 settembre 2014, con assegnazione alla parte attrice di termine di giorni sessanta per deposito di comparsa conclusionale, ha pronunciato la seguente ordinanza. Rilevato in punto di fatto che, con ricorso ex articoli 512-617 del codice di procedura civile depositato il 17 dicembre 2012, la predetta V. avanzava opposizione al progetto di riparto predisposto all'esito dell'esecuzione n. 132/2008 R.G. Es. da ella stessa promossa nei confronti di M. G. in forza di una sentenza penale di condanna che le riconosceva una provvisionale di € 200.000,00 per un danno derivante dal reato di violenza sessuale commesso nei suoi confronti (piu' precisamente, pare utile ricordare in questa sede che veniva emessa dal Tribunale di Forli' sentenza n. 559/2008 di condanna del M. ad anni quindici di reclusione e al risarcimento del danno cagionato alla parte civile costituitasi, da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad € 200.000,00, con la conseguenza che il sequestro penale concesso dal G.I.P. in data 14 giugno 2007, debitamente annotata la pronuncia, si convertiva in pignoramento, e che detta sentenza trovava poi sostanziale conferma, quanto alla posizione della V. , sia per gli effetti penali, sia per quelli civili, e dunque anche per la provvisionale, in grado di appello e davanti alla Suprema Corte). All'udienza tenutasi in data 13 marzo 2013 ai sensi dell'art. 618 comma 1 del codice di procedura civile, il G.E., ritenendone l'opportunita', «in attesa del giudizio di merito da proporre, nel quale valutare la questione di legittimita' costituzionale della norma contestata» sospendeva l'esecuzione e la distribuzione del riparto, concedendo termine di giorni sessanta per l'introduzione del giudizio di merito. Con atto di citazione ex art. 618, comma 2 del codice di procedura civile , debitamente notificato al M. e ad Equitalia Romagna S.p.a., V. C. promuoveva il presente giudizio di merito al fine di sentire dichiarare la revoca dell'ordinanza datata 26 novembre 2012 con cui il Giudice dell'esecuzione ha dichiarato esecutivo, con modifica, il piano di riparto datato 2 aprile 2012, predisposto dal professionista delegato in sede di esecuzione immobiliare n. 132/2008 R.G. Es., pendente innanzi all'intestato Tribunale, ed ottenerne la revisione affinche' l'intera somma ricavata dall'alienazione dell'immobile le sia attribuita. Si duole parte attrice dell'esito a lei sfavorevole della procedura esecutiva immobiliare conclusasi con l'ordinanza gravata; deduce infatti che, nonostante le contestazioni dalla stessa legittimamente sollevate, Equitalia non solo affermava la sussistenza del proprio privilegio, ma addirittura ne ampliava la portata, chiedendone il riconoscimento per l'intero proprio credito, e cio' in forza del decreto-legge n. 98/2011, convertito nella legge n. 111/2011, che aveva modificato il terzo comma dell'art. 2776 del codice civile estendendo il privilegio previsto dalle disposizioni di cui agli articoli 2752 e 2776 del codice civile ai crediti per imposte dirette e connesse sanzioni sorti anche in epoca anteriore al 6 luglio 2011, data di entrata in vigore della nuova normativa. Ricorda e sottolinea la V. che Equitalia interveniva tardivamente, con piu' ricorsi, nel procedimento esecutivo da lei instaurato, senza vantare alcun privilegio sussidiario, non avendo i requisiti richiesti per l'attribuzione, e che, infatti, in sede di riparto parziale, i suddetti interventi, tutti successivi alla data di disposizione della vendita (12 marzo 2009), non trovarono accoglimento. Solo successivamente, in virtu' del portato di cui al novellato art. 2776, comma 3 del codice civile, che solo Equitalia puo' attivare, il medesimo ente acquisiva un verbale di pignoramento mobiliare, negativo che, con poche righe redatte da un suo dipendente, le attribuiva un privilegio al credito e sanava la tardivita' degli interventi nell'esecuzione immobiliare. Secondo la prospettazione attorea, l'ordinanza in questione, applicativa del mutato quadro normativo, integra chiaramente un caso di ingiustizia sostanziale, ingenerando ragionevoli dubbi sulla conformita' ai principi costituzionali dell'intervento legislativo da 2011; appare infatti, secondo l'assunto attoreo, del tutto paradossale, oltre che manifestamente iniquo ed irragionevole, che l'ipoteca (garanzia principe in sede immobiliare) iscritta da Equitalia dopo la trascrizione del sequestro penale effetuata dalla V. in data 14 giugno 2007 non abbia potuto prendere grado, mentre un'esecuzione mobiliare successivamente esercitata possa esplicare i propri effetti senza qualsivoglia limite temporale e con effetti retroattivi solo per crediti dello Stato. Il presente procedimento e' stato istruito solo documentalmente, involvendo evidentemente soltanto questioni di diritto e di interpretazione del sistema normativa