LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI SIRACUSA 
                              Sezione 5 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
    Russo Isidoro, Presidente; 
    Boscarino Maria Stella, relatore; 
    Rossomandi Luca, giudice; 
ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 362/2015 depositato il
10 febbraio 2015, avverso avviso di accertamento n.  TY7021C2048/2014
IVA - Altro 2010; avverso avviso di accertamento n.  TY7021C2048/2014
IRAP 2010; 
    Contro Ag. Entrate - Direzione provinciale Siracusa; 
    proposto dal ricorrente: Roma Trasporti di Scillieri Guglielmo  &
C. S.A.S. piazza Umberto I n.  5  -  96012  Avola  (SR),  difeso  da:
Antonuccio Guido, via Senatore G. Maielli, 12 - 96100 Siracusa. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    1. Con il  ricorso  introduttivo,  notificato  all'Agenzia  delle
entrate di Siracusa il 29 gennaio/2 febbraio 2015, iscritto al numero
362/15,  Roma  Trasporti  di  Scillieri  Guglielmo   &   C.   S.A.S.,
rappresentata e difesa dal  dottor  Guido  Antonuccio  e  dal  dottor
Giuseppe Trunfio,  ricorreva  avverso  l'avviso  di  accertamento  n.
TY7021C02048/2014, con il quale, per  l'anno  di  imposta  2010,  era
stata disconosciuta la deducibilita' di costi per euro  87.885,00  e,
conseguentemente, a seguito della rettifica del  reddito  dichiarato,
era stato intimato il  pagamento  della  complessiva  somma  di  euro
30.611,50, a titolo di Irap ed IVA, oltre sanzioni. 
    L'Agenzia delle entrate  aveva  verificato  il  reddito  relativo
all'anno d'imposta in questione, ed invitato l'interessato a produrre
documentazione  fiscale;  non  avendo   il   ricorrente   ottemperato
all'invito,   l'Agenzia   delle   entrate    aveva    sostanzialmente
disconosciuto la deducibilita' del 96% di  tutti  i  costi  sostenuti
dalla societa' ricorrente. 
    Quest'ultima, con  il  ricorso  introduttivo,  negando  di  avere
ricevuto  l'invito  (settimo  motivo  di  ricorso),   lamentava:   la
giuridica inesistenza  della  notifica  dell'atto  impugnato;  alcune
carenze,  nell'atto   impositivo,   dei   requisiti   richiesti   dal
legislatore con la normativa vigente; la nullita' dell'atto impugnato
per  difetto  di  valida  sottoscrizione  nonche'  per   la   mancata
indicazione del responsabile del  procedimento;  mancanza  di  esatta
determinazione degli interessi dovuti; illegittimita' della richiesta
di versamento  della  percentuale  a  titolo  di  aggio;  difetto  di
motivazione; violazione dell'art. 12,  comma  7,  dello  statuto  del
contribuente, per mancato rispetto  del  diritto  al  contraddittorio
preventivo che avrebbe dovuto comportare il rilascio di una copia del
processo verbale di chiusura delle operazioni  di  controllo  con  la
concessione  di  un  termine  dilatorio  pari  a  60  giorni  per  la
presentazione di documenti e memorie, nonche' violazione dei principi
affermati  dalla  Cassazione  circa  il  diritto  al  contraddittorio
endoprocedimentale;  difetto  di  motivazione,  anche  in   relazione
all'entita' delle somme pretese; violazione dell'art. 40 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, relativo all'obbligo
di emettere tin unico avviso di accertamento ai fini della  rettifica
sia del reddito della societa' che di quello  delle  persone  fisiche
dei soci; infondatezza dell'avviso di accertamento, essendo  i  costi
indicati  in   dichiarazione   deducibili;   inapplicabilita'   delle
sanzioni. 
    Concludeva chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato. 
    2. In data 2 luglio 2015  si  costituiva  in  giudizio  l'Agenzia
delle entrate di Siracusa che, dopo puntuale excursus della normativa
di  riferimento,  difendeva  la  legittimita'  del  proprio  operato;
osservava, al riguardo, che l'attivita' di  controllo  era  scaturita
dalla circostanza che,  nella  dichiarazione  dei  redditi  trasmessa
dalla societa' ricorrente, risultavano  dichiarate  spese  deducibili
piuttosto consistenti rispetto alla tipologia di attivita' esercitata
ed al totale dei  compensi  dichiarati.  L'Ufficio  aveva  notificato
l'invito a produrre una serie di documenti fiscali, mediante notifica
eseguita il 26 giugno 2014 ai sensi  dell'art.  60  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, stante l'irreperibilita'
del contribuente;  poiche'  a  tale  comunicazione  non  aveva  fatto
seguito   la    trasmissione    della    richiesta    documentazione,
l'Amministrazione, conclusa l'istruttoria, aveva emesso e  notificato
l'avviso di accertamento impugnato, recuperando a tassazione i  costi
(quote di ammortamento ed altri componenti negativi). 
    A proposito dei  motivi  di  ricorso,  l'Ufficio  controdeduceva:
quanto   alla    notifica    dell'atto    impugnato,    l'irrilevanza
dell'apposizione della relata di notifica e  dell'intermediazione  di
un agente notificatore, alla stregua della costante giurisprudenza in
materia; sulla giuridica inesistenza dell'atto, l'Ufficio eccepiva di
aver utilizzato il modello di accertamento  conforme  alla  normativa
vigente;  quanto  alla  sottoscrizione,  l'Ufficio  produceva  l'atto
dispositivo con il quale il direttore provinciale aveva attribuito la
delega di firma al funzionario che aveva  firmato  l'atto  impugnato;
l'Ufficio, ancora, eccepiva che il responsabile del procedimento  era
stato correttamente individuato nell'accertamento  impugnato;  quanto
all'indicazione degli interessi e dell'aggio, l'Ufficio si richiamava
alle disposizioni normative che prevedono tali pretese;  quanto  alla
motivazione, eccepiva che la societa' contribuente era stata invitata
a produrre la documentazione comprovante la certezza ed inerenza  dei
costi esposti in dichiarazione, e, in  carenza,  risultava  legittima
l'azione accertativa posta in essere ai sensi del 41-bis del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  600  del  1973;  quanto  alla
violazione del principio del contraddittorio, eccepiva  l'inesistenza
di  una  norma  che  imponga  all'Amministrazione  di  notiziare   il
destinatario di  un  avviso  di  accertamento  antecedentemente  alla
predisposizione dello stesso. In particolare, l'Ufficio ricordava che
l'art. 12 dello statuto del contribuente  riconosce  ai  contribuenti
una serie di garanzie ma solo nell'ipotesi di  accessi,  ispezioni  e
verifiche fiscali eseguiti nei locali destinati  all'esercizio  delle
attivita'   commerciali,   industriali,   agricole,   artistiche    o
professionali. 
    Invece, quando l'organo accertatore  non  esegue  alcun  accesso,
ispezione o verifica fiscale nei locali in questione, ma  procede  ad
attivita' di controllo all'interno dei  propri  uffici,  non  vengono
estese in favore dei contribuenti  le  garanzie  del  contraddittorio
anteriormente alla notifica dell'atto impositivo. 
    L'Agenzia, ancora, eccepiva che l'Amministrazione finanziaria, in
conformita' alla disciplina normativa vigente, non ha  alcun  obbligo
di  convocare   il   contribuente,   non   esistendo   alcuna   norma
nell'ordinamento tributario che stabilisca la sanzione della nullita'
dell'avviso di accertamento emesso e notificato senza contraddittorio
preventivo con il contribuente. 
    L'Agenzia concludeva,  nel  senso  che,  nel  diritto  tributario
vigente, l'attivita' istruttoria svolta ai fini dell'accertamento del
tributo non  e'  retta  dal  principio  del  contraddittorio,  avendo
l'Amministrazione una facolta' discrezionale  e  non  un  obbligo  di
instaurare il contraddittorio preventivo. 
    Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, l'Agenzia  deduceva  che
l'atto impositivo  era  stato  adeguatamente  motivato;  che  nessuna
violazione dell'art. 40 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 600 del 1973  si  era  concretizzata,  in  quanto  nell'avviso  di
accertamento era stato indicato il  maggior  reddito  accertato  alla
societa', attribuito pro quota ai due soci; eccepiva,  infine,  circa
il  merito  della  pretesa   dell'Ufficio,   la   genericita'   delle
contestazioni; e la legittimita' delle sanzioni irrogate. 
