TRIBUNALE DI SIRACUSA 
                           Sezione Penale 
 
    Il Tribunale di Siracusa, Sezione Penale, in  persona  del  dott.
Fabio Salvatore Mangano, esaminati  gli  atti  relativi  al  processo
penale iscritto ai nn. 10158/2010 R.G.N. R. e 2211/14 R.G.  a  carico
di: 
        Caruso Angelo, nato a Pachino (SR) il 14 novembre 1946; 
        Ferraro Alessandro, nato a Napoli il 10 aprile 1971; 
        Bona Sebastiana, nata ad Augusta il 22 agosto 1970; 
        Amara Piero, nato ad Augusta il 24 aprile 1969; 
    imputati: 
        Bona Sebastiana e Amara Piero 
    1) per il delitto previsto dagli articoli 110  codice  penale,  2
del decreto legislativo 74/2000 perche' - in concorso  tra  di  loro,
nella qualita' di amministratore di diritto (Bona) e di fatto (Amara)
della GIDA S.r.l. ed al fine di evadere le imposte sui redditi e  sul
valore aggiunto - indicavano nel  modello  unico  2007  della  stessa
GI.DA  S.r.l.  elementi  passivi  fittizi  utilizzando  fatture   per
operazioni inesistenti provenienti dalla Comin S.r.l. e dalla  Pegaso
S.r.l. (per un imponibile complessivo di € 400.000 con imposta  evasa
pari a € 212.000 oltre sanzioni). Nello  specifico,  utilizzavano  le
fatture: 
        nn. 21 del 5 aprile 2007 (imponibile 40.000  oltre  IVA),  29
del 3 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA),  33  del  1°  giugno
2007 (imponibile 40.000 oltre IVA, 41 del 2 luglio  2007  (imponibile
oltre IVA), 48 del 6 agosto 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA) emesse
dalla Pegaso S.r.l.; 
        nn. 13 del 17 aprile 2007 (imponibile 40.000 oltre  IVA),  19
del 30 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 28  del  28  giugno
2007 (imponibile oltre IVA), 35 del 27 luglio 2007 (imponibile 40.000
oltre IVA), 40 del 27 agosto  2007  (imponibile  40.000  oltre  IVA),
emesse dalla Comin S.r.l.; 
    fatture aventi ad oggetto acconti e saldo per  la  «progettazione
esecutiva  e  analisi  e  indicazione  in  concreto  dei   costi   di
realizzazione di n.  2  impianti  fotovoltaici  denominati  GI.DA1  e
GI.DA2» tutte emesse e saldate nel 2007 a fronte di una progettazione
che veniva in realta' depositata parzialmente soltanto alla fine  del
2008 e da soggetto diverso dalla Comin S.r.l. e dalla  Pegaso  S.r.l.
(ing. Navanteri Marcello)  al  quale  veniva,  peraltro,  corrisposta
dalla GI.DA S.r.l. (e  per  l'intera  progettazione)  la  complessiva
somma di € 30.720 tra il maggio ed il luglio del 2009. 
    In Siracusa, nella dichiarazione dei redditi 2007 (presentata  il
29 settembre 2008). 
    Ferraro Alessandro e Caruso Angelo 
    2) per il delitto previsto dagli artt. 81, 110 codice penale e  8
del decreto legislativo 74/2000 perche' - con piu'  azioni  esecutiva
di un medesimo disegno criminoso,  in  concorso  tra  di  loro  nella
qualita': 
        Ferraro Alessandro di amministratore  di  fatto  della  Comin
S.r.l. e della Pegaso S.r.l.; 
        Caruso Angelo di amministratore di diritto della Comin S.r.l.
e della Pegaso S.r.l.; 
    ed al fine di consentire l'evasione  delle  imposte  sui  redditi
(IRES e IRAP) e  sul  valore  aggiunto  (IVA)  alla  GI.DA  S.r.l.  -
emettevano e  rilasciavano  le  fatture  per  operazioni  inesistenti
descritte  nel  capo  di  imputazione  che  precede  (per  imponibile
complessivo di euro 400.000). 
    Con la recidiva reiterata specifica per Caruso. 
    Con  la  recidiva  reiterata  specifica   infraquinquennale   per
Ferraro. 
    In Siracusa, dal 17 aprile 2007 (data della prima fattura  emessa
in favore della GI.DA S.r.l.) al 27 agosto  2007  (dalla  dell'ultima
fattura emessa in favore (GI.DA S.r.l.); 
    3) per il delitto previsto dagli artt. 110 codice penale e 4  del
decreto legislativo n. 74/2000 perche' -  in  concorso  tra  di  loro
nella qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro)  e  di
diritto (Caruso Angelo) della Comin S.r.l., al  fine  di  evadere  le
imposte  sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto  -  indicavano  nella
dichiarazione dei redditi riferita all'anno 2007 elementi attivi  per
un ammontare inferiore a quello effettivo e  segnatamente  omettevano
di dichiarare ricavi per complessivi € 1.478.091,39  (con  IVA  evasa
pari ad € 281.195,20) realizzando un'evasione d'imposta  sul  reddito
di € 342.067,16. 
    In Siracusa, nel settembre del 2008; 
    4) per il delitto previsto dagli artt. 81, 110 codice penale e  5
del  decreto  legislativo  n.  74/2000  perche'  - con  piu'   azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra  di  loro
nella qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro)  e  di
diritto (Caruso Angelo) della Comin S.r.l., al  fine  di  evadere  le
imposte sui redditi e sul valore aggiunto - omettevano di presentare: 
        qualunque  dichiarazione  per  l'anno  2008   nonostante   la
realizzazione di ricavi per complessivi € 2.990.018,56 (Imposta evasa
con aliquota IRES  al  27,50  ed  al  netto  dei  costi  accertati  €
699.599,36; IVA evasa al netto delle operazioni  passive  pari  ad  €
597.161,29); 
        qualunque  dichiarazione  per  l'anno  2009   nonostante   la
realizzazione di ricavi per complessivi € 441.665,82  (Imposta  evasa
con aliquota IRES  al  27,50  ed  al  netto  dei  costi  accertati  €
121.458,10; IVA evasa al netto delle operazioni  passive  pari  ad  €
88.333,16); 
    In Siracusa, nel settembre 2009 e 2010. 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 4 maggio 2016; 
    Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953 n.
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    1. Con decreto che dispone il giudizio del 30 maggio 2014 il  GUP
presso il Tribunale di Siracusa ha disposto il rinvio a  giudizio  di
Caruso Angelo, Ferraro Alessandro, Bona Sebastiana  ed  Amara  Piero,
imputati dei reati meglio indicati in epigrafe. 
