LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI ROMA Sezione 5 riunita con l'intervento dei signori: Novelli Giovanni, Presidente; Destro Carlo, relatore; Cacace Piero, giudice, ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 24878/2014 depositato il 5 dicembre 2014, avverso diniego rimborso n. 0038273 Trib. erariali 2013, avverso diniego rimborso n. 0038273 Trib. erariali 2014; Contro: Autorita' garante della concorrenza e del mercato, difeso da: Avvocatura generale dello Stato, via Dei Portoghesi, 12 - 00100 Roma; proposto dai ricorrenti: Ceramica Sant'Agostino - S.p.a. via Statale n. 247 - 44047 Sant'Agostino FE; difeso da: avv. Massimo Coccia, piazza Adriana, 15 - 00193 Roma; difeso da: avv. Massimo Luciani, piazza Adriana, 15 - 00193 Roma; difeso da: dott. Massimo Piantedosi, piazza Adriana, 15 - 00193 Roma; difeso da: dott. Stefano De Angelis. Fatto La Ceramica Sant'Agostino Spa ricorre avverso il diniego espresso dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato al rimborso dei contributi versati dalla societa' a norma dell'art. 5-bis del decreto-legge n. 1/2012 convertito in legge n. 27/2012 per gli anni 2013 e 2014. La ricorrente preliminarmente sostiene la giurisdizione di questa Commissione a pronunciarsi sul ricorso sulla base di diverse pronunce sia della Corte costituzionale sia della Suprema Corte di cassazione. In particolare con la sentenza n. 256/2007 il giudice delle leggi si e' espresso in merito al contributo dovuto per le spese di funzionamento dell'Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici qualificandolo di indubbia natura tributaria per il carattere di obbligatorieta' e generalita'. Tanto premesso la ricorrente sostiene che la norma di legge istitutiva del contributo in questione sia in contrasto tanto con il diritto dell'Unione europea quanto con varie norme della nostra Costituzione. Ad opinione del ricorrente il contributo di cui chiede il rimborso contrasterebbe con gli articoli 16 (liberta' d'impresa), 17 (diritto di proprieta'), 20 (uguaglianza di fronte alla legge) e 21 (non discriminazione) del Trattato istitutivo dell'UE. Cio' perche' la struttura del contributo introduce disparita' di trattamento a fronte di situazioni omogenee, ad esempio stabilendone l'obbligatorieta' solo per imprese aventi un volume d'affari superiore a 50 milioni di euro, mentre tutte le imprese possono usufruire dei benefici derivanti dall'attivita' del Garante. Inoltre l'aliquota fissata sarebbe eccessiva, tanto da originare un gettito pari a quasi il doppio delle entrate stanziate a carico del bilancio dello Stato prima dell'istituzione del contributo. Questo, poi, sarebbe superiore al budget annuale dell'omologa Direzione per la concorrenza dell'UE e di poco inferiore a quello della corrispondente Commissione antitrust degli Stati Uniti d'America. Il contrasto con la nostra Costituzione si verificherebbe in relazione ai suoi articoli 3 e 53 che prevedono l'obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva, mentre il contributo e' dovuto solo per imprese con volume d'affari superiore ai 50 milioni. La ricorrente ricorda ancora come la Corte costituzionale abbia stabilito con sentenze n. 116/13 e n. 223/12 che l'irragionevolezza di un tributo puo' risiedere non nell'entita' del prelievo ma nell'ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi; conclude chiedendo la disapplicazione delle norme impositive del contributo per contrasto con la normativa comunitaria, annullando il diniego al rimborso e condannando l'Autorita' al rimborso di quanto pagato o, in subordine, di sollevare di fronte alla Corte costituzionale questione di costituzionalita' delle norme che hanno introdotto il contributo per contrasto con gli articoli 3, 23, 53 e 117 della Costituzione. L'Autorita' garante della concorrenza si e' costituita in giudizio e chiede la declaratoria di inammissibilita' del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice tributario in quanto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera i del codice del processo amministrativo, rientrerebbero nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti compresi quelli sanzionatori... dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato». Trattandosi di ricorso avverso il provvedimento di diniego del rimborso, lo stesso avrebbe dovuto essere proposto al TAR. Cita giurisprudenza a sostegno della propria tesi e conclude chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile e in subordine la nullita' della notifica del ricorso introduttivo perche' notificato presso la sede dell'Autorita' e non presso quella dell'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ai sensi dell'art. 1 del regio