TRIBUNALE DI TREVISO 
                           Sezione penale 
 
    Il Giudice nel procedimento penale n. 108/16 r.g. Trib. a  carico
di Duso Dino pronuncia la seguente ordinanza a seguito di opposizione
a decreto penale di condanna, Duso Dino veniva tratto a giudizio  per
rispondere del reato di cui all'art. 10-bis del  decreto  legislativo
n. 74/2000, per  avere  omesso  di  versare,  nel  termine  previsto,
ritenute operate e risultanti  dalle  certificazioni  rilasciate  dai
sostituiti relative agli esercizi  2010  e  2011,  per  un  ammontare
complessivo di € 633,901,38 (precisamente  €  229.177,38  per  l'anno
d'imposta 2010 ed € 404.724 per l'anno d'imposta 2011). 
    All'udienza  del  23  febbraio  2016,  prima  dell'apertura   del
dibattimento, la difesa dell'imputato, riportandosi alla memoria gia'
depositata in data 18 febbraio 2016, allegava: 
        che in data 5 febbraio 2013 la «Rossi &  Duso  Group  S.p.a.»
aveva  depositato  ricorso  per  l'ammissione   alla   procedura   di
concordato  preventivo  e,  nell'ambito  del  relativo  piano,  aveva
proposto anche una transizione fiscale, ex  art.  182-ter  del  regio
decreto n. 267/1942, che prevedeva il pagamento  integrale  in  linea
capitale di quanto dovuto all'erario, anche per  gli  anni  d'imposta
2010 e 2011, il pagamento delle sanzioni nella misura del  10%  e  il
conteggio degli interessi nella misura del 3,5 %, con pagamento in 12
rate trimestrali fino al  31  dicembre  2017  (cfr.  la  proposta  di
transazione fiscale  prodotta  della  difesa  come  allegato  2  alla
memoria depositata in data 18 febbraio 2016); 
        che il concordato preventivo, comprensivo  della  transazione
fiscale,  era  stato  omologato  dal   Tribunale   di   Treviso   con
provvedimento del 17 aprile  2014  (cfr,  il  provvedimento  prodotto
dalla difesa come allegato 3 alla suddetta memoria); 
        che in adempimento della transazione fiscale la «Rossi & Duso
Group S.p.a.» aveva regolarmente gia' pagato quattro rate. 
    Tutto cio' premesso, la difesa  chiedeva  che  il  Tribunale,  in
applicazione dell'art. 13 del decreto legislativo n.  74/2000  (cosi'
come novellato dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015
n. 158), rinviasse il processo ad una data successiva al 31  dicembre
2017, senza aprire il dibattimento e con sospensione del  termine  di
prescrizione, cosi'  da  consentire  all'imputato  di  completare  il
pagamento rateale del debito tributario e conseguentemente  avvalersi
della causa di non punibilita' introdotta dalla novella legislativa. 
    Al riguardo, la difesa aggiungeva che la previsione del  comma  3
dell'art. 13 - per la quale nel caso in cui il debito tributario  sia
in fase di estinzione mediante rateizzazione e' dato  un  termine  di
tre mesi per il pagamento del debito residuo con facolta' del Giudice
di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi - non
era  coordinata  con   la   normativa   riguardante   il   concordato
fallimentare e la transazione  fiscale,  la  quale  non  consente  di
effettuare pagamenti per debiti anteriori che si discostino dal piano
omologato; che tale difetto  di  coordinamento  si  traduceva  in  un
irragionevole trattamento deteriore  per  coloro  che  avevano  avuto
accesso a tali istituti, sostanzialmente  impedendo  loro  di  fruire
della causa di non punibilita', con violazione degli articoli 24 e  3
della Carta Costituzionale. 
    Alla luce di quanto allegato dalla difesa, il  Tribunale  ritiene
che vada sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art.
13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 - cosi' come
sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.
158  -  perche'  tale  norma  viola  gli  articoli  3  e   24   della
Costituzione, nella parte in cui prevede  che  qualora,  prima  della
dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario  sia
in fase di estinzione mediante rateizzazione e' dato  un  termine  di
tre mesi per il pagamento del debito residuo,  con  facolta'  per  il
Giudice di «prorogare tale termine una sola volta per non  oltre  tre
mesi»  e  non  consente,  invece,  almeno  in  determinati  casi,  di
concedere un termine piu' lungo coincidente con lo scadere del  piano
di rateizzazione. 
