IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 708 del 2015, proposto da Carmela Adele Ester Rosaria Quattrone, Roberto Antillo, Michele Conforti, Francesco Triolo, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Luciani e Caterina Notaro, presso lo studio di quest'ultima elettivamente domiciliati, in Reggio Calabria, alla via Domenico Tripepi n. 9; Contro: la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore; il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore; l'Avvocatura dello Stato, in persona dell'Avvocato generale pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, con domicilio eletto in Reggio Calabria, alla via del Plebiscito n. 15; Nei confronti di Andrea Russo, per l'accertamento del diritto alla corresponsione dei compensi professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste dall'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, con conseguente condanna, anche in forma generica, delle amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Premettono i ricorrenti, Avvocati e Procuratori dello Stato in servizio presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, che ai medesimi e' affidata la rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato e di altri numerosi enti pubblici territoriali, nonche' una generale attivita' di consulenza volta all'analisi e alla soluzione di questioni tecnico-giuridiche concernenti l'attivita' di pubbliche amministrazioni. Evidenziano che, fino all'entrata in vigore dell'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, il loro trattamento economico era regolato dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, nonche' dalle leggi 2 aprile 1979, n. 97 e 3 aprile 1979, n. 103. Tale disciplina prevedeva, in particolare: una quota fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado del personale dell'Avvocatura ed equiparata, per il quantum, al trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario; una quota variabile, in funzione dell'esito delle controversie patrocinate, quando la pubblica amministrazione non risulti soccombente; l'esazione, a cura della stessa Avvocatura dello Stato, delle competenze di avvocato nei confronti delle controparti, liquidate con sentenza od ordinanza, oppure pattuite per rinuncia o transazione. Le somme cosi' raccolte (detratto il 12,50% per il personale amministrativo) venivano ripartite nella misura di sette decimi tra gli avvocati di ciascun ufficio, in base a norme regolamentari; e di tre decimi, in misura uguale fra tutti gli Avvocati dello Stato. Soggiungono inoltre che, nei casi di transazione dopo sentenza favorevole allo Stato, o di pronuncia con compensazione delle spese in controversie nelle quali l'Amministrazione comunque non sia stata soccombente, l'erario corrispondeva all'Avvocatura la meta' delle competenze che sarebbero state liquidate. Il descritto quadro e' stato parzialmente modificato per effetto dell'art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha disposto una riduzione nella misura del 75%, per il triennio 2014-2016, dei compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la pubblica amministrazione non soccombente. E', quindi, intervenuto l'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, il quale cosi' ha disposto: tutti i compensi professionali sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; nell'ipotesi di sentenza favorevole, con condanna della controparte alle spese, solo il 50% delle somme recuperate e' ripartito tra gli Avvocati dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato; mentre il 25% delle suddette somme e' destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato; ed il rimanente 25% e' versato al fondo per la riduzione della pressione fiscale di cui all' art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147; nei casi di integrale compensazione delle spese, ai dipendenti della pubblica amministrazione, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento gia' previsto; i regolamenti dell'Avvocatura dello Stato fissano i criteri per il riparto delle somme recuperate, in base al rendimento individuale e secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto della puntualita' negli adempimenti processuali. Il comma 2 dell'art. 9 del citato decreto-legge n. 90/2014 ha, poi, abrogato l'art. 1, comma 457, della legge n. 147 del 2013 e l'art. 21, comma 3, del regio decreto n. 1611 del 1933: norme, queste, che prevedevano la misura degli onorari da corrispondere agli Avvocati dello Stato sia nel caso di liquidazione delle spese legali a carico delle controparti, sia nel caso di compensazione delle spese, ferma pero' restando la non soccombenza dell'Amministrazione. Sostengono i ricorrenti di aver conseguito, sin dalla data del loro ingresso nel ruolo dell'Avvocatura dello Stato, il «diritto» alla corresponsione dei compensi per l'attivita' professionale esercitata ai sensi dell'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933. Ed evidenziano che, a seguito della entrata in vigore dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, i compensi professionali ai medesimi spettanti vengono a ragguagliarsi ad importi significativamente ridotti rispetto a quanto sarebbe stato loro riconosciuto in applicazione delle previgenti disposizioni, in vigore al momento della loro assunzione e anche al momento in cui hanno concretamente svolto prestazioni professionali. Di conseguenza - premesso di appartenere al personale della pubblica amministrazione che, ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' tuttora inquadrato in regime di diritto pubblico - con il presente ricorso essi chiedono l'accertamento del diritto alla corresponsione degli onorari professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste dall'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014; con conseguente condanna, anche in forma generica, delle amministrazioni intimate al pagamento delle somme dovute, anche ove nelle more illegittimamente trattenute. L'accoglimento delle predette domande di accertamento e condanna postula, peraltro, la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014. Sostengono, al riguardo, l'illegittimita' di tutte le previsioni dell'art. 9 che