CORTE D'APPELLO DI MILANO 
         Sezione delle persone, dei minori e della famiglia 
 
    La  Corte  riunita  in  camera  di  consiglio  in   persona   dei
magistrati: 
    dott.ssa Bianca La Monica, Presidente rel.; 
    dott.ssa Patrizia Lo Cascio, consigliere; 
    dott.ssa Daniela Troiani, consigliere; 
    ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  decidendo  sull'appello
proposto da A. L. C.,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Francesca
Maria  Zanasi  e  dall'avv.  Maria   Elisa   D'Amico,   elettivamente
domiciliata  presso  lo  studio  dell'avv.  Zanasi,  in  Milano,  via
Bellini; 
    Contro  avv.  Grazia  Ofelia  Cesaro,  in  qualita'  di  curatore
speciale del minore L. F. Z. in proprio, con studio in Milano, Piazza
Grandi, 3, e con l'intervento del procuratore  generale,  in  persona
della dott.ssa Maria Antonietta Pezza, che  ha  chiesto  la  conferma
della sentenza appellata. 
    Conclusioni dell'appellante e dell'appellato, come  da  fogli  di
seguito allegati. 
    Tanto premesso, A. L. C.,  come  sopra  rappresentata,  difesa  e
domiciliata. 
 
                             Conclusioni 
 
    Piaccia all'ecc.ma Corte d'appello di Milano, contrariis reiectis
e previa valutazione del caso e di legge: 
    1) riformare integralmente la sentenza del Tribunale  di  Milano,
sezione IX civile pubblicata  il  14  gennaio  2014,  n.  396,  anche
attraverso l'interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 16
della legge n. 218 del 1995; 
    2) in subordine, qualora questa ecc.ma  Corte  non  ritenesse  di
poter pervenire a tale interpretazione, ritenuta la  rilevanza  e  la
non  manifesta  infondatezza,  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale sull'art. 12, comma 6 legge  n.  40  del  2004,  nella
parte in cui pone il divieto assoluto  di  effettuare  la  maternita'
surrogata, in relazione agli articoli 2, 3, 13, 29,  31,  32  e  117,
primo comma, Cost.; 
    3) in estremo subordine, ritenuta la rilevanza e la non manifesta
infondatezza,  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
sull'art. 12, comma 6, legge n. 40 del 2004, nella parte in  cui  non
consente di procedere alla trascrizione in Italia di atti di  nascita
di minori nati a seguito dell'applicazione di tecniche di  maternita'
surrogata formati in modo  legittimo  in  Paesi  che  consentono  una
simile tecnica, in relazione agli articoli 2, 3, 13,  29,  31,  32  e
117, primo comma, Cost. 
    Con il favore delle spese e  delle  competenze  anche  di  questo
grado di giudizio, oltre accessori come per legge. 
    Si producono: 
    fascicolo degli atti e documenti di prime cure; 
    copia autentica della sentenza n. 396/2014. 
    Si dichiara che il procedimento e' esente ai sensi  dell'art.  13
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002  n.  15  e
successive modificazioni. 
    Con la massima osservanza. 
        Milano, 7 luglio 2014 
 
    Avv. Francesca Maria Zanasi - Prof. avv. Maria Elisa D'Amico 
 
 
                          Procura alle liti 
 
    La sottoscritta A. L. C., nata a Milano il ... , cod. fisc. ... „
residente in Milano, delega a rappresentarla e a difenderla  in  ogni
fase, stato e grado del giudizio anche  in  sede  esecutiva  e  nelle
cause di opposizione con ogni e piu' ampia  facolta'  di  legge;  ivi
compresa  quella  di  nominare  procuratori  anche  quali   sostituti
processuali, chiamare terzi in giudizio e  proporre  contro  di  essi
domande  dirette  e  di  garanzia,  proporre  atti   di   intervento,
rilasciare  quietanza,  conciliare  e/o  transigere,  rinunciare   ed
accettare rinunce agli  atti,  congiuntamente  e  disgiuntamente  tra
l'oro, l'avv. Francesca Maria Zanasi del Foro di Milano, e  il  prof.
avv. Maria Elisa D'Amico del Foro di Milano. 
    Elegge domicilio  presso  e  nello  studio  dell'avv.  Zanasi  in
Milano, via Vincenzo  Bellini  n.  10,  con  dichiarazione  di  voler
ricevere  gli  avvisi  e  le  comunicazioni  all'indirizzo  di  posta
elettronica certificata. 
    Tutto quanto innanzi premesso, lo scrivente curatore speciale, ut
supra rappresentato e difeso, chiede che  l'on.  le  Corte  d'appello
voglia: 
    In via principale: 
    1) Respingere tutte le domande proposte da controparte in  quanto
infondate in fatto e in diritto; 
    2)  Confermare  nella  sua  interezza  l'impugnata  sentenza  del
Tribunale di Milano emessa in data 26 settembre 2014,  depositata  il
successivo 11 novembre 2014; 
    3) Con vittoria delle spese  di  lite  di  entrambi  i  gradi  di
giudizio. 
    In via subordinata: 
        Nella denegata e non creduta ipotesi in  cui  codesta  ecc.ma
Corte d'appello intendesse accogliere la  domanda  di  riforma  della
sentenza  di  primo  grado  avanzata  dall'appellante,  accertata   e
dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  previamente
sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale  sull'art.  12,
comma, 6 legge n. 40 del 2004, nella parte in  cui  pone  il  divieto
assoluto di effettuare la maternita'  surrogata,  in  relazione  agli
articoli 2, 3, 13, 29, 31, 32 e 117, primo comma, Cost. 
    In via istruttoria: 
        Con ogni piu' ampia riserva. 
    Contributo  unificato:  Ai  sensi  dell'art.  10,   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 115/2002, si dichiara che la  presente
causa e' esente dal contributo unificato. 
    Si producono: 
        1) copia del ricorso in appello notificato l'8 luglio 2014; 
        2) fascicolo di parte di primo grado; 
        3) richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 
        A) Decreto di nomina del curatore speciale. 
    Con osservanza. 
        Milano, 26 gennaio 2015 
 
                      Avv. Grazia Ofelia Cesaro 
 
 
             Ragioni di fatto e diritto della decisione 
 
    1. A seguito della nascita a Mumbai (India)  in  data  2  gennaio
2012 di F. L. Z., riconosciuto come figlio naturale di M. G. Z. e  di
A. C., e della sospensione da parte dell'Ufficio dello  stato  civile
di Milano del procedimento relativo alla  richiesta  di  trascrizione
del certificato di  nascita  formato  all'estero,  veniva  effettuata
segnalazione alla Procura della Repubblica sul  rilievo  che  potesse
ricorrere  un'ipotesi  di  maternita'  surrogata  e  venivano  svolte
indagini da parte della Procura presso il Tribunale per i  minorenni,
nel corso delle quali lo Z. e la C. ammettevano il ricorso  in  India
alla pratica della surrogazione, con ovulo di donatrice anonima. 
    Su iniziativa del pubblico ministero presso il  Tribunale  per  i
minorenni si apriva procedimento per la dichiarazione dello stato  di
adottabilita' del minore. 
    Nella pendenza di tale procedimento, veniva accolta la  richiesta
di trascrizione del certificato di nascita, riproposta  dai  genitori
del bambino, cosi' risultando il piccolo L. F. Z. figlio di M. G.  Z.
e di A. C. 
    Con decreto 4/22 maggio 2012, il Tribunale  per  i  minorenni  di
Milano, su richiesta del pubblico ministero,  considerato  che  dagli
atti era emerso che il bambino non era  stato  partorito  da  A.  C.,
autorizzava  ai  sensi  dell'art.  264,  comma   2,   codice   civile
l'impugnazione del riconoscimento,  nominando  a  tal  fine  curatore
speciale del minore l'avv. Grazia Cesaro. 
    Il procedimento per la dichiarazione  dell'adottabilita'  esitava
nel provvedimento 6-14 settembre 2012 col quale il TM dichiarava  non
luogo a  provvedere,  avendo  peraltro  i  genitori  del  piccolo  L.
contratto matrimonio il 23 luglio 2012 ed essendo risultata certa, in
base all'eseguito test sul DNA, la paternita' biologica di M. Z. 
    2. Il  nominato  curatore  chiamava  quindi  in  giudizio  la  C.
chiedendo all'adito Tribunale di Milano di  dichiarare  l'inefficacia
del riconoscimento di figlio naturale da lei effettuato nei confronti
del minore e di ordinare al competente ufficiale di stato  civile  di
provvedere alle conseguenti annotazioni. 