    A seguito di alcuni rinvii,  all'udienza  del  9  dicembre  2015,
respinte le questioni preliminari sollevate dalla  difesa,  e'  stata
dichiarata l'apertura del dibattimento e le parti hanno formulato  le
richieste di prova. 
    L'istruttoria  dibattimentale  si   e'   svolta   attraverso   la
produzione  di  documentazione  rilevante  da  parte   del   pubblico
ministero  e  l'esame  dei  testi  maresciallo  Rocco   Linguanti   e
vicebrigadiere Corrado Sprivieri. 
    All'udienza del 4 maggio 2016  le  parti  hanno  interloquito  in
ordine alla sopravvenuta prescrizione di alcune fattispecie di  reato
contestate: il pubblico ministero ha depositato  una  memoria  ed  ha
chiesto, in via principale, la disapplicazione degli articoli  160  e
161 codice penale, nella parte in cui prevedono che il verificarsi di
atti interruttivi della prescrizione non possa  comportare  l'aumento
di piu'  di  un  quarto  del  tempo  necessario  a  prescrivere,  per
contrasto con gli articoli 4, par. 3 T.U.E. e 325, par. 1 e  2  TFUE;
in via subordinata, ha chiesto di sollevare  questione  pregiudiziale
dinanzi alla Corte di giustizia ex art. 267  comma  2  TFUE;  in  via
ulteriormente  gradata,  ha  chiesto  di   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del
13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte in cui impone di  applicare  gli
articoli  325  par.  1  e   2   del   TFUE   dalla   quale,   secondo
l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 8 settembre 2015,
causa C-105/14 Taricco, discende l'obbligo del giudice  nazionale  di
disapplicare gli articoli 160 comma 3 e 161 comma 2 codice penale. La
difesa degli imputati Amara e Bona ha depositato una propria  memoria
ed  ha  chiesto  l'immediata  declaratoria  di  proscioglimento   per
prescrizione del reato a loro contestato. 
    I  difensori  degli  imputati  Ferrara  e  Caruso  hanno  chiesto
l'emissione di una sentenza di non doversi procedere, quanto meno  in
relazione ai reati relativi all'anno di imposta 2007. 
    2. Tanto premesso in ordine allo svolgimento  del  processo,  con
riguardo alle violazioni tributarie contemplate dagli articoli 2,  4,
5 e 8 del decreto legislativo n. 74/2000 oggetto di contestazione, va
ricordato che il termine di prescrizione e' quello ordinario  di  sei
anni previsto dall'art. 157 codice  penale;  termine  che,  anche  in
presenza di atti interruttivi (ex art. 160 codice penale e 17 comma 1
decreto legislativo n. 74/2000), non puo'  mai  superare  il  periodo
complessivamente individuato dall'art. 161, comma  2  codice  penale,
non trovando applicazione,  ratione  temporis,  il  disposto  di  cui
all'art. 17, comma 1-bis decreto legislativo n.  74/2000,  introdotto
dal decreto-legge n. 138/2011, convertito, con  modificazioni,  nella
legge 14 settembre 2011 n. 148. 
    Cio' detto, con riferimento alle ipotesi di reato sopra riportate
ai nn. 1) e 3) del capo di imputazione, rispettivamente relative alla
violazione dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 da parte di
Amara e Bona e dell'art. 4 del  decreto  legislativo  n.  74/2000  da
parte di Caruso e  Ferraro,  facendo  applicazione  della  disciplina
codicistica, la prescrizione  sarebbe  maturata  il  29  marzo  2016:
entrambe le violazioni tributarie, infatti, sono state commesse il 29
settembre del 2008 (data della presentazione della dichiarazione  dei
redditi relativa all'anno 2007), sicche' il  termine  complessivo  di
prescrizione,  tenuto  conto  dell'aumento  di  un  quarto   previsto
dall'art. 161, comma 2 codice  penale,  risulterebbe  scaduto  il  29
marzo 2016, in carenza di periodi di sospensione ex art. 159 c.p. 
    3.  Sulla  disciplina  della  prescrizione  dei  reati  tributari
riguardanti le frodi all'imposta sul valore aggiunto e'  recentemente
intervenuta la Corte di Giustizia, con  sentenza  emessa  in  data  8
settembre 2015 (Grande Sezione), Taricco, causa C-105/14. 
    La Corte di Giustizia,  chiamata  a  pronunciarsi  a  seguito  di
rinvio  pregiudiziale  proposto  ai  sensi  dell'art.  267  TFUE  dal
Tribunale di Cuneo sulla compatibilita' con  il  diritto  dell'Unione
europea della normativa  italiana  in  materia  di  prescrizione  del
reato, previa individuazione del quadro normativa di riferimento,  ha
stabilito che: «Una normativa nazionale in  materia  di  prescrizione
del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'art. 160,
ultimo comma, del  codice  penale,  come  modificato  dalla  legge  5
dicembre 2005, n. 251, e dell'art. 161 di tale codice - normativa che
prevedeva, all'epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che
l'atto interruttivo verificatosi nell'ambito di  procedimenti  penali
riguardanti frodi gravi in materia di  imposta  sul  valore  aggiunto
comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di  solo  un
quarto della sua durata iniziale  -  e'  idonea  a  pregiudicare  gli
obblighi imposti agli Stati membri dall'art. 325, paragrafi  1  e  2,
TFUE nell'ipotesi in  cui  detta  normativa  nazionale  impedisca  di
infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole
di  casi  di  frode  grave  che  ledono  gli   interessi   finanziari
dell'Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono
gli interessi finanziari dello Stato membro interessato,  termini  di
prescrizione piu' lunghi di quelli previsti per i casi di  frode  che
ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, circostanze  che
spetta al giudice  nazionale  verificare.  Il  giudice  nazionale  e'
tenuto a dare piena efficacia all'art. 325, paragrafi  1  e  2,  TFUE
disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che  abbiano
per effetto di impedire allo Stato membro interessato  di  rispettare
gli obblighi impostigli dall'art. 325, paragrafi l e 2, TFUE». 