    Con memoria dell'11 marzo 2016, parte  ricorrente  controdeduceva
alle argomentazioni dell'Agenzia; tra l'altro, eccepiva che  l'invito
alla produzione dei documenti contabili non era mai pervenuto, e cio'
perche' il messo lo aveva notificato utilizzando la procedura per gli
irreperibili assoluti (che prevede il  deposito  dell'atto  in  busta
sigillata presso il comune ed affissione di avviso di deposito sempre
all'albo comunale), procedura legittima solo qualora il  destinatario
non abbia alcuna abitazione, ufficio o azienda nel comune  dove  deve
essere eseguita notificazione, ma la  societa'  ricorrente,  fin  dal
2003, aveva la propria sede in Avola, come  da  certificazione  della
CCIAA, ed in tale sede il messo avrebbe dovuto eseguire la notifica. 
    Nel  merito,  la   societa'   ricorrente   insisteva   circa   la
deducibilita' dei costi  non  riconosciuti  dall'Ufficio,  producendo
tutta la documentazione contabile della  societa'  relativa  all'anno
d'imposta   2010   (registro   acquisti,   fatture    di    acquisto,
documentazione contabile relativa  ai  costi  esclusi  dal  campo  di
applicazione Iva). 
    Insisteva nell'accoglimento del ricorso. 
    Il  4  aprile  2016  le  parti   insistevano   nelle   rispettive
conclusioni ed  esaurita  la  discussione  orale  il  ricorso  veniva
trattenuto in decisione. 
    L'oggetto della controversia e la normativa di riferimento. 
    3. Avuto riguardo alla circostanza che, alle  numerose  doglianze
della societa' ricorrente, l'Amministrazione finanziaria ha replicato
depositando  documentazione   varia   ed   invocando   giurisprudenza
contraria alle tesi della ricorrente (che condurrebbe alla  reiezione
di tutte le censure ad eccezione di quella relativa  alla  violazione
dell'art. 12 Stat. Contribuente), diventa di cruciale  importanza  (e
determinante ai fini della risoluzione della  controversia)  chiarire
la legittimita' o meno delle disposizioni in materia, nella parte  in
cui non prevedono alcun contraddittorio nell'ipotesi di  accertamenti
fiscali usualmente definiti «a tavolino», vale a dire eseguiti presso
gli uffici della stessa amministrazione finanziaria, come nel caso in
questione. 
    Si tralasceranno le disposizioni in materia IVA (articoli 54 e 55
del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972  n.  633)
applicate nel caso in  esame,  dovendosi  condividere  l'orientamento
della Cassazione SS.UU., decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823  (v.
infra), con il conseguente obbligo di disapplicazione delle norme che
non prevedono  il  preventivo  contraddittorio,  per  violazione  del
diritto eurounitario. 
    Ai fini delle imposte  sui  redditi  gli  articoli  38,  39,  40,
40-bis, 41 e 41-bis del decreto del Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973 n. 600  disciplinano  i  diversi  tipi  di  avvisi  di
accertamento  o  atti  di  rettifica  e  non  prevedono  obblighi  di
preventivo  contraddittorio  con  il  destinatario  dell'accertamento
anteriormente all'emissione dell'accertamento. 
    La legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede garanzie,  di
carattere procedimentale (formazione di un verbale di chiusura  delle
operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente;  facolta'
del  contribuente  di   comunicare   osservazioni   e   richieste   e
corrispondente  dovere  dell'Ufficio  di   valutarle;   divieto   per
l'Ufficio di emettere l'avviso di accertamento prima  della  scadenza
del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio  di  copia  del
verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata  urgenza)  che
si applicano soltanto agli accertamenti emessi in esito  ad  accessi,
ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove  si  esercita
l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente. 
    Ad  eccezione,  quindi,  di  tali  ipotesi,  la   struttura   del
procedimento in questione, come d'altra parte  pacificamente  ammesso
dalla  medesima  Agenzia  resistente,   comporta   che,   allorquando
l'amministrazione finanziaria, d'ufficio,  procede  ad  una  verifica
fiscale nei riguardi  di  un  contribuente,  non  ha  alcun  obbligo,
sanzionato a  pena  di  nullita',  di  innestare  un  contraddittorio
preventivo  anteriormente  alla  conclusione  del   procedimento   di
accertamento.   L'Ufficio,   infatti,    come    argomentato    nelle
controdeduzioni  dell'Agenzia,  puo'   formarsi   un   principio   di
convincimento del tutto autonomo circa la possibilita'  di  procedere
ad una rettifica, sulla base di una istruttoria gia' compiuta, oppure
in attuazione di disposizioni che prevedono meccanismi di  tassazione
di tipo presuntivo. 
    Puo' accadere, invece, che decida di coinvolgere il contribuente,
anche al fine di raccogliere dati ed elementi necessari o  utili  per
la verifica della posizione fiscale, e in tal caso puo'  invitare  il
contribuente  (come  avvenuto  nel  caso  in  questione)  a  produrre
documentazione fiscale. 
    Nel caso specifico, tale comunicazione non e' andata a buon fine,
per le ragioni sulle quali, sostanzialmente, le parti convergono  (la
comunicazione e' stata notificata con il rito degli irreperibili, che
comporta deposito ed affissione presso gli uffici comunali,  anziche'
presso la sede dell'azienda, la quale lamenta di  non  averne  saputo
nulla); ma tale aspetto non  e'  particolarmente  rilevante  ai  fini
della questione che viene sottoposta alla Corte: infatti, quand'anche
l'invito a comparire fosse andato a buon  fine,  ed  il  contribuente
avesse consegnato  la  documentazione  richiesta,  in  ogni  caso  la
successiva  fase  procedimentale  si  sarebbe  svolta   senza   alcun
contraddittorio. In pratica, l'amministrazione finanziaria, esaminati
gli atti e i documenti  eventualmente  consegnati  dal  contribuente,
avrebbe adottato le proprie decisioni,  provvedendo  direttamente  ad
emettere  un  atto  impositivo,  senza   previamente   informare   il
contribuente delle conclusioni alle quali fosse pervenuta  dopo  aver
esaminato la documentazione relativa alla sua posizione fiscale. 
    In sostanza,  come  riportato  nelle  difese  dell'Agenzia  delle
entrate, nessuna norma nell'ordinamento tributario impone che,  prima
di  emettere  l'avviso  di   accertamento   (atto   impositivo),   il
contribuente debba essere informato. 
    Come si vede, risulta a questo punto irrilevante  distinguere  le
varie  ipotesi,  cioe'  se,  nella  fase  iniziale  dell'accertamento
d'ufficio,  il  contribuente  sia  stato  convocato  per   consegnare
documenti, o meno, oppure se  sia  stato  convocato  ma  non  si  sia
presentato,  ovvero  ancora  sia  stato  convocato  e  sia  comparso,
depositando la documentazione fiscale chiesta; infatti, in ogni caso,
quand'anche tale convocazione ci sia stata, sia che  il  contribuente
abbia assolto alla richiesta, consegnando dati ed elementi  richiesti
ai  fini  della  verifica  della  sua  posizione  fiscale,  sia   che
contribuente non  si  sia  presentato  (come  avvenuto  nel  caso  in
questione, e a prescindere se tale  omissione  sia  riconducibile  ad
errore della  medesima  amministrazione  finanziaria  nel  notificare
l'invito a comparire in luogo diverso dalla sede aziendale), comunque
l'esito e'  lo  stesso:  l'amministrazione  procedente  istruisce  la
pratica  in  assenza  del  contribuente,  valuta  la   documentazione
eventualmente fornita dall'interessato, dopodiche' assume le  proprie
decisioni e -  senza  previamente  avvisarne  il  contribuente  -  le
formalizza nell'avviso di accertamento  contenente  la  contestazione
delle violazioni,  l'irrogazione  delle  sanzioni,  l'intimazione  al
pagamento. 
    Avverso tale  atto,  il  contribuente  puo'  soltanto  presentare
ricorso giurisdizionale (se del caso,  a  seconda  del  valore  della
controversia, nella forma dell'istanza di reclamo-mediazione che vale
come ricorso decorso il  termine  di  90  giorni  senza  accoglimento
dell'istanza o conclusione  della  mediazione),  fermo  restando  che
l'avviso di accertamento, decorsi 60 giorni dalla notifica, e' titolo
esecutivo per la riscossione delle somme indicate. 
    Si  deve  ulteriormente  precisare  che  nel  caso  in  questione
l'avviso di accertamento e' stato  emesso  ai  sensi  delle  seguenti
norme: 
        decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600,  articoli  39  (rubricato  «Redditi  determinati  in  base  alle
scritture contabili»), comma 1, lettera d) (il quale prevede che, per
i redditi d'impresa delle persone  fisiche,  l'ufficio  procede  alla
rettifica «se l'incompletezza,  la  falsita'  o  l'inesattezza  degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta
dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre  verifiche  di
cui all'art. 33 ovvero dal controllo della completezza,  esattezza  e
veridicita' delle registrazioni contabili sulla scorta delle  fatture
e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonche' dei  dati
e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'art. 32.