    In  merito  alla  rilevanza  nel  presente   procedimento   della
prefigurata  questione  di  legittimita'  costituzionale,  la  stessa
emerge da quanto sopra esposto e allegato dalla difesa dell'imputato. 
    In particolare, la  difesa  chiede  il  rinvio  del  processo  ad
un'udienza successiva al 31  dicembre  2017  al  fine  di  consentire
all'imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario
e, quindi, di avvalersi  della  causa  di  non  punibilita'  prevista
dall'art. 13. 
    Sennonche' tale istanza non puo' essere accolta perche'  vi  osta
la lettera del comma 3 dell'art. 13, il quale sancisce  che,  per  il
fine indicato dalla difesa, puo' essere concesso solo un  termine  di
tre mesi per il pagamento del debito residuo,  con  facolta'  per  il
Giudice «di prorogare tale termine una sola volta per non  oltre  tre
mesi, qualora lo ritenga necessario». 
    La circostanza che il legislatore abbia indicato espressamente un
primo termine di tre mesi e, soprattutto, abbia sentito la necessita'
di precisare che lo stesso e' prorogabile  una  sola  volta  per  non
oltre tre mesi, rende evidente che non e' consentito  al  Giudice  di
concedere termini piu' lunghi, o di prorogare piu' volte il  termine,
allo specifico fine di completare il  pagamento  rateale  del  debito
tributario. 
    Ragionando diversamente il  dettato  legislativo  sul  punto  non
avrebbe alcun valore. 
    Cio' significa che,  cosi'  come  avanzata,  la  richiesta  della
difesa andrebbe respinta. 
    Tuttavia,  nel   caso   concreto,   la   reiezione   dell'istanza
comporterebbe l'impossibilita'  per  l'imputato  di  usufruire  della
causa di non punibilita', atteso che lo stesso non potrebbe, in  ogni
caso, completare il pagamento del debito tributario  nel  termine  di
tre mesi o in quello eventualmente prorogato per ulteriori tre  mesi,
essendo vincolato a quanto stabilito nel piano omologato in  sede  di
concordato preventivo che prevede, per i rapporti con  il  fisco,  il
pagamento a rate da completarsi il 31 dicembre 2017. 
    Ebbene, e' noto che una volta che il  concordato  preventivo  sia
stato  omologato  il  debitore,  nel  caso  di  specie  la   societa'
debitrice,  deve  attenervisi  rispettando,  in  particolare,  quanto
stabilito in ordine alla distribuzione tra i  creditori  delle  somme
messe a disposizione o ricavate dalla procedura mediante  l'attivita'
di  cessione  dei  beni  (cfr.  artt.  163   e   seg.   della   legge
fallimentare); se  non  la  fa,  va  incontro  alla  risoluzione  del
concordato per inadempimento con tutte le  conseguenze  negative  del
caso;  si  e'  detto,  in  proposito,  che  il  debitore  ammesso  al
concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto
conserva l'amministrazione e la disponibilita' dei  propri  beni,  ma
con le limitazioni connesse alla natura stessa  della  procedura,  la
quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del
concordato (cfr. Cass. Civ., 8 febbraio - 13 aprile 2012, n. 13996). 
    Nel caso di specie, una volta approvato il concordato preventivo,
il Duso, quale legale rappresentate della societa',  deve  rispettare
l'obbligo di pagare i creditori secondo l'ordine di distribuzione, le
modalita' e i tempi stabiliti. 
    Tutto cio' implica che se,  dopo  l'omologazione  del  concordato
preventivo, il Duso pagasse tutto l'importo dovuto  all'erario  entro
il  termine  di  tre  mesi  eventualmente  concessogli   dalla   data
dell'udienza, violerebbe  quanto  stabilito  in  sede  di  concordato
preventivo. 
    In  definitiva,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 13 comma 3 del decreto  legislativo  74/2000  e'  rilevante
perche',  nel  caso  concreto,  tale  norma,  cosi'  come  modellata,
impedisce all'imputato di avvalersi della causa  di  non  punibilita'
rappresentata dal pagamento del debito tributario prima dell'apertura
del dibattimento. 
    Cio' posto in merito alla rilevanza, la questione di legittimita'
costituzionale non e' manifestamente  infondata  con  riferimento  ai
parametri di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    Come gia' rilevato, il comma 3 dell'art. 13 sancisce che,  quando
il debito tributario e' in corso di estinzione mediante rateizzazione
- al fine di consentire all'imputato di pagare il  debito  tributario
residuo e, quindi,  di  usufruire  della  causa  di  non  punibilita'
prevista dal comma 1 - puo' essere concesso solo un  termine  di  tre
mesi, con facolta' per il Giudice «di prorogare tale termine una sola
volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario». 