dispongono la decurtazione e la limitazione dei compensi spettanti agli Avvocati dello Stato, con particolare riferimento ai commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 9. In proposito, affermano l'illegittimita': del comma 1, nella parte in cui dispone che i compensi professionali corrisposti agli avvocati pubblici siano da computare nel tetto massimo degli emolumenti di cui all'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011; del comma 2, nella parte in cui abroga parzialmente l'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 e l'art. 1, comma 457, della legge n. 147 del 2013 (recanti il precedente e piu' favorevole regime dei compensi); dei commi 3 e 6, nella parte in cui dettano per gli Avvocati dello Stato un regime diverso da quello della generalita' degli avvocati dipendenti della pubblica amministrazione; del comma 4, nella parte in cui riduce, nei termini gia' ricordati, i compensi degli Avvocati dello Stato; del comma 5, nella parte in cui si conferisce alle competenti amministrazioni la potesta' regolamentare necessaria a determinare le modalita' della decurtazione dei compensi professionali degli avvocati, ivi compresi gli Avvocati dello Stato; del comma 8, nella parte in cui fissa il dies a quo dell'applicazione del nuovo regime dei compensi professionali e in cui reca (addirittura) una clausola di minor favore nel caso di mancata attuazione regolamentare dell'art. 9 medesimo; del comma 9, nella parte in cui pone la clausola di invarianza dei risparmi conseguiti dalla finanza pubblica. In proposito, i ricorrenti hanno prospettato svariate questioni di legittimita' costituzionale della disciplina come sopra individuata, assumendone il contrasto con i seguenti parametri: art. 3 (principio di ragionevolezza) ed art. 97 (buon andamento della pubblica amministrazione), in una con la violazione dell'art. 36; art. 3 (principi di eguaglianza e di ragionevolezza); articoli 3, 23 e 53 (prelievo tributario); articoli 3, 4, 23, 36, 42 e 117, comma 1, in riferimento all'art. 1 del Primo protocollo aggiuntivo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 77; articoli 2 e 117, in relazione agli articoli 6 e 13 CEDU, per il profilo del diritto all'affidamento e della certezza giuridica. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio argomentando diffusamente per l'infondatezza delle censure di incostituzionalita' sopra indicate ed insistendo, pertanto, per la reiezione del ricorso. Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza dell'8 giugno 2016. 1. La disamina delle dedotte doglianze - volte a sottolineare il contrasto con la normativa di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014 con i parametri costituzionali precedentemente indicati - impone una previa ricognizione del pregresso quadro normativo di riferimento, sinotticamente riguardato con le modificazioni apportate dalla disposizione ora citata. Viene, in primo luogo, in considerazione quanto previsto dall'art. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, che cosi' disponeva: «L'Avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione» (comma 1, cosi' sostituito dall'art. 27 della legge 3 aprile 1979, n. 103); «Con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, numero 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli Avvocati e Procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione» (comma 2, dapprima sostituito dall'art. 27 della legge 3 aprile 1979, n. 103 e poi cosi' modificato dal comma 1 dell'art. 43 della legge 18 giugno 2009, n. 69); «Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sara' corrisposta dall'erario all'Avvocatura dello Stato, con le modalita' stabilite dal regolamento, la meta' delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sara' corrisposta dall'Erario la meta' della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione» (comma 3, abrogato dal comma 2 dell'art. 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114). La disciplina come sopra indicata ha subito una modificazione temporalmente circoscritta per effetto dell'entrata in vigore della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il cui art. 1, al comma 457, ha disposto che «A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, i compensi professionali liquidati, esclusi, nella misura del 50 per cento, quelli a carico della controparte, a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato». Sia il comma 3 dell'art. 21 del regio decreto n. 1611/1933, che il comma 457 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, sono stati, quindi, abrogati per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014; il quale ha completamente ridisegnato la disciplina dei compensi spettanti agli Avvocati e Procuratori dello Stato, secondo quanto infra riportato: «1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli Avvocati e i Procuratori dello Stato, nella misura e con le modalita' stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme e' riversata nel bilancio dell'amministrazione. 4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate e' ripartito tra gli Avvocati e Procuratori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme e' destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento e' destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni. 5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualita' negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresi' i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parita' di trattamento e di specializzazione professionale. 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. 7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. 8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonche' il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1º gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli gia' previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica''. Dalla riforma dell'assetto retributivo degli Avvocati dello Stato, come sopra delineata dall'art. 9, muovono le censure di illegittimita' costituzionale dalla parte ricorrente articolate con il presente mezzo di tutela, che il Collegio intende partitamente affrontare ai punti che seguono». 