e giurisprudenziale di rifirimento, ed e' stato rinviato, per la precisazione delle conclusioni ed infine trattenuto in decisione. Orbene, letti gli atti ed esaminata la documentazione prodotta, condividendo le prospettazioni attoree, ritiene il giudicante che sussistano i presupposti, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953, per sollevare la questione di legittimita' costituzionale del comma 3 dell'art. 2776 del codice civile, cosi' come novellato dall'art. 23, comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale ora stabilisce che i crediti dello Stato indicati dal primo e dal terzo comma dell'art. 2752 del codice civile sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli Immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari, ma dopo i crediti indicati ai commi precedenti (la norma previgente prevedeva invece la collocazione sussidiaria dei soli privilegi fiscali indicati dal terzo comma dell'art. 2752 del codice civile e non anche di quelli di cui al primo comma della norma stessa), nonche' dello stesso art. 23, comma 39, laddove espressamente stabilisce che la nuova disciplina si osserva anche per i crediti sorti anteriormente al 6 luglio 2011, data di entrata in vigore della nuova disposizione, per i motivi tutti di seguito esposti. Rilevanza della questione Non pare possano sussistere dubbi sulla prevedibile applicabilita' dell'art. 2776, comma 3 del codice civile nella vicenda in esame, come del resto gia' avvenuto con l'ordinanza del G.E., e dunque sulla concreta rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della norma ai fini della decisione sul procedimento di opposizione promosso da V. C., proprio in forza del novellato art. 2776 del codice civile, espressamente richiamato ed applicato dal G.E. nell'ordinanza del 26 novembre 2012, Equitalia S.p.a., avendo dimostrato di avere proceduto all'esecuzione, mobiliare per tutte le cinque cartelle esattoriali oggetto degli interventi nella procedura esecutiva in questione e che tale esecuzione e' risultata infruttuosa per assenza di beni pignorabili e di qualche valore, come si evince dal verbale di pignoramento negativo del 30 marzo 2011, sussistendo quindi i presupposti per il riconoscimento del privilegio sussidiario anche per i crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore del richiamato decreto-legge, ha visto modificate a suo favore il piano di riparto predisposto dal professionista delegato, essendole stata assegnata l'intera somma da distribuire, al netto delle spese in prededuzione, pari ad € 79.433,03. Pertanto, in difetto di declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma in questione nella parte in cui ha stabilito che anche i crediti dello stato indicati dal comma 1 dell'art. 2752 del codice civile e sorti prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 98/2011 sono collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili con preferenza rispetto ai creditori chirografari, sussisterebbero tutte le condizioni per far luogo all'assegnazione ad Equitalia e dunque allo Stato dell'intera somma ricavata dall'alienazione dell'immobile, come gia' verificatosi con il provvedimento contestato dall'attrice. Non manifesta infondatezza In relazione ai motivi di sospetta illegittimita' costituzionale dell'art. 2776, comma 3 del codice civile, cosi' come modificato dall'art. 23, comma 39, del decreto-legge n. 98/2011, reputa il giudicante che venga integrato il requisito di cui sopra, apparendo sussistere contrasto con diverse disposizioni della Costituzione. Per quanto attiene in primis al dettato dell'art. 2776, comma 3 del codice civile laddove prevede la collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari, anche dei privilegi fiscali di cui al comma 1 dell'art. 2752 del codice civile, si osserva che il principio della par condicio creditorum, pur non rivestendo valore di rango costituzionale e pur non avendo carattere assoluto, costituisce comunque, nell'attuale disciplina civilistica, la chiave di lettura di diversi istituti e una regola informatrice che puo' essere derogata solo per ragioni ed interessi rilevanti e ragionevoli che consentano di superare la primaria necessita' di assicurare che tra tutti i creditori vi sia l'equilibrio previsto dagli articoli 2740 e 2741 del codice civile (sentenza Corte costituzionale n. 204 del 1989). Ora, l'art. 23, comma 39, del decreto-legge n. 98/2011 sembra avere introdotto una deroga irragionevole al principio della par condicio creditorum, allorquando in una procedura esecutiva in corso tutti i creditori che vantavano pretese nei confronti del comune debitore vengono, di fatto, posposti per crediti anteriori di un creditore divenuto privilegiato. La modifica legislativa in esame risulta costituire una violazione delle comuni regole in materia, atteso che «il