decreto n. 1611/1933. Diritto Pur prendendosi atto come numerose sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato abbiano affermato la giurisdizione amministrativa in materia di contributi all'Autorita' per la concorrenza sembra a questa Commissione come la questione della giurisdizione debba essere rivista alla luce della considerazione che i contributi all'AGCM hanno indubbia natura tributaria. Sembra ovvio che non si possa affermare che i contributi richiesti dall'AGCM alle societa' con piu' di 50 milioni di euro di fatturato siano di natura paritetica, contrattuale o associativa del tipo correlato all'adesione libera e spontanea ad un organismo di carattere associativo (quasi si trattasse di contributi liberamente versati ad un'organizzazione sindacale alla quale si puo' decidere o meno di partecipare). Si tratta invece sicuramente di imposte che sono state articolate in un determinato modo dal legislatore per cercare di ridurre i costi diretti a carico dell'erario e far ricadere l'impegno di spesa sui destinatari obbligati del servizio. Va a tale fine rilevato come la Corte costituzionale abbia gia' dichiarato (sentenza n. 256 del 2007), in considerazione dei caratteri di generalita' e obbligatorieta', con riferimento al sistema di finanziamento dell'Autorita' di vigilanza sui lavori pubblici, la natura tributaria delle prestazioni poste a carico della platea di soggetti individuati come destinatari di contribuzione (i partecipanti alle gare) ed essendo il sistema di finanziamento dell'Autorita' per la concorrenza ed il mercato del tutto analogo a quello ora indicato non puo' ricorrere dubbio circa la natura di tributo anche per gli analoghi contributi richiesti agli operatori economici che superino una certa entita' di fatturato. Del resto la natura tributaria di detti contributi la si ricava altresi' dalla considerazione che originariamente i finanziamenti all'Autorita' avevano la loro fonte in trasferimenti a carico del bilancio statale e solo dopo l'applicazione della cd spending rewiew si e' articolato un sistema di contribuzione a carico di alcune (non tutte) ditte beneficiarie del servizio (1) . Appare indiscutibile come al di la' della terminologia utilizzata dal legislatore i contributi a carico delle imprese altro non abbiano che natura tributaria. Una volta appurata la natura tributaria delle obbligazioni riguardate dal presente ricorso, ritiene questa Commissione come non ci si possa non conformare all'insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 6315 del 2009 e n. 11082 del 2010) secondo il quale: «La giurisdizione del giudice tributario, a seguito della modifica introdotta dall'art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 all'art. 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ha carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo all'impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimita' di tutti gli atti del procedimento, ivi compresi gli ordini di verifica, a seguito dei quali l'attivita' di accertamento inizia. Gli eventuali vizi degli ordini di verifica, in quanto atti della sequenza procedimentale, potranno tuttavia essere dedotti soltanto e nel momento in cui si impugni il provvedimento che conclude l'"iter" di accertamento. Con gli arresti sopra citati, e' vero che si e' esclusa la giurisdizione tributaria ma unicamente con riferimento a provvedimenti amministrativi che non abbiano dato luogo ad imposizione fiscale, ma non e' il caso che qui ricorre essendo in discussione il rimborso di imposte gia' pagate e che si affermano non dovute. Quanto all'osservazione dell'Avvocatura circa la previsione di cui all'art. 133 del codice sul processo amministrativo che riserva alla giurisdizione amministrativa le impugnative avverso i provvedimenti dell'Autorita' garante della concorrenza non puo' non osservarsi come tale disposizione si riferisca ai provvedimenti adottati dall'Autorita' nell'esercizio della sua mission, non certo ai provvedimenti relativi alla fiscalita' utilizzata per il suo funzionamento che, si badi bene, e' stata concepita nella attuale forma in sostituzione delle precedente forma di finanziamento consistente anche in trasferimenti a carico del bilancio dello Stato ma non per questo ha perso la sua natura di imposizione. A seguito della attribuzione, da parte del Legislatore, di nuove materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, effettuata in particolare con il decreto legislativo n. 80 del 1998 e con la legge n. 205/2000, infatti, la Consulta con la sentenza n. 191/2006, ha specificato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche laddove relativa a comportamenti, deve intendersi legittimamente attribuita