    Si costituiva la C. la quale dava atto che il piccolo L. era nato
a seguito di pratica di maternita' surrogata  effettuata  secondo  la
legge indiana ed aveva un «patrimonio genetico  indiano  al  50%,  in
quanto era indiana la donatrice  del  gamete  femminile  (per  scelta
volontaria  e  consapevole  della  coppia)».  Detto  delle  personali
condizioni  di  salute  (patologia  tumorale   e   sottoposizione   a
chemioterapia) preclusive alla produzione di propri  ovociti  e  alla
gestazione, richiamato il criterio guida  dell'interesse  del  minore
cui aveva fatto riferimento la giurisprudenza  di  merito  che  aveva
consentito la trascrizione in  Italia  di  atti  di  nascita  formati
all'estero a seguito di ricorso alla  surrogazione,  sottolineato  di
aver gia' intrapreso un percorso volto ad affrontare la  problematica
delle origini del bambino al fine della  opportune  comunicazioni  al
figlio,  concludeva  chiedendo  al  Tribunale  di  decidere   secondo
giustizia, valutando quanto esposto in diritto. 
    3. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 396/2014 accoglieva  la
domanda del curatore e dichiarava che L. F. Z . non e' figlio  di  A.
M. C. disponendo a cura dell'ufficiale di stato civile le conseguenti
annotazioni di legge. 
    Il Tribunale, premessa la propria giurisdizione e premesso che lo
status filiationis del minore, cittadino italiano  in  quanto  figlio
naturale del padre M. , doveva essere regolato dalla legge  italiana,
perveniva a tale  decisione,  sulla  base  dei  seguenti  rilievi  in
diritto, nel seguente ordine logico prospettati: 
        l'art. 269, comma 3, codice  civile  connette  la  maternita'
esclusivamente al parto; 
        la  filiazione  ex  matre  non  puo'  dedursi   dall'allegato
contratto per la fecondazione  eterologa  con  maternita'  surrogata,
essendo esso privo di  validita'  nel  nostro  ordinamento  ai  sensi
dell'art. 16 della legge n. 218/1995  per  contrarieta'  della  legge
straniera all'ordine pubblico e dovendo applicarsi  alla  fattispecie
la regola dell'art. 33 legge n. 218/95; 
        pur  accogliendo  un  concetto   di   maggior   flessibilita'
dell'ordine  pubblico  interno,  come  proposto  dalla  difesa  della
convenuta,  nella  fattispecie   «...l'applicazione   della   vigente
normativa italiana -  che  in  caso  di  diversa  soluzione  verrebbe
sostanzialmente aggirata con sostanziale abrogazione  dell'art.  269,
comma 3, codice civile - esclude il ricorso alla tecnica  procreativa
attuata». 
    4. Avverso la sentenza del Tribunale ha proposto  appello  la  C.
che: 
        4.1 in via principale, ha chiesto la riforma della decisione,
anche  attraverso   l'interpretazione   costituzionalmente   conforme
dell'art. 16 della legge n. 218/1995. A sostegno di tale richiesta la
difesa appellante ha, per un verso, sottolineato, la non  coincidenza
dell'ordine pubblico, da quella disposizione richiamato, con l'ordine
pubblico  interno,  dovendo  invece  aversi  riferimento   all'ordine
pubblico internazionale anche in riconsiderazione della diffusione in
altri paesi della pratica della surrogazione di maternita'; per altro
verso, ha sottolineato come la  stessa  nozione  di  ordine  pubblico
interno deve ritenersi incisa dalla sentenza n.  162/14  con  cui  la
Corte costituzionale, successivamente alla  decisione  impugnata,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme della legge n.
40/2004 che ponevano il divieto della fecondazione eterologa. 
        4.2 in via subordinata, ha chiesto che la Corte, ritenuta  la
rilevanza e la  non  manifesta  infondatezza,  sollevi  questione  di
legittimita' costituzionale sull'art. 12, comma 6, legge n.  40/2004,
nella parte  in  cui  pone  il  divieto  assoluto  di  effettuare  la
maternita' surrogata, in relazione agli articoli 2, 3, 13, 29,  31  e
32 della Costituzione. 
    Evidenziava  l'appellante  l'irragionevolezza  del   divieto   di
surrogazione di maternita' ex art. 3 Cost., risultando  quel  divieto
privo di sanzione per  la  coppia  che  ricorra  alla  pratica  della
surrogazione all'estero, nel paese dove  e'  consentita,  e  potendo,
comunque, la madre sociale, o d'intenzione, qualora la  coppia  abbia
utilizzato i  gameti  maschili  del  partner,  chiedere  ed  ottenere
l'adozione del minore ai sensi dell'art. 44 , lettera b) della  legge
n. 184/1983. 
    Sottolineava un ulteriore profilo  di  contrasto  con  l'art.  3,
risultando  escluse  dal  ricorso  alle  tecniche   di   fecondazione
assistita le coppie il cui peculiare quadro clinico rende la  pratica
della surrogazione di maternita' unica tecnica idonea a garantire  la
possibilita' di avere una famiglia con  figli,  prospettandosi  cosi'
plurimi profili di discriminazione. 
    Rilevava poi la C. che il divieto  del  ricorso  alla  maternita'
surrogata   e'   in   contrasto   col   diritto   della   coppia   di
autodeterminarsi nella sfera privata e familiare (articoli 2, 3,  13,
29, 31 Cost.),  impedendo  quel  divieto  a  una  coppia  affetta  da
patologie legate a sterilita' o infertilita' di formare una  famiglia
con dei figli. E cio' in contrasto con  la  natura  di  interesse  di
rango costituzionale riconosciuta alle  esigenze  della  procreazione
dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 151/2009 e con le
affermazioni contenute nella sentenza n. 162/2014. 
    Richiamava infine la C. il contrasto tra il divieto  del  ricorso
alla maternita' surrogata e il diritto alla salute della coppia (art.
32 Cost.), comprensivo secondo univoca  interpretazione  anche  della
salute psicologica, la cui piu' opportuna valutazione compete,  oltre
che alla coppia, al medico. 
        4.3 in estremo subordine, ha chiesto che la  Corte,  ritenuta
la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  sollevi  questione  di
legittimita' costituzionale sull'art. 12, comma 6, legge n.  40/2004,
con riferimento agli articoli 2, 3, 13,  29,  31,  32  e  117,  primo
comma,  della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, nella parte in cui la norma non consente  di  procedere
alla trascrizione in  Italia  di  atti  di  nascita  di  minori  nati
all'estero a seguito  dell'applicazione  di  tecniche  di  maternita'
surrogata, atti formati in modo legittimo nei  paesi  che  consentono
simile tecnica. 
    5. Si e' costituito nel procedimento di gravame il  curatore  del
minore, che: 
        5.1 ha svolto un  preliminare  riferimento  alla  doverosita'
dell'iniziativa  giudiziaria  intrapresa  a   seguito   di   mandato,
rilevando che, sebbene gli esiti della indagine psicosociale disposta
dal TM avessero «...confermato l'interesse del minore a mantenere  il
legame  familiare  con  la  madre   sociale   e...in   qualche   modo
riconosciuto l'esigenza che il minore  possa  godere  di  uno  status
giuridico  nei  confronti  della  signora   C.»,   lo   stato   della
legislazione non consentiva a madre e figlio di vedersi  riconosciuto
un legame giuridico se non «in modo forse un po' affievolito» per  il
tramite dell'adozione in casi particolari; 
        5.2 in via principale, ha chiesto il rigetto delle domande di
merito; 
        5.3 in via subordinata, ha chiesto di sollevare la  questione
di legittimita' costituzionale proposta dall'appellante, in relazione
a tutte le norme da questa richiamate, prospettando anche l'ulteriore
profilo   di   incostituzionalita'    costituito    dalla    illecita
discriminazione di genere, palesata  dal  fatto  che,  mentre  l'uomo
completamente  sterile,  a  seguito  della  sentenza   n.   162/2014,
ricorrendo a tecniche di fecondazione eterologa e per l'effetto della
sola donazione di gameti, puo' riconoscere un figlio come proprio, la
medesima possibilita' non e' data alla donna, nell'ipotesi in cui  la
stessa, oltre a non poter produrre ovociti, non abbia la possibilita'
di portare a termine la gravidanza. 
    6. Precisate dalle parti le  conclusioni  come  sopra  riportate,
scaduti gli assegnati termini ex art. 190 codice di procedura civile,
la causa e' pervenuta in decisione. 