L'esistenza  di  attivita'  non  dichiarate  o  la   inesistenza   di
passivita' dichiarate e' desumibile anche sulla base  di  presunzioni
semplici, purche' queste  siano  gravi,  precise  e  concordanti»)  e
41-bis (il quale, rubricato «accertamento parziale»,  stabilisce  che
«senza pregiudizio dell'ulteriore  azione  accertatrice  nei  termini
stabiliti  dall'art.  43,  i  competenti  uffici  dell'Agenzia  delle
entrate, qualora dalle attivita'  istruttorie  di  cui  all'art.  32,
primo comma, numeri da 1) a 4), nonche' dalle segnalazioni effettuati
dalla Direzione centrale accertamento,  da  una  Direzione  regionale
ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di  altre  Agenzie
fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche  amministrazioni  ed
enti pubblici oppure dai dati in possesso  dell'anagrafe  tributaria,
risultino elementi che consentono  di  stabilire  l'esistenza  di  un
reddito  non  dichiarato  o  il  maggiore  ammontare  di  un  reddito
parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a  formare  il
reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in societa',
associazioni ed imprese di cui  all'art.  5  del  testo  unico  delle
imposte sui redditi,  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  o  l'esistenza  di  deduzioni,
esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti,  nonche'
l'esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse  le
ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter,  possono  limitarsi  ad
accertare, in base agli elementi predetti, il reddito  o  il  maggior
reddito imponibili, ovvero la  maggiore  imposta  da  versare,  anche
avvalendosi delle  procedure  previste  dal  decreto  legislativo  19
giugno 1997, n. 218. Non si applica la disposizione dell'art. 44.»). 
    L'istruttoria - come si evince dalla copia dell'invito,  prodotto
in giudizio dall'Agenzia - e' avvenuta ai  sensi  dell'art.  32  (che
prevede, fra te altre ipotesi, l'invito al contribuente a  esibire  o
trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento). 
    Tale disposizione stabilisce, per  quanto  qui  rileva,  che  gli
inviti e le richieste devono essere notificati ai sensi dell'art. 60.
Dalla data di notifica decorre il termine  fissato  dall'ufficio  per
l'adempimento, che non puo' essere inferiore a 15 giorni, prorogabile
di altri 20. 
    Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri
ed i registri non esibiti o non trasmessi  in  risposta  agli  inviti
dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore  del
contribuente, ai fini  dell'accertamento  in  sede  amministrativa  e
contenziosa, salvo che il contribuente depositi in allegato  all'atto
introduttivo del giudizio di  primo  grado  in  sede  contenziosa  le
notizie, i dati, i documenti,  i  libri  e  i  registri,  dichiarando
contestualmente di non aver potuto  adempiere  alle  richieste  degli
uffici per causa a lui non imputabile. 
    Come  si  evince  dall'atto  impugnato,  l'Agenzia  ha   altresi'
applicato il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  articoli
25 (che fa rinvio, per le attivita' di controllo  e  rettifica  della
dichiarazione, per l'accertamento e per la  riscossione  dell'imposta
regionale, nonche' per il relativo contenzioso, alle disposizioni  in
materia  di  imposte  sui  redditi)  e  32  (in  vigore   alla   data
dell'accertamento,    prevedeva    l'ammontare     delle     sanzioni
amministrative per le violazioni relative alla dichiarazione). 
    Come si desume dalla lettura dell'art. 32 decreto del  Presidente
della Repubblica  29  settembre  1973,  n.  600,  una  volta  avviata
l'istruttoria  (nel  caso  in  questione,   a   seguito   di   invito
all'interessato alla trasmissione di atti, i documenti, i libri ed  i
registri, ma la disposizione in questione prevede altre modalita'  di
acquisizione di dati e notizie, in  alcuni  casi  coinvolgendo  nella
fase  iniziale  il  contribuente,  come  nell'ipotesi  di  invio   di
questionari  relativi  a  dati  e  notizie  di  carattere   specifico
rilevanti  ai  fini  dell'accertamento  nei  confronti  degli  stessi
contribuenti o nei confronti di altri contribuenti  con  i  quali  si
siano intrattenuti rapporti, in altri  casi  senza  contatti  con  il
contribuente, mediante acquisizione di dati e notizie  presso  terzi:
si vedano  le  numerose  categorie  indicate  nel  citato  art.  32),
l'Amm.ne   esamina   la   documentazione   acquisita,   e,   conclusa
l'istruttoria,  raggiunte  le  proprie  determinazioni,  senza  alcun
previo contraddittorio con il  contribuente,  provvede  all'emissione
dell'avviso di accertamento, che comprende, oltre le maggiori imposte
accertate, l'irrogazione di sanzioni amministrative, con  intimazione
ad adempiere; l'atto, decorsi 60 giorni  dalla  notifica,  e'  titolo
esecutivo. 
    4. Nella vicenda in esame da parte di questo Collegio giudicante,
le tesi che si fronteggiano sono quelle del  ricorrente,  secondo  il
quale una volta che l'amministrazione finanziaria abbia  istruito  la
pratica,  valutato  i  dati  e  gli  elementi  raccolti,  e  concluso
l'istruttoria,   pervenendo    alle    proprie    decisioni,    prima
dell'emissione  dell'atto   impositivo   negativo   deve   instaurare
contraddittorio con il contribuente, comunicandogli circa le  proprie
conclusioni ed accordandogli  un  termine  per  la  presentazione  di
memorie e  documenti  avverso  le  conclusioni  negative  alle  quali
l'amministrazione stessa  sia  pervenuta;  e  la  tesi  dell'Ufficio,
secondo il quale l'obbligo di instaurare il  contraddittorio  con  il
contribuente   prima   dell'emissione   dell'atto    impositivo    e'
riconosciuto dall'art. 12 dello statuto del  contribuente  unicamente
nell'ipotesi in cui l'attivita' di verifica si  sia  svolta  mediante
accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguite nei locali  destinati
all'esercizio dell'attivita' del contribuente, ma non nell'ipotesi in
cui  l'accertamento  sia  stato  avviato  a  seguito  dell'iniziativa
dell'ufficio senza accesso nei luoghi di residenza del  contribuente,
nella sede o nei locali dell'impresa. 
    La problematica, dunque, ruota intorno alla necessita' o meno  di
avvisare il contribuente del fatto che, a conclusione di un'attivita'
di  controllo  eseguita  presso   gli   uffici   dell'amministrazione
finanziaria, quest'ultima e' pervenuta alla decisione di emettere  un
atto impositivo. 
    La giurisprudenza e' ferma nell'escludere che le garanzie in tema
di contraddittorio assicurate al contribuente sottoposto a  verifiche
fiscali presso la propria residenza ovvero nella sede  o  nei  locali
dell'impresa debbano essere estese ai casi di attivita' di  controllo
presso gli uffici dell'amministrazione finanziaria. 
    La tesi prospettata dall'Ufficio nel presente  giudizio  risulta,
quindi, conforme alla giurisprudenza formatasi sul richiamato art. 12
dello Statuto del  contribuente,  stante  il  tenore  testuale  della
norma, limitata alle verifiche fiscali presso il contribuente. 
    Ebbene,  tale  disposizione,  come  verra'  meglio  chiarito   in
seguito, non appare rispettosa della normativa di seguito indicata, e
conseguentemente, questo Collegio giudicante ritiene che la soluzione
della   presente   controversia   non   possa    prescindere    dalla
sottoposizione delle questioni di legittimita'  costituzionale  infra
indicate. 
    Rilevanza e motivazioni delle questioni sollevate. 
    5. Nel caso in  esame  di  questa  Commissione,  il  contribuente
lamenta che gli e' pervenuto  un  atto  di  accertamento  istruito  e
formato  dall'amministrazione  finanziaria  in   assenza   di   alcun
contraddittorio. 
    Ora,  nell'ordinamento  giuridico  interno  non  si  ravvisa   un
generalizzato obbligo di contraddittorio nell'ambito del procedimento
amministrativo  di  formazione  dell'atto  fiscale,  in   quanto   le
garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dalla legge n. 212
del 2000, art. 12, comma 7 si applicano  soltanto  agli  accertamenti
emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali  effettuate
nei  locali   ove   si   esercita   l'attivita'   imprenditoriale   o
professionale del contribuente; e non in relazione agli  accertamenti
derivanti da verifiche effettuate presso  la  sede  dell'Ufficio,  in
base alle notizie acquisite da altre  pubbliche  amministrazioni,  da
terzi  ovvero  dallo  stesso  contribuente,  in   conseguenza   della
compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. «verifiche a
tavolino»). 
    6. La giurisprudenza ha ritenuto che,  anche  dopo  l'entrata  in
vigore dello Statuto del contribuente (legge n.  212/2000),  non  sia
possibile ritenere esistente un principio generale di contraddittorio
in ordine alla  formazione  della  pretesa  fiscale:  Cassazione,  n.