in quanto relativa a controversie comunque involgenti atti corrispondenti alla estrinsecazione, diretta o mediata, del potere specificamente attribuito agli organi interessati. Il diniego di rimborso relativo ai contributi de quibus, in quanto relativo ad entrata finanziaria di tipo tributario, non risulta adottato quale forma di manifestazione dell'Autorita' intesa quale amministrazione investita della cura e del perseguimento dell'interesse pubblico nel settore della concorrenza, bensi' nell'ambito delle attivita' svolte come creditore/riscossore pubblico. Per tale ragione il diniego disposto non risulta riconducibile all'esercizio dell'attivita' di cura di un pubblico interesse attribuita all'Autorita' con legge istitutiva ma persiste nella sua collocazione nell'ambito tributario. Peraltro va ancora rilevato come le norme sul riparto di giurisdizione che hanno visto lo svolgimento di un percorso di rinnovazione legislativa molto articolato (a partire dall'art. 34 decreto legislativo n. 80/1998, modificato dall'art. 7 legge n. 205/2000, nonche' dall'art. 53 decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001 - cosi' come da leggersi anche alla luce degli arresti del giudice delle leggi di cui alle note sentenze n. 204 del 2004 e soprattutto n. 191 del 2006) stabilivano il riparto fra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, avendo come finalita' quella di evitare possibili interferenze fra la tutela dei diritti soggettivi e quella degli interessi legittimi ma non prendevano in considerazione altri interessi meritevoli di tutela come il funzionamento della res publica da assicurare mediante il ricorso all'imposizione fiscale. La materia tributaria non ha formato oggetto delle norme in materia di riparto fra la giurisdizione dei diritti soggettivi e quella degli interessi legittimi per essere riservata, da epoca antecedente alla Costituzione, agli organi della giustizia tributaria, giudici speciali questi di cui non puo' essere snaturato l'oggetto della giurisdizione (vedi sentenze della Corte costituzionale n. 64/2008, n. 196/1982, n. 215/1976, n. 41/1957, ordinanza n. 144 del 1998) pena la creazione di un nuovo giudice speciale, come tale vietato dall'art. 102 della Costituzione, in caso di attribuzione a organi estranei alla giustizia tributaria della competenza giurisdizionale in detta materia. Per tale ragione il disposto di cui all'art. 133 del codice sul processo amministrativo non puo' estendersi a disciplinare la materia tributaria facendola rientrare nella competenza giurisdizionale della giustizia amministrativa perche' verrebbe a trasformare quest'ultima in un nuovo e vietato giudice speciale. Come ricordato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 64 del 2008) sussiste un nesso di inscindibilita' fra giurisdizione tributaria e la materia tributaria la cui violazione darebbe luogo alla violazione dell'art. 102, secondo comma, Cost., come peraltro gia' piu' volte affermato con le ordinanze n. 395 del 2007, n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006. Da ultimo sul punto della disposizione di cui all'art. 133 codice sul processo amministrativo non puo' trascurarsi come nel suo incipit si preveda letteralmente che «sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge...» inciso quest'ultimo che fa sicuramente salva anche la riserva alla giurisdizione tributaria della relativa materia. Quanto alla questione di nullita' sollevata in relazione alla notifica del ricorso effettuata direttamente presso l'Autorita' Garante anziche' presso l'Avvocatura erariale va rilevato come secondo la giurisprudenza piu' accreditata la notificazione eseguita in luogo eventualmente diverso da quello prescritto non comporta inesistenza della notifica bensi' semplice nullita' sanabile quando il luogo di avvenuta notifica abbia una qualche relazione col soggetto notificando e nel caso di specie cio' non puo' assolutamente negarsi avendo la notifica raggiunto proprio il notificando (vedi Cassazione n. 9892 del 2005; n. 4702 del 2003). Quanto alla possibile sanatoria di' una notifica irregolarmente eseguita va poi tenuto presente che (vedi ad es. Cass. n. 10495 del 2004) «Poiche' lo scopo della notificazione degli atti di "vocatio in ius" e' quello di attuare il principio del contraddittorio, tale finalita' e' raggiunta con la costituzione in giudizio del destinatario dell'atto, rimanendo conseguentemente sanato con effetto "ex tunc" qualsiasi eventuale vizio della notificazione stessa». Anche secondo Cass. n. 1184 del 2001 il principio, sancito in via generale dall'art. 156, comma terzo, codice di procedura civile, secondo cui «la nullita' non puo' essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui e' destinato» vale anche per le notificazioni, in relazione alle quali - pertanto - la nullita' non puo' essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualita' della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario. Da cio' consegue che la costituzione del convenuto, ancorche' tardiva ed effettuata al fine dichiarato di far rilevare il vizio, preclude la declaratoria di nullita', dal momento che la convalidazione della notifica da essa indotta opera «ex tunc». La considerazione svolta dall'Autorita' circa la decadenza del potere impositivo nel caso in cui l'avviso di accertamento che non sia stato notificato tempestivamente nelle forme previste sarebbe comunque sanato solo ove la costituzione del ricorrente avvenga entro i termini di decadenza e non dopo il loro spirare non appare rilevante nel caso di specie perche', come detto, non e' mancata in assoluto una notifica ma la stessa e' stata eseguita tempestivamente nei confronti di persona che aveva un qualche collegamento col notificando (essendo proprio il soggetto interessato). Cosi' risolta la questione della giurisdizione e la questione relativa alla sanatoria della notifica introduttiva, ritiene questa commissione come sia sicuramente da invertire l'esame delle richieste del ricorrente il quale ha in principalita' richiesto la disapplicazione delle norme impositive del tributo per contrasto con la normativa comunitaria e in subordine che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale delle norme stesse. Appare infatti piu' aderente al sistema giuridico complessivo nel quale si colloca la normativa in discussione che prima se ne scrutini la conformita' al diritto interno e quindi anche la sua aderenza ai principi costituzionali e che, solo in esito ad un giudizio positivo, se ne debba valutare la conformita' ai principi comunitari. Del resto il primo comma dell'art. 117 della Costituzione prevede che la potesta' legislativa sia esercitata (nell'ordine) nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Orbene dovendosi valutare la conformita' ai principi costituzionali delle norme di cui all'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, legge n. 287/1990 in relazione alla questione sollevata dal ricorrente, si deve in primo luogo rilevare come la questione stessa sia assolutamente rilevante in quanto l'eventuale accoglimento dell'istanza di rimborso dei contributi versati per gli anni 2013 e 2014 presuppone che non venga data applicazione alle norme citate che non a caso sono state espressamente richiamate nel provvedimento in data 31 luglio 2014 col quale il segretario generale della detta Autorita' ha comunicato il rigetto dell'istanza di rimborso. Dal momento che il ricorso proposto dalla Ceramica Sant'Agostino Spa non puo' essere deciso prescindendo dall'applicazione di tali norme ne deriva l'assoluta rilevanza della questione di costituzionalita' delle norme ora indicate in ordine alle quali il sollevato dubbio di costituzionalita' non appare manifestamente infondato in relazione agli indicati parametri costituzionali di cui agli articoli 3 e 53, commi 1 e 2, Cost. Invero, ad onta del principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3 della Costituzione, e del generale obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della rispettiva capacita' contributiva come previsto dall'art. 53 della Carta, sono state escluse dall'obbligo di contribuzione le categorie non imprenditoriali, quali i consumatori che pure fruiscono e sono i beneficiari della attivita' regolatrice dell'Autorita' (il rispetto della libera concorrenza e' rilevante per tutti i cittadini) e quali le pubbliche amministrazioni, che svolgono la loro attivita' con efficacia diretta o indiretta sul mercato creando o eliminando distorsioni alla concorrenza. Gia' questa limitazione della platea dei soggetti chiamati a contribuire appare sostanziare il dubbio di contrasto delle norme in esame con i principi costituzionali sopra indicati. Oltre alla limitazione della platea dei contribuenti alla categoria dei soli imprenditori si deve rilevare altresi' l'ulteriore dubbio di costituzionalita' derivante dall'assoggettamento al contributo solo di una percentuale ridotta di imprenditori, quella con volume di affari superiore a 50 milioni di euro. Sotto questo profilo appare poi dubbia la conformita' con gli indicati principi costituzionali del parametro del volume di affari che non coincide necessariamente col criterio di redditivita' di un'impresa ben potendo a parita' di fatturato essere ben diversi i profitti e quindi la redditivita' fra imprese operanti in settori diversi. Non puo' neppure escludersi che ad un elevato