    Giova evidenziare che il contrasto con  il  diritto  eurounitario
non riguarda l'intera disciplina nazionale della prescrizione  bensi'
attiene all'interruzione della  prescrizione  e,  segnatamente,  alla
previsione contemplata negli articoli 160  comma  4  e  161  comma  2
codice penale secondo cui, in caso di interruzione della prescrizione
per una delle  cause  menzionate  dall'art.  160  codice  penale,  il
termine di prescrizione non possa essere prolungato oltre  un  quarto
della durata iniziale, sull'assunto che detta  disciplina  rischi  di
«neutralizzare l'effetto temporale di una causa di interruzione della
prescrizione»  e,  di  conseguenza,  di  non  rendere   effettivi   e
dissuasivi gli strumenti di lotta contro le frodi in materia  di  IVA
che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea. 
    I giudici di Lussemburgo individuano due  diverse  situazioni  di
contrasto  della   disciplina   nazionale   sull'interruzione   della
prescrizione   con    il    diritto    dell'Unione,    corrispondenti
rispettivamente  alla  violazione  degli  obblighi  imposti  dai  due
paragrafi dell'art. 325 del TFUE. 
    Il primo contrasto  deriva  dall'accertamento  che  la  normativa
nazionale «impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in
un numero considerevole  di  casi  di  frode  grave  che  ledono  gli
interessi finanziari dell'Unione  europea»:  la  violazione  riguarda
l'art. 325 paragrafo 1 del TFUE, secondo cui: «L'Unione e  gli  Stati
membri combattono contro la frode e le altre attivita'  illegali  che
ledono gli interessi finanziari dell'Unione  stessa  mediante  misure
adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive  e  tali
da permettere una protezione efficace  negli  Stati  membri  e  nelle
istituzioni, organi e organismi dell'Unione». Al giudice nazionale e'
dunque rimesso l'accertamento in ordine alla «gravita'»  della  frode
in materia di IVA ed alla frequenza dei  casi  in  cui,  per  effetto
della disciplina nazionale in tema di prescrizione, dette frodi gravi
restino sostanzialmente impunite. 
    La seconda  situazione  di  contrasto  si  verifica  allorche'  i
termini di prescrizione nei reati che ledono gli interessi finanziari
dello Stato membro siano «piu' lunghi di quelli previsti per  i  casi
di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea»: in
tal caso la violazione riguarda l'art. 325 paragrafo 2  del  TFUE,  a
mente del quale «Gli Stati membri adottano, per combattere contro  la
frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure
che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi
finanziari». L'ipotesi di contrasto riguarda la constatazione,  fatta
propria dalla Corte di  Giustizia  (paragrafo  48),  secondo  cui  la
regola generale dell'aumento di  un  quarto  prevista  dall'art.  161
comma 2 codice penale trova una sua deroga normativa espressa  per  i
reati di cui all'art. 51 commi 3-bis e 3-quater codice  di  procedura
penale,  per  i  quali  l'aumento  della  prescrizione  per   effetto
dell'atto interruttivo  non  ha  un  limite  diverso  dalla  scadenza
dell'ordinario  termine  di  prescrizione,  che  quindi  riprende   a
decorrere per intero dopo ogni atto  di  interruzione.  Tra  i  reati
indicati nell'art. 51 comma  3-bis  codice  di  procedura  penale  e'
compreso il delitto previsto dall'art.  291-quater  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 43/1973,  che  punisce  l'associazione
per delinquere  finalizzata  al  contrabbando  di  tabacchi  lavorati
esteri, sicche' la prescrizione di quest'ultimo reato non e' soggetta
all'aumento  massimo  previsto  dall'art.  161  codice   penale   per
l'ipotesi di atto interruttivo della prescrizione. Consegue  che,  ad
esempio, per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di reati in  tema  di  IVA  il  termine  di  prescrizione
risulterebbe essere piu' breve rispetto a quello  previsto  dall'art.
291-quater  citato,  che  tutela  solo   gli   interessi   finanziari
nazionali. 
    In entrambe le ipotesi di contrasto sopra delineate la  Corte  di
Giustizia impone al giudice nazionale di disapplicare  la  disciplina
nazionale di cui agli articoli 160 e 161 codice penale,  al  fine  di
dare piena efficacia ed attuazione all'art. 325 del TFUE. 
    Occorre precisare - come evidenziato da Cass. pen. n. 2210/2016 -
che la Corte di Giustizia non pretende tout court la  disapplicazione
dei termini previsti dall'art. 157 codice  penale:  a  dovere  essere
disapplicata e' soltanto  l'ultima  proposizione  dell'ultimo  comma,
successiva al punto e virgola, ove si dispone che «in nessun  caso  i
termini stabiliti nell'art. 157 possono essere  prolungati  oltre  il
termine di cui all'art. 161, comma 2, fatta eccezione per i reati  di
cui all'art. 51 codice di procedura penale, commi 3-bis e  3-quater».
Pertanto, come chiarito dalla  Suprema  Corte,  a  seguito  dell'atto
interruttivo,  il  termine  ordinario  di   prescrizione   comincera'
nuovamente a decorrere anche al di fuori dei procedimenti  attribuiti
alla competenza della procura distrettuale, senza che possano operare
i limiti massimi stabiliti dall'art. 161 c.p. 
    4.   Le   conseguenze   derivanti    dalla    sentenza    Taricco
sull'ordinamento interno sono decisive. 
    In  virtu'  dell'adesione  all'ordinamento  comunitario  e  della
conseguente limitazione  della  sovranita'  ex  art.  11  Cost.,  dal
contrasto della normativa interna con il diritto  dell'Unione  -  per
come interpretato dalla Corte di Giustizia - deriva  la  diretta  non
applicabilita' da parte del giudice  nazionale  della  norma  interna
anteriore o successiva con essa confliggente, in  base  al  principio
del primato del diritto comunitario (Corte  Cost.,  sentt.  170/1984,
284/2007, 125/2009, 227 e 228/2010, 75/2012). 
    La  stessa  Corte  di  Giustizia  nel  caso  Taricco  e'   chiara
nell'affermare che  «Qualora  il  giudice  nazionale  giungesse  alla
conclusione  che  le  disposizioni  nazionali  di  cui  trattasi  non
soddisfano gli obblighi del diritto dell'Unione relativi al carattere
effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all'IVA,
detto giudice sarebbe tenuto  a  garantire  la  piena  efficacia  del
diritto dell'Unione disapplicando, all'occorrenza, tali  disposizioni
e neutralizzando quindi la conseguenza rilevata  al  punto  46  della
presente sentenza, senza che debba chiedere  o  attendere  la  previa
rimozione  di  dette  disposizioni  in  via  legislativa  o  mediante
qualsiasi  altro  procedimento  costituzionale  (v.,  in  tal  senso,
sentenze  Berlusconi   e   a.,   C-387/02,   C-391/02   e   C-403/02,
EU:C:2005:270,  punto  72  e  giurisprudenza  ivi   citata,   nonche'
Kücükdeveci, C-555/07, EU-C:2010:21, punto 51  e  giurisprudenza  ivi
citata)» (paragrafo 49). 