2. In primo luogo, per quanto attiene la dedotta violazione del parametro di cui all'art. 77 della Costituzione, si rileva come la Sede di Trento del T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, con ordinanza 10 marzo 2016, n. 138, abbia riservato favorevole considerazione alle argomentazioni di parte ricorrente, sulla base dei rilievi di seguito riportati: «l'art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilita' per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilita', atti con forza di legge (nella forma del decreto-legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come "provvisori", devono risultare fondati sulla presenza di presupposti "straordinari" di necessita' ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall'inizio, salva la possibilita' per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti. Al riguardo la Corte costituzionale (che, inizialmente, aveva reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte, il che rendeva impossibile lo scrutinio sui presupposti del decreto-legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza n. 108 del 1986), a partire dalla meta' degli anni novanta del secolo scorso ha affermato che "la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimita' costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell'ambito applicativo costituzionalmente previsto. La Corte ha altresi' precisato che lo scrutinio di costituzionalita' "deve svolgersi su un piano diverso" rispetto all'esercizio del potere legislativo, in cui "le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti". Ha specificato al riguardo che "il difetto dei presupposti di legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalita'", deve "risultare evidente", e che tale difetto di presupposti, "una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge". Ha percio' escluso, con cio', l'eventuale efficacia sanante di quest'ultima, dal momento che "affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie" (sentenze n. 128 del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995). La Corte ha poi precisato che il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali di cui all'art. 77, secondo comma, si ricollega "ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico", e che l'urgente necessita' del provvedere "puo' riguardare una pluralita' di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare". In tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che "pur non avendo, in se' e per se' rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimita' ... costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento" (sentenza n. 22 del 2012 sul cosiddetto "decreto Milleproroghe"). 14. Ora, applicando gli insegnamenti della Corte costituzionale, occorre verificare se la "evidente" carenza del requisito della straordinarieta', del caso di necessita' e di urgenza di provvedere, renda la prospettata questione non manifestamente infondata. Al riguardo si osserva che l'epigrafe del decreto reca l'intestazione "Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari". Il preambolo del decreto cosi' recita: "Ritenuta la straordinaria necessita' e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell'evento Expo 2015; Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per l'efficiente informatizzazione del processo civile, amministrativo, contabile e tributario, nonche' misure per l'organizzazione degli uffici giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e il piu' efficace impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione". A sua volta, l'art. 9 all'esame e' parte del Titolo I rubricato "Misure urgenti per l'efficienza della p.a. e per il sostegno dell'occupazione" e del Capo I denominato "Misure urgenti in materia di lavoro pubblico". Gli articoli del Capo dispongono, principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, di semplificazione e flessibilita' nel turn-over, di mobilita' obbligatoria e volontaria, di assegnazione di nuove mansioni, di divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi negli uffici di diretta collaborazione. 15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell'art. 15, comma 1, della legge n. 400 del 1988, i decreti-legge sono presentati per l'emanazione "con l'indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessita' e di urgenza che ne giustificano l'adozione", mentre il comma 3 sancisce che "i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". Ebbene, il dubbio di costituzionalita' dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014 insorge in relazione alla circostanza che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse e le previsioni normative di cui si prospetta l'illegittimita' costituzionale. Difatti, il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all'informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute - volta a riformare la struttura degli onorari degli Avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell'ottica del contenimento della spesa pubblica - non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l'elemento funzionale - finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale. Per converso, in nessun punto del preambolo e' stato dato conto delle ragioni di necessita' e di urgenza che imponevano l'adozione - a mezzo di decreto-legge - delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all'Avvocatura dello Stato di cui all'art. 9. L'infrazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione appare, quindi, questione non manifestamente infondata. A tale stregua occorre ancora rammentare che la Corte costituzionale ha specificato come "l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»", di cui all'art. 77, e che "il presupposto del «caso» straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno", per cui "la scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale" (sentenza n. 22 del 2012). Ne discende che l'immissione delle disposizioni all'esame (come si e' detto, di riforma strutturale degli onorari) nel corpo di un decreto-legge volto, dichiaratamente, alla "piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e a introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione", non vale a trasmettere