26316/10; con specifico riferimento alla previsione  della  legge  n.
212 del 2000,  art.  12,  comma  7,  Cassazione  21391/14,  15583/14,
13588/14, 7598/14, 25515/13, 2360/13, 446/13 16354/12;  con  riguardo
all'avviso bonario previsto, dall'art. 6,  comma  5,  della  predetta
legge, in  relazione  alle  cartelle  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 600 del 1973,  ex  art.  36-bis:  Cassazione  12023/15,
8342/12, 7536/11, 795/11. 
    In  contrario,  Cassazione,  ss.uu.,  19667/14  e  19668/14,  che
sviluppano l'argomento di una generalizzata espansione della garanzia
del contraddittorio (peraltro in fattispecie  diverse  da  quella  in
esame), quale  espressione  di  principio  immanente  all'ordinamento
nazionale ed a quello europeo. 
    Si' deve  osservare  che  poco  prima,  Cassazione  civile,  sez.
tribunale , con decisione del 5 febbraio 2014 n. 2594,  in  relazione
ad una censura di omessa violazione della legge 27  luglio  2000,  n.
212, art. 12,  comma  7,  da  intendersi  esteso  anche  ai  casi  di
«istruttoria condotta nella sede dell'Ufficio tributario»  (onde  non
incorrere nel vizio di incostituzionalita'), aveva ritenuto il motivo
fondato. 
    Di seguito, le Sez. un., con la decisione 18 settembre  2014,  n.
19667,  dopo  aver  premesso  che  lo  statuto  del  contribuente  e'
costituito da un complesso di  norme  la  cui  precipua  funzione  e'
quella di  improntare  l'attivita'  dell'amministrazione  finanziaria
alle regole dell'efficienza e della trasparenza,  nonche'  quella  di
assicurare l'effettivita' della tutela del  contribuente  nella  fase
dei procedimento tributario, con norme (quali gli articoli 5,  6,  7,
l'art. 10, comma 1, 12,  comma  2)  che  sostanzialmente  riproducono
alcune delle fondamentali regole dettate dalla legge n. 241 del  1990
sul procedimento in generale, dalle quali «emerge chiaramente che  la
pretesa    tributaria    trova    legittimita'    nella    formazione
procedimentalizzata  di  una  "decisione  partecipata"  mediante   la
promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio  di  leale
collaborazione) tra  amministrazione  e  contribuente  (anche)  nella
"fase precontenziosa" o  "endoprocedimentale",  al  cui  ordinato  ed
efficace  sviluppo  e  funzionale   il   rispetto   dell'obbligo   di
comunicazione degli atti imponibili», affermavano che «il diritto  al
contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del  provvedimento
ad  essere  sentito  prima  dell'emanazione   di   questo,   realizza
l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato  dall'art.
24  Cost.,  e  il  buon  andamento  dell'amministrazione,  presidiato
dall'art. 97 Cost., richiamando al riguardo le sentenze nn. 16412 del
2007 e 26635 del 2009, sempre delle Sezioni Unite. 
    Inoltre, «il rispetto dei diritti della difesa e del diritto  che
ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell'adozione di
qualsiasi decisione che possa incidere  in  modo  negativo  sui  suoi
interessi,  costituisce  un  principio   fondamentale   del   diritto
dell'Unione, come afferma - ricordando la propria precedente sentenza
del 18 dicembre 2008, in  causa  C-349/07  Soprope'  -  la  Corte  di
Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in  cause
riunite C-129/13 e C-130/13,  Kamino  International  Logistics  BV  e
Datema  Hellmann  Wortdwide  Logistics  BV.   ...   Il   diritto   al
contraddittorio  in  qualsiasi  procedimento,  afferma  la  Corte  di
Giustizia, e' attualmente sancito non solo negli  articoli  47  e  48
della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,   che
garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonche' diritto  ad
un processo equo in qualsiasi  procedimento  giurisdizionale,  bensi'
anche nell'art. 41 di quest'ultima. il quale garantisce il diritto ad
una buona amministrazione. Il citato art. 41, par. 2 prevede che tale
diritto a una buona  amministrazione  comporta,  in  particolare,  il
diritto di ogni individuo di essere  ascoltato  prima  che  nei  suoi
confronti venga adottato  un  provvedimento  individuale  lesivo.....
Conclude  la  Corte  che  in  forza  di  tale  principio,  che  trova
applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di  adottare
nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di
decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere
messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto  di  vista
in merito agli elementi sui quali l'amministrazione  intende  fondare
la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento
che sara' adottato, con la fissazione di un  termine  per  presentare
eventuali difese od osservazioni». 
    Va sottolineato  che,  pur  avendo  precisato  che  l'obbligo  in
questione, «ad avviso  della  Corte,  incombe  sulle  amministrazioni
degli  Stati  membri  ogniqualvolta  esse  adottano   decisioni   che
rientrano  nella  sfera  d'applicazione  del   diritto   dell'Unione,
quand'anche  la  normativa  comunitaria   applicabile   non   preveda
espressamente siffatta formalita'», le Sezioni poi  concludevano  nel
senso che, in ragione del dovuto  rispetto  del  diritto  di  difesa,
l'attivazione   del   «contraddittorio    endoprocedimentale»    «...
costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento  cui
dare  attuazione  anche  in  difetto  di  una  espressa  e  specifica
previsione normativa». 
    Ma piu' di recente, la Cassazione SS.UU.,  con  decisione  del  9
dicembre  2015,  n.  24823,  dopo  aver  premesso  che  in  tema   di
contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria  non  vi  e'
coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale (la  prima,
infatti, prevede il contraddittorio  endoprocedimentale,  in  materia
tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone
gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda,
lo delinea, invece, quale  obbligo  gravante  sull'Amministrazione  a
pena di nullita' dell'atto non, in via generale, ogni qual volta essa
si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei  diritti  e  degli
interessi del contribuente, ma, soltanto, in  singoli  casi),  e  che
tale divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione
dei tributi c.d. «non armonizzati» (in particolare  quelli  diretti),
estranei alla sfera di competenza del diritto dell'Unione europea,  e
di quelli c.d. «armonizzati» (in particolare: l'Iva), in detta  sfera
rientranti, ha ulteriormente chiarito che: 
    per i tributi «non armonizzati»,  l'obbligo  dell'Amministrazione
di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidita'
dell'ano, sussiste esclusivamente in relazione alle  ipotesi  in  cui
tale obbligo sia previsto da specifica norma di  legge;  ai  suddetti
tributi,  estranei  alle  competenze  dell'Unione,  non  si  applica,
invero, il diritto europeo; 
    nel  campo  dei  tributi  «armonizzati»   (che,   inerendo   alle
competenze dell'Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del
relativo diritto) l'obbligo  del  contraddittorio  endoprocedimentale
assume, invece,  rilievo  generalizzato,  se,  in  mancanza  di  tale
irregolarita',  il  procedimento  «avrebbe   potuto   comportare   un
risultato diverso». 
    A tale decisione hanno fatto seguito ulteriori pronunce: 
    C.T. Reg. Firenze 18 gennaio 2016 n. 736/1/15, che  ha  sollevato
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  7°  comma
dello Statuto del  Contribuente  nella  parte  in  cui  riconosce  al
contribuente il diritto a ricevere  copia  del  verbale  con  cui  si
concludano le operazioni di' accertamento e di disporre di un termine
di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, alle sole ipotesi in  cui
la Amministrazione abbia «effettuato un accesso, un'ispezione  o  una
verifica  nei  locali  destinati  all'esercizio  dell'attivita'»  del
contribuente, secondo il «diritto vivente» risultante dalla  sentenza
24823/15 delle SS.UU.; 
    Cassazione civile, sez. tribunale 20 aprile 2016 n. 7914; in tale
giudizio era stata sollevata, con ordinanza n.  24739  del  2013,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37-bis decreto del
Presidente della  Repubblica  n.  600  cit.,  che  veniva  dichiarata
infondata dalla Corte costituzionale con sentenza n.  132  del  2015,
ritenendosi non  contraria  a  Costituzione  la  previsione  di'  una
sanzione di nullita' per la mera violazione del termine dilatorio  di
giorni sessanta, quest'ultimo stabilito a favore del contribuente per
consentire allo stesso  l'esercizio  del  contraddittorio  cosiddetto
«endoprocedimentale» o amministrativo o preventivo. 
    La S.C., nel dare atto della decisione  delle  Sezioni  Unite  n.