    Il  principio  del  primato  del  diritto  europeo  sul   diritto
nazionale  trova  l'unico  limite  nella  difesa  dei  «controlimiti»
desumibili  dai  principi   fondamentali   del   nostro   ordinamento
costituzionale o dai diritti inalienabili della persona  umana  (cfr.
Corte costituzionale, sentt. 98 del 1965, 183  del  1973;  da  ultimo
anche sentt. 348 e 349 del 2007). 
    L'obbligo del giudice  nazionale  di  disapplicare  la  normativa
nazionale  interna  in  favore  del  diritto  dell'Unione,   infatti,
incontra un ostacolo nell'ipotesi in cui il diritto  eurounitario  si
ponga in  contrasto  con  quei  principi  caratterizzanti  il  nostro
sistema costituzionale che  non  possono  essere  modificati  neppure
attraverso il procedimento  aggravato  di  revisione  costituzionale,
dovendo in tal caso il giudice, nell'impossibilita' di  risolvere  il
contrasto in via interpretativa, sollevare questione di  legittimita'
costituzionale. 
    A seguito dell'emanazione della sentenza  Taricco,  la  Corte  di
cassazione ha aderito all'impostazione dei  giudici  europei,  in  un
primo  caso  disapplicando  la  normativa  nazionale   in   tema   di
prescrizione (Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2015  -  20  gennaio
2016 n. 2210) e, in un altro caso, non ravvisando  i  presupposti  di
operativita' del potere di disapplicazione (Cass. pen., sez.  IV,  25
gennaio 2016-26 febbraio 2016 n. 7914). 
    E' noto,  tuttavia,  che,  a  fronte  dei  citati  precedenti  di
legittimita', la Corte di Appello di Milano  abbia  attivato  i  c.d.
«controlimiti», sollevando questione di  legittimita'  costituzionale
per contrasto con l'art. 25 comma 2 Cost. (ord. 18 settembre 2015)  e
che la stessa terza sezione penale della Suprema Corte,  in  data  30
marzo 2016,  abbia  sollevato  questione  di  costituzionalita',  per
contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 3, 101 comma 2  Cost.
(e si e' in attesa del deposito della motivazione). 
    5. Ritiene il decidente che sia rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2
della legge 2 agosto 2008 n. 130, con cui viene  data  esecuzione  al
Trattato  sul  Funzionamento  dell'Unione  Europea,  come  modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona  del  13  dicembre  2007  (TFUE),
nella parte in  cui  impone  di  applicare  la  disposizione  di  cui
all'art.  325,  paragrafi  1  e  2,  TFUE  dalla  quale   -   secondo
l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella  sentenza  8
settembre 2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo  per  il
giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160 ultimo comma e 161
comma 2 codice penale, per  contrasto  con  i  principi  fondamentali
dell'ordinamento sanciti nell'art. 25, comma  2,  in  relazione  agli
articoli 24 e 111 della Costituzione. 
    6. La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante. 
    6.1 Nel presente processo  viene  contestata  agli  imputati  una
frode tributaria  relativa,  tra  le  altre  all'imposta  sul  valore
aggiunto, realizzata mediante l'utilizzo e l'emissione di fatture per
operazioni inesistenti. 
    La prospettazione accusatoria prevede la sussistenza di una frode
IVA  posta  in  essere  dagli  imputati   mediante   la   fraudolenta
dichiarazione di elementi passivi  fittizi  utilizzando  fatture  per
operazioni inesistenti nell'anno di imposta 2007 per la GI.DA  S.r.l.
(capo n. 1), nonche', per converso, l'emissione da  parte  di  Pegaso
S.r.l. e di Comin S.r.l. di fatture per  operazioni  inesistenti,  al
fine di consentire alla GI.DA S.r.l. di evadere le imposte  (capo  n.
2); inoltre, agli imputati Ferraro e Caruso viene contestata l'omessa
indicazione nella dichiarazione dei redditi 2007 di ricavi  inferiori
a quelli effettivi, con un'IVA evasa per euro 281.195,20 (capo n.  3)
e, infine, l'omessa presentazione di qualunque dichiarazione per  gli
anni 2008 e 2009 (capo n. 4). 
    Osserva il giudice che, nel caso di specie, si sia in presenza di
una frode IVA a cui risultino applicabili i principi delineati  nella
sentenza Taricco. 
    Esclusa la violazione  dell'art.  325  paragrafo  2  -  la  quale
riguarda, come detto, l'ipotesi in cui sia contestata  l'associazione
finalizzata alla commissione di reati in tema di IVA -  nel  caso  in
esame ricorre la prima delle due situazioni di contrasto  individuate
dalla Corte di Giustizia, concernente le frodi «gravi» in materia  di
IVA. 
    Fermo restando quanto  a  breve  si  dira'  in  ordine  alla  non
manifesta infondatezza, si ritiene, contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa degli imputati, che la frode in questione  debba  essere
considerata grave,  secondo  i  principi  affermati  dalla  Corte  di
Giustizia. 
    Ed invero, pur avendo  la  Grande  Camera  demandato  al  giudice
nazionale il compito di disapplicare la disciplina sulla interruzione
della prescrizione  nel  caso  in  cui  l'applicazione  della  stessa
comporti «in un numero considerevole di casi,  l'impunita'  penale  a
fronte di fatti costitutivi di una frode grave», e' la medesima Corte
che, nell'individuazione del quadro normativo, richiama l'art. 2 par.
1 della Convenzione relativa alla tutela degli  interessi  finanziari
delle Comunita' europee (Convenzione PIF) attinente alle frodi gravi,
secondo cui: Ogni Stato membro prende le misure necessarie  affinche'
le  condotte  di  cui  all'articolo   1   nonche'   la   complicita',
l'istigazione  o  il  tentativo  relativi  alle  condotte   descritte
all'art.  1,  paragrafo  1,  siano  passibili  di   sanzioni   penali
effettive, proporzionate e dissuasive che  comprendano,  almeno,  nei
casi di frode  grave,  pene  privative  della  liberta'  che  possono
comportare   l'estradizione,   rimanendo   inteso   che    dev'essere
considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo
da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non puo'
essere superiore a euro 50.000 (..)». 