    Ora,  come  evidenziato  dai  primi   commenti   dottrinali,   la
disciplina appare di per se' irragionevole  se  si  tiene  conto  del
fatto che, al ricorrere di determinate condizioni,  le  procedure  di
adesione consentono una rateizzazione anche quadriennale  del  debito
tributario, ma che, non di  rado,  i  termini  di  dilazione  possono
raggiungere anche i dieci anni nei confronti dei concessionari  della
riscossione; ed e' allora  chiaro  come  il  termine  semestrale  non
rappresenti   una   grande   agevolazione   per   il    contribuente,
sostanzialmente obbligato a rinunciare a  quei  termini  dilatati  di
pagamento  che  la  disciplina  tributaria  gli  avrebbe   altrimenti
assicurato. 
    Cio', d'altro canto, e' pure in parziale contrasto con  la  ratio
della causa di non punibilita' - limitata  alle  fattispecie  di  cui
agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater comma l - che, come si legge
nella relazione illustrativa, trova «la sua giustificazione  politico
criminale nella scelta di concedere al contribuente  la  possibilita'
di eliminare la rilevanza penale della  propria  condotta  attraverso
una piena soddisfazione dell'erario prima  del  processo  penale:  in
questi casi, infatti, il contribuente ha  correttamente  indicato  il
proprio debito risultando  in  seguito  inadempiente;  il  successivo
adempimento, per non spontaneo, rende  sufficiente  il  ricorso  alle
sanzioni amministrative». 
    Ma oltre che logicamente irragionevole, la suddetta disciplina e'
anche  giuridicamente  irragionevole  -  con  conseguente  violazione
dell'art.  3  della  Costituzione  -  perche',  in  primo  luogo,  fa
dipendere la concreta possibilita' di  accedere  alla  causa  di  non
punibilita' da variabili che non dipendono dall'imputato. 
    cosi', per esempio, dalla «velocita'» con la quale e'  esercitata
l'azione penale: se l'azione penale e' esercitata  «con  ritardo»  il
reo avra' piu' tempo per pagare le rate del piano di rateizzazione e,
quindi, ben puo' essere che all'udienza fissata  per  l'apertura  del
dibattimento il termine massimo di sei mesi  gli  sia  bastevole  per
completare il pagamento rateale, senza essere costretto a  rinunciare
alla dilazione per usufruire  della  causa  di  non  punibilita';  se
invece l'azione penale fosse esercitata con particolare rapidita'  il
reo - senza ragione - avrebbe un sostanziale  trattamento  deteriore,
dal  momento  che  avrebbe  avuto  minor  tempo  per  «sfruttare   la
rateizzazione» e  il  termine  di  sei  mesi  potrebbe  non  essergli
sufficiente per completare  i  ratei,  con  la  conseguenza  che  per
avvantaggiarsi della causa di non punibilita'  dovrebbe  forzatamente
rinunciare alla dilazione tributaria e pagare entro sei mesi, e in un
sol colpo, tutto il residuo debito fiscale. 
    In secondo luogo, ed e' cio' che piu' conta nel giudizio  a  quo,
la norma e' irragionevole perche' tratta, senza  giustificazione,  in
modo  uguale  chi,  ammesso  al  pagamento  rateizzato   del   debito
tributario, ha  la  possibilita'  di  scegliere  di  rinunciare  alla
rateizzazione e di adempiere il residuo debito entro  il  termine  di
tre mesi fissato dal Giudice (eventualmente prorogato  di  altri  tre
mesi), cosi' andando esente dalla sanzione penale, e chi non ha  tale
facolta' perche' il piano di rateizzazione rientra nell'alveo  di  un
concordato preventivo con conseguente necessita' di rispettare quanto
in esso previsto. 
    Si e' gia' anticipato, al riguardo, che  dopo  l'ammissione  alla
procedura del concordato preventivo  non  sono  consentiti  pagamenti
lesivi della «par condicio creditorum» nel senso che i debiti  devono
essere pagati nell'ordine, nella misura, nei tempi e con le modalita'
previste nel piano concordato. 
