3^ CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI ROMA 
 
    L'anno duemilasedici il giorno 28 del mese di settembre  in  Roma
la Corte di assise di appello di Roma composta dai signori: 
    1. dott. Vincenzo Roselli - Presidente; 
    2. dott.ssa Maria Luisa Paolicelli - consigliere; 
    3. sig. Ennio Girimonte - giudici popolari; 
    4. sig. Francesco Cattivera - giudici popolari; 
    5. sig. Mauro Galligani - giudici popolari; 
    6. sig. Alberico De Giacco - giudici popolari; 
    7. sig. Francesco Diano - giudici popolari; 
    8. sig.ra Simonetta Marchese - giudici popolari; 
    ha pronunciato in pubblica udienza la  seguente  ordinanza  nella
causa penale in grado d'appello; 
    Contro L. P. ...., n. Roma il 14  marzo  1989,  arrestato  il  22
giugno 2010, agli AA.DD.  Omissis.  arrestato  il  5  novembre  2014,
difeso dall'avv. Sereni Andrea,  Via  Lucio  Afranio  n.  23  e  avv.
Faiella Simone, Via Groenlandia n. 31 - Roma, detenuto C.R.  Rebibbia
presente; 
    Parti civili: 
    1) D. C. L., n. Roma il 3 giugno 1966 - omissis; 
    2) D. C. P., n. Roma il 23 maggio 1968 - omissis, 
rappresentate dall'avv. Moscato Eleonora, Via Asiago n. 8 - Roma. 
    Imputato: 
    a) del delitto p. e p. dagli articoli 61 nn. 2 e 5, 575, 576 n. 1
codice penale per aver, in ora notturna,  volontariamente  cagionato,
al fine di realizzare il delitto descritto al capo b), la morte di A.
P. di anni 64 - e dunque approfittando di circostanze di tempo  e  di
persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa -  vibrandole
colpi di arma da taglio monotagliente dotato di una  punta  e  di  un
filo di dimensioni dai cinque ai dieci centimetri che  le  recidevano
l'arteria carotidea e la vena giugulare; 
    b) del reato p. e p. dagli articoli 61 n. 5, 81 e 628 commi 2 nn.
1 e 3-bis codice penale per aver, nelle circostanze di tempo e  luogo
citate al capo a) che precede, dopo  essersi  introdotto  all'interno
dell'appartamento di A. P. al fine di  impossessarsi  di  valori  ivi
custoditi dalla stessa e dopo essere stato sorpreso dalla donna - che
lo  conosceva  -  prima   che   potesse   compiere   la   sottrazione
prefissatasi,  colpita  con   arma   da   taglio,   per   assicurarsi
l'impunita', la P. , che veniva sopraffatta e uccisa  come  descritto
al capo a). 
    In Roma, Via , presso l'abitazione di P. A. nella notte tra il 14
e il 15 aprile del 2010. Modificato  il  reato  di  cui  al  capo  b)
nell'ipotesi tentata di cui agli articoli 81, 56 - 628 commi  1  e  3
nn. 1 e 3-bis, 61 n. 5 c.p. 
    Recidiva specifica infraquinquennale cosi'  come  contestato  dal
pubblico ministero nell'udienza del 16 marzo 2012. 
    Appellante l'imputato avverso  la  sentenza  della  3^  Corte  di
assise di Roma emessa in data  4  aprile  2012  la  quale  condannava
l'imputato alla pena di anni 22 di  reclusione,  oltre  al  pagamento
delle spese processuali e di custodia cautelare.  Sentenza  della  1^
Corte di assise di appello di Roma emessa in data 21 maggio  2013  la
quale riduceva la pena in anni 12 di reclusione. Sentenza della Corte
di cassazione emessa in data 4 novembre 2014 la  quale  annullava  la
sentenza impugnata limitatamente alla diminuente di cui all'art.  116
codice penale e al giudizio di bilanciamento  tra  le  circostanze  e
rinviava per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di
appello di Roma. 