principio della par condicio creditorum impedisce che i crediti sorti a seguito di procedimenti di espropriazione vengano a ricevere un trattamento diverso dagli altri e la nozione di serio ristoro, richiamata dai rimettenti in riferimento all'indennita' spettante ai proprietari, attiene alla quantificazione di quest'ultimo, non gia' alle modalita' di conseguimento della stessa» (cosi' si e' espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 154/2013). Si ravvisa dunque una possibile non conformita' all'art. 3 della Costituzione, *sub specie di violazione del principio di ragionevolezza e non discriminazione, non risultando sussistenti ragioni di interesse costituzionale che giustifichino una diversita' di trattamento e apprezzabili motivi che consentano di sacrificare le pretese creditorie di altri soggetti. Si rileva altresi' un probabile contrasto con l'art. 111 della Carta costituzionale, ove stabilisce che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita' davanti a giudice terzo e imparziale», norma che a sua volta costituisce esplicazione dell'art. 3 nell'ambito processuale. In riferimento poi alla retroattivita' sancita dell'art. 23, comma 39, del decreto-legge n. 98/2011, si sottolinea preliminarmente che il principio della irretroattivita' delle leggi in materia civile, previsto dall'art. 11 delle preleggi, pur non avendo una valenza di carattere costituzionale al pari dell'omologo principio in materia penale, costituisce tuttavia, valore fondamentale di civilta' giuridica e dunque criterio di validita' della norma suscettibile di deroga solo in presenza di esigenze costituzionalmente rilevanti. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, anche se il divieto di retroattivita' della legge, previsto dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost., «il legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)» (Corte costituzionale, sentenze n. 103/2013; n. 78 e n. 15 del 2012; n. 236 del 2011). Ora, come noto, in forza di giurisprudenza costituzionale ormai consolidata (sentenze nn. 348 e 349 del 2007), la Convenzione europea dei diritti dell'uomo costituisce parametro interposto di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost. che stabilisce come la potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato e dalle regioni in conformita' altresi' agli obblighi internazionali. L'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sancisce il diritto ad un equo processo, comprende molteplici profili e garanzie di diritto processuale sia in ambito civile che penale, ed e' stato oggetto di numerose pronunce da parte della Corte di Strasburgo. Affrontando per la prima volta il fenomeno delle leggi retroattive nel caso Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis contro Grecia (ricorso n. 13427/87, sentenza 9 dicembre 1994), la Corte europea dichiara senza dubbio alcuno che «il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo consacrati dall'art. 6 si oppongono ad ogni ingerenza del potere legislativo, al fine di influire sulla conclusione giudiziaria di una lite nell'amministrazione della giustizia»; l'intervento legislativo retroattivo, secondo la Corte, avrebbe altresi' provocato una violazione del principio di parita' tra le parti all'interno del processo, determinando in modo decisivo l'esito della controversia a favore dello Stato greco. Nel caso Papageorgiou contro Grecia, di poco successivo (ricorso n. 24628/94, sentenza 22 ottobre 1997), la Corte di Strasburgo ribadisce il proprio indirizzo ermeneutico e ravvisa, nell'intervento legislativo greco, finalizzato a chiarire con norme di interpretazione autentica il significato di precedenti disposizioni legislative, una violazione del principio dell'equo processo: la legge interpretativa greca, infatti, intervenendo nel corso di un procedimento giurisdizionale in cui lo Stato greco era parte in causa, a giudizio della Corte, determinava, in buona sostanza, l'esito della controversia a danno dei ricorrenti, rendendo, di fatto, inutile la prosecuzione del giudizio. Tale rigoroso orientamento giurisprudenziale, di netta condanna e censura della prassi comune agli Stati membri di introdurre norme retroattive al fine di influire su procedimenti in corso, subisce un temperamento con la pronuncia che definisce il caso Affaire National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito (ricorsi nn. 21319/93, 21449/93 e 21675/93, sentenza 23 ottobre 1997), laddove si stabilisce chiaramente come il divieto di interferenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia non debba intendersi in maniera assoluta; la nozione di processo equo consacrata dall'art. 6 si oppone solo a quei provvedimenti legislativi che non si fondano su motivi cogenti di interesse pubblico. Ugualmente rilevante risulta anche la statuizione contenuta nel medesimo