    Cio' si desume dall'art. 167 della legge fallimentare che, con la
sua disciplina degli atti di straordinaria amministrazione,  comporta
che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza  del  concordato  sia
oggetto  di  un'oculata  e  «giurisdizionalizzata»   amministrazione,
perche'  destinato  a  garantire  il  soddisfacimento  di   tutti   i
creditori;  dall'art.  168  che,  nel  porre  il  divieto  di  azioni
esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il  divieto
di pagamento di debiti anteriori, perche' sarebbe incongruo che  cio'
che il creditore non puo' ottenere in via di esecuzione forzata possa
conseguire in virtu' di spontaneo adempimento; dall'art. 184, che nel
prevedere che il concordato sia obbligatorio per  tutti  i  creditori
anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un  pagamento  di
debito concorsuale al di fuori dei  casi  e  dei  modi  previsti  dal
sistema e, in particolare, non sia ammissibile - per venire  al  caso
concreto - che l'imprenditore paghi «anticipatamente» e per  l'intero
il debito tributario eventualmente scavalcando eventuali  crediti  di
grado anteriore. 
    Se  non  rispetta  i  suddetti  vincoli  l'imprenditore  andrebbe
incontro alla possibile risoluzione del concordato che  ciascuno  dei
creditori puo' chiedere in caso  di  inadempimento  (art.  186  della
legge fallimentare). 
    In definitiva, quindi, chi - come l'imputato -  ha  in  corso  il
pagamento rateizzato del  debito  tributario  secondo  un  piano  che
rientra nell'ambito di un concordato preventivo e che  prevede  delle
scadenze di pagamento che, al momento dell'istanza di rinvio proposta
al Giudice penale, vanno oltre il termine massimo di sei mesi che  il
Giudice e' autorizzato a concedergli ex art. 13, comma 3, del decreto
legislativo 70/2000,  e'  privato  della  facolta'  di  scegliere  di
rinunciare ai termini dilatati di pagamento e di  pagare  il  residuo
debito tributario ed e' privato, quindi, anche della possibilita'  di
usufruire della causa di non punibilita', perche'  e'  vincolato  dal
concordato preventivo. 
    Va  osservato,  a  scanso   di   equivoci,   che   non   potrebbe
giustificarsi tale privazione motivando  nel  senso  che  all'origine
della procedura di concordato preventivo vi e' un atto  di  autonomia
privata, espressione della volonta' del debitore, che e'  la  domanda
di concordato ex art. 161 della legge fallimentare. 
    Come giustamente e' stato  osservato,  sul  perseguimento  di  un
accordo transattivo debitore-creditori  si  viene  ad  innestare  una
struttura   chiaramente   pubblicistica,   essendo   l'istituto   del
concordato preventivo una sorta di uscita di sicurezza rispetto  alla
prospettiva del fallimento e dunque uno di quegli strumenti di tutela
non  solo  dei  ereditari,  ma  altresi  degli  interessi   economici
collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi  d'impresa,
con la conseguenza, tra l'altro, che se nell'ambito del concordato e'
prevista una dilazione di pagamento del debito tributario, di cio' si
deve tenere conto al fine di escludere la responsabilita' penale  nel
caso in cui  la  rateiz-zazione  implichi  il  mancato  rispetto  dei
termini di  versamento  non  ancora  scaduti  e  stabiliti  da  norme
incriminatrici (cfr. Cass. Pen.,  12  marzo  -  16  aprile  2015,  n.
15853). 
    Ora, se la dilazione  di  pagamento  inserita  in  un  concordato
preventivo consente di superare il termine di  pagamento  del  debito
tributario  fissato  da  norme  incriminatrici  -  neutralizzando  la
rilevanza penale dell'inosservanza dei termini di versamento - non si
vede come la stessa dilazione possa rappresentare  un  ostacolo  alla
possibilita'  di  giovarsi  di  una   causa   di   esclusione   della
punibilita'. 
    Ne consegue che la disciplina legislativa in  questione  -  oltre
che violare l'art. 3 della Costituzione perche', come  gia'  esposto,
tratta in modo uguale chi e' in situazioni differenti -  viola  anche
l'art.  24  della  Costituzione  perche'  impedisce,  senza   ragione
plausibile, all'imputato di avvalersi di un'opzione difensiva che gli
consentirebbe di andare esente da responsabilita'  penale  attraverso
quella causa di esclusione di punibilita'  costituita  dal  pagamento
dell'intero debito tributario prima della dichiarazione  di  apertura
del dibattimento.