alle stesse - che appaiono quindi dissonanti - il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate invece tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'. Per altro, ma correlato, profilo, occorre osservare che l'art. 9 contiene anche alcune misure che non sono "auto-applicative", ossia "di immediata applicazione" come sancito dall'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988. Sul punto si rileva che, nonostante sia previsto che la nuova disciplina si applichi alle sentenze pubblicate dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce pero' che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per cento delle somme recuperate - commi 3, 4 e 5, secondo e terzo periodo del comma 6) puo' trovare applicazione solo a decorrere dall'introduzione, nei regolamenti dell'Avvocatura dello Stato, di regole che prevedano criteri di riparto delle somme "in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualita' negli adempimenti processuali". Sicche', trova ulteriore conferma il dubbio circa la concreta sussistenza del caso straordinario di necessita' e di urgenza, il solo che puo' legittimare il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento». Intende il Collegio pienamente aderire ai surriportati rilievi (fatti propri anche dal Tribunale amministrativo regionale del Molise, ordinanza 25 marzo 2016, n. 161), dando atto della non manifesta infondatezza e della rilevanza della questione riguardante la compatibilita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 rispetto al parametro di cui all'art. 77 della Costituzione. 3. Omogeneamente a quanto osservato dal Tribunale amministrativo regionale del Molise con il suindicato provvedimento di rimessione alla Corte costituzionale, ha inoltre modo questa Sezione di dubitare della compatibilita' costituzionale della disciplina de qua rispetto all'ulteriore parametro di cui all'art. 3 della Costituzione: segnatamente, per quanto concerne la lamentata violazione del principio di uguaglianza tra la disciplina riservata agli Avvocati dello Stato e quella regolante gli avvocati di altre amministrazioni pubbliche, con riferimento alle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti (comma 4 dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, con riferimento al precedente comma 3). 3.1 Come si e' avuto modo di constatare attraverso la lettura delle disposizioni da ultimo riportate di cui all'art. 9 del decreto n. 90, i commi 3 e 4 hanno introdotto la decurtazione degli onorari solo per i primi (prevedendo, in particolare, la corresponsione nei limiti del 50% delle somme liquidate nei provvedimenti giurisdizionali in favore dell'Amministrazione, in caso di vittoria della causa). Diversamente, sui punti sopra indicati la vigente disciplina riservata agli avvocati delle altre Amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non ha subito modificazione taluna: venendosi ora, per i profili all'esame, a configurare una manifesta - quanto ingiustificata ed ingiustificabile - difformita' di trattamento, che il Collegio ritiene, sulla base delle considerazioni in seguito rassegnate, priva di convincente fondamento, con riveniente vulnerazione del citato parametro ex art. 3 della Costituzione. Ben e' a conoscenza il Collegio che la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui puo' attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi «che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica»; e che si giustificano sotto il profilo della ragionevolezza, «in quanto mirati ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica - sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono - e per un periodo di tempo limitato, che comprende piu' anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio» (Corte costituzionale, 17 dicembre 2013, n. 310). Si tratta, quindi, di provvedimenti che, pur diversamente modulati, «devono applicarsi all'intero comparto pubblico e impongono limiti e restrizioni generali», in una dimensione che la Corte ha connotato in senso solidaristico (citata sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5; e sentenza n. 178 del 2015). Alla luce delle riportate coordinate, destano perplessita' le specifiche deroghe specificamente riferite all'Avvocatura di Stato dal comma 4 dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, atteso che: se agli avvocati delle amministrazioni pubbliche non statali e' accordata la possibilita' di acquisire le somme liquidate in favore dell'Amministrazione patrocinata, anche in misura integrale secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti; diversamente, per Avvocati dello Stato una tale possibilita' e' limitata ex ante al 50% per i (soli) giudizi conclusisi con condanna alle spese in favore dell'Amministrazione da essi patrocinata. 3.2 Ritiene il Collegio che una tale diversificazione della disciplina non trovi giustificazione nel livello della «componente fissa» della retribuzione degli Avvocati dello Stato, non potendo addursi a pretesa giustificazione la circostanza per cui siffatta componente fissa sarebbe superiore, in media, a quella degli avvocati delle amministrazioni pubbliche. Va innanzi tutto rilevato come la commisurazione della componente retributiva fissa non possa assumere dirimente rilevanza ai fini dello scrutinio di compatibilita' costituzionale di disposizioni che hanno inciso sulla spettanza di compensi che, pur suscettibili di essere sussunti nel genus della «remunerazione», non possono tuttavia essere assimilati a componenti «retributive» in senso proprio. Infatti, ancorche' i compensi di che trattasi siano preordinati a «remunerare» prestazioni professionalmente rese nell'esercizio delle funzioni istituzionalmente rimesse ad Avvocati e Procuratori dello Stato, nondimeno essi non rientrano nel concetto di «retribuzione in senso proprio», atteso il carattere di variabilita' che ne assiste la commisurazione (diversamente dalla «fissita'» che connota le componenti retributive) e la non assimilabilita' del relativo regime contributivo/pensionistico. Cio' preliminarmente posto, si osserva che gli avvocati delle Amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato hanno statuti e inquadramenti che mutano