    La disciplina convenzionale consente di ritenere grave una  frode
che superi l'importo di cinquantamila  euro  (stabilito  quale  tetto
della soglia minima di gravita'). Essa, sebbene  rivolta  ai  singoli
Stati membri, e' richiamata nella sentenza  Taricco  nell'ambito  del
quadro normativo di riferimento e, su questa base normativa, la Corte
sviluppa il proprio ragionamento argomentativo. In tal modo, siffatto
richiamo costituisce parametro per  orientare  il  giudice  nazionale
nella individuazione della soglia di gravita'. 
    Non pare, pertanto, a questo giudice che la gravita' della  frode
possa necessariamente coincidere con la contestazione  del  danno  di
rilevante gravita' - come affermato da Cass. pen.  n.  7914/2016  nel
caso sottoposto al suo esame  -  sia  per  quanto  appena  detto  sia
perche',  gia'  sul  piano  letterale,  le  circostanze  che  possono
giustificare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61  n.  7
codice  penale  presuppongono  la  «rilevante»  gravita'  del   danno
patrimoniale arrecato e, dunque, un quid pluris  rispetto  alla  mera
gravita' della frode. 
    Sotto altro profilo non convince la  tesi  sostenuta  con  vigore
dagli imputati, secondo cui il parametro della gravita'  della  frode
debba   essere   valutato   sulla   base    dell'aliquota    uniforme
dell'imponibile IVA che ciascuno Stato membro e' tenuto a versare  al
bilancio dell'Unione europea in base alla decisione  2007/436/CE.  E'
pacifico infatti, sia nella giurisprudenza di legittimita' sia  nella
sentenza  Taricco,  che  il  requisito  della  gravita'  della  frode
riguardi  l'importo  dell'IVA   evasa   nel   territorio   nazionale,
costituendo la lesione  degli  interessi  finanziari  dell'Unione  un
effetto riflesso derivante  dall'iscrizione  a  bilancio  dell'Unione
dell'imposta  in  esame.  Del  resto,  dalla  Convenzione  PIF  sopra
menzionata emerge che il requisito della gravita' della  frode  debba
essere valutato  alla  stregua  dell'imposta  complessivamente  evasa
all'interno dello Stato membro (cfr. art. 2 convenzione),  posto  che
sono gli Stati membri a dovere adottare tutte le misure necessarie  a
rendere effettive e dissuasive le sanzioni adottate contro  le  frodi
verificatesi al loro interno. 
    6.2 Operate le superiori premesse, deve ritenersi  che  la  frode
asseritamente  posta  in  essere  dagli  odierni  imputati  abbia   i
connotati della gravita', atteso  che  l'ammontare  dell'imposta  sul
valore aggiunto evasa e' sempre superiore al limite di 50.000 euro. 
    In relazione alla violazione degli articoli 2 e 4, di cui ai capi
nn.  1)  e  2)  di   imputazione,   infatti,   l'ammontare   dell'IVA
asseritamente evasa risulta pari ad 80.000 euro  (venti  percento  di
400.000 euro); in relazione al reato di cui all'art. 4  contestato  a
Caruso e Ferraro (capo n. 3), invece, l'imposta sul  valore  aggiunto
evasa risulta pari ad euro 281.195,20, mentre, con riguardo al  reato
di cui all'art. 5 (capo n. 4), l'IVA evasa, al netto delle operazioni
passive, risulta pari ad euro 597.161,29  per  l'anno  2009  ed  euro
88.333,16 per il 2010. 
    Chiarita l'applicabilita' dei principi enunciati  nella  sentenza
Taricco  al  caso  in  esame,  la  rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale e' comprovata dalla circostanza  per  cui
la  disapplicazione  della  disciplina   codicistica   in   tema   di
interruzione  della  prescrizione,  per  come  imposto  dai   giudici
europei, impedisce di dichiarare la prescrizione dei reati di cui  ai
capi nn. 1) e 3) di imputazione, per i quali,  come  detto,  in  base
agli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma codice penale, il  29
marzo 2016 sarebbe maturato il relativo termine. 
    Facendo applicazione dell'art. 325 paragrafo 1 del TFUE, per come
interpretato dalla Corte di Giustizia nel caso Taricco, il termine di
prescrizione non sarebbe ancora maturato  limitatamente  all'evasione
dell'IVA, atteso che, disapplicando l'art. 160  ultimo  comma  codice
penale nella parte in cui prevede  che  «in  nessun  caso  i  termini
stabiliti nell'art. 157 possono essere prolungati oltre il termine di
cui all'art. 161, comma  2,  fatta  eccezione  per  i  reati  di  cui
all'art. 51 codice di procedura penale, commi 3-bis e  3-quater»,  il
termine ordinario  di  prescrizione  previsto  dall'art.  157  codice
penale  decorrerebbe  nuovamente   dall'ultimo   atto   interruttivo,
coincidente con l'emissione del decreto che dispone il  giudizio  (30
maggio 2014), con la conseguenza che i reati di cui ai nn.  1)  e  3)
del capo di imputazione, limitatamente alla violazione  dell'IVA,  si
prescriverebbero decorsi sei anni dal 30 maggio 2014 e, quindi, il 30
maggio 2020. 
    In sostanza, dall'applicazione o disapplicazione degli artt.  160
ultimo comma e 161 secondo comma codice  penale  discenderebbero  due
conseguenze  differenti  nel  presente  giudizio:  disapplicando   la
normativa  nazionale,  le  frodi  IVA  contestate  agli  imputati  si
prescriverebbero il 30 maggio 2020; applicando, invece, gli  articoli
160 e 161 codice penale,  dovrebbe  emettersi  una  sentenza  di  non
doversi procedere ex artt. 129 e 531 codice di procedura  penale  nei
confronti di Amara e Bona in relazione al reato di cui al capo n.  1)
di  imputazione,  nonche'  nei  confronti  di  Caruso  e  Ferraro  in
relazione al reato di cui al capo n. 3) di imputazione. 
    In  cio'  si  sostanzia  il  nesso  di  stretta  pregiudizialita'
sussistente tra il presente giudizio  e  quello  davanti  alla  Corte
costituzionale che rende  concreta  ed  attuale  la  rilevanza  della
questione. 
    7.  La  questione   di   legittimita'   costituzionale   non   e'
manifestamente infondata. 
    Ritiene il decidente che l'applicazione dei  principi  richiamati
nella sentenza Taricco si ponga in  contrasto  con  il  principio  di
legalita' in materia  penale  (art.  25  comma  2  Cost.),  anche  in
relazione agli articoli 111 e 24 Cost., quale  principi  fondamentali
dell'ordine costituzionale. 
