TRIBUNALE DI NAPOLI lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria Nella causa iscritta al n. 15682/2015 R.G., promossa ex articoli 442 e seguenti del codice di procedura civile da De Martino Attilio, Ciunfrini Luigi, Cuomo Ciro, Giusti Giacinto, Lanaro Antonio, Licenziato Armando, Mele Luciano, Pennino Luigi, Piccolo Renato, Rollino Paolo, Schiano Porfirio, Scotto di Luzio Giuseppe, Supino Emilio Pompeo, Torre Giancarlo, Vingelli Gaetano, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Fabrizio de Falco; ricorrenti contro INPS - Istituto nazionale di previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. Alessandra Maria Ingala ed elettivamente domiciliato presso l'Avvocatura distrettuale dell'istituto in Napoli; resistente sciogliendo la riserva assunta all'udienza odierna; Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale; Premesso in fatto che Con ricorso depositato il 13 luglio 2015, i ricorrenti hanno sollecitato la rimessione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65 del 2015 per contrasto con gli articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2, nonche' con il combinato disposto degli articoli 3, 36 e 38, della Costituzione, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimita' del reiterato blocco della perequazione automatica della loro pensione ovvero sulla ridotta perequazione della stessa per alcuni che assumevano essere stato operato al di la' di ogni canone di ragionevolezza e proporzionalita' e per poter ottenere cosi' la condanna dell'INPS a provvedere alla perequazione del loro trattamento pensionistico ex legge n. 388 del 23 dicembre 2000, art. 69, per gli anni 2012 e 2013 oltre interessi e rivalutazione monetaria sugli arretrati sino all'effettivo soddisfo; Che i ricorrenti hanno dedotto di essere tutti pensionati INPS con decorrenza anteriore al 31 dicembre 2012; Che dal 1° gennaio 2012, a motivo della disposizione di legge di cui in questa sede denunciavano la incostituzionalita', il loro trattamento pensionistico non era stato rivalutato; Ritualmente instauratosi il contraddittorio, l'istituto convenuto ha domandato, in via preliminare, la declaratoria inammissibilita' del ricorso affermando di essersi limitato ad applicare la normativa vigente che i ricorrenti reputavano essere incostituzionale, ma in relazione alla quale non potevano chiedere la rimessione alla Corte costituzionale in quanto la stessa poteva pronunciarsi solo in via incidentale, e, nel merito, il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti stante l'inequivoco dettato legislativo; Osserva Che e' del tutto infondata l'eccezione preliminare sollevata dall'INPS circa l'inammissibilita' del ricorso sul presupposto che il pensionato non avrebbe la possibilita' di sollecitare la rimessione alla Corte costituzionale delle norme, se correttamente applicate dall'Istituto: al contrario proprio dalla circostanza che l'INPS ha applicato correttamente la vigente disciplina che, ad avviso delle parti ricorrenti sarebbe viziata di incostituzionalita', discende la necessita'/opportunita' di sottoporre la questione al giudice delle leggi una volta che il giudice di merito ne riconosca la non manifesta infondatezza e la rilevanza per la decisione che e chiamato a dare; Che va subito affermato che la questione sollevata nel presente giudizio e certamente rilevante in quanto i ricorrenti invocano la perequazione della loro pensione con la conseguente riliquidazione ed il pagamento di una differenza sul trattamento pensionistico pregresso che non gli puo' essere concessa ne dall'INPS ne da questo Giudice proprio in applicazione della normativa di cui si contesta la costituzionalita'. Tant'e' vero che una delle due disposizioni di cui il ricorrente ha dubitato essere conformi a Costituzione e' stata oggetto di pronuncia di incostituzionalita' con la sentenza n. 70 del 2015 del 1° marzo 2015 (pubblicata in data 30 aprile 2015 in Gazzetta Ufficiale) in fattispecie del tutto analoga; Che la citata pronuncia, che, teoricamente, avrebbe consentito di ottenere la perequazione per il biennio 2012-2013, e' stata seguita dall'emanazione del decreto-legge 21 maggio 2015 (convertito in legge 17 luglio 2015, n. 109) con il quale il legislatore ha modificato la norma questa volta inserendo un blocco di perequazione solo in relazione alle pensioni superiori a sei volte il complessivo trattamento minimo INPS, impedendo la perequazione della pensione dei ricorrenti (titolari di un trattamento superiore a sei volte il trattamento minimo) o, comunque, per alcuni di essi, impedendo la perequazione totale e riproponendo (seppure elevando il limite dei trattamenti da incidere) una norma che si presta alle medesime censure di quella ante modifica ed in relazione alla quale i ricorrenti hanno chiesto comunque, sebbene in via subordinata, la rimessione alla Corte costituzionale; Che, ad avviso di questo giudice, inoltre, la questione appare non manifestamente infondata. Com'e' noto nella scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalita', atteso che il combinato disposto dagli articoli 36 e 38 della Costituzione, impone il raggiungimento del fine (l'adeguamento delle pensioni all'incremento del costo della vita), senza imporre una particolare modalita' attuativa del principio indicato. E' stato correttamente osservato, nelle ordinanze di remissione dei giudici sulla norma in questione prima della modifica introdotta, che sebbene non esista un principio costituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attivita' di servizio corrispondente, il