da un ente all'altro senza possibilita' di individuazione di una disciplina giuridico/economica unitaria, di modo che l'assegnazione ai soli Avvocati dello Stato di un trattamento variabile, peggiorativo rispetto agli altri, assume il carattere di una penalizzazione discriminante, soprattutto se il trattamento deteriore consegue alla mera appartenenza all'Avvocatura dello Stato e non sia «collegata» ad una soglia stipendiale specifica. I dubbi di costituzionalita' non si sarebbero posti qualora il provvedimento contestato, anziche' identificare specificamente - ed esclusivamente - negli Avvocati dello Stato i destinatari della deroga, avesse stabilito la limitazione del riconoscimento delle competenze nei confronti di tutti gli Avvocati di enti pubblici che superassero nella quota fissa una determinata retribuzione; cio' in linea con la richiamata giurisprudenza costituzionale, secondo cui la prioritaria azione di risanamento delle finanze, pur legittimando l'adozione di misure che comportano sacrifici per le categorie di volta in volta incise, non puo' non essere condotta nel rispetto del fondamentale principio di ragionevolezza e deve avere riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego sia pure valorizzando le distinzioni statutarie esistenti (cfr.: Corte costituzionale, sentenza n. 310 del 2013, cit.). Nella fattispecie, l'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 e' rivolto alla riforma della parte variabile dei compensi non solo dell'Avvocatura dello Stato ma di tutte le avvocature pubbliche, di modo che la coerenza e ragionevolezza dell'intervento normativo deve essere letta nel contesto piu' generale in cui l'intervento e' posto in essere, con la conseguenza che ogni differenziazione del relativo trattamento, quale e' quello deteriore riservato all'Avvocatura dello Stato, dovrebbe fondarsi su circostanze obiettive, nella fattispecie non ravvisabili. Va, inoltre, considerato il particolare status che regola l'attivita' degli Avvocati dello Stato: i quali, a differenza degli avvocati delle altre Amministrazioni pubbliche, appartengono ad un plesso organizzativo distinto rispetto a quello dell'ente (lo Stato) che essi sono chiamati a difendere in sede giudiziale (tale circostanza rilevando al fine di garantire una posizione di maggiore indipendenza ai primi, ma non di giustificarne la sottoposizione ad un trattamento economico deteriore rispetto a quello goduto dalle altre avvocature pubbliche, soprattutto nei casi in cui queste godano del medesimo trattamento economico di parte fissa). 3.3 Nel ribadire, conseguentemente, i dubbi di compatibilita' costituzionale della disciplina come sopra introdotta dall'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 con riferimento al diversificato trattamento riservato agli Avvocati e Procuratori dello Stato rispetto ai legali delle altre Amministrazione pubbliche, intende il Collegio dissentire dalle argomentazioni, sul punto, esposte dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, Lecce, sezione I, 20 gennaio 2016, n. 170). Nella pronunzia da ultimo indicata si afferma che: «la parte fissa del trattamento economico assicurato agli Avvocati dello Stato (pari ... al trattamento economico assicurato ai magistrati) deve ritenersi adeguata anche al rilievo, alla complessita' e all'impegno connessi alla tutela giudiziale ed extragiudiziale degli interessi della pubblica amministrazioni da parte degli Avvocati dello Stato ai quali, peraltro, anche in forza dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, continua comunque ad essere garantito, sebbene in misura minore rispetto a prima, un'ulteriore compenso in quota variabile (pari al 50% delle somme recuperate dallo Stato nel caso di vittoria dell'Amministrazione in giudizio con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite), aggiuntivo rispetto a quello fisso pari al trattamento dei magistrati ordinari, che trova la propria ragion d'essere nel beneficio economico che l'attivita' difensiva ha portato alle casse pubbliche e nella ripartizione che di tale beneficio ha voluto dare il legislatore, ferma restando l'adeguatezza per l'attivita' prestata della parte fissa di trattamento economico loro riconosciuta»; «... gli avvocati pubblici diversi da quelli dello Stato sono stati anch'essi colpiti da misure di riduzione del trattamento economico e, in ogni caso, risultano destinatari di una parte fissa della retribuzione molto piu' bassa di quella riconosciuta agli Avvocati dello Stato ...». Le sopra esposte considerazioni, ad avviso del Collegio prive di pregio giuridico, non soltanto muovono dall'inconferente argomentazione in ordine alla ritenuta «adeguatezza» del trattamento economico riservato agli Avvocati e Procuratori dello Stato, sol perche' «pari al trattamento riservato ai magistrati»; ma escludono, vieppiu', la configurabilita' stessa di una ingiustificata diversificazione di disciplina rispetto agli avvocati delle altre amministrazioni ed enti dello Stato, a fronte del calcolo «medio» di una retribuzione fissa a questi ultimi spettante significativamente «piu' bassa» rispetto a quella in atto riconosciuta ai primi. Disattesa la giuridica consistenza - ai fini in discorso - della constatata equiparabilita' del trattamento (parte fissa) riservato agli Avvocati dello Stato rispetto a quello riconosciuto al personale di magistratura, atteso che non vengono qui in considerazione astratte rivendicazioni di carattere retributivo intercategoriale (quanto, piuttosto, la verifica in ordine alla compatibilita' costituzionale di una disciplina che ha introdotto differenziati livelli retributivi per soggetti - gli Avvocati ed i Procuratori dello Stato - rivelanti medesima sostanza prestazionale rispetto agli Avvocati di altre amministrazioni ed enti dello Stato), il giudice pugliese, nella sentenza ora in rassegna, ha affatto omesso: di considerare le peculiarita' ordinamentali/organizzative che assistono la configurazione istituzionale dell'Avvocatura dello Stato rispetto alla collocazione organica/funzionale dei professionisti officiati dell'assistenza legale degli altri enti ed amministrazioni; di evidenziare (almeno) plausibili argomentazioni a conforto della modificazione in pejus del regime dei compensi che ha vulnerato i soli Avvocati e Procuratori dello Stato, mantenendo - inspiegabilmente, quanto (ad avviso del Collegio) illegittimamente - inalterato il previgente regime per i soli legali delle altre amministrazioni ed enti pubblici. 