    7. Occorre svolgere un preliminare rilievo in ordine alle domande
con  cui  l'appellante  propone  la  necessita'  di   interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 16 della legge n.  218/1995,  o
solleva al riguardo  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
relazione alla trascrivibilita' in  Italia  di  atti  di  nascita  di
minori nati all'estero, atti formati in modo legittimo nei paesi  che
consentono la maternita' surrogata. 
    Invero,  la  questione  della   possibilita'   di   trascrizione,
certamente  assai  rilevante  per  i  minori  nati  da   surrogazione
effettuata  all'estero,   non   appare   dirimente   nella   presente
fattispecie, la cui peculiarita' e' che il certificato di nascita del
minore come figlio di M. G. Z. e di A. C., certificato legittimamente
formato in India e comprovante quelle genitorialita', risulta  essere
stato trascritto in Italia (cfr. certificato stato  civile  1°  marzo
2012, doc. 4 fascicolo di parte C., primo grado di giudizio). 
    7.1 Pertanto, data l'avvenuta trascrizione dell'atto di  nascita,
la questione affrontata dal Tribunale, e ora  posta  all'esame  della
Corte, come rilevato con chiarezza dal curatore,  non  e'  quella  di
autorizzare la trascrizione di uno status filiationis  giuridicamente
riconosciuto solo all'estero e di costituire uno  status  inesistente
per l'Italia, dal momento che L. Z. e' oggi,  a  tutti  gli  effetti,
riconosciuto giuridicamente come figlio della C., bensi' quella della
rimozione,  attraverso  la  proposta  azione,  di  uno  status   gia'
riconosciuto, a causa della non veridicita' di  quel  riconoscimento,
in Italia trascritto. 
    8. Cio' premesso, prendendo in esame la prospettata questione  di
costituzionalita'  del  divieto  di  surrogazione  di  maternita'  in
relazione ai segnalati  parametri,  puo'  convenirsi  con  la  difesa
dell'appellante - e con il curatore per quanto da questi  evidenziato
- che il divieto normativo possa apparire in  contrasto,  sotto  piu'
profili, con le richiamate norme costituzionali. 
    8.1 Innanzitutto, in relazione all'art. 3 della Costituzione, per
le diverse possibilita'  offerte  alle  coppie,  i  cui  problemi  di
sterilita'/infertilita' non incidono sulla possibilita' di gestazione
della donna, rispetto a quelle offerte alle coppie nei casi in cui il
peculiare quadro clinico della stessa  non  consente  la  gestazione,
coppie che, quindi, solo derogando al  divieto  potrebbero  avere  un
figlio per via naturale, geneticamente riconducibile  ad  almeno  uno
dei partner. 
    La situazione della coppia che presenti, quanto alla  donna,  una
patologia preclusiva della gestazione, pur  nella  sua  peculiarita',
pare, infatti, assimilabile, agli effetti  di  un  necessario  uguale
trattamento da parte del legislatore, a quella  della  coppia  i  cui
problemi di sterilita'/ infertilita' non incidono  sulla  gestazione,
considerando che l'obiettivo dichiarato della  legge  n.  40/2004  e'
quello di favorire la soluzione dei problemi  riproduttivi  derivanti
da infertilita' e sterilita' della coppia mediante  il  ricorso  alle
tecniche di riproduzione,  alle  condizioni  e  modi  previsti  dalla
legge, e considerando che tutte le coppie per le quali si ravvisa una
patologia di sterilita'/infertilita' dovrebbero poter  utilizzare  la
migliore tecnica scientifica per far fronte alla patologia. 
    Ne' il sottolineato contrasto potrebbe escludersi sul rilievo  di
alcuni in ordine alla  natura  non  terapeutica  della  surrogazione,
dovendo ritenersi che la  pratica  della  gestazione  per  altri,  in
quanto presuppone comunque la fecondazione in vivo o in vitro  di  un
embrione da impiantare nell'utero di una donna estranea  alla  coppia
dei genitori  d'intenzione,  rientri  nella  generale  cornice  della
procreazione  medicalmente   assistita   (implicita   conferma   sta,
peraltro, nel divieto posto nella stessa legge). In tale  prospettiva
riguardata,  anche  la  surrogazione  assume   rilievo   di   terapia
rientrante nella logica della legge n. 40/2004 secondo cui il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita e' consentito qualora non vi
siano «altri» metodi terapeutici efficaci per rimuovere le  cause  di
sterilita' o infertilita' (art. 1,  comma  2),  cosi'  collocando  la
metodica della PMA nell'ampio genus delle terapie. 
    8.1.1 Il divieto normativo comporta poi, a seguita della sentenza
n. 162/14 con cui la Corte costituzionale ha rimosso il  divieto  del
ricorso alla fecondazione eterologa,  anche  una  discriminazione  di
genere. Infatti, mentre e' ora consentito ad  un  uomo  completamente
sterile di poter ricorrere alle  tecniche  riproduttive  e  di  poter
riconoscere come proprio un figlio per l'effetto della  donazione  di
gameti, la stessa possibilita' non e' consentita ad una donna che non
possa portare a termine la gravidanza. 
    8.1.2 Non puo' essere  poi  sottovalutato  il  fatto  che  coppie
italiane facciano ricorso alla surrogazione di  maternita'  in  paesi
stranieri, europei ed extraeuropei, dove tale pratica e'  consentita,
dando luogo, cosi' come era avvenuto per la fecondazione eterologa, a
un vasto  fenomeno  di  turismo  procreativo,  non  ostacolato  dalle
sanzioni penali, atteso il consistente orientamento giurisprudenziale
di merito che, per un verso, esclude la punibilita' della coppia  sul
rilievo che e' condizione indispensabile  per  il  perseguimento  dei
reati commessi all'estero che questi risultino punibili come illeciti
penali,  ancorche'  con   nomen   iuris   e   pene   diversi,   anche
dall'ordinamento del luogo dove sono stati consumati;  e,  per  altro
verso, e' orientato, con riferimento all'atto di nascita del nato, ad
escludere la sussistenza del reato di cui all'art. 567 codice penale,
ogniqualvolta  l'atto   sia   gia'   stato   formato   dall'autorita'
amministrativa  estera  alla  stregua  della  normativa   del   paese
straniero, e ad escludere anche la consumazione del reato ex art. 495
codice penale. 
    Rilevata la  fragilita',  in  un  contesto  globale,  del  rigido
strumento  normativo  della  proibizione  assoluta  a  fronte,  della
diffusione all'estero del ricorso alla  surrogazione  di  maternita',
deve constatarsi che, anche nel caso della surrogazione, si determina
un ingiustificato diverso trattamento delle coppie in base alla  loro
capacita' economica, venendo di fatto negato l'esercizio del  diritto
di formare una famiglia con figli  propri  alle  coppie  prive  delle
risorse finanziarie per fare ricorso alla pratica della  surrogazione
in altri paesi. 
    8.2 Il divieto di  surrogazione  di  maternita',  impedendo  alla
coppia, impossibilitata alla gestazione  a  causa  di  una  patologia
della donna, di diventare genitori e di'  formare  una  famiglia  che
abbia anche dei figli si  pone  poi  in  formale  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, e 31 della Costituzione, norme nelle  quali  la  Corte
costituzionale ha radicato la fondamentale, generale  e  incoercibile
liberta' di autodeterminarsi nella sfera piu'  intima  e  intangibile
della persona umana. Va qui richiamata la sentenza n. 162/2014, nella
parte in cui la Consulta ha affermato che «...la scelta della  coppia
di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia  anche  dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale  liberta'
di autodeterminarsi...», precisando come il progetto di formazione di
una  famiglia  caratterizzata  dalla  presenza  di  figli,  «...anche
indipendentemente   dal   dato   genetico...»,   e'    favorevolmente
considerato  dall'ordinamento  giuridico,  emergendo   dallo   stesso
istituto  dell'adozione,  per  quanto  finalizzato  a  garantire  una
famiglia ai  minori,  che  comunque  «...il  dato  della  provenienza
genetica non costituisce un imprescindibile requisito della  famiglia
stessa...». 
    8.3 In stretta connessione  col  profilo  ora  considerato,  puo'
ancora individuarsi un  contrasto  tra  il  divieto  normativo  e  il
diritto alla salute  costituzionalizzato  all'art.  32  della  Carta,
inglobando  la  nozione  di  salute  diversi  aspetti  dell'esistenza
personale. 