 
                             Motivazione 
 
    Va preliminarmente puntualizzato che: 
    il presente giudizio di rinvio e' conseguente alla sentenza della
Corte di cassazione del 4 novembre 2014 che, investita di ricorso sia
del Procuratore generale di Roma che della difesa del L.  avverso  la
sentenza della Prima Corte d'assise d'appello di Roma del  21  maggio
2013, mentre rigettava il gravame proposto dal L., invece  accoglieva
l'impugnazione del Procuratore generale  avverso  la  derubricazione,
operata dalla Corte di merito, in concorso anomalo ex art. 116 codice
penale dell'originaria contestazione  di  omicidio  volontario  della
quale la Terza Corte d'assise di Roma aveva ritenuto responsabile  il
L.; esso era stato gia'  incardinato  presso  questa  Corte  d'assise
d'appello che, «in limine litis», all'udienza  del  29  maggio  2015,
aveva  ritenuto  non  manifestamente  infondata   la   questione   di
costituzionalita', sollevata dalla difesa, dell'art. 360  del  codice
di procedura penale, in  relazione  agli  articoli  24  e  111  della
Costituzione, ove non prevede che le garanzie difensive approntate da
detta norma riguardino le attivita' di individuazione e  prelievo  di
reperti utili per la ricerca del DNA; 
    la  Corte  costituzionale,  con  ordinanza  del  23  marzo  2016,
dichiarava la manifesta inammissibilita' della predetta questione  di
legittimita'; 
    rifissato il giudizio di rinvio dinanzi questa  Corte  la  difesa
del L., con memoria depositata il 25 settembre 2016, ha riproposto la
suindicata eccezione, ed all'odierna udienza, in sede di  discussione
orale, ha insistito perche' essa venisse nuovamente sollevata; P.G. e
difensore delle parti civili  hanno  espresso  la  loro  contrarieta'
all'accoglimento dell'istanza difensiva. 
    Cio' premesso, osserva anzitutto questa Corte che  la  suindicata
pronunzia  d'inammissibilita'  da  parte  della   Consulta   non   e'
preclusiva della riproposizione della questione di  costituzionalita'
in quanto dalla motivazione dell'ordinanza del 23 marzo  2016  emerge
che la Corte costituzionale non e' entrata nel merito  dell'eccezione
ritenuta non manifestamente infondata dalla Corte remittente,  ma  ha
solo  censurato  una  carenza  di  motivazione  in  ordine  sia  alla
«rilevanza» della eccezione medesima sia  alla  individuazione  delle
garanzie difensive che secondo la Corte d'assise d'appello dovrebbero
essere assicurate all'indagato; ne consegue che, dovendosi  nel  caso
in  esame  qualificare  l'ordinanza  di  inammissibilita'   come   un
provvedimento  di  restituzione  degli  atti  al  giudice  remittente
perche' provveda, «melius  re  perpensa»,  a  riformulare  meglio  la
questione, nulla osta (come  ritenuto  anche  dal  P.G.  nell'odierna
discussione orale) a che la questione venga nuovamente riproposta. 
    Va, in proposito,  osservato  che  la  Corte  costituzionale  con
ordinanza   n.   303/2006   ha   riconosciuto   che   la    pronunzia
d'inammissibilita', quando e' basata, come nel caso in esame,  su  un
difetto di motivazione da  parte  del  giudice  a  quo  in  punto  di
rilevanza  della  questione,  e'  «rimediabile».  E,  infatti,  nella
fattispecie oggetto della predetta ordinanza la Consulta,  nonostante
l'arbitro di Venezia  avesse  riproposto,  nell'ambito  del  medesimo
procedimento, la stessa questione di legittimita' costituzionale gia'
dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte  per  carenza  di
motivazione in punto di rilevanza, si e' pronunziata per la manifesta
inammissibilita' in quanto le osservazioni  del  giudice  a  quo  non
«colmavano»  la   «lacuna   motivazionale»   gia'   rilevata,   cosi'
riconoscendo che la questione  poteva  essere  riproposta  e  che  la
motivazione poteva essere «colmata». 
    Osserva al riguardo questa Corte: 
        La  «rilevanza»  dell'eccezione  di   costituzionalita'   nel
presente  processo  penale  emerge  dagli  stessi  atti  processuali;
infatti: 
        la sentenza della  Prima  Corte  d'assise  d'appello  del  21
maggio 2014 aveva (cfr. in particolare  pag.  16  della  motivazione)
posto a base della qualificazione come solo concorso anomalo ex  art.
116 del  codice  penale  dell'originaria  contestazione  di  omicidio
volontario della quale il L. era stato  ritenuto  responsabile  dalla
sentenza   di   primo   grado,   la   nullita'    (con    conseguente
inutilizzabilita' ai fini della decisione) degli atti di ispezione  e
prelievo eseguiti il 5 maggio 2010 e  delle  successive  analisi  che
avevano accertato la presenza del DNA della vittima in una traccia di
sangue nell'appartamento abitato dall'imputato il giorno del  delitto
(appartamento sito  al  piano  superiore  di  quello  della  vittima)
nonche' la presenza congiunta del  DNA  della  vittima  e  di  quello
dell'imputato nelle tracce di sangue rinvenute  sul  parapetto  della
scala che portava dall'appartamento della vittima a quello abitato in
quei giorni dal L.; 
        la sentenza delle Corte  di  cassazione  del  4  maggio  2014
motivava l'annullamento della decisione della  Corte  di  merito  sul
punto relativo alla suindicata derubricazione recitando  testualmente
(pag. 13 della  sentenza)  che  «...  devono  ritenersi  erroneamente
espunti dal complesso degli elementi di prova oggetto di  valutazione
da parte dei giudici di  secondo  grado  i  risultati  dell'attivita'
genetica eseguita dai Carabinieri del R.I.S. in relazione alle tracce
ematiche repertate in data 5 maggio 2010.». 