3.4 Le frettolose, apodittiche ed inconferenti argomentazioni esposte dal Tribunale amministrativo regionale di Lecce a conforto dell'affermata insussistenza del profilo di incompatibilita' costituzionale della disciplina introdotta dall'art. 9, comma 4, del decreto n. 90, rafforzano vieppiu' il convincimento di questo Giudice remittente a rivolgere allo scrutinio della Corte costituzionale la normativa di che trattasi sotto il profilo della verifica di compatibilita' con il parametro di cui all'art. 3 della Costituzione, in ragione delle considerazioni precedentemente rassegnate. 4. Ritiene ulteriormente il Collegio, sulla base delle medesime argomentazioni esposte al precedente punto 3., che la disciplina come sopra introdotta dall'art. 9 evidenzi profili di contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche per quanto riguarda la previsione dettata dal comma 6. In esso, si dispone che «In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013». Tale fattispecie delinea, con accentuata valenza discriminatoria, il diversificato trattamento riservato - ad avviso del Collegio, ingiustificatamente - agli Avvocati e Procuratori dello Stato rispetto agli altri avvocati pubblici, atteso che soltanto per i primi e' affatto esclusa, in presenza di sentenza favorevole con compensazione delle spese, la previsione di compenso alcuno, laddove per i secondi e' all'uopo individuato il solo limite massimo rappresentato dallo stanziamento di bilancio per l'anno 2013. 5. Viene, quindi, in considerazione l'ulteriore censura di illegittimita' costituzionale delle normativa de qua, che parte ricorrente ricongiunge all'affermata violazione dei parametri di cui agli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione. 5.1 Nella disamina dell'eccezione di che trattasi, non puo' omettere la Sezione dal prendere in considerazione le argomentazioni dalla Corte costituzionale esplicitate con sentenza 11 ottobre 2012, n. 223. Con tale pronunzia, si e' dato atto che la decurtazione del trattamento economico riconosciuto al personale di magistratura, operata ai sensi dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge n. 78 del 2010, «nonostante il riferimento testuale ad una "riduzione" e ad un "contenimento delle spese", rivesta carattere tributario, trattandosi all'evidenza di una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a sovvenire le pubbliche spese». Nell'osservare come la ratio della disposizione precedentemente citata risiedesse nell'esigenza «di reperire risorse per l'erario» (in cio' ravvisandosi una evidente giustapponibilita' di finalita' rispetto alle ragioni ispirative della «riforma» attuata con l'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014), il Giudice delle leggi ha, nella pronunzia ora in rassegna, evidenziato che "gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico (nella specie, di una voce retributiva di un rapporto di lavoro ascrivibile ad un dipendente di lavoro pubblico statale "non contrattualizzato"); le risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese». I requisiti come sopra riportati, congiuntamente considerati, anche nella dedotta fattispecie ricorrono, atteso che: se il riconoscimento dei compensi professionali di che trattasi partecipa, con ogni evidenza, di una natura remunerativa (trovandosi essi inscindibilmente connessi con lo svolgimento dell'attivita' ratione officii rimessa ad Avvocati e Procuratori dello Stato); e se la novella del 2014 non ha introdotto una modificazione di un rapporto sinallagmatico, atteso che i compensi di che trattasi, ancorche' consistentemente ridotti, purtuttavia rimangono riconosciuti ai dipendenti inquadrati nei ruoli dell'Avvocatura dello Stato; la disposta decurtazione risulta espressamente ricongiunta dal legislatore del 2014 a finalita' di risanamento delle finanze pubbliche (si veda, in proposito, quanto disposto dal comma 4 dello stesso art. 9, laddove - per i casi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, un 25% delle relative disponibilita' finanziarie "e' destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni). 5.2 Ritenuta, quindi, la natura tributaria della misura in esame, essa non e' immune dalle censure di illegittimita' costituzionale con riferimento agli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione. Il tributo che interessa incide su una particolare voce remunerativa, che e' parte di un reddito lavorativo complessivo gia' sottoposto ad imposta in condizioni di parita' con tutti gli altri percettori di reddito di lavoro; e introduce, quindi, senza alcuna giustificazione, un elemento di discriminazione soltanto in danno della particolare categoria di dipendenti statali non contrattualizzati che beneficia della titolarita' dei compensi professionali in discorso. Con la applicazione delle disposizioni introdotte dall'art. 9, come si e' avuto modo di constatare, vengono ad essere vulnerati, a parita' di capacita' contributiva per redditi di lavoro, esclusivamente gli Avvocati e Procuratori dello Stato. Quand'anche si potesse prescindere da tale pur decisiva considerazione, la previsione di siffatto tributo speciale comporterebbe comunque una ingiustificata disparita' di trattamento con riguardo alle indennita' percepite dagli altri dipendenti statali, non assoggettate, negli stessi periodi d'imposta, ad alcun prelievo tributario aggiuntivo. Ne' puo' ragionevolmente sostenersi che l'intervento attuato dal decreto n. 90 si riproponga il conseguimento di una finalita' «perequativa», trattandosi di una disciplina che, in quanto rivolta ad un'unica categoria di percettori di reddito, viene a vulnerare esclusivamente questi ultimi e con esclusivo riferimento ai compensi di che trattasi, mediante applicazione di parametri di prelievo suscettibili di incidere, con carattere ingiustificabilmente discriminante del prelievo stesso, su una fonte reddituale peraltro gia' incisa dall'ordinaria applicazione delle ritenute sul reddito complessivamente maturato dal contribuente. 