    Sulla   incontestabile   premessa    che,    per    una    donna,
l'impossibilita' di portare avanti  una  gravidanza  rappresenti  una
patologia  produttiva  di  disabilita',   si   richiama   la   comune
configurazione  del  diritto  alla  salute,  comprensivo  secondo  la
costante giurisprudenza costituzionale, e in linea con quanto sancito
dall'Organizzazione  mondiale  della  sanita',  anche  della   salute
psichica, la cui tutela deve essere di  grado  pari  a  quello  della
salute  fisica.  Cosi'  come  affermato  nella  citata  sentenza   n.
162/2014, secondo la quale l'impossibilita' di formare  una  famiglia
con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di
tipo eterologo, puo'  incidere  negativamente,  «...in  misura  anche
rilevante, sulla salute della coppia...»,  con  evidente  riferimento
all'influenza delle problematiche riproduttive sulla salute  psichica
e sul benessere relazionale dei singoli membri della coppia e  quindi
sui loro reciproci rapporti. 
    9. I  cennati  profili  in  ordine  alla  incidenza  del  divieto
assoluto di ricorso alla pratica della surrogazione di maternita' sui
richiamati principi costituzionali non appaiono, tuttavia,  a  questa
Corte idonei a fondare il prospettato dubbio di costituzionalita'  se
riguardati in piu' ampia e doverosa prospettiva,  ossia  considerando
se  quel  divieto  possa  rappresentare  strumento   necessario   per
garantire altri valori costituzionali di pari  rango,  a  fronte  dei
quali risulti giustificata la  limitazione  legislativa  dei  diritti
prima richiamati, pure costituzionalmente garantiti. 
    9.1 La surrogazione di maternita' cui fa riferimento la legge  n.
40/2004  riveste,  infatti,   nel   contesto   delle   metodiche   di
procreazione medicalmente assistita,  una  particolare  posizione  in
quanto, se e' certamente una pratica di riproduzione,  e'  anche,  ed
essenzialmente, una pratica relazionale che coinvolge piu' soggetti e
in modo assai piu' pervasivo di quanto  accada  con  la  fecondazione
eterologa, assumendo nella surrogazione di maternita' rilievo,  oltre
alla posizione del nato,  quella  della  donna  gestante  per  altri.
Pertanto, e' ai diritti di tali soggetti che occorre  avere  riguardo
per valutare se,  in  un  bilanciamento  realizzato  con  criteri  di
ragionevolezza   e   proporzionalita',   sussista    l'esigenza    di
salvaguardia di altri valori costituzionali di pari  grado  a  quelli
sopra considerati. 
    10. La Corte costituzionale nella sentenza n. 162/2014, ritenendo
l'interesse «...della persona nata dalla PMA  di  tipo  eterologo...»
come  «...l'unico  interesse   che   si   contrappone...»   ai   beni
costituzionali  incisi  dal  divieto  di  fecondazione  eterologa   e
valutando se tale interesse potesse essere leso «... a causa sia  del
rischio psicologico correlato ad una genitorialita' non naturale, sia
della  violazione  del  diritto  a  conoscere  la  propria  identita'
genetica...», era pervenuta a conclusione negativa, affermando, anche
sotto i considerati profili, che il divieto di fecondazione eterologa
era il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in
gioco. 
    I rilievi del giudice delle leggi, pur nella  peculiarita'  della
pratica qui considerata, possono rappresentare una linea guida  anche
per il nato da surrogazione di maternita'. 
    10.1 Per quanto concerne la questione del diritto a conoscere  la
propria identita' genetica, la Consulta nella richiamata sentenza  ha
osservato che la questione «...neppure e' nuova. Essa  si  e'  posta,
infatti, in riferimento all'istituto dell'adozione e sulla stessa  e'
di recente intervenuto il legislatore, che ha disciplinato l'an ed il
quomodo  del  diritto  dei   genitori   adottivi   all'accesso   alle
informazioni   concernenti   l'identita'   dei   genitori   biologici
dell'adottato (art. 28, comma 4, della legge 4 maggio 1983,  n.  184,
recante "Diritto del minore ad una famiglia",  nel  testo  modificato
dall'art. 100, comma 1, lettera p, del decreto legislativo n. 154 del
2013). Inoltre, in tale ambito era stato gia' infranto il dogma della
segretezza  dell'identita'  dei  genitori  biologici  quale  garanzia
insuperabile  della   coesione   della   famiglia   adottiva,   nella
consapevolezza  dell'esigenza  di  una  valutazione  dialettica   dei
relativi rapporti (art. 28, comma 5, della legge n.  184  del  1983).
Siffatta esigenza e' stata confermata da questa Corte la quale, nello
scrutinare la norma  che  vietava  l'accesso  alle  informazioni  nei
confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere
essere nominata, ha  affermato  che  l'irreversibilita'  del  segreto
arrecava un insanabile vulnus agli articoli  2  e  3  Cost.  e  l'ha,
quindi, rimossa, giudicando  inammissibile  il  suo  mantenimento  ed
invitando il legislatore ad introdurre apposite disposizioni volte  a
consentire la  verifica  della  perdurante  attualita'  della  scelta
compiuta dalla madre naturale e, nello stesso tempo, a  cautelare  in
termini rigorosi il suo diritto all'anonimato (sentenza  n.  278  del
2013)...». 
    Le  argomentazioni  della  Corte  possono  essere  qui  utilmente
richiamate, non trovando ostacolo nel fatto che nella surrogazione la
questione identitaria del nato potrebbe porsi sotto  un  profilo  sia
genetico (con riferimento alla  donna  che  ha  fornito  l'utilizzato
gamete femminile) che biologico (con riferimento alla  donna  che  ha
portato avanti la gravidanza), dovendo ogni ragionamento al  riguardo
essere collocato in un'ipotetica cornice in cui  la  regolamentazione
della surrogazione di maternita' consentirebbe un  possibile  accesso
alle informazioni, nei limiti e  secondo  le  indicazioni  richiamate
dalla Corte costituzionale. 
    10.2 Nemmeno si giustifica il divieto di surrogazione quale mezzo
per garantire l'interesse  del  nato  a  non  subire  il  pregiudizio
derivantegli  dalla  rottura  del  legame   instaurato   durante   la
gravidanza con la donna gestante,  diversa  da  quella  che  per  lui
assumera' il ruolo di madre effettiva. 
    Non si intende sottovalutare l'importanza  del  legame  prenatale
madre/ figlio, ma  solo  sottolineare  che  se,  per  un  verso,  non
esistono  nel  nostro  paese   accreditati   ed   esaurienti   report
psicologici che confermino il pregiudizio derivante da quel  distacco
ai nati da surrogazione di maternita', per  altro  verso,  gli  esiti
delle ricerche effettuate nei paesi in cui  la  surrogazione  non  e'
vietata ed e' regolamentata (ad esempio, le ricerche  effettuate  nel
Regno Unito  dal  Centre  for  Family  Research  dell'Universita'  di
Cambridge,     a     cura     della     Prof.     Susan      Golombok
(www.cambridge.org/.../modern-families-parents-and-children-)
indicano dopo adeguato monitoraggio che i bambini nati da «gestazione
di sostegno»  non  evidenziano  differenze  nello  sviluppo  emotivo,
sociale e cognitivo rispetto a quelli nati da concepimento naturale o
da ovodonazione. Esiti che sembrano esprimere  quindi  la  rilevanza,
per l'armonico sviluppo psico-fisico del  figlio,  della  positivita'
della relazione con i genitori intenzionali  che  quel  figlio  hanno
voluto, curano e amano. 
    Sicche', pur nel quadro di un generale principio di  precauzione,
non  pare  che,  sotto  il  profilo  considerato,   il   divieto   di
surrogazione di maternita'  possa  rappresentare  l'unico  mezzo  per
garantire la tutela di un interesse costituzionalmente  tutelato  del
nato. 
    11.  A  diversa  conclusione  perviene  questa  Corte  andando  a
valutare se nella condizione della donna  gestante  per  altri  debba
ravvisarsi o meno una lesione della  sua  dignita',  intesa  -  prima
ancora che come diritto fondamentale  -  come  principio  che  permea
l'intero patto costituzionale fondato sulla  centralita'  dell'essere
umano, considerato, in quanto tale e nella  sua  vita  di  relazione,
sempre fine e mai mezzo, principio  che  inerisce,  integrandosi,  ai
diritti fondamentali dai quali diventa inscindibile. 
    Tale valutazione va fatta  anche  alla  stregua  della  normativa
sovranazionale, con  particolare  riferimento  alla  Carta  di  Nizza
introduttiva del principio, giuridicamente vincolante  per  l'Unione,
della inviolabilita' della dignita' umana. 