    Ne consegue, come sottolinea anche la memoria difensiva  del  L.,
che la questione di costituzionalita' dell'art.  360  c.p.p.  laddove
non prevede il rispetto delle garanzie difensive anche  in  occasione
dei prelievi delle tracce ematiche finalizzati alla ricerca  del  DNA
assume rilevanza nell'ambito  del  presente  procedimento  in  quanto
l'eventuale declaratoria d'incostituzionalita' della  norma  ex  art.
360 c.p.p. nei termini gia' proposti, comporterebbe che le  attivita'
di prelievo delle tracce ematiche operate dal R.I.S. il 5 maggio 2010
sarebbe viziata da nullita' con inevitabile rilevante riflesso  nella
valutazione  del  compendio  probatorio  quantomeno  in  ordine  alla
qualificazione  della  condotta  criminosa  del  L.   come   omicidio
volontario oppure come concorso anomalo ai sensi art. 116 c.p. 
    Quanto    poi    al    merito     della     dedotta     eccezione
d'incostituzionalita' dell'art. 360 c.p.p., puntualizzato che non  e'
oggetto di contestazione nel presente procedimento sul fatto  che  il
L. all'atto del prelievo il 5  maggio  2010  rivestisse  la  qualita'
d'indagato di reato (anche se formalmente non iscritto  nel  registro
ex art. 335 c.p.p.), va osservato che la distinzione, effettuata  nel
presente processo, dal  giudice  di  legittimita'  tra  «rilievi»  ed
«accertamenti», e sulla base  della  quale  solo  rispetto  a  questi
ultimi   viene   in   rilievo   e   va   apprezzato   il    requisito
dell'irripetibilita', e'  conforme  ad  un  consolidato  orientamento
giurisprudenziale; oltre alle  pregresse  pronunzie  della  Corte  di
cassazione richiamate nella predetta  sentenza  vanno  qui  ricordate
anche la sentenza n. 2443 del 13 novembre 2007 della  quinta  Sezione
penale la n. 632 del 7 dicembre 2006 della Prima Sezione Penale. 
    La difesa del L. solleva invece  dubbi  di  costituzionalita'  su
tale distinzione, ove essa, come sostenuto dalla giurisprudenza,  sia
ritenuta  applicabile  anche  ai  prelievi  di  materiale  biologico,
osservando che le operazioni di  asporto  e  raccolta  di  tracce  di
materiale genetico non possono essere qualificate come mere attivita'
esecutive essendo gli esperti incaricati di tale asporto  e  raccolta
tenuti al rispetto, per eliminare o perlomeno minimizzare i rischi di
contaminazione e  manipolazione  che  rendono  irripetibili  siffatte
attivita', di severi protocolli cautelari, quali la delimitazione dei
percorsi di accesso e di camminamento, l'uso di  tute  «ad  hoc»,  il
cambiamento di strumenti e dotazione in corso d'opera,  il  filmaggio
delle operazioni («filmaggio», rileva incidentalmente la difesa, che,
nel caso in esame, non fu fatto). 
    Ne  consegue,  rileva  la  difesa,  che  speculare   al   diritto
dell'indagato di interloquire, tramite il  suo  difensore  o  un  suo
consulente,  sulla  valutazione  del  materiale  genetico   raccolto,
dovrebbe essere anche il suo  diritto  di  poter  controllare,  nella
pregressa e ripetesi irripetibile fase di asporto  e  prelievo  delle
tracce, il rispetto da parte degli esperti dei protocolli finalizzati
proprio a preservare detta fase  da  contaminazioni  ed  alterazioni,
laddove  la  negazione  di  tale  diritto,   cosi'   come   emergente
dall'interpretazione  riduttiva,  che  opera  la  giurisprudenza   di
legittimita', del disposto dell'art. 360 c.p.p. contrasta  oltre  che
col principio d'eguaglianza sancito dall'art.  3  della  Costituzione
soprattutto coi principi ispiratori  del  diritto  di  difesa  e  del
giusto processo sanciti dagli articoli 27  e  111  (novellato)  della
Carta costituzionale. 
    Rileva questa Corte che le attivita' di  asporto  e  prelievo  di
tracce di materiale biologico attinenti la ricerca del DNA  non  sono
omologabili ad altre piu' tradizionali operazioni di repertazione. 