24823  del  2015  (dalla  quale  deriva   che   la   disciplina   del
contraddittorio  amministrativo  che  deve  precedere   la   notifica
dell'atto impositivo va distinta a seconda  del  tributo  oggetto  di
accertamento, cioe' tra tributi «armonizzati» e non), afferma che con
tale decisione «e' stata quindi dismessa la soluzione  trovata  dalle
precedenti Sezioni  Unite  della  Corte,  che  era  stata  quella  di
ritenere "immanente"» anche nel nostro ordinamento la obbligatorieta'
del contraddittorio amministrativo tutte le  volte  in  cui  un  atto
erariale fosse "destinato ad incidere in modo negativo sui diritti  e
gli interessi del contribuente" (Cass. sez. un. n. 19667  del  2014).
Soluzione  che  avrebbe  avuto  l'effetto  di  rendere  omogenea   la
disciplina italiana a quella europea, sotto il  fondamentale  aspetto
del riconoscimento del diritto del contribuente di  rappresentare  le
proprie ragioni prima dell'instaurazione del giudizio e quindi  anche
nella direzione di una maggiore realizzazione del principio di  "buon
andamento" della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., comma  2,
e che e' norma in tutto omologa alla previsione  contenuta  nell'art.
41, comma 2, lettera a), Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea» e che del resto appariva coerente  con  la  decisione  della
Corte costituzionale n. 132 cit.; 
        Commissione Tributaria Regionale di Reggio Emilia (sentenza 5
gennaio 2016 - 16 marzo 2016  n.  59),  che,  pur  dando  atto  degli
orientamenti  giurisprudenziali  della  Suprema  Corte,  afferma   il
principio che le garanzie poste dall'art. 12, comma 7  dello  Statuto
prescindono dal luogo in cui e' effettuata la verifica, in quanto  la
norma tutela la difesa e l'affidabilita' dell'accertamento e  non  il
luogo in cui la verifica viene messa in atto. L'art. 12 da'  concreta
attuazione agli articoli 97, 53 e  3  della  Costituzione.  imponendo
agli uffici di garantire al contribuente il  diritto  di  partecipare
all'accertamento   tributario   attraverso   un   vero   e    proprio
contraddittorio   pre-accertativo.   Diversamente    ragionando    si
realizzerebbe una disparita' di trattamento con fattispecie analoghe,
con violazione dei principi costituzionali di  imparzialita'  e  buon
andamento della Pa, di capacita' contributiva, della ragionevolezza e
del  diritto  di  difesa,  D'altra  parte,  proprio  nei  casi  delle
verifiche eseguite in ufficio emerge a maggior ragione l'esigenza del
confronto preventivo perche' «il  contribuente  potrebbe  trovarsi  a
ricevere  un  accertamento  esecutivo  per  tutta  risposta  di   una
produzione documentale  -  magari  effettuata  da  terzi  -  o  della
risposta a un questionario, senza aver potuto  mai  interloquire  con
l'ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei  confronti
dell'ipotesi accusatoria, che sara' conosciuta  per  la  prima  volta
solo  a  seguito  di  un  atto  gia'   esecutivo,   suscettibile   di
cristallizzarsi  se  non  impugnato  entro  uno  stretto  termine  di
decadenza»; 
        Commissione  tributaria  della  Regione  Piemonte   (sentenza
126/1/2016), che afferma come, non essendo stato concesso il  diritto
al  contraddittorio  per  l'imposta  sul  valore  aggiunto   (tributo
armonizzato), la violazione  va  riconosciuta  anche  per  gli  altri
tributi, data l'unicita' dei fatti. Tanto piu'  che  la  contribuente
aveva prodotto in  giudizio  documenti  che,  qualora  fossero  stati
esaminati prima  dell'emissione  dell'avviso,  avrebbero  potuto  «in
linea teorica, se accolti, determinare  quanto  meno  una  diversa  e
minore pretesa tributaria»; 
        di segno opposto, la sentenza del 22 febbraio 2016  n.  203/5
della Comm. trib. reg. per l'Abruzzo, secondo la quale, alla  stregua
della recente Cassazione S.U. 9 dicembre 2015 n.  24823,  va  escluso
l'obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli  accertamenti
«a tavolino» (nel caso in questione originati da controlli bancari). 
    La  questione,  come  si  vede,  ha   registrato   contrasti   in
giurisprudenza. 
    In effetti, nell'ordinamento interno, la previsione  della  legge
n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non e' fonte di  un  generalizzato
obbligo    di    contraddittorio    endoprocedimentale    a    carico
dell'Amministrazione fiscale; quindi, l'Amministrazione non ha  alcun
obbligo, allorquando si accinga ad adottare un  provvedimento  lesivo
dei  diritti  del  contribuente,  di   attivare   con   l'interessato
contraddittorio preventivo, pena l'invalidita' dell'atto, ne in  base
alle specifiche norme in materia di accertamenti,  ne  in  base  allo
Statuto del contribuente, legge n. 212 del 2000, che ha si'  previsto
garanzie procedimentali, ma solo ed esclusivamente in relazione  agli
accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni  e  verifiche  fiscali
effettuate nei locali ove si esercita l'attivita'  imprenditoriale  o
professionale del contribuente. 
    D'altra  parte,  la  ricostruzione  delle  SS.UU.  di  cui   alla
decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823  appare  ineccepibile,  avuto
riguardo alla sfera di operativita' del diritto eurounitario. 
    Sicche' gli opposti orientamenti giurisprudenziali di  cui  si  e
dato atto, pur  esprimendo  l'evidente  disagio  dell'interprete  nel
dover seguire il cd. doppio binario,  si  scontrano  contro  un  dato
testuale che appare insuperabile. 
    Le disposizioni  di  diritto  europeo  rilevanti  ed  i  relativi
precedenti giurisprudenziali. 
    7. L'art. 41 della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea, nel garantire  il  diritto  ad  una  buona  amministrazione,
prevede  che,  nell'ambito  di  tale  diritto,  va,  tra  gli  altri,
ricompreso «il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima  che
nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le
rechi pregiudizio (cfr.  Corte  giust.  22  ottobre  2013,  in  causa
C-276/12, Jiri' Sabou; 3 luglio 2014,  in  causa  C-129  e  C^130/13,
Ramino International Logistics)». 
    Le SS.UU - dopo aver ricordato che dalle sentenze 3  luglio  2014
(causa C-129 e C/130/13, Ramino International Logistics), 22  ottobre
2013 (causa C-276/12, Jiri Sabou), 18 dicembre 2008 (causa  C-349/07,
Soprope'),  12  dicembre  2002  (causa  C-395/00,  Soc.   Distillerie
Cipriani),  21  settembre  2000  (causa  C-462/98  P,  Mediocurso  c.
Commissione), 4 ottobre 1996 (causa C-32/95 c. Lisrestat)  emerge  il
principio generale secondo il quale il rispetto  del  contraddittorio
nell'ambito  del  procedimento  amministrativo,  non  escluso  quello
tributario,  costituisce  principio   fondamentale   dell'ordinamento
europeo, che trova applicazione  ogniqualvolta  l'Amministrazione  si
proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo, per
cui il destinatario del provvedimento teso ad incidere  negativamente
sui suoi interessi deve essere messo preventivamente in condizione di
manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine  agli  elementi
sui quali l'amministrazione intende fondare la  propria  decisione  -
hanno tuttavia  precisato  come  tale  principio  non  possa  trovare
applicazione al di' fuori dei casi dei tributi armonizzati. 
    Deve tuttavia esaminarsi  la  compatibilita'  delle  disposizioni
interne  con  alcune  norme  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'art.  1  del  Protocollo  Addizionale  n.  l  alla  Convenzione
dispone: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto  dei
suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua  proprieta'  se  non
per causa di utilita' pubblica  e  nelle  condizioni  previste  dalla
legge  e  dai  principi  generali  di  diritto   internazionale.   Le
precedenti disposizioni non  portano  pregiudizio  al  diritto  degli
Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute  necessarie  per
disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o
per assicurare pagamento delle imposte o di altri  contributi  oppure
di ammende». 
    Afferma la Cassazione civile, sez. tribunale, 30 giugno 2011, con
sentenza n. 14362: 
        «Come espresso in diverse  occasioni,  la  Corte  ripete  che
l'art. 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte:  "la  prima
norma, esposta nella prima frase del primo paragrafo,  e'  di  natura
generale ed enuncia il principio del diritto al rispetto dei beni; la
seconda norma, contenuta nella seconda  frase  del  primo  paragrafo,
riguarda la privazione dei beni a certe condizioni; la  terza  norma,
nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati  contraenti  hanno  il
diritto, tra l'altro, di controllare l'uso dei beni in modo  conforme
all'interesse generale... Tali norme non sono  "distinte"  nel  senso
che non hanno un legame tra  loro:  la  seconda  e  la  terza  norma,
relative a particolari casi di ingerenza nel diritto al rispetto  dei
beni, devono essere interpretate alla luce  del  principio  contenuto
nella prima norma» (cfr. James e altri a  Regno  Unito,  21  febbraio
1986, Serie A n. 98, che in parte ripete i termini della  tesi  della
Corte in Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, Serie A n.