5.3 Sotto altro profilo, va osservato come la disciplina oggetto di censura, proprio in ragione del carattere, ad essa proprio, di prelievo «a regime», consenta di escluderne la compatibilita' costituzionale, altrimenti ravvisabile a fronte della temporaneita' degli effetti indotti dall'intervento legislativo sul reddito. Non ignora il Collegio come la Corte costituzionale (sentenza 9 febbraio 2015, n. 10) abbia rilevato che casi di «temporaneo inasprimento dell'imposizione» - quand'anche (limitatamente) operante per «determinati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti» - siano stati «ritenuti non illegittimi ... proprio in forza della loro limitata durata». Nella fattispecie all'esame, il «prelievo» consumatosi per effetto della rimodulata disciplina riguardante il riconoscimento dei compensi professionali in favore di Avvocati e Procuratori dello Stato, lungi dall'atteggiarsi con carattere di temporaneita' (cosi' come puo' predicarsi a proposito della decurtazione operata sugli onorari professionali ai sensi dell'art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, limitata al triennio 1° gennaio 2014-31 dicembre 2016), risulta strutturalmente connotata quale modificazione sine die: a tale elemento dovendosi annettere ulteriore configurazione di illegittimita' costituzionale, sempre con riguardo ai suindicati parametri ex articoli 3, 23 e 53. 6. Da ultimo, intende il Collegio interrogarsi sulla compatibilita' costituzionale della disposizione (art. 9, comma 1, del decreto n. 90) che ha assoggettato gli emolumenti in questione - nei limiti in cui risultano (rispetto al previgente sistema, residualmente) percepibili da parte di Avvocati e Procuratori dello Stato - ai vigenti limiti ai trattamenti economici ed agli emolumenti corrisposti ai dipendenti pubblici, ai titolari di cariche elettive e ai titolari di incarichi con emolumenti a carico della finanza pubblica. 6.1 Come e' noto, l'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, al comma 1, primo periodo, ha stabilito che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'art. 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione». In attuazione di tale disposizione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato il decreto 23 marzo 2012, recante «Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali», il quale ha disposto, all'art. 3, che «a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennita' e le voci accessorie nonche' le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza, dei soggetti di cui all'art. 2 non puo' superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora superiore, si riduce al predetto limite». In seguito, il legislatore e' nuovamente intervenuto sulla materia con l'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, disponendo che, ai fini del raggiungimento del predetto tetto, devono esser computati anche i trattamenti pensionistici pregressi eventualmente percepiti a carico di gestioni previdenziali pubbliche. Il terzo periodo della medesima disposizione, al fine di armonizzare il nuovo regime con le posizioni retributivo-previdenziali in essere alla sua entrata in vigore, aggiunge che «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi», mentre l'ultimo periodo prevede che «gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti». Da ultimo l'art. 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89), ha ridotto il tetto massimo fissato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012, prevedendo che «a decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, e' fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente». 6.2 Sulla questione, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con una serie di ordinanze rese nel 2016 (numeri 4153, 4199, 4200, 4201, 4202, 4203, 4204, 4205, 4220, 4250) ha avuto modo di interrogarsi sulla compatibilita' della disciplina del cosiddetto «tetto retributivo» (di cui alle disposizioni riportate al precedente punto 6.1) con riferimento alla cumulabilita' del trattamento di pensione (gia' maturato) e la remunerazione inerente alla qualifica di Consigliere di Stato. Il giudice remittente, con le pronunzie sopra indicate, ha - fra l'altro - prospettato condivisibili perplessita' in ordine alla conformita' della sopra indicata disciplina rispetto ai parametri ex articoli 3 e 97 della Costituzione, osservando che: «posto che il sistema di reclutamento dei Consiglieri di Stato per nomina governativa ... mira a valorizzare le migliori competenze professionali disponibili nell'Amministrazione, che generalmente si rinvengono in coloro che hanno accumulato maggiore anzianita' e accantonato un montante contributivo tale da dar luogo ad un trattamento di quiescenza destinato a sommarsi al trattamento retributivo»; ed ulteriormente constatato come «la censurata disciplina finisca per penalizzare proprio le figure di maggiore spicco, con l'effetto di disincentivare la nomina di coloro che possono vantare i migliori titoli e le migliori esperienze, perche' costoro dovrebbero esercitare le funzioni di Consigliere di Stato senza una retribuzione adeguata»; allora, «il Governo sarebbe costretto ad indirizzare altrove le proprie scelte, con evidente violazione del principio di ragionevolezza e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (articoli 3 e 97 della Costituzione), perche' le scelte non sarebbero indirizzate alla selezione dei migliori, e della norma che affida al Governo l'indirizzo politico-amministrativo (art. 95 della Costituzione), che viene distolto dal suo approdo piu' coerente e mortificato nella liberta' della sua esplicazione». 