    11.1 Alla dignita' ha fatto riferimento nella sentenza 24001/2014
la Cassazione che ha posto proprio la dignita' umana della  gestante,
unitamente ad altri profili (la prevista sanzione penale in  caso  di
violazione  del   divieto   e   le   regole   proprie   dell'istituto
dell'adozione), a sostegno della  affermata  contrarieta'  all'ordine
pubblico della surrogazione. 
    Il richiamo operato dalla Corte  di  legittimita'  alla  dignita'
della gestante come bene giuridico  fondamentale  la  cui  tutela  fa
ostacolo alle pratiche di surrogazione di maternita' e' netto, e, pur
tuttavia, la Corte nella sentenza in esame ha anche considerato  che,
stante la fattispecie esaminata (assenza di legame  genetico  tra  il
nato e entrambi i «committenti» che avevano stipulato in  Ucraina  un
contratto di surrogazione  nullo  anche  secondo  la  legge  di  quel
paese), non rilevava «...domandarsi se siano  configurabili  (e  come
reagiscano, eventualmente, sul  divieto  penale  di  surrogazione  di
maternita' ora  previsto  dalla  legge),  fattispecie  di  maternita'
surrogata caratterizzate da intenti di pura  solidarieta'  e  percio'
tali da  escludere  qualsiasi  lesione  della  dignita'  della  madre
surrogata,  come  pure  in  dottrina  si   e'   sostenuto,   inerendo
interrogativi siffatti a problematiche non attinenti alla fattispecie
in esame...». 
    11.2  L'interrogativo  accennato  dalla  Cassazione,  in   quanto
riguardante ipotesi di surrogazione di maternita'  caratterizzate  da
intenti di pura solidarieta', pone quindi  in  relazione  la  lesione
della dignita' della donna con la mercificazione della sua persona  e
della stessa gestazione, conseguente alla commercializzazione,  della
relazione con i committenti. 
    Tale  prospettiva  non  puo'  che  essere  condivisa,   apparendo
irriducibile il contrasto tra la maternita' surrogata e il  principio
di  dignita'  personale   della   gestante   con   riferimento   alla
mercificazione del suo corpo, se degradato  per  «contratto»  a  solo
strumento di procreazione, e con riferimento alla  vincolativita'  di
un «contratto» che la obbliga a disporre del proprio corpo come mezzo
per fini altrui e a consegnare il nato ai committenti. 
    11.3 Con particolare riferimento a tale ultimo  profilo,  proprio
in   ragione   della   stretta    interazione    tra    dignita'    e
autodeterminazione  delle  persone,  considera  la   Corte   che   la
condizione della gestante per altri, contrattualmente vincolata  alla
gravidanza e alla consegna del nato,  risulta  in  contrasto  con  il
peculiare diritto di autodeterminazione riconosciuto alla donna -  il
cui corpo e  la  cui  soggettivita'  sono  centrali  nelle  relazioni
procreative - dal nostro ordinamento che, proprio in  relazione  alle
scelte di genitorialita', a  lei  attribuisce  parola  definitiva  in
ordine alla decisione di  interruzione  della  gravidanza,  nei  casi
consentiti, e in ordine alla decisione di non voler essere nominata. 
    12. Per tali rilievi, si ritiene che  il  divieto  di  maternita'
surrogata garantisca la tutela di fondamentali diritti  della  donna,
violata nella dignita' se vincolata in  una  «gestazione  per  altri»
attuata nella logica dello sfruttamento e commercializzazione del suo
corpo, logica particolarmente evidente  nel  caso  delle  donne  piu'
vulnerabili nei paesi in via di sviluppo e contrastante con i  valori
condivisi  della  civilta'  europea,   espressi   a   partire   dalla
Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina, secondo
cui «...Il corpo umano e le sue parti non debbono essere,  in  quanto
tali, fonte di profitto...» (art. 21), fino alla Carta di  Nizza  che
all'art. 3 stabilisce il divieto di fare del corpo umano e delle  sue
parti in quanto tali una fonte di lucro; e  lesa  nel  suo  peculiare
diritto di autodeterminazione dall'obbligo contrattuale di dare, come
oggetto di consegna, il nato, ai committenti. 
    13. Di contro, potrebbe non  ravvisarsi  lesione  della  dignita'
della donna qualora alla stessa fosse consentito, con scelta libera e
responsabile,  di  accedere  e   dare   senso,   in   condizioni   di
consapevolezza,  alla  pratica  «relazionale»  della  gestazione  per
altri, in un contesto regolamentato in termini  non  riducibili  alla
logica di uno  scambio  mercantile  e  che,  sempre  e  comunque,  le
garantisse un «ripensamento», ossia la possibilita' di tenere per se'
e  riconoscere  il  bambino,  non  potendo  imporsi  alla  donna  per
contratto  (ne'  per  legge)  di  usare  il  proprio  corpo  a   fini
riproduttivi e di essere, o non essere, madre. 
    Solo  in  tale  cornice,  che   consentirebbe   di   diversamente
apprezzare  i  diritti  dei  soggetti  coinvolti,   potrebbe   essere
apprezzato come non manifestamente infondato il prospettato dubbio di
costituzionalita'. 
    13.1 Quella prospettiva, tuttavia, con ogni evidenza e' stata,  e
resta, estranea alla presente fattispecie, in cui la surrogazione  si
e' svolta al di fuori di una pratica relazionale, nel contesto di  un
mercato notoriamente all'epoca deregolato (risulta,  peraltro,  nelle
more del decorso del termine per il deposito  degli  atti  difensivi,
che il Governo indiano ha deciso di vietare alle donne  indiane,  per
proteggerne la dignita', di portare avanti la gravidanza a  pagamento
per coppie di stranieri), in una situazione nella quale, al di la' di
quanto risultante dal  modulo  sottoscritto  (doc.  2-bis,  fascicolo
primo  grado  C.),  non  e'  dato  intravedere  una   condizione   di
soggettivita' e  liberta'  della  donna  che  ha  portato  avanti  la
gravidanza, consegnando dopo il parto la creatura che  e'  nata  agli
intended parents. 
    13.2 Pertanto, al di la' di ogni rilievo (del  quale  il  giudice
remittente dovrebbe farsi carico in sede  di  rimessione)  in  ordine
alla natura dell'intervento che si  richiederebbe  al  giudice  delle
leggi, appare  chiaro  che  il  dubbio  di  costituzionalita'  -  che
andrebbe riferito alla assolutezza del divieto di  cui  all'art.  12,
comma 6, della legge n. 40/2004 - non  assume  rilevanza  alcuna  nel
caso ai specie, dovendo questa Corte delimitare la proposta questione
di legittimita'  con  riferimento  ad  una  fattispecie  che  non  si
allontani da quella concreta, emergente dal caso in esame. 
    14. Ritiene la Corte che sia  invece  prospettabile  una  diversa
questione  di  legittimita'  costituzionale  che   pone   al   centro
l'interesse  del  nato  da  ricorso  a  surrogazione  di   maternita'
effettuata all'estero, secondo le leggi del paese dove quella pratica
e' consentita, a  vedersi  riconosciuto  e  mantenuto  uno  stato  di
filiazione quanto piu' rispondente alle sue esigenze di vita. 
    Il  dubbio  di  costituzionalita'   deriva   dalla   formulazione
dell'art.  263  codice  civile  -  non  prevedendo  tale  norma   che
l'impugnazione del riconoscimento  per  difetto  di  veridicita'  del
minore possa essere accolta solo  quando  sia  ritenuta  dal  giudice
rispondente all'interesse del minore stesso - in stretta  connessione
con  l'interpretazione  offerta  dalla  giurisprudenza  della   Corte
costituzionale e della Cassazione, da considerare «diritto  vivente»,
che esclude possa ravvisarsi un conflitto tra favor minoris  e  favor
veritatis. 
    14.1 La Corte costituzionale ha avuto gia' modo  di  pronunciarsi
al riguardo con la sentenza  n.  112/1997,  essendo  stata  investita
della questione di legittimita' costituzionale dell'art.  263  codice
civile, sollevata sul rilievo che una declaratoria di non veridicita'
del  riconoscimento,  pur  in  presenza  dei  presupposti  normativi,
potrebbe risultare pregiudizievole all'interesse del  minore,  e  che
una decisione che non considerasse il preminente interesse di  questi
alla  conservazione  del  suo  status,  si  risolverebbe  nella  mera
certificazione  della  corrispondenza  tra  il  dato  naturale  e  la
situazione  giuridica,  senza  alcuna  valutazione  delle  specifiche
esigenze di tutela del minore. 