    Infatti, pur in assenza d'una specifica normativa in materia,  e'
incontestabile l'intervenuto  consolidarsi,  nella  prassi  operativa
delle attivita' di asporto e prelievo di dette tracce, di  articolati
e sofisticati protocolli disciplinanti dette operazioni (e della  cui
esistenza e del cui asserito rispetto nel  presente  procedimento  ha
testimoniato lo stesso personale del R.I.S. intervenuto il 5 dicembre
2012),  protocolli  univocamente  indicativi   non   soltanto   della
delicatezza  e  del  pericolo  di   contaminazione   fisiologicamente
connessi alle operazioni di  prelievo,  ma  anche  della  necessita',
ancor prima dell'attivita' di asporto, dell'osservanza di  cognizioni
tecniche  volte  ad  individuare  e  delimitare  delle  zone  in  cui
ricercare le tracce di materiale biologico;  trattasi  pertanto  d'un
complesso di operazioni che, implicando anch'esse un rilevante  tasso
di valutazione tecnico-scientifica, non  possono  essere  qualificate
come meramente materiali e/o esecutive, dovendo invece legittimamente
essere  considerate  anch'esse  come  «accertamenti»,  anche  se   di
contenuto e profilo diverso dai successivi esami di laboratorio volti
alla ricerca del DNA cui il materiale prima ricercato e poi asportato
verra' sottoposto. 
    La riconduzione  di  siffatte  attivita'  nella  categoria  degli
accertamenti trova del resto un  riscontro  normativo  nel  combinato
disposto degli articoli 360 e 364 quinto comma  c.p.p.;  al  riguardo
questa Corte  ritiene  di  dover  evidenziare  che  nella  precedente
ordinanza di remissione del 29 maggio 2015 non aveva sostenuto  (come
sembra ritenere l'ordinanza della Corte costituzionale del  23  marzo
2016) che per la caratteristiche dell'atto ispettivo «a sorpresa» non
era necessario per il successivo prelievo l'avviso al  difensore:  se
e' vero infatti che dette norme prevedono la possibilita'  d'un  atto
ispettivo  «a  sorpresa»   (quale   quello   operato   nel   presente
procedimento  il  5  maggio  2010)  proprio  al   fine   di   evitare
l'alterazione delle tracce del reato, esse  d'altro  lato  sanciscono
che le analisi sulle tracce «salvate» dall'alterazione debbano essere
compiute in contraddittorio e, quindi, esse vengono a sottolineare il
carattere   d'irripetibilita'   delle   operazioni   di   ricerca   e
repertazione delle  tracce  di  materiale  biologico  (operazione  di
asporto e prelievo  che  per  la  loro  natura  intrinseca,  come  ha
sottolineato anche la difesa anche in sede di discussione  orale  non
sono qualificabili come meri atti «ispettivi»); ne  consegue  che  e'
estensibile a tali accertamenti l'intero, regime di garanzia previsto
nella rubrica dell'art. 360 c.p.p. appunto per «gli accertamenti  non
ripetibili»,  regime  di  garanzia  estrinsecabile   nel   temporaneo
sequestro da parte degli  operanti  della  zona  e/o  del  luogo  ove
dev'essere operato il prelievo e nella contestuale notifica, prima di
effettuare il prelievo, anche «ad horas»,  all'indagato,  dell'avviso
che si procedera'  a  siffatto  prelievo  e  dell'avvertenza  che  ha
facolta' di nominare un consulente di sua fiducia. 
    Non  e'  pertanto,  a  giudizio  del   Collegio,   manifestamente
infondata la questione  di  costituzionalita'  dedotta  dalla  difesa
laddove  sostiene  che  l'esclusione  (cosi'  come  apprezzabile  nel
vigente «diritto vivente») del diritto di chi sia indagato di reato a
poter  intervenire,  secondo  le  procedure  previste  dal   disposto
dell'art. 360 c.p.p., nell'attivita' tecnico-scientifica  di  ricerca
ed  asportazione  delle  tracce  di  materiale  biologico,  viene   a
contrastare non solo col diritto  di  difesa  tutelato  dall'art.  25
della Costituzione ma  anche  col  principio  ispiratore  del  giusto
processo   consacrato   nell'art.   111   novellato    della    Carta
costituzionale  che  prevede  che  la  prova   debba   formarsi   nel
contraddittorio delle parti. 
    Va quindi sollevata questione di costituzionalita' dell'art.  360
c.p.p. in relazione agli articoli 25 e 111 della Costituzione ove non
prevede  che  le  garanzie  difensive  approntate  da   detta   norma
riguardano anche le attivita' d'individuazione e prelievo dei reperti
utili per la ricerca del DNA.