legislatore e' tenuto ad individuare meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita. Tale principio ha portato piu' volte la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita' di disposizioni che non contenevano alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione del valore delle prestazioni erogate. In particolare proprio nella sentenza n.70\2015 la Corte costituzionale ha nuovamente ribadito che «8. - Dall'analisi dell'evoluzione normativa in subiecta materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 della Costituzione, principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la sua strumentalita' rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinai e in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. La ragionevolezza di tali finalita' consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, cosi' da evitare disparita' di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici, Nell'applicare al trattamento di quiescenza, configurabile quale retribuzione differita, criterio proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato (art. 36, primo comma, della Costituzione) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza (art. 38, secondo comma, della Costituzione), questa Corte ha tracciato un percorso coerente per il legislatore, con l'intento di inibire l'adozione di misure disomogenee e irragionevoli (fra le altre, sentenze n. 208 del 2014 e n. 316 del 2010). Il rispetto dei parametri citati si fa tanto piu' pressante per il legislatore, quanto piu' si allunga la speranza di vita e con essa l'aspettativa, diffusa fra quanti beneficiano di trattamenti pensionistici, a condurre un'esistenza libera e dignitosa, secondo il dettato dell'art. 36 della Costituzione. Non a caso, fin dalla sentenza n. 26 del 1980, questa Corte ha proposto una lettura sistematica degli articoli 36 e 38 della Costituzione, con la finalita' di offrire «una particolare protezione per il lavoratore». Essa ha affermato che proporzionalita' e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, «ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta», senza che cio' comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche graduale, dei termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n. 106 del 1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del 1979; n. 176 del 1975; ordinanza n. 383 del 2004). Nondimeno, dal canone dell'art. 36 della Costituzione «consegue l'esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo» (sentenza n. 501 del 1988; fra le altre, negli stessi termini, sentenza n. 30 del 2004). Il legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve «dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 316 del 2010). Per scongiurare il verificarsi di «un non sopportabile scostamento» fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il legislatore non puo' eludere il limite della ragionevolezza (sentenza n. 226 del 1993)» omissis. «Pertanto, il criterio di ragionevolezza, cosi' come delineato dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti negli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, circoscrive la discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali. 9. - Nel vagliare la dedotta illegittimita' dell'azzeramento del meccanismo perequativo per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art. 1, comma 19 della gia' citata legge n. 247 del 2007), questa Corte ha ricostruito la ratio della norma censurata, consistente nell'esigenza di reperire risorse necessarie "a compensare l'eliminazione dell'innalzamento repentino a sessanta anni a decorrere dal 1° gennaio 2008, dell'eta' minima gia' prevista per l'accesso alla pensione di anzianita' in base all'art. 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004, n. 243", con "lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianita', contestualmente adottati con l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge" (sentenza n. 316 del 2010). In quell'occasione questa Corte non ha ritenuto che fossero stati violati i parametri di cui agli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. Le pensioni incise per un solo anno dalla norma allora impugnata, di importo piuttosto elevato, presentavano "margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo". L'esigenza di una rivalutazione costante del correlativo valore monetario e' apparsa per esse meno pressante. Questa Corte ha ritenuto, inoltre, non violato il principio di eguaglianza, poiche' il blocco della perequazione automatica per l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d'importo di sicura rilevanza, realizzava «un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni piu' modeste». La previsione generale della perequazione automatica e' definita da questa Corte "a regime", proprio perche' "prevede una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione". La scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto, a conferma di un principio solidaristico, che affianca l'introduzione di piu' rigorosi criteri di accesso al trattamento di quiescenza. Non si viola il principio di eguaglianza, proprio perche' si muove dalla ricognizione di situazioni disomogenee. La norma, allora oggetto d'impugnazione, ha anche superato le censure di palese irragionevolezza, poiche' si e' ritenuto che non vi fosse riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento ma solo rallentamento della dinamica perequativa delle pensioni di valore piu' cospicuo. Le esigenze di bilancio, affiancate al dovere di solidarieta', hanno fornito una