    7.1 La violazione del principio di legalita' di cui all'art.  25,
comma 2, Cost. investe in  primo  luogo  l'effetto  in  malam  partem
derivante dalla disapplicazione della disciplina della prescrizione. 
    E' noto che la Corte di Giustizia, nell'enunciare  il  dovere  di
disapplicazione da parte del giudice nazionale, non  abbia  ravvisato
alcun contrasto con l'art. 49 della Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  Europea,  che  sancisce  il  principio  di  legalita'  e
proporzionalita' dei reati  e  delle  pene,  e  con  l'art.  7  della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e delle  liberta'
fondamentali. Secondo i giudici europei  la  disapplicazione  avrebbe
l'effetto di non  abbreviare  il  termine  di  prescrizione  generale
nell'ambito di un procedimento  penale  pendente,  di  consentire  un
effettivo perseguimento dei fatti incriminati ma non comporterebbe la
violazione dell'art. 49, non derivando da  essa  una  condanna  degli
imputati per un fatto che, nel momento in cui e' stato commesso,  non
costituiva reato. 
    La Corte di cassazione, nella sentenza n. 2210/2016, condividendo
l'impostazione della sentenza Taricco, ha escluso la  violazione  dei
controlimiti, affermando che la disciplina degli articoli 160  e  161
codice penale non sia  dotata  di  copertura  costituzionale,  tenuto
conto, altresi', della natura dichiarativa (e non costitutiva)  delle
sentenze della Corte di  Giustizia;  impostazione  questa  pienamente
condivisa dal pubblico  ministero,  che  ha  ampiamente  motivato  in
ordine  alla  insussistenza  della  violazione   del   principio   di
irretroattivita' della legge penale sfavorevole. 
    Cio'  detto,   ritiene   questo   giudice   -   condividendo   le
argomentazioni indicate dalla Corte di Appello di Milano nell'analoga
ordinanza   di   rimessione   -   che    non    possa    prescindersi
dall'affermazione   della   natura   sostanziale   della   disciplina
prescrizione. 
    La  Corte   costituzionale,   discostandosi   sul   punto   dalla
giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo  (sentenza
Coeme c. Belgio e Scoppola c. Italia)  e  dalla  Corte  di  Giustizia
(sentenza Niselli,  C-457/02),  ha  da  sempre  affermato  la  natura
sostanziale della disciplina della prescrizione  e  l'assoggettamento
della stessa al principio del nullum crimen sine lege. 
    Con  la  sentenza  n.  394/2006,  la  Corte   costituzionale   ha
affermato: secondo la consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,
all'adozione di pronunce in malam partem in materia penale  osta  non
gia' una ragione meramente processuale - di  irrilevanza,  nel  senso
che  l'eventuale  decisione  di  accoglimento  non  potrebbe  trovare
comunque  applicazione  nel  giudizio  a  quo  -   ma   una   ragione
sostanziale, intimamente connessa al principio della riserva di legge
sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., in base al quale «nessuno
puo' essere punito se non in forza di una legge che  sia  entrata  in
vigore prima  del  fatto  commesso»  (ex  plurimis,  tra  le  ultime,
sentenze n. 161 del 2004 e n. 49 del 2002, n. 508 del 2000; ordinanze
n. 187 del 2005, n. 580 del 2000 e n. 392 del 1998;  con  particolare
riguardo  alla  materia  elettorale,  ordinanza  n.  132  del  1995).
Rimettendo al legislatore - e segnatamente al  «soggetto-Parlamento»,
in  quanto  rappresentativo   dell'intera   collettivita'   nazionale
(sentenza n. 487 del 1989) - la riserva sulla  scelta  dei  fatti  da
sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, detto  principio
impedisce alla Corte sia di creare nuove fattispecie criminose  o  di
estendere quelle esistenti a casi non previsti; sia  di  incidere  in
peius sulla risposta punitiva o su  aspetti  comunque  inerenti  alla
punibilita' (e cosi', ad esempio, sulla disciplina della prescrizione
e dei relativi atti interruttivi o sospensivi: ex plurimis, ordinanze
n. 317 del 2000 e n.  337  del  1999)»;  principio  ribadito  con  la
sentenza n. 324/2008, secondo la quale: «E' pacifico, infatti, che la
prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale, e' soggetta alla
disciplina di cui all'art. 2, quarto comma, cod pen. che  prevede  la
regola generale della retroattivita' della norma piu' favorevole,  in
quanto «il decorso del tempo non si  limita  ad  estinguere  l'azione
penale, ma elimina la punibilita' in se' e per  se',  nel  senso  che
costituisce una causa di rinuncia totale dello  Stato  alla  potesta'
punitiva» (sentenza n. 393 del 2006)». 
    La giurisprudenza costituzionale, pertanto,  e'  consolidata  nel
riconoscere  che  la  prescrizione  sia  coperta  dal  principio   di
legalita',  la  quale   incide   non   soltanto   sulla   fattispecie
incriminatrice e sulla pena ma, altresi', sugli aspetti  inerenti  la
punibilita'. 
    Non sembra, contrariamente a quanto affermato  da  Cassazione  n.
2210/2016, che assuma valenza decisiva  la  circostanza  per  cui  la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  236/2011,  abbia  ritenuto
irrilevante la questione inerente la natura sostanziale o processuale
della prescrizione,  posto  che,  come  da  piu'  parti  evidenziato,
l'ipotesi sottoposta  all'attenzione  della  Consulta  riguardava  il
diverso principio di retroattivita' della  disposizione  penale  piu'
favorevole.   La   natura   sostanziale   della   disciplina    della
prescrizione, estesa alle disposizioni contenute negli articoli 160 e
161 codice penale, implica l'assoggettamento  dell'intera  disciplina
al principio di legalita' di cui all'art. 25 comma 2  Cost.,  secondo
cui nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge  che  sia
entrata in vigore prima del fatto commesso. 
    Non vi e' dubbio che  il  principio  di  legalita'  sia  uno  dei
principi  fondamentali  dell'ordinamento   costituzionale,   la   cui
violazione impone l'attivazione dei controlimiti: la legalita' intesa
in senso formale segna il passaggio dallo stato assoluto  allo  stato
di diritto moderno e si sostanzia nella necessaria salvaguardia della
liberta' del singolo individuo, certo di non potere essere punito per
fatti  che,  sebbene  antisociali  o  pericolosi,  non  integrino  la
fattispecie di reato al momento  della  loro  commissione.  Il  favor
libertatis  connota  il  principio  di  legalita'  a  cui  tutti  gli
ordinamenti penali moderni si inspirano. 