6.3 Ben e' a conoscenza questo Giudice remittente che la Corte costituzionale, con sentenza 14 luglio 2015, n. 153, ha rigettato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, sollevata dalla Regione Campania in riferimento agli articoli 3, 97, 117 primo, terzo e quarto comma, 118, 119, 120 e 123 della Costituzione. Cosi' come e' consapevole che, nella pronunzia da ultimo citata, la stessa Corte ha avuto modo di osservare che «la spesa per il personale costituisce un importante aggregato della spesa di parte corrente (sentenze n. 69 del 2011 e n. 169 del 2007), sicche' disposizioni dirette al suo contenimento attraverso l'individuazione di limiti generali ad essa, anche con la fissazione di un tetto massimo al trattamento economico annuo onnicomprensivo del personale, costituiscono legittima espressione della competenza legislativa riservata allo Stato dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, di determinazione dei principi fondamentali nella materia del ''coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario''». Nondimeno, il rigetto della questione di costituzionalita', nella sentenza in rassegna, e' stato dal giudice delle leggi veicolato, nel quadro della questione al medesimo prospettata, dalla disamina della compatibilita' costituzionale di una previsione «con la quale e' stato imposto alle regioni di estendere al proprio personale il vincolo del tetto massimo al trattamento economico annuo onnicomprensivo, gia' introdotto per il personale statale»: in proposito essendosi osservato come siffatta «estensione», si collochi «nel contesto di un piu' ampio intervento di revisione della spesa pubblica, concorrendo, quale misura di razionalizzazione e trasparenza dell'organizzazione degli apparati politico istituzionali (dello Stato e delle autonomie territoriali), alla stabilizzazione della finanza pubblica complessiva. Questa «scelta di fondo» del legislatore statale (sentenza n. 151 del 2012) va qualificata dunque come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, idoneo, in quanto tale, ad attrarre alla stessa competenza legislativa dello Stato la definizione delle particolari regole che ne costituiscono il necessario svolgimento tecnico». La disamina che, ora, questo Tribunale intende rimettere alla Corte e' - diversamente - incentrata (non gia' sulla questione della estensibilita' della normativa de qua anche al personale regionale, ma) sulla compatibilita' con il parametro ex art. 97 di una disciplina che, deprimendo (o, in talune ipotesi, affatto azzerando) le previgenti disposizioni premiali ricongiungenti il riconoscimento dei compensi professionali all'esito del contenzioso, non perseguono, nell'ottica della citata previsione costituzionale, il miglior conseguimento della finalita' pubblica di efficienza dell'Amministrazione, con indubbi riflessi di finanza pubblica. 6.4 Ed allora, sulla base delle suesposte considerazioni rassegnate all'attenzione della Corte costituzionale dal remittente Tribunale amministrativo regionale del Lazio, e' affatto agevole mutuare omogeneo fondamento argomentativo al fine di rimettere al vaglio di compatibilita' costituzionale la previsione di cui all'art. 9, comma 1, del decreto n. 90/2014, nella parte in cui, assoggettando (anche) il riconoscimento dei compensi professionali spettanti ad Avvocati e Procuratori dello Stato al «tetto retributivo» di che trattasi (pur trattandosi di emolumenti, spettanti a titolo di remunerazione per attivita' professionale, non sussumibili, come rilevato, nel genus della «retribuzione» in senso proprio"), induce un effetto (non solo potenzialmente) «disincentivante» ai fini dell'immissione nei ruoli dell'Avvocatura dello Stato delle piu' elevate e qualificate risorse professionali (depotenziando l'appeal, segnatamente nei confronti degli avvocati del libero foro, del concorso per la qualifica dell'Avvocato dello Stato), con riveniente vulnerazione dei principi: di cui all'art. 97 della Costituzione, nella misura in cui tale disciplina determina un meno efficace perseguimento delle finalita' pubbliche intrinseche alla tutela delle ragioni dello Stato e degli enti patrocinati dalla stessa Avvocatura; e di cui all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui l'assoggettamento al «limite retributivo» di che trattasi integra la presenza di un elemento discriminante, atteso che la pur omogenea applicazione di siffatto «limite» a tutti i legali dipendenti da pubbliche amministrazioni (ex art. 9, comma 1), assume accentuato rilievo «penalizzante» per gli Avvocati e Procuratori dello Stato, rispetto agli altri avvocati «pubblici», proprio in ragione della maggiormente limitata partecipazione alla ripartizione dei compensi che differenzia, in pejus, il trattamento ora riservato ai primi rispetto ai secondi. Tutto cio', soprattutto laddove si consideri l'evidente valenza «premiante» e/o «incentivante» propria della configurazione del sistema di corresponsione dei compensi de quibus nell'originario assetto di cui al regio decreto n. 1611/1993, che prevedeva il riconoscimento dei compensi professionali: per la totalita' delle somme recuperate, in caso di condanna alle spese della soccombente controparte; per la meta' delle competenze che sarebbero state liquidate nei confronti della parte soccombente, in caso di conclusiva compensazione delle spese di lite, purche' l'amministrazione non fosse risultata soccombente. Tale elemento di «premialita'», praticamente «eclissato» per la sola Avvocatura dello Stato, viene a porre la definizione dei giudizi - quanto, ovviamente, alla liquidazione delle spese - su una curva di sostanziale indifferenza; determinando, fra l'altro, conseguenze non irrilevanti anche per cio' che concerne la definizione stragiudiziale o transattiva delle controversie, in ordine alla quale l'Avvocato dello Stato, sulla base della riforma all'esame, non partecipa dei compensi neppure in quota parte, diversamente dal previgente regime (e la cui rilevanza viene, con ogni evidenza, in considerazione laddove siffatta definizione si riveli preordinata a scongiurare eventuali rischi di soccombenza, con effetti diretti sulla finanza pubblica). 7. Tanto premesso, il Collegio ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le esposte questioni di costituzionalita' delle analizzate disposizioni di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014; e, per l'effetto, sospende il giudizio, mandando alla Segreteria di trasmettere alla Corte la presente ordinanza, di notificarla alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' di comunicarla ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla sentenza di merito lo scrutinio delle ulteriori censure proposte da parte ricorrente.