giustificazione ragionevole alla soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti di importo otto volte superiore al trattamento minimo INPS, «di sicura rilevanza», secondo questa Corte, e, quindi, meno esposte al rischio di inflazione. La richiamata pronuncia ha inteso segnalare che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, "esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita'", poiche' risulterebbe incrinata la principale finalita' di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni. Omissis. Deve rammentarsi che, per le modalita' con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e', per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato. 10. - La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalita' e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita', con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con "irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'" (sentenza n. 349 del 1985).». Ebbene la norma recentemente introdotta ha nuovamente escluso la perequazione per gli anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore sino a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi (ved. lettera c) del comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 come novellato dall'art. 1 decreto-legge n. 65 del 2015 convertito con legge n. 109 del 7 luglio 2015). In tal modo e' stato reiterato il blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici per un biennio innalzandone la soglia e quindi in concreto contravvenendo proprio alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e sopra analiticamente richiamate e cio' in quanto la somma corrispondente a sei volte il trattamento minimo INPS, cioe' euro 2972,58 non appare «trattamento di sicura rilevanza» come, invece, e' stato riconosciuto essere il trattamento di importo «otto volte superiore al trattamento minimo INPS» dalla Corte costituzionale quando peraltro l'esclusione dalla perequazione di tali trattamenti era stato previsto con riferimento ad un solo anno (2008). Attualmente quindi le pensioni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo complessivo INPS sono integralmente escluse dalla perequazione per il biennio 2012 e 2013 ed, inoltre, sui trattamenti nuovamente non perequati si innesta la disciplina della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 per il triennio successivo 2014-2016 che ha previsto il blocco di perequazione per l'anno 2014 sulla parte di pensione superiore a sei volte il trattamento minimo complessivo INPS e lasciando la perequazione del 40% sull'importo inferiore (ma non sul trattamento complessivo bensi' solo fino a sei volte l'importo del trattamento minimo, nulla essendo previsto per l'eccedenza) e cio' senza che il legislatore abbia ben specificato le esigenze finanziarie a fronte delle quali si impone tale sacrificio ai soggetti incisi ne' la destinazione dei risparmi cosi' ottenuti. Conclusivamente, ad avviso di questo giudice, in relazione alla novella introdotta dalla legge del 2015 si assumono violati: a) il principio di cui all'art. 38, comma 2, della Costituzione, perche' la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza; b) il principio di cui all'art. 36, comma 1, della Costituzione, poiche' la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalita' tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l'attivita' lavorativa; c) il principio derivante dal combinato disposto degli articoli 36, 38, 3 della Costituzione, perche' la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di' eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati a cui non viene garantito il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale. Ancora una volta «risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalita' del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo colma, della Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, della Costituzione). Quest'ultimo e da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 della Costituzione e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, della Costituzione» (cosi' sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale). Inoltre solo con riferimento alla modifica legislativa introdotta con la legge n. 109 del 17 luglio 2015 in relazione alla reiterazione del blocco della rivalutazione per le annualita' 2012 e 2013 per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore sino a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi (vedasi lettera c) del comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 come novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65 del 2015 convertito con legge n. 109 del 17 luglio 2015) si assume violato l'art. 136 della Costituzione: a) in quanto il decreto-legge n. 65/2015 e la successiva legge di conversione hanno violato il giudicato costituzionale in quanto hanno, di fatto, riproposto il blocco della rivalutazione per il 2012/2013 gia' dichiarato incostituzionale semplicemente alzando la soglia e, nel caso concreto, facendo venir meno per i ricorrenti il diritto appena riconosciutogli dalla Corte costituzionale stessa. Si ricorda, in proposito, che la Corte costituzionale sin dal 1963 e da ultimo nella sentenza n. 169 del 2015 richiamando il suo indirizzo precedente (sentenza n. 88 del 1966) ha evidenziato che l'art. 136 C. sarebbe violato «"non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia", ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, "anche se indirettamente, lo stesso risultato"). Principi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983)».