    Il principio di legalita' risulta violato, altresi', in relazione
agli articoli 24 e 111 della Costituzione. 
    Invero, anche a volere prescindere dalla natura sostanziale della
prescrizione, si osserva che  il  regime  della  prescrizione  a  cui
risultino  assoggettate  le  frodi  gravi  lesive   degli   interessi
finanziari dell'Unione europea sia radicalmente  mutato  per  effetto
dell'interpretazione fornita dalla sentenza Taricco. 
    E'  certo,  infatti,  che  l'obbligo  di  disapplicazione   della
disciplina  sulla  interruzione  della  prescrizione  imposto   dalla
sentenza Taricco abbia modificato  il  termine  di  prescrizione  dei
reati finanziari lesivi degli interessi dell'Unione  e  che  siffatta
modifica sia conseguenza  dell'interpretazione  offerta  dai  giudici
europei. 
    Sotto il profilo intertemporale, pertanto, occorre  chiedersi  se
la  disapplicazione  della   disciplina   nazionale   possa   trovare
applicazione in relazione ai processi in corso, nei quali il  termine
di  prescrizione  sia  maturato  dopo  l'emanazione  della   sentenza
Taricco. 
    E' noto che, al riguardo, la Suprema Corte  abbia  affrontato  la
questione della disapplicazione in relazione a quei  fatti  di  reato
per cui la prescrizione  fosse  gia'  maturata,  concludendo  per  la
sussistenza  di  una   sorta   di   diritto   quesito   dell'imputato
all'estinzione del reato per il quale fosse gia' scaduto  il  termine
di prescrizione «per effetto di una forma atipica di ius superveniens
come quella introdotta dalla  Corte  lussemburghese.  In  tale  senso
appare ragionevole sostenere che la  disapplicazione  degli  articoli
160 e 161 codice  penale,  per  assicurare  la  tenuta  dei  principi
ispiratori del sistema penale nazionale (a cominciare  dall'art.  25,
comma 2, Cost.)  e  al  tempo  stesso  il  rispetto  dell'ordinamento
dell'Unione europea (art.  177,  comma  1,  Cost.),  debba  valutarsi
rispetto ai fatti non ancora prescritti alla data della pubblicazione
della sentenza Taricco (3 settembre 2015), tra i quali non rientra il
caso in esame» (Cass. pen. n. 7914/2016). 
    Ritiene questo giudice che il principio summenzionato,  enunciato
dalla Corte di cassazione,  debba  estendersi  anche  ai  quei  reati
commessi anteriormente alla sentenza della Grande Camera rispetto  ai
quali la prescrizione sia  successivamente  maturata  a  processo  in
corso. 
    Ed infatti,  in  disparte  la  questione  concernente  la  natura
dichiarativa (e  non  costitutiva)  delle  sentenze  della  Corte  di
Giustizia, le quali si limitano ad interpretare una norma comunitaria
gia'  esistente  nell'ordinamento,  e'  indubbio  che  l'obbligo   di
disapplicazione   della   disciplina   sulla    interruzione    della
prescrizione sia conseguenza  di  un'interpretazione  sopravvenuta  e
«dirompente» dell'art. 325 TFUE operata  dalla  Corte  di  Giustizia,
innovativa rispetto al quadro giurisprudenziale pacifico  precedente,
secondo  il  quale,  in  siffatta  materia,  la  prescrizione  andava
calcolata secondo la disciplina generale di cui agli articoli  160  e
161 c.p. 
    L'effetto della pronuncia della Corte,  pertanto,  non  puo'  che
incidere    negativamente    sulle     prerogative     dell'imputato,
costituzionalmente  tutelate,  ad  un  processo  «giusto»  in  quanto
regolato dalla legge (art. 111 Cost.) ed all'esercizio del diritto di
difesa  (art.  24  Cost.).  La  sopravvenuta  modifica   del   regime
prescrizionale   conseguente   alla   sentenza   Taricco,   pertanto,
irrompendo nei giudizi in corso, altera il corso  della  prescrizione
ed incide sulla stessa punibilita' dei reati con effetto retroattivo,
vulnerando la legittima aspettativa dell'imputato,  che  non  intenda
rinunziare  alla  prescrizione,  ad   ottenere   una   pronuncia   di
proscioglimento sulla base della legge regolativa del fatto. 
    Per quanto sopra, l'obbligo discendente dall'art. 325  TFUE,  per
come  interpretato  dalla  sentenza  Taricco,  di   disapplicare   la
normativa nazionale in tema di interruzione  della  prescrizione,  in
ipotesi di frodi gravi lesive degli interessi finanziari  dell'Unione
europea, si pone in contrasto con il principio di legalita' in se' ed
in relazione agli artt.  111  e  24  Cost.,  dal  momento  che,  alla
disapplicazione  imposta  dalla  Corte  di  Giustizia,  conseguirebbe
l'effetto  in  malam  partem  del  prolungamento   dei   termini   di
prescrizione del reato a processo in corso. 
    Per quanto sopra, si chiede che la  Corte  costituzionale  valuti
l'opponibilita' dei controlimiti all'applicazione dell'art. 325 TFUE,
per come interpretato dalla Corte di Giustizia. 
    7.2 La disapplicazione della  disciplina  nazionale  in  tema  di
interruzione della prescrizione ad avviso di questo giudice, si  pone
in contrasto anche con il principio di tassativita' o  determinatezza
della fattispecie incriminatrice, quale corollario del  principio  di
legalita'. 
    La Corte di Giustizia ha affidato al giudice nazionale il compito
di disapplicare la disciplina sulla interruzione  della  prescrizione
nel caso in cui l'applicazione della stessa comporti  «in  un  numero
considerevole  di  casi,  l'impunita'  penale  a  fronte   di   fatti
costitutivi di una frode grave». 
    La violazione del principio di tassativita' non attiene tanto  al
requisito   della   gravita'   della    frode,    quanto    piuttosto
all'accertamento, demandato al giudice nazionale, che  l'applicazione
degli artt. 160 e 161 codice penale comporti l'impunita' penale in un
numero considerevole di casi. 
    Con riguardo al parametro della gravita',  infatti,  va  rilevato
che si tratta un  elemento  elastico  della  fattispecie  penale  che
consente al giudice un margine di apprezzamento rispondente  comunque
al canone della tassativita'. Del resto, si e'  gia'  detto  che,  in
qualche misura, la Corte di Giustizia, nel richiamare  la  Convezione
PIF, fornisca un parametro quantitativo di riferimento  rappresentato
dal superamento della soglia di 50.000 euro. 