52, p 24; cfr. anche The Holy Monasteries c. Grecia, sentenza  del  9
dicembre 1994, Serie A n. 301-A; Iatridis c. Grecia GC, n.  31107/96,
CEDU 1999-11; e  Beyeler  c.  Italia  GC,  n.  33202/96,  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali 2000-1). 
    In particolare - come affermato nel provvedimento  del  29  marzo
2006 Grande Camera, caso: Scordino contro Italia, Ricorso n. 36813/97
- : «L'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni  deve  contemperare
un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale  della
comunita' e il requisito della salvaguardia dei diritti  fondamentali
dell'individuo (cfr, tra altre autorita' Sporrong  e  Lonnroth,  cit.
supra). La preoccupazione di conseguire tale equilibrio  si  riflette
nella struttura dell'articolo l, visto nella  sua  interezza,  e  che
comprende quindi la seconda frase che deve essere letta alla luce del
principio generale enunciato nella prima frase. In particolare,  deve
sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalita'  tra  i  mezzi
impiegati ed il fine che si cerca di realizzare  con  qualsiasivoglia
misura applicata dallo Stato, comprese  le  misure  che  privano  una
persona dei suoi beni (cfr. Pressos Campania Naviera S.A. e altri  c.
Belgio, sentenza 20 novembre 1995, Serie A n. 332; L'ex re di  Grecia
e altri c. Grecia GC,  n.  25701/94;  e  Sporrong  e  Lonnroth,  city
supra).». 
    Ebbene,   la   mancata   previsione   di    un    contraddittorio
procedimentale   anteriormente   all'adozione   di   un   avviso   di
accertamento che, vuoi per l'entita' delle sanzioni e degli interessi
che  si  aggiungono  al  maggior  reddito  accertato,  vuoi  per   la
circostanza  dell'esecutivita'  connessa  al  titolo  (che   consente
l'avvio della procedura esecutiva e quindi la  spoliazione  dei  beni
del contribuente) appare violare il  citato  necessario  rapporto  di
proporzionalita'. 
    Infatti, avvisare il contribuente dell'imminente emissione di  un
atto di tal genere, indicando le motivazioni ed assegnando un termine
ragionevole (ad es. i 60 giorni previsti all'art. 12  comma  7  dello
Statuto del  contribuente),  non  comporterebbe  alcun  significativo
aggravio per l'attivita' degli uffici. A fronte del quale,  l'entita'
della pretesa fiscale aggravata dalle  sanzioni  e'  suscettibile  di
compromettere il diritto al rispetto dei  beni  alterando  il  giusto
equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi  di
salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. 
    Non si puo' non citare, in proposito, la sentenza 16 luglio 2015,
C- 255/14, con la quale la CGUE si e' pronunciata  sul  principio  di
proporzionalita'  delle  sanzioni  che  gli  Stati   membri   debbono
necessariamente rispettare, in base ai principi generali del  diritto
dell'UE, anche nei casi in  cui  manchi  una  armonizzazione  europea
delle sanzioni applicabili. 
    La Corte, esaminando la compatibilita'  con  il  diritto  dell'UE
delle sanzioni ungheresi a  tutela  degli  obblighi  dichiarativi  in
materia valutaria (pari al 60% delle somme in contanti non dichiarate
in  dogana),  ha  ribadito  che  «21.   [...]   secondo   consolidata
giurisprudenza della  Corte,  in  mancanza  di  armonizzazione  della
normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili in  caso
di inosservanza delle condizioni previste da un regime  istituito  da
tale normativa gli Stati membri possono  scegliere  le  sanzioni  che
sembrano loro appropriate. Essi tuttavia sono  tenuti  ad  esercitare
questa competenza nel rispetto del diritto  dell'Unione  e  dei  suoi
principi generali e, di conseguenza, nel rispetto  del  principio  di
proporzionalita'  (v.  sentenze   Ntionik   e   Pikoulas,   C-430/05,
EU:C:2007:410, punto 53, e Urban, C-210/10, EU:(:2012:64, punto  23).
22 In particolare, le misure amministrative o  repressive  consentite
da una normativa nazionale non devono eccedere i limiti di  cio'  che
e' necessario al conseguimento degli scopi legittimamente  perseguiti
da  tale  normativa  (v.  sentenze  Ntionik  e  Pikoulas,   C-430/05,
EU:C:2007:410, punto 54, nonche' Urban, C-210/10, EU:C:2012:64, punti
24 e 53). 23 In tale contesto, la Corte ha precisato che la severita'
delle sanzioni deve essere adeguata alla  gravita'  delle  violazioni
che esse reprimono e comportare, in particolare, un effetto realmente
deterrente,   fermo   restando   il    principio    generale    della
proporzionalita'   (v.   sentenze    Asociatia    Accept,    C-81/12,
EU:C:2013:275,  punto  63,  e  LCL  Le  Credit   Lyonnais,   C-565/12
EU:C:2014:190, punto 45)». 
    Deve quindi concludersi che il canone  di  proporzionalita',  che
assurge a principio  generale  nell'ordinamento  comunitario,  appare
violato dalle previsioni normative in materia di  accertamenti  sopra
richiamate,  perche'  l'assenza  del  contraddittorio   anteriormente
all'emissione di un atto destinato in breve tempo a  divenire  titolo
esecutivo  dando  luogo  all'esproprio  dei  beni  del   contribuente
concretizza un intervento sproporzionato rispetto ai fini perseguiti. 
    Sicche' lo  Stato,  attraverso  tale  previsione,  pregiudica  in
maniera sostanziale la situazione finanziaria  dei  contribuenti  (si
veda Imbert de Tremiolles c. Francia e Buffalo Srl en liquidation  c.
Italia),  e  in  maniera  irragionevole,  tale  da   determinare   la
violazione dell'art. 1 del Prot. 1. 
    8. Appare parimenti violata  anche  un'altra  disposizione  della
Convenzione. 
    L'art. 6, primo paragrafo, nell'introdurre il principio dell'equo
processo, stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua  causa
sia  esaminata  equamente,  pubblicamente   ed   entro   un   termine
ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per
legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi  sulle  controversie  sui
suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di  ogni
accusa penale formulata nei suoi confronti» 
    Sebbene  tale   disposizione   non   contenga   alcun   esplicito
riferimento ai giudizi tributari, tradizionalmente esclusi in  quanto
non rientranti nel novero dei giudizi civili  o  penali  (cfr.  Corte
europea dei  diritti  dell'uomo,  grande  sezione,  12  luglio  2001,
ricorso n. 44759/98, Ferrazzini v.  Italy),  l'esigenza  di  garanzia
processuale che tale norma mira a realizzare deve estendersi anche al
giudizio tributario nel  quale  si  faccia  valere  una  pretesa  nei
confronti  dell'Amministrazione  finanziaria   dinanzi   al   giudice
speciale tributario, come  dimostrano  alcune  aperture  della  Corte
(Corte EDU, 26 marzo 1992, ricorso nn. 1760/85,  Editions.  Periscope
v. France; e  23  ottobre  1997,  ricorsi  n.  21319/93,  21449/93  e
21675/93, National & & Provincial Building Society,  Leeds  Permanent
Building  Society  and  Yorkshire  Building  Society  v.  the  United
Kingdom; decisione sull'ammissibilita' SA Cabinet Diot et Gras Savoye
c. France). 
    Soprattutto, la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ritiene
sussumibili sotto  l'art.  6,  primo  paragrafo  (controversie  sulla
«fondatezza di ogni accusa penale») le controversie  che  abbiano  ad
oggetto l'irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, pur di natura
amministrativa, sono caratterizzate da una  finalita',  deterrente  e
punitiva ad un tempo,  che  consente  di  attribuire  loro,  ai  fini
dell'applicazione  dei   principi   del   giusto   processo,   natura
genericamente penale (Corte EDU, sez. I, 23 luglio 2002,  ricorso  n.
34619/97, Janosevic  v.  Sweden,  e  sez.  I,  ricorso  n.  36985/97,
Västberga Taxi Aktiebolag and Vulic c. Sweden). 
    In particolare, con la decisione  della  Grande  sezione  del  23
novembre 2006, ricorso n. 73053/01, Jussila  v.  Finland,  la  Corte,
dato atto dell'impossibilita' di tenere distinte  all'interno  di  un
procedimento le parti che riguardano la contestazione  delle  imposte
da quelle che concernono la contestazione delle sanzioni, implica che
le regole del giusto processo devono potersi invocare in  tutti  quei
giudizi tributari nei quali sia presente  un  aspetto  sanzionatorio,
anche se l'impugnazione  necessariamente  coinvolga  anche  l'aspetto
attinente alla determinazione dell'imposta. 