    La  Consulta  ritenne  la  questione  infondata,  affermando  che
l'impugnazione del  riconoscimento  per  difetto  di  veridicita'  e'
ispirata al «principio di ordine superiore che ogni  falsa  apparenza
di stato deve cadere», e individuando nella verita' del  rapporto  di
filiazione un valore necessariamente da tutelare, con la precisazione
che la finalita' perseguita dal legislatore con l'impugnazione ex 263
codice civile consiste proprio nell'attuazione del diritto del minore
all'acquisizione di uno stato corrispondente alla realta' biologica. 
    14.2  Analogo  principio  e'  stato  poi  ribaditi  dalla   Corte
costituzionale nella  sentenza  n.  170/1999,  ad  altri  fini  resa,
secondo  la  quale  «...Nella  crescente  considerazione  del  "favor
veritatis" non si e' ravvisata una ragione di conflitto con il "favor
minoris", poiche' anzi la verita' biologica della procreazione si  e'
ritenuta una componente  essenziale  dell'interesse  del  medesimo  i
minore,  riconoscendosi  espressamente  l'esigenza  di  garantire  al
figlio   il   diritto   alla   propria   identita'   e   precisamente
all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico (sentenze  nn.
216 e 112 del 1997), rispetto al quale puo' recedere l'intangibilita'
dello status, allorche' esso risulti  privato  del  fondamento  della
presunta corrispondenza alla verita' biologica...». 
    14.3 Allo stesso criterio di riferimento  si  e'  successivamente
richiamata la Cassazione nella sentenza n. 7294/2005,  con  la  quale
ha, tra l'altro,  ritenuto  manifestamente  infondata  la  questione,
nuovamente prospettata, di legittimita' costituzionale dell'art.  263
codice civile, nella parte in  cui  non  prevede  alcuna  valutazione
dell'interesse del minore. Ha sottolineato la Corte  di  legittimita'
che «...non vi puo' essere conflitto tra "favor veritatis"  e  "favor
minoris",  ove  si  consideri  che  l'autenticita'  del  rapporto  di
filiazione costituisce l'essenza stessa  dell'interesse  del  minore,
quale inviolabile diritto alla sua identita'..». 
    14.4 Ancora, su un piano generale, nella piu'  recente  ordinanza
n. 12/2012 la Corte costituzionale  ha  affermato  che  la  crescente
considerazione del favor veritatis non si pone in  conflitto  con  il
favor minoris, poiche' anzi la verita' biologica  della  procreazione
costituisce una componente  essenziale  dell'interesse  del  medesimo
minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto
alla propria identita'  e,  segnatamente,  alla  affermazione  di  un
rapporto di filiazione veridico. 
    14.5 A ulteriore conferma che il favor veritatis  si  ponga,  con
riferimento  all'impugnazione  del  riconoscimento  del  minore   per
difetto di veridicita', quale regola di «diritto  vivente»,  rammenta
questa Corte che, nella XIV legislatura,  e'  stata  depositata  alla
Camera il 25 ottobre 2001 la proposta di legge n. 1858/C, recante  un
unico articolo destinato  proprio  a  sostituire  l'art.  263  codice
civile con norma che prevedeva che, nel  decidere  sull'impugnazione,
«...il  giudice  deve  tenere  conto  dell'interesse  del  figlio   a
mantenere   o   meno   lo   status   derivante   dal   riconoscimento
contestato...». 
    15. Alla stregua di tali rilievi, ritiene la Corte di  non  poter
esplorare  soluzioni  ermeneutiche  che  consentano  di  prendere  in
considerazione,  nella  cornice  dell'art.  263  codice  civile,   la
specifica  situazione,  del  minore,  al  fine  di  privilegiare  una
soluzione idonea a realizzare il suo concreto ed effettivo interesse,
alla luce della sua vicenda esistenziale e del contesto personale. 
    La norma, che non accoglie nella sua formulazione un  riferimento
all'interesse  del   minore,   nel   richiamato   univoco   indirizzo
interpretativo da considerare «diritto vivente», pone tuttavia  dubbi
di costituzionalita'  con  riferimento  ai  principi  di  particolare
tutela e protezione che la Costituzione e la Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo,  nell'interpretazione  offerta
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, assicurano ai minori. 
    16.  La  questione   ha   un'incidenza   attuale   nel   presente
procedimento che e' stato promosso ex  art.  263  codice  civile  dal
curatore con riferimento all'art. 269, 3° comma, codice civile  -  la
cui portata non ha consentito allo stesso  curatore  speciale  «...di
astenersi dall'intraprendere l'azione in oggetto, una volta  ottenuto
il mandato giudiziale...» (comparsa  conclusionale  in  appello),  in
quanto «...le norme inderogabili che definiscono  e  disciplinano  in
Italia  la  genitorialita'  ed  in  particolare  la  maternita'   non
consentono oggi a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale  legame
giuridico, se non per il tramite dell'adozione in casi particolari  -
nel presupposto quindi che l'interesse del minore, di cui  lo  stesso
curatore e' portatore, debba identificarsi nel favor veritatis. 
    La rilevanza della questione si evidenzia nella possibilita'  che
una decisione di accoglimento da  parte  della  Corte  costituzionale
potrebbe influenzare l'esito del presente giudizio,  a  fronte  della
conclusione fondata sulla non veridicita' del riconoscimento ex  art.
269, comma 3, codice civile. 
    Qualora, infatti, fosse consentita una  valutazione  in  concreto
dell'interesse del minore, non astrattamente  coincidente  col  favor
veritatis, l'interesse del piccolo L. Z. a vedersi o  meno  mantenuto
lo stato  di  filiazione  materna,  come  risultante  dal  trascritto
certificato di nascita, potrebbe essere misurato anche  alla  stregua
di altri profili, riguardanti  la  particolare  modalita'  della  sua
venuta al mondo, la possibilita' o meno di  altro  legame  giuridico,
certo e ugualmente tutelante, con la madre intenzionale, e  tutte  le
circostanze, anche relative alla  relazione  con  la  predetta  madre
intenzionale, emerse nella fattispecie  in  esame  (si  richiamano  i
rilievi del curatore, sub 5.1). 
    17. La necessita' di tenere sempre da conto il concreto interesse
del  minore  nelle  vicende  giudiziarie  che  lo  riguardano   trova
indicazioni oramai  numerose  nelle  convenzioni  e  regolamentazioni
sovranazionali e nel  percorso  giurisprudenziale,  europeo  e  anche
interno, che hanno contribuito a conferire all'interesse  del  minore
valore di clausola generale, da intendersi come strumento proprio per
una attenta valutazione delle circostanze del caso concreto. 
    17.1 E' inevitabile  un  preliminare  richiamo,  oltre  che  alle
Convenzioni piu' risalenti nel tempo - la  Convenzione  di  New  York
(Convenzione ONU sui diritti  del  fanciullo)  e  la  Convenzione  di
Strasburgo  (Convenzione  europea  sull'esercizio  dei  diritti   dei
fanciulli) - alla Carta di  Nizza  (Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea), ora parte integrante del Trattato  sull'Unione,
che codifica all'art. 24, comma 2, il principio  che  «In  tutti  gli
atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorita'  pubbliche
o da istituzioni private,  l'interesse  superiore  del  bambino  deve
essere  considerato  preminente.»;  nonche'  alle  Linee  Guida   del
Comitato dei Ministri del  Consiglio  d'Europa  su  una  giustizia  a
misura di minore, adottate dal Consiglio dei ministri  del  Consiglio
d'Europa nel 2010 a Bruxelles che pongono il  principio  fondamentale
per cui «Gli Stati membri dovrebbero garantire l'effettiva attuazione
del diritto dei minori affinche'  il  loro  interesse  superiore  sia
posto davanti a ogni altra considerazione in tutte le  questioni  che
li coinvolgono o li riguardano». 
    17.2 Le citate Linee Guida rendono chiaro nelle  loro  articolate
indicazioni che il riferimento al «superiore» interesse del minore va
inteso come ricerca  di  una  soluzione  che  garantisca  l'effettiva
attuazione, non di un  interesse  astratto  e  preconcetto,  ma  come
ricerca del the  best  interest,  cioe'  dell'interesse  concreto  di
«quel» minore che, nel singolo  caso  sottoposto  a  valutazione,  e'
destinatario di un provvedimento. 
    17.3 Anche il piu'  recente  percorso  giurisprudenziale  interno
offre esempi della rilevanza della ricerca del concreto interesse del
minore in tema di relazioni familiari. 