    In siffatto contesto sembra potersi escludere la  violazione  del
principio di  tassativita'  nell'affermazione  della  gravita'  della
frode,  quale  requisito  necessario  per  la  disapplicazione  della
disciplina nazionale in terna di interruzione della prescrizione. 
    Maggiori perplessita', sul piano costituzionale, desta invece  il
richiamo alla locuzione in un numero considerevole di casi. 
    Dalla lettura  della  sentenza  Taricco  emerge  che  il  giudice
nazionale e' chiamato ad operare una  doppia  valutazione:  accertato
che la frode abbia superato la soglia della gravita',  e'  necessario
che  egli  pervenga  alla  conclusione   che   l'applicazione   delle
disposizioni nazionali in tema  di  interruzione  della  prescrizione
comporti l'impunita' penale in un numero considerevole di casi  (cfr.
paragrafo 47 della sentenza). 
    La locuzione in esame, pertanto, lungi dal  costituire  una  mera
formula   di   stile   ovvero   un   elemento    estraneo    all'area
dell'offensivita' del fatto, rappresenta essa  stessa  il  fondamento
dell'accertamento che il giudice nazionale e'  chiamato  ad  operare,
ben potendosi presentare l'ipotesi in cui questi, pur constatando  la
gravita' della frode, concluda nel senso che non sussista un pericolo
di impunita'  perche'  trattasi  di  casi  che  possono  considerarsi
isolati. 
    Il riferimento alla frequenza  dei  casi  in  cui  l'applicazione
della    disciplina    nazionale    della     prescrizione     incida
sull'effettivita'  e  dissuasivita'  della   risposta   sanzionatoria
costituisce, tuttavia, un elemento incerto  ed  indeterminato,  nella
misura in cui si demanda al giudice nazionale il compito  di  operare
valutazioni di tipo «statistico» estranee al processo e che  prendono
spunto da una personale verifica relativa ad analoghe fattispecie  di
reato sottoposte alla sua cognizione. 
    Al giudice, in sostanza, non viene chiesto di applicare la  legge
e di interpretare il diritto  ma  di  valutare  la  congruita'  e  la
funzionalita'    sistemica    della    disciplina    in     relazione
all'effettivita'  e  dissuasivita'  della   risposta   sanzionatoria:
valutazioni, pertanto, di  politica  sanzionatoria  che  spettano  al
legislatore, secondo l'attuale  assetto  costituzionale  fondato  sul
principio della separazione dei poteri. 
    Appare evidente che un simile accertamento collida con il  nostro
sistema costituzionale di soggezione del  giudice  alla  legge  e  di
stretta legalita' del reato e  della  pena  e,  soprattutto,  con  il
principio di tassativita' della fattispecie penale, che impone, sotto
il   profilo   della   tecnica   di   redazione   della   fattispecie
incriminatrice,  che  la  stessa  presenti  un  adeguato   tasso   di
determinatezza a garanzia della liberta' del cittadino. 
    Il ricorso all'accertamento «statistico»  richiesto  dai  giudici
eurounitari, nei termini sopra  richiamati,  viola  il  principio  di
conoscibilita' e prevedibilita' delle sanzioni  penali,  introducendo
incertezza nell'imputato, il quale non conosce se  il  reato  da  lui
commesso sia assoggettato ad un regime di prescrizione piuttosto  che
ad un altro. 
    Alla  luce   delle   superiori   considerazioni,   l'obbligo   di
disapplicazione degli artt. 160 e  161  c.p.,  ad  avviso  di  questo
giudice, si pone in  conflitto  con  il  principio  di  tassativita';
principio che,  trovando  fondamento  nell'art.  25  comma  2  Cost.,
assurge a principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale,  la
cui violazione impone a questo  giudice  di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale per la necessaria difesa dei controlimiti
alla limitazione di sovranita'  derivante  dall'adesione  dell'Italia
all'ordinamento dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 11 Cost. 
    8.  Alla  luce  delle  superiori  considerazioni,   ritenuta   la
rilevanza e non manifesta infondatezza,  va  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n.
130, con cui viene data  esecuzione  al  Trattato  sul  Funzionamento
dell'Unione europea, come modificato  dall'art.  2  del  Trattato  di
Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte  in  cui  impone  di
applicare la disposizione di cui all'art. 325, paragrafi 1 e 2,  TFUE
dalla quale  -  secondo  l'interpretazione  fornita  dalla  Corte  di
Giustizia nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco  -
discende l'obbligo per  il  giudice  nazionale  di  disapplicare  gli
articoli 160 ultimo comma e 161 comma 2 codice penale, per  contrasto
con il principio fondamentale dell'ordinamento sancito nell'art.  25,
comma 2, della Costituzione, anche in relazione agli  articoli  24  e
111 Cost. 
    Giova precisare che, sebbene le fattispecie per le quali  sarebbe
maturato il termine di prescrizione siano soltanto  due  rispetto  ai
quattro reati indicati nel  capo  di  imputazione,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  e  la  conseguente   sospensione   del
processo (ex art. 23 della legge 87/1953), non possono che riguardare
l'intero  giudizio,  sussistendo  ragioni  di  economia   processuale
sottese all'esigenza di  evitare  la  prosecuzione  dello  stesso  in
relazione ai capi di imputazione di cui ai nn. 2) e 4). 
    Nel presente  processo,  infatti,  l'istruttoria  dibattimentale,
appena iniziata, e' destinata ad essere lunga e  complessa  (come  si
evince dall'ordinanza  del  13  gennaio  2016)  sicche'  un'eventuale
prosecuzione  dell'istruttoria  con  riguardo  ai  reati  non  ancora
prescritti renderebbe necessaria la rinnovazione della stessa ove  la
Corte costituzionale, non condividendo i dubbi di legittimita'  sopra
prospettati, desse prevalenza all'art. 325 TFUE per come interpretato
dalla Corte di Giustizia.  Del  resto,  dalla  lettura  del  capo  di
imputazione si ricava che i fatti di reato per  cui  e'  processo  si
presentano tutti legati da  una  connessione  qualificata,  attenendo
all'evasione fiscale realizzata tra le societa' GIDA  S.r.l.,  Pegaso
S.r.l., Comin  S.r.l.  (ed  i  loro  amministratori  di  fatto  e  di
diritto), in relazione alla progettazione di un impianto fotovoltaico
da parte della prima delle citate societa'.