    Piu' di recente, nel  caso  Cecchetti  c.  San  Marino  (ric.  n.
40174/08, 9 aprile 2013) la Corte ha ritenuto  applicabile  l'art.  6
nel suo aspetto penale in relazione ad una condanna al  pagamento  di
una porzione di tassa non pagata e della relativa sanzione  (peraltro
estremamente modesta). 
    Conseguentemente, nei giudizi (quale quello in esame)  nei  quali
la contestazione investe sia la pretesa fiscale  sostanziale  che  le
sanzioni la presenza di quest'ultimo profilo di impugnazione consente
di invocare le garanzie previste dall'art. 6, primo  paragrafo  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    Ora, non puo' non condividersi, in tema di rapporto tra attivita'
istruttoria degli uffici e  successivo  processo  tributario,  quanto
rimarcato dalla C.T. Reg. Firenze, con l'ordinanza 18  gennaio  2016,
n. 736/1/15 sopra citata, e cioe' che: 
        «Di  fatto,   l'istruttoria   fiscale   e'   affidata   quasi
esclusivamente  alla  Amministrazione  che  -  ad   esempio-raccoglie
dichiarazioni di  persone  informate  dei  fatti.  Dichiarazioni  che
possono compromettere l'esito del processo... 
    Di  conseguenza,  gli  "indizi"  raccolti  dalla  Amministrazione
svolgono un ruolo decisivo e  producono  effetti  identici  a  quelli
propri di una istruttoria giudiziaria... 
    Il contraddittorio amministrativo  appare  dunque  strumentale  a
garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., ed  altresi'
che le parti processuali  si  collochino  su  un  piano,  se  non  di
compiuta parita', almeno "in condizioni di parita'" di guisa  che  il
processo  risulti  «giusto»,  come   prescrive   l'art.   111   della
Costituzione; che si  ispira  all'art.  6  della  Carta  europea  dei
diritti dell'uomo recepita dall'art. 9  della  Costituzione  europea;
secondo  cui  "l'Unione  aderisce   alla   Convenzione   europea   di
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali"  (e
quindi il citato art. 6 e' posto sotto lo "scudo" degli  artt.  11  e
117, primo comma Cost.). E appare ovvio che non  e'  ne'  giusto  ne'
equo un processo in cui le parti non siano poste  «in  condizione  di
parita'»... 
    ...per il processo tributario (ove) e' addirittura escluso che il
giudice possa procedere ad una attivita' di acquisizione  diretta  (o
quanto meno con la partecipazione delle parti) delle dichiarazioni di
persone informate; e quindi il giudice conosce delle dichiarazioni di
costoro  solo  attraverso  i  verbali  degli  accertatori  tributari.
Afferma infatti la  giurisprudenza  che  «la  disposizione  contenuta
nell'art. 7, comma 4, decreto legislativo 31 dicembre  1992  n.  546,
secondo cui nel processo tributario non sono ammessi il giuramento  e
la prova testimoniale, limita i poteri del giudice tributario ma  non
pure i poteri degli organi di verifica,  e  pertanto  la  limitazione
vale solo per la diretta assunzione, da  parte  del  giudice  stesso,
della narrazione dei fatti della controversia compiuta da  un  terzo,
cioe'  per  quella  narrazione  che,   in   quanto   richiedente   la
formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un  giuramento
da parte del terzo assunto quale teste acquista un particolare valore
probatorio,  mentre  le  dichiarazioni   dei   terzi,   raccolte   da
verificatori o  finanzieri  e  inserite,  anche  per  riassunto,  nel
processo verbale di constatazione, hanno natura di mere  informazioni
acquisite nell'ambito  di  indagini  amministrative  e  sono  percio'
pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento» (Cass. civ.,
sez. trib., 16 luglio 2014, n.  16223;  Cass.  civ.,  sez.  trib.,  7
febbraio 2013, n. 2916. Cass. civ., sez. trib., 30 settembre 2011, n.
20032). 
    La sancita impossibilita' che le persone  "informate  dei  fatti"
siano udite nell'ambito della procedura contenziosa con  le  garanzie
del  contraddittorio,  rende  necessaria  una  garanzia  nella   fase
amministrativa  in  cui  le  dichiarazioni  di  queste  persone  sono
raccolte e documentate...». 
    Al riguardo, si deve ricordare che la giurisprudenza  europea  ha
spesso affermato  il  principio  che  i  diritti  della  difesa  sono
limitati in modo incompatibile con le garanzie dell'art. 6 quando una
decisione  si  basa,  unicamente  o  in   misura   determinante,   su
deposizioni rese  da  una  persona  «che  l'imputato  non  ha  potuto
interrogare o fare interrogare ne' nella fase istruttoria ne' durante
il dibattimento (sent. 14 dicembre 1999, A.M. c. Italia; sentenza  13
ottobre 2005, Bracci c. Italia; sentenza 9 febbraio 2006, Cipriani c.
Italia; sentenza 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia)». 
    Infatti, le prove devono essere assunte nel  contraddittorio  tra
le parti; l'art. 6 §§ 1 e  3  d)  richiede  che  il  presunto  autore
dell'illecito  abbia  un'adeguata   e   sufficiente   occasione   per
contestare una testimonianza a carico e di interrogarne l'autore  (El
Haski c. Belgique, n. 649/08, 25 settembre 2012). 
    E nel caso in questione, come detto, alcuni atti dell'istruttoria
difficilmente sarebbero ripetibili nel processo tributario. 
    D'altra parte, con la sentenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'Uomo del 21 febbraio 2008 nel caso «Ravon e  altri  c.  Francia»
(ric.  n.  18497/03)  in  terna  di  perquisizioni  domiciliari   per
verifiche fiscali. si precisa  che  la  possibilita'  di  tutela  cd.
differita  -  pur  consentita  dall'ordinamento   francese   mediante
l'impugnazione degli atti successivi, del tutto similmente  a  quanto
avviene nell'ordinamento italiano - e'  insufficiente  ad  assicurare
una tutela effettiva. 
    9.  Sotto   ultimo   profilo,   deve   rimarcarsi   come   appaia
incompatibile con entrambe le disposizioni  della  Convenzione  sopra
esaminate  la  circostanza  che  il  procedimento  in  questione   si
concluda, in assenza di contraddittorio, mediante l'emissione  di  un
atto destinato a diventare titolo esecutivo  (anche  con  riferimento
alle sanzioni) dopo ristretto lasso di tempo dalla notifica. 
    Occorre ricordare che con le  sentenze  Janosevic  c.  Suede  (n.
34619/97)  e  Västberga  Taxi  Aktiebolag  et  Vulic  c.  Suede   (n.
36985/97),  la  Corte  ha  ritenuto  che  ne'  l'art.  6  ne'   altre
disposizioni della Convenzione escludono di per se' che delle  misure
di esecuzione siano adottate prima che  le  decisioni  relative  alle
maggiorazioni  di  imposta  siano  divenute  definitive.  La   Corte,
tuttavia, ha sottolineato che, poiche'  una  tale  rapida  esecuzione
puo' comportare conseguenze gravi per l'interessato, gli  Stati  sono
tenuti a non ricorrere a tali esecuzione  se  non  nei  limiti  della
ragionevolezza, cercando di garantire un corretto  bilanciamento  tra
gli interessi in gioco. Cio' risulta ancora piu' importante nei  casi
in cui le misure di esecuzione sono  state  adottate  sulla  base  di
decisioni dell'amministrazione finanziaria, ossia ancora prima che un
tribunale abbia deciso  sulla  legittimita'  delle  maggiorazioni  in
questione. In proposito, l'interesse finanziario dello Stato, che  in
principio gode di  un  peso  importante  nel  bilanciamento  tra  gli
interessi in  gioco  tenuto  conto  della  necessita'  di  assicurare
l'effettivita' del sistema di imposizione,  non  possiede  la  stessa
portata nel campo delle maggiorazioni di imposta. Infatti, nonostante
tali sanzioni possano costituire somme notevoli, non  sono  concepite
come fonte di finanziamento del sistema ma mirano  a  fare  pressione
sui contribuenti affinche'  rispettino  i  loro  obblighi  di  natura
fiscale e a punire gli illeciti. Di  conseguenza,  se  da  una  parte
l'interesse finanziario puo'  giustificare  l'applicazione  da  parte
dello  Stato  di  regole  standardizzate  e  di  presunzioni   legali
(relative) al fine di accertare l'ammontare delle imposte da pagare e
delle relative maggiorazioni, dall'altra questo stesso interesse puo'
non  legittimare,  di   per   se',   l'esecuzione   immediata   delle
maggiorazioni di imposta. 
    Ebbene, applicando tali principi alla problematica in  esame,  ne
consegue che viola il prescritto  canone  di  ragionevolezza  che  un
procedimento, svolto in assenza di contraddittorio, si  concluda  con
un  titolo  esecutivo  che,  a  sua  volta,   consente   di   avviare
l'espropriazione dei beni del contribuente. 