    Si richiamano le pronunce  di  merito  che,  sulla  base  di  una
concreta valutazione del  the  best  interest  of  the  child,  hanno
ammesso la trascrivibilita' nei registri dello stato civile  italiano
di  atti  stranieri  attributivi  della  genitorialita'  alla   madre
intenzionale, a seguito di accordo di maternita' surrogata nel  Regno
Unito (Corte Appello Bari 13 febbraio  2009);  di  atto  di  nascita,
formato in Spagna, del figlio  di  una  coppia  di  donne,  nato  con
donazione del gamete maschile e trasferimento dell'ovulo di una delle
due all'altra che ha portato a termine la gravidanza  (Corte  Appello
Torino 29 ottobre 2014) e le note e numerose  decisioni  in  tema  di
adozione ex art. 44 decreto-legge 1983/184 del figlio del partner  di
coppia dello stesso sesso. Un riferimento  puo'  essere  fatto  anche
alla giurisprudenza di legittimita' (cfr. sentenza n.  601/2013,  con
la quale la Corte di cassazione, con riferimento al contestato affido
di un minore alla madre, con altra donna convivente, ha  respinto  il
ricorso del padre sul rilievo  che  costituiva  un  mero  pregiudizio
ritenere che fosse dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino  il
fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale)
e alla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenza n.  31/2012,  con
cui la Consulta ha  dichiarato  l'incostituzionalita'  dell'art.  567
codice penale nella parte in cui prevede che,  in  caso  di  condanna
pronunciata a carico dei genitori per il delitto  di  alterazione  di
stato, debba automaticamente conseguire  la  perdita  della  potesta'
genitoriale,  precludendo  cosi'  al  giudice  ogni  possibilita'  di
valutazione dell'interesse del minore). 
    18. Con particolare riferimento alle azioni di  stato,  va  anche
rilevato come i criteri di riferimento si siano nel corso  del  tempo
modificati, riflettendo intervenuti mutamenti  nel  costume  e  nella
sensibilita' sociale - basti pensare, senza pretesa  di  completezza,
alla  originaria  codicistica  supremazia  del  favor   legittimatis,
grandemente attenuata dalla riforma del 1975 a favore  della  verita'
biologica, e alle disposizioni in tema  di  filiazione  del  nato  da
fecondazione  eterologa  -  sicche',  tenuto   conto   dei   principi
desumibili dalla normativa sovranazionale e nazionale e dagli approdi
giurisprudenziali, europei e  interni,  e  anche  delle  possibilita'
offerte dalle nuove tecnologie in  tema  di  procreazione  assistita,
sembrerebbe  opportuna  una  rinnovata  riflessione  sul  tema  della
coincidenza - per quanto qui interessa,  limitatamente  all'art.  263
c.c. - tra favor veritatis e favor minoris, considerando il  concreto
interesse del  minore  come  criterio  correttivo  del  principio  di
verita'. 
    19.  Alla  stregua  dei  rilievi  svolti,   sembra   quindi   non
manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' di una  norma
che non prevede, e non consente nella sua univoca interpretazione, di
valutare il concreto interesse del minore a mantenere, o  a  perdere,
l'identita' relazionale e lo status di  una  riconosciuta  filiazione
materna, e che impedisce  quindi  che  quell'interesse  possa  essere
effettivamente  realizzato  con  l'ampiezza  di  tutele  e   garanzie
riconosciute da plurimi principi costituzionali a  ogni  persona,  ai
figli, e, a maggior ragione, ai  minori,  soggetti  piu'  deboli  nel
contesto sociale e familiare. 
    19.1 Il riferimento e' all'art.  2,  per  la  natura  di  diritto
inviolabile riferibile al diritto del minore a  non  vedersi  privato
del nome, dell'identita' personale e  della  stessa  possibilita'  di
avere una «madre», e di mantenere la filiazione nei  confronti  della
madre intenzionale; all'art. 30 che riconosce e promuove, sia pure in
via  sussidiaria,  accanto   alla   genitorialita'   biologica,   una
genitorialita' sociale, fondata sul consenso e indipendente dal  dato
genetico, della  quale  in  alcune  situazioni  problematiche,  quale
potrebbe essere ritenuta la non utile  accertabilita'  di  filiazione
biologica, l'interesse del minore, non  realizzabile  nella  pienezza
della sua tutela con altre modalita',  potrebbe  giovarsi,  principio
che incrocia  il  valore  delle  garanzie  offerte  al  figlio  dalla
assunzione di responsabilita' sociale nei  suoi  confronti;  all'art.
31, che, con disposizione riassuntiva e generale, chiude  e  completa
il quadro delle garanzie  costituzionali  dei  rapporti  familiari  e
dell'infanzia. 
    19.2 L'impossibilita' di valutare in concreto  un  interesse  che
possa non coincidere col favor veritatis puo' prestarsi  a  dubbi  di
ragionevolezza  ex   art.   3   Costituzione,   specie   considerando
l'indicazione dell'art. 9. della legge n. 40/2004  che,  prima  della
decisione n. 162/14  della  Consulta,  in  costanza  del  divieto  di
accesso alla fecondazione eterologa,  aveva  comunque  assicurato  al
nato lo stato di figlio del coniuge o del convivente della donna  che
lo aveva partorito. 
    E'  noto,  peraltro,   che,   nel   nuovo   assetto   conseguente
all'abolizione del divieto di  accesso  alla  eterologa,  esclusa  la
possibilita' che il coniuge o il  convivente  del  genitore  naturale
possano disconoscere  la  paternita'  del  nato  o,  rispettivamente,
impugnare il riconoscimento per difetto  di  veridicita',  autorevole
dottrina dubita che permanga in capo al figlio la legittimazione alle
azioni indicate, anche sul rilievo  che,  stante  la  regola  di  cui
all'art.  9,  comma  3,  un  eventuale  accertamento  negativo  della
paternita' legale non potrebbe comunque  preludere  a  un  successivo
accertamento positivo della paternita' biologica. Sotto tale profilo,
nella prospettiva  in  cui  non  si  possa  procedere  a  valutazione
concreta dell'interesse del minore, la condizione in cui si trova dal
punto di vista dello status il nato da  surrogazione  puo'  risultare
irragionevolmente diversa e sfavorevole rispetto a quello  assicurata
al  minore  nato   dalla,   precedentemente   vietata,   fecondazione
eterologa. 
    20. La norma in  esame,  nella  vigente  interpretazione,  sembra
prestare  il  fianco  al  dubbio  di  costituzionalita'   anche   con
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione all'art. 8 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo, come declinato dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo nella valutazione del diritto del minore al rispetto  della
sua  vita  privata  in  situazioni  riconducibili   alla   maternita'
surrogata. 
    20.1 Si richiamano innanzitutto le sentenze del  26  giugno  2014
(casi Mennesson e Labasee contro Francia - ricorsi n. 65192/11  e  n.
65941/11), nelle quali la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
affrontato la questione  del  rifiuto  di  attribuire  riconoscimento
legale in Francia ai rapporti genitoriali legalmente stabiliti  negli
Stati Uniti tra minori nati da maternita' surrogata e' le coppie  che
si erano sottoposte a tale trattamento. 
    La questione posta alla Corte dai ricorrenti non aveva ad oggetto
la compatibilita' con la Convenzione del divieto posto da  uno  Stato
membro di  ricorrere  alla  surrogazione  di  maternita',  bensi'  la
compatibilita', con i  diritti  garantiti  dalla  Convenzione,  della
decisione dello Stato francese di privare i bambini, nati  da  quella
pratica regolarmente effettuata all'estero,  nel  Paese  in  cui  gli
stessi risiedono, del loro status di figli della coppia che ha  fatto
ricorso alla procreazione assistita. 
    In entrambi i casi, la. Corte, considerato che non vi  era  stata
violazione  dell'art.  8  nei  confronti  delle  coppie   genitoriali
ricorrenti, rilevava la violazione della  norma  con  riferimento  al
diritto dei minori al rispetto della propria vita  privata,  rispetto
concernente il diritto di ciascuno  su  ogni  profilo  della  propria
identita' di essere umano, filiazione compresa. 
    Riteneva infatti la Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  sotto
tale profilo, che i minori si trovavano in uno  stato  di  incertezza
legale e che gli effetti del mancato riconoscimento  nell'ordinamento
francese del  rapporto  di  parentela  tra  i  bambini  e  la  coppia
genitoriale non restavano confinati alla sfera giuridica dei genitori
- i soli ai quali poteva essere imputata la scelta di ricorrere a una
tecnica di procreazione vietata in Francia - ma si estendevano  anche
alla sfera giuridica  dei  minori,  incidendo  sul  loro  diritto  al
rispetto della vita privata, che implica la possibilita' da parte  di
ciascuno di definire i contenuti essenziali della propria  identita',
compresi i rapporti di parentela. 