fatturato faccia poi riscontro un saldo negativo del conto economico che quindi chiuderebbe in perdita. Complessivamente considerando la previsione legislativa la stessa non sembra corrispondere con sicurezza al principio della capacita' contributiva ma anzi sembra idonea a non determinare corrispondenze fra redditivita' dell'impresa e costi fiscali che la stessa viene chiamata a sostenere. Ulteriore dubbio di costituzionalita' appare ravvisabile con riferimento al principio di progressivita' dell'imposizione fissato dal secondo comma dell'art. 53 Cost. in quanto i soggetti con maggiore capacita' contributiva possono essere destinatari di obblighi di contribuzione in proporzione meno gravosi di quelli gravanti sui contribuenti con minore capacita' contributiva: a tale effetto appare condurre la limitazione del contributo nel senso che il suo massimo non puo' essere superiore a cento volte la misura minima. Nella sostanza puo' avvenire allora che il tributo non venga applicato in modo progressivo secondo la diversa capacita' contributiva delle imprese ma in misura proporzionale (e solo al di sopra di una certa soglia) senza tener conto delle piu' alte capacita' contributive per poi divenire regressivo una volta raggiunta una certa soglia. Pur tenendosi presente come il legislatore possa diversamente modulare l'imposizione fiscale fra diverse aree economiche o diverse tipologie di contribuenti, pur tuttavia ogni diversificazione per tipologia di contribuenti deve essere supportata da adeguate giustificazioni in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione (Corte cost. n. 10/2015). Come affermato dal giudice delle leggi (sentenza n. 142 del 2014) le differenziazioni impositive devono essere ancorate ad adeguata giustificazione oggettiva la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell'imposta. Sotto questo profilo, a parte le esenzioni per tipologia di contribuenti sopra indicate, non sembrerebbe trovare spiegazione un'esenzione di imposta per gli imprenditori con 48 milioni di euro di fatturato cioe' poco al di sotto della soglia di tassabilita' ne' troverebbe giustificazione che l'imprenditore con fatturato di oltre cento volte superiore al minimo previsto per la tassabilita' sia chiamato a versare una somma meno che proporzionale. Dal momento che il ricorso in esame postula la applicazione delle norme di cui al novellato art. 10 legge n. 287/1990, di cui non e' possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata, se ne deve rimettere alla Corte costituzionale il giudizio circa la conformita' o meno agli indicati principi della Carta costituzionale. Per quanto possa rilevare, e' appena il caso di segnalare come analoga questione sia stata sollevata nel novembre 2015 dal Tribunale amministrativo regionale Piemonte con riferimento a contributi da versarsi per il funzionamento dell'Autorita' Garante in materia di trasporti. (1) Piu' precisamente il comma 7 dell'originario art. 10 della legge n. 287 del 1990 statuiva che: "L'Autorita' provvede all'autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato.." Successivamente, con l'art. 5-bis del decreto-legge n. 1/2012 si aggiungevano i commi 7-ter e 7-quater con i quali si prevedeva: "7-ter. All'onere derivante dal funzionamento dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato si provvede mediante un contributo di importo pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato dalle societa' di capitale, con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro, fermi restando i criteri stabiliti dal comma 2 dell'art. 16 della presente legge. La soglia massima di contribuzione a carico di ciascuna impresa non puo' essere superiore a cento volte la misura minima. 7-quater. Ferme restando, per l'anno 2012, tutte le attuali forme di finanziamento, ivi compresa l'applicazione dell'art. 2, comma 241, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, in sede di' prima applicazione, per l'anno 2013, il contributo di cui al comma 7-ter e' versato direttamente all'Autorita' con le modalita' determinate dall'Autorita' medesima con propria deliberazione, entro il 30 ottobre 2012. Per gli anni successivi, a decorrere dall'anno 2014, il contributo e' versato, entro il 31 luglio di ogni anno, direttamente all'Autorita' con le modalita' determinate dall'Autorita' medesima con propria deliberazione. Eventuali variazioni della misura e delle modalita' di contribuzione possono essere adottate dall'Autorita' medesima con propria deliberazione, nel limite massimo dello 0,5 per mille del fatturato risultante dal bilancio approvato precedentemente all'adozione della delibera, ferma restando la soglia massima di contribuzione di cui al comma 7-ter"