provvedimento secondo cui deve sussistere un rapporto ragionevole di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e il fine perseguito dal provvedimento retroattivo, da intendersi nel senso che lo scopo di pubblico interesse deve essere raggiunto dal legislatore con il minor sacrificio possibile delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte. Questa posizione mediana viene poi confermata con forza nel caso Zielinski e Pradal e altri contro Francia (ricorsi nn. 24846/94, 34165/96 e 34173/96, sentenza 28 ottobre 1999), ove la Corte di Strasburgo individua, nell'adozione, da parte dello Stato francese, di una lois de validation, una grave compromissione del diritto all'equo processo dei ricorrenti, in ragione del carattere tardivo dell'intervento normativo statale in rapporto allo svolgimento delle procedure giurisdizionali in corso e della non prevedibilita' dell'intervento di sanatoria; rileva, soprattutto, la mancanza di imperiosi motivi di interesse pubblico a sostegno dello stesso. Ancora, nel caso Affaire SCM Scanner de l'Ouest Lyonnais e altri contro Francia (ricorso n. 12106/03, sentenza 21 giugno 2007) la Corte europea dei diritti dell'uomo ribadisce nuovamente che, mentre in linea di principio al legislatore non e' precluso intervenire in materia civile con nuove disposizioni retroattive su diritti sorti in base alle leggi vigenti, il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo sancito, appunto dall'art. 6, vietano l'interferenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia destinata ad influenzare l'esito della controversia, fatta eccezione che per motivi imperativi di interesse generale i quali non possono consistere in mere ragioni di carattere finanziario o economico quali quelle invocate dal Governo francese che aveva indicato come prioritario il risanamento economico della Securite' Social. Nella pronuncia, i giudici europei hanno ricordato che il requisito della «parita' delle armi» comporta l'obbligo di dare alle parti una ragionevole possibilita' di' perseguire le proprie azioni giudiziarie, senza essere poste in condizioni di sostanziale svantaggio rispetto agli avversari. Anche la Corte costituzionale, con la gia' citata sentenza n. 103/2013, ha provveduto ad individuare una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia e tutela, oltre che dei principi costituzionali, «anche di altri fondamentali valori di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatati della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario». L'art. 23, comma 39, del decreto-legge n. 98/2011, attribuendo efficacia retroattiva alle modifiche apportate al terzo comma dell'art. 2776 del codice civile, sembrerebbe dunque porsi in contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost. in relazione all'art. 6 della CEDU, in ragione della non ravvisata sussistenza di «motivi imperativi di interesse generale» atti a giustificare l'intervento legislativo retroattivo; lo stesso articolo risulta altresi' non conforme al dettato dell'art. 24 della Carta costituzionale, in quanto la disposta retroattivita' viene evidentemente a menomare il diritto di difesa e di azione della parte. Peraltro, si osserva che il Giudice delle leggi, chiamato a decidere della legittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40, proprio del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2011, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tali norme; ha infatti rilevato che «a differenza di altre discipline retroattive recentemente scrutinate dalla Corte costituzionale (sentenza n. 264 del 2012), le disposizioni censurate non sono volte a perseguire interessi di rango costituzionale, che possano giustificarne la retroattivita'. L'unico interesse e' rappresentato da quello economico dello Stato, parte del procedimento concorsuale. Tuttavia un simile intervento e' inidoneo, di per se', nel caso di specie, a legittimare un intervento normativo, come quello in esame, che determina una disparita' di trattamento, a scapito dei ereditari concorrenti con lo Stato, i quali vedono ingiustamente frustrate le aspettative di riparto del credito che essi avevano legittimamente maturato. Pertanto, la disciplina impugnata palesa la sua illegittimita' sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., sia per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperati «di interesse generale costituzionalmente rilevante (sentenza n. 170 del 2013). Rileva infine il giudicante che l'interpretazione delle norme come sopra indicate sia l'unica possibile, non essendo prospettabile un'interpretazione costituzionalmente orientata delle stesse, anche tenendo conto della loro chiara portata precettiva. Va dunque sottoposta all'esame della Corte costituzionale la questione di legittimita' della norma per i motivi sopra esposti.