    Altre disposizioni violate. 
    10. Per completezza, si deve ricordare che, secondo la C.T.P.  di
Reggio Emilia (ord.  280/3/2014  del  23  settembre  2014),  anche  a
prescindere  dalla  certa  applicabilita'  dell'art.  6   Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali nelle  ipotesi  (quale  quella  in  esame)  in  cui  nel
processo tributario entrino in gioco anche sanzioni, non  importa  se
qualificate quali penali o  amministrative  dall'ordinamento  interno
(Corte E.D.U. 23 novembre 2006, Jussila v . Finlandia), in ogni  caso
la fonte CEDU impatta egualmente  sui  processi  tributari  italiani,
attraverso  il  principio  di  eguaglianza  e  la  portata   generale
dell'art. 111 della Costituzione. 
    Riguardo   quest'ultima   disposizione,   deve   ribadirsi   come
l'acquisizione di elementi di prova nel corso dell'istruttoria presso
gli  uffici   dell'amministrazione   finanziaria,   in   carenza   di
contraddittorio, e' suscettibile di pregiudicare  un'efficace  difesa
da parte del contribuente  nella  successiva  fase  processuale,  con
conseguente compromissione del principio della parita' delle armi,  e
quindi del «giusto processo» di cui all'art. 111 della  Costituzione,
la cui applicazione al processo tributario e' indubbia. 
    Sotto altro profilo, occorre rilevare che l'assenza di  un  pieno
contraddittorio nella fase amministrativa  comporta,  nella  migliore
delle ipotesi, uno spostamento del contraddittorio stesso nella  fase
processuale, tanto da poter determinare un irragionevole  ampliamento
dei tempi di durata del processo, finendo  col  vulnerare  il  canone
fondamentale tutelato dall'art. 6 della Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
dall'art. 111 Cost. 
    Le questioni sollevate. 
    11. Essendo il contrasto tra le norme nazionali (nella  parte  in
cui non prevedono l'instaurazione di  alcun  contraddittorio  con  il
contribuente   anteriormente   all'emissione   di   un   avviso    di
accertamento)   e   quelle   convenzionali   insuperabile   in   sede
interpretativa, in ragione sia della lettera delle  disposizioni  che
dell'interpretazione  delle  Sezioni  Unite   sopra   riferita,   che
costituisce diritto  vivente,  si  evidenzia  l'insanabile  conflitto
delle norme di  cui  agli  articoli  32,  39  ,  41-bis  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 600/1973 e 12 Statuto del contribuente
con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte  in  cui
prevede che la potesta' legislativa sia esercitata  dallo  Stato  nel
rispetto degli obblighi internazionali, quale l'obbligo  assunto  con
l'adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali,  ratificata  e  posta  in
esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Infatti, l'assenza di contraddittorio nella  fase  immediatamente
precedente all'adozione dell'avviso di accertamento viola sia  l'art.
1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, per
le ragioni sopra evidenziate  (irragionevole  compressione  dei  beni
privati al di fuori del canone di  proporzionalita'),  sia  l'art.  6
della  Carta,  attesa   la   compromissione   della   posizione   del
contribuente non solo nell'ambito del  procedimento  ma  anche  nella
successiva  fase  processuale  e/o  determinandosi  (posticipando  il
contraddittorio nella fase processuale) un irragionevole  ampliamento
dei tempi di durata del processo. 
    Di fronte a tale dubbio il  giudice  e'  tenuto  a  risolvere  il
contrasto   sollevando    apposita    questione    di    legittimita'
costituzionale della disposizione  di  legge,  in  ragione  del  noto
principio piu' volte affermato dalla  Corte  costituzionale,  secondo
cui le norme della Convenzione, cosi' come interpretate  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo,  assumono  rilevanza  nell'ordinamento
interno  quali  norme   interposte,   assumendo   esse   un'efficacia
intermedia tra  legge  e  Costituzione,  idonea  a  dare  corpo  agli
«obblighi internazionali» costituenti parametro normativo cui  l'art.
117, primo comma, Cost. ricollega l'obbligo di conformazione (v.  Ad.
Plen. n. 2 del 2015). 
    12. Altresi' e'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale delle medesime  disposizioni
per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 111, 117  della  Costituzione,
per come sopra ampiamente argomentato. 
    Infatti, come gia' affermato nell'ordinanza di  rimessione  della
CTR di Firenze del 18 gennaio 2016 n.  736/1/15,  il  contraddittorio
amministrativo appare strumentale a garantire il diritto di difesa di
cui all'art. 24 Cost.,  ed  altresi'  che  le  parti  processuali  si
collochino, su un  piano  se  non  di  compiuta  parita'  almeno  «in
condizioni di parita'» di guisa che  il  processo  risulti  «giusto»,
come  prescrive  l'art.   111   della   Costituzione;   disposizione,
quest'ultima,   che   osta   altresi'   a   qualunque   ipotesi    di
ingiustificabile dilatazione dei tempi  del  processo,  che  consegue
inevitabilmente  allo  spostamento  in   sede   giurisdizionale   del
contraddittorio tra  contribuente  ed  amministrazione  che  dovrebbe
invece svolgersi nella appropriata sede amministrativa. 
    A sua volta, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio  2000,  n.
212, nella parte in cui  riconosce  al  contribuente  il  diritto  al
contraddittorio nelle sole ipotesi in cui  la  Amministrazione  abbia
«effettuato un  accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali
destinati  all'esercizio  dell'attivita'»  del  contribuente,  appare
parimenti sospetto di incostituzionalita'. 
    Come condivisibilmente affermato dalla CTR di Firenze, nella piu'
volte citata ordinanza di rimessione, «il  particolare  regime  delle
operazioni di accertamento a seguito di accesso, ispezione o verifica
nei locali destinati all'esercizio  dell'attivita'  del  contribuente
appare infine irragionevolmente discriminatorio in relazione  a  quei
contribuenti che non hanno subito  accesso  o  verifica  nei  locali.
Alcuni hanno diritto al contraddittorio  altri  no  in  relazione  al
fatto - in se' non pertinente - di aver subito una ispezione. Ne'  e'
del  tutto  persuasiva  la  contro  obiezione:  «ma  se  c'e'   stata
l'ispezione vi e', o puo' essere, l'acquisizione di dati e  documenti
non forniti dal contribuente stesso; mentre  se  i  dati  sono  stati
forniti dal contribuente in fondo c'e' una sorta  di  contraddittorio
preventivo». L'osservazione non copre infatti la gamma  intera  delle
possibili circostanze di fatto. Se viene redatto  un  accertamento  a
carico di un soggetto in base a documenti di pertinenza di  un  altro
imprenditore, reperiti in un accesso nella azienda  di  quest'ultimo,
il primo contribuente nulla sa (rectius potrebbe sapere)  e  si  vede
piovere addosso magari all'improvviso un  accertamento  esecutivo.  E
qualcosa di simile accade ove un  accertamento  venga  emanato  sulla
base di documenti forniti da terzi (cosi' come accaduto per la "lista
Falciani");  o  di  dati  bancari  ricavati  da   un   conto   neppur
direttamente riconducibile al contribuente, ma di pertinenza di altro
soggetto (come il coniuge) che si ipotizzi a lui collegato». 
    E come giustamente rimarcato dalla CTR di Reggio Emilia,  con  la
decisione sopra citata del 16 marzo  2016,  proprio  nei  casi  delle
verifiche eseguite in ufficio emerge a maggior ragione l'esigenza del
confronto preventivo perche' «il  contribuente  potrebbe  trovarsi  a
ricevere  un  accertamento  esecutivo  per  tutta  risposta  di   una
produzione documentale  -  magari  effettuata  da  terzi  -  o  della
risposta a un questionario, senza aver potuto  mai  interloquire  con
l'ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei  confronti
dell'ipotesi accusatoria, che sara' conosciuta  per  la  prima  volta
solo  a  seguito  di  un  atto  gia'   esecutivo,   suscettibile   di
cristallizzarsi  se  non  impugnato  entro  uno  stretto  termine  di
decadenza». 
    Per  cui  la  diversita'  di  disciplina   appare   sospetta   di
incostituzionalita'  alla  luce  degli  articoli   3   e   53   della
Costituzione (in quanto la capacita' contributiva viene accertata con
strumenti differenti scelti in base a criteri non razionali). 
    13. Per  tutte  le  ragioni  sopra  esposte,  questa  Commissione
tributaria  provinciale  di  Siracusa,  sez.  V,  alla   luce   delle
considerazioni che precedono, considera necessaria la pronunzia della
Corte costituzionale, in riferimento alle questioni  prospettate,  al
fine di decidere la presente controversia.