    Pur avendo sottolineato l'importanza che uno dei  genitori  fosse
anche padre biologico  («prend  un  relief  particulier»),  la  Corte
europea non ha operato pero' distinzioni al riguardo e  ha  affermato
che «...les effets de la non reconnaissance en droit français du lien
de  filiation  entre  les  enfants  ainsi  conçus  et   les   parents
d'intention ne se limitent pas a' la situation de ces derniers... ils
portent aussi sur celle des  enfants  eux-mêmes,  dont  le  droit  au
respect de la vie privee, qui implique que chacun puisse  etablir  la
substance de  son  identite',  y  compris  sa  filiation,  se  trouve
significativement   affecte'»,   ritenendo   tale   situazione    non
compatibile con l'interêt superieur des enfants. 
    20.2  Da  tali  sentenze  puo',  quindi,  trarsi   l'affermazione
generale di un obbligo positivo degli Stati contraenti,  di  tutelare
l'identita' personale di un  minore  -  seppure  nato  attraverso  la
pratica, vietata nello stato membro, della maternita' surrogata -  in
quanto individuo, a prescindere  dai  suoi  legami  biologici  con  i
genitori intenzionali: gli Stati membri del  Consiglio  d'Europa,  se
possono scoraggiare o vietare il ricorso alla surrogacy, non  possono
rifiutare,  senza  eccedere  il  margine  di  discrezionalita'   loro
consentito, la trascrizione di un atto di  nascita  che  assicura  il
rispetto del minore alla vita privata, rispondendo tale  trascrizione
al best interest del minore. 
    20.3 Ancora, all'interesse del minore si e' richiamata  la  Corte
europea      dei      diritti      dell'uomo      nella      sentenza
Paradiso-Campanelli/Italia del 27 gennaio 2015, concernente  un  caso
di  maternita'  surrogata  caratterizzato  dall'assenza   di   legame
biologico tra i genitori intenzionali e il minore. 
    In tale pronuncia, la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
ritenuto che vi fosse stata violazione dell'art. 8 in relazione  alla
disposta misura dell'allontanamento del minore, estendendo la nozione
di «vita familiare» tutelabile ex art. 8 alla relazione di fatto  tra
i genitori d'intenzione e  il  minore,  pur  costituita  illegalmente
secondo l'ordinamento nazionale; richiamando  gli  obblighi  positivi
degli  Stati,  laddove  sia  accertata  l'esistenza  di   un   legame
familiare, «...di agire in modo tale da permettere a tale  legame  di
svilupparsi...»;  affermando  che  «...nel   giusto   equilibrio   da
garantire tra i vari interessi coesistenti, quello del minore, quello
dei genitori, e quelli dell'ordine pubblico... l'interesse  superiore
del  minore  deve  costituire  la   considerazione   determinante...»
ritenendo «...necessario che un minore non sia  svantaggiato  per  il
fatto che  e'  stato  messo  al  mondo  da  una  madre  surrogata,  a
cominciare dalla cittadinanza o dalla identita'...». 
    Pur in  attesa  della  decisione  della  Grande  Camera,  cui  su
richiesta di rinvio del Governo italiano il caso  e'  stato  deferito
con decisione della Corte in data 1° giugno 2015, va sottolineato  il
rilievo delle indicazioni  con  cui  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha svincolato la  nozione  giuridica  di  «vita  familiare»
dall'indefettibilita' del legame genetico, ritenendola comprensiva di
relazioni di fatto la cui tutela corrisponde al preminente  interesse
del minore. 
    21.   Alla   stregua   della   connotazione   attribuita    dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo al  diritto  del  minore  al
rispetto della propria vita privata ex art. 8 Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
non pare conforme a tale norma l'impossibilita' di  valutare  se,  ai
fini dell'attuazione  in  concreto  di  quel  diritto,  vada  o  meno
assicurato il mantenimento della riconosciuta relazione  filiale  del
nato da maternita'  surrogata  con  i  genitori  d'intenzione,  anche
nell'ambito dell'istituto regolato dall'art. 263 codice civile, della
cui  costituzionalita',  in  relazione  all'art.  117,  primo  comma,
Costituzione, puo' quindi dubitarsi. 
    22. Chiarito che la questione in esame non concerne  la  liceita'
della pratica della surrogazione, ma i diritti del  bambino  da  tale
pratica nato - prospettiva efficacemente sintetizzata nella decisione
di una Corte  californiana  (caso  Re  Buzzanca,  Superior  Court  of
California - Family Law  Division  27  agosto  1997)  con  le  parole
«...the baby is here. All the matter is what is best for him now that
he is here and not how he is arrived...») - pare a questa  Corte  che
il   prospettato   dubbio   di   costituzionalita',   che    concerne
esclusivamente la possibilita' di valutare il concreto interesse  del
minore, nel rispetto del diritto alla sua vita privata, a mantenere o
meno il riconosciuto status di filiazione materna, non resti privo di
rilievo a causa di  una  possibile  contrarieta'  di  quell'interesse
all'ordine pubblico, secondo la declinazione e le indicazioni offerte
nella gia' richiamata sentenza di legittimita' 24001/2014. 
    Premesso  che  la  contrarieta'  del  mantenimento  dello  status
filiationis all'ordine pubblico non potrebbe comunque essere ricavata
dal divieto di maternita' surrogata di  cui  all'art.  12,  comma  6,
legge n. 40/2004, non potendo la norma imperativa italiana, da  sola,
esprimere il principio di ordine  pubblico  di  riferimento,  dovendo
aversi    riguardo,    secondo     il     prevalente     orientamento
giurisprudenziale,   all'ordine   pubblico   internazionale    (cosi'
assumendo inevitabile  rilievo  l'esistenza  di  paesi,  anche  della
compagine europea, che  consentono  il  ricorso  alla  pratica  della
surrogazione di maternita'), la questione  va  valutata  anche  sotto
altra decisiva angolazione. 
    Va cioe' sottolineato, alla  stregua  delle  plurime  indicazioni
normative e giurisprudenziali finora richiamate, che, con riferimento
allo stato  di  filiazione,  cosi'  come  per  ogni  altra  questione
concernente un minore, il concetto di  ordine  pubblico  deve  essere
declinato, per l'appunto, con  riferimento  all'interesse  di  questi
(cosi' la citata sentenza 20 ottobre  2014  della  Corte  Appello  di
Torino), secondo un principio ricavabile anche dall'art. 23 del  reg.
CE 2201/2003 (norma che, con riferimento alle decisioni relative alla
responsabilita' genitoriale, espressamente prevede che la valutazione
della non contrarieta' all'ordine pubblico  debba  essere  effettuata
tenendo conto del superiore interesse  del  figlio)  e  con  nettezza
affermato dalla giurisprudenza di Strasburgo,  secondo  cui  «...  il
riferimento all'ordine pubblico non puo', tuttavia, dare carta bianca
e giustificare ogni tipo di rimedio, poiche' l'obbligo di prendere in
considerazione il superiore interesse del bambino incombe sullo Stato
a prescindere dalla natura del legame genitoriale, sia esso  genetico
o di altro tipo...» (Corte EDU, sentenza Paradiso/ Campanelli,  punto
80). 
    23.  Nemmeno,  a  parere  di   questa   Corte,   il   dubbio   di
costituzionalita' e' inciso dalla considerazione di' altri  interessi
di rango costituzionale. 
    In particolare, non potrebbe assumere rilievo contrastante con la
valutazione in concreto dell'interesse  del  minore  il  diritto  del
figlio a conoscere le proprie origini. Tale diritto, riguardato sotto
il duplice profilo di diritto a conoscere la verita' in  ordine  alla
particolare modalita' della propria nascita e di diritto a  conoscere
i dati anagrafici/sanitari del donatore e/o della donna  partoriente,
si  realizza  su   un   piano   diverso   da   quello   che   attiene
all'accoglimento o meno  dell'impugnazione  ex  articolo  263  codice
civile, a meno di non  voler  attribuire  all'annotazione  della  non
veridicita' del riconoscimento, la funzione di «comunicazione»  della
non-nascita dalla madre, in una logica latamente sanzionatoria  della
condotta genitoriale, a scapito del possibile interesse del minore al
mantenimento  di  un  rapporto  giuridico  (oltre  che  di  affetto),
corrispondente alla effettivita' della relazione, con la persona  che
ha formulato il progetto familiare e che dalla nascita  del  bambino,
ne e' madre.