IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'UMBRIA (Sezione prima) Ha pronunciato la presente ordinanza: sul ricorso numero di registro generale 651 del 2014, proposto da Roberto Carlo Gianni', rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso Luigi Marra, codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con domicilio eletto presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici n. 14; sul ricorso numero di registro generale 652 del 2014, proposto da Rosanna Costagliola, rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso Luigi Marra codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con domicilio eletto presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici n. 14; sul ricorso numero di registro generale 653 del 2014, proposto da Giancarlo Ferulano, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso Luigi Marra, codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con domicilio eletto presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici n. 14; sul ricorso numero di registro generale 654 del 2014, proposto da Bruno Piccirillo, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso Luigi Marra codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con domicilio eletto presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici n. 14; sul ricorso numero di registro generale 650 del 2014, proposto da Elena Camerlingo, rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso Luigi Marra codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con domicilio eletto presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici n. 14. Per l'esecuzione: quanto al ricorso n. 651 del 2014: del giudicato formatosi sul decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13 del 30 luglio 2013; quanto al ricorso n. 652 del 2014: del giudicato formatosi sul decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13 del 30 luglio 2013; quanto al ricorso n. 653 del 2014: del giudicato formatosi sul decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13 del 30 luglio 2013; quanto al ricorso n. 654 del 2014: del giudicato formatosi sul decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13 del 30 luglio 2013; quanto al ricorso n. 650 del 2014: del giudicato formatosi sul decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13 del 30 luglio 2013. Visti i ricorsi e i relativi allegati. Viste le memorie difensive. Visti tutti gli atti della causa. Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze. Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2016 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. 1. I fatti all'origine della controversia. Con sentenza n. 196 del 25 febbraio 2016 questo Tribunale amministrativo regionale accoglieva il ricorso con cui si chiedeva l'ottemperanza al decreto della Corte d'appello di Perugia n. 1477 del 2013 recante, a sua volta, la condanna del Ministero dell'economia e delle finanze alla riparazione del danno da ritardo giudiziario (ex lege n. 89/2001) per una somma, in favore di ciascuno dei ricorrenti, pari ad € 5.000,00, oltre agli interessi legali dal giorno della domanda a quello del saldo, nonche' al pagamento delle spese legali. Il Tribunale amministrativo disponeva in particolare che: a) il Ministero dell'economia e delle finanze provvedesse entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza al pagamento delle somme di cui sopra in favore di ciascuna delle parti ricorrenti; b) per il caso di persistente inadempienza oltre il termine stabilito si nominava sin da subito quale commissario ad acta il Direttore della Banca d'Italia, Roma succursale, filiale di via dei Mille n. 52, nelle funzioni di tesoreria provinciale dello Stato. Il commissario, nel termine eventuale ed ulteriore di sessanta giorni, avrebbe provveduto «in particolare a: a) prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; b) utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; c) utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del pagamento in conto sospeso». Con successiva istanza depositata in data 4 aprile 2016, ai sensi dell'art. 114, commi 6, c.p.a., il predetto Direttore della Banca d'Italia faceva tuttavia presente che la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'art. 1, comma 777, lettera l), aveva previsto che per i giudizi di ottemperanza relativi alla legge n. 89 del 2001 (cosiddetta legge Pinto) «il giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell'amministrazione soccombente». Di qui la richiesta di essere sollevato dall'incarico conferito, dato che la relativa decisione era stata adottata in esito alla camera di consiglio del 10 febbraio 2016, ossia all'indomani della entrata in vigore della suddetta disposizione di cui alla legge finanziaria per il 2016. Alla camera di consiglio del 22 giugno 2016 la suddetta istanza veniva dunque trattenuta in decisione. 2. Il quadro normativo rilevante ai fini della decisione. 2.1. La citata legge n. 89 del 2001, come noto, prevede determinati rimedi all'irragionevole durata del processo in violazione dell'art. 6 della CEDU. Tra questi, il diritto all'equa riparazione sulla base dei parametri di cui all'art. 2-bis della stessa legge. Ai sensi del successivo art. 3, la relativa domanda va presentata con ricorso davanti al Presidente della Corte di appello nel cui distretto si trova la sede del giudizio definito «con ritardo». Il ricorso viene in particolare proposto nei confronti di: Ministero della giustizia allorche' si tratti di ritardi del giudice ordinario; Ministero della difesa in caso di ritardi del giudice militare; Ministero dell'economia e delle finanze in tutti gli altri casi (giudice amministrativo, commissioni tributarie, Corte dei conti, ecc.). La Corte di appello decide con decreto l'ammontare della somma dovuta a titolo, per l'appunto, di equa riparazione. Qualora l'amministrazione condannata al suddetto pagamento non esegua nel termine prescritto e' possibile procedere all'esecuzione forzata della somme cosi' liquidate oppure mediante giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo, ai sensi degli articoli 112 e seguenti del decreto legislativo n. 104 del 2010. Su tale ultimo aspetto e' incisivamente intervenuta la citata legge finanziaria per il 2016, la quale ha introdotto uno specifico art. 5-sexies nel corpo della originaria legge n. 89 del 2001. Il comma 8 della suddetta disposizione prevede, come del resto gia' anticipato, che «Qualora i creditori di somme liquidate a norma della presente legge propongano l'azione di ottemperanza di cui al titolo I del libro quarto del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell'amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. I compensi riconosciuti al commissario ad acta rientrano nell'onnicomprensivita' della retribuzione dei dirigenti». 2.2. Dal canto suo, il decreto legislativo n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo) in tema di commissario ad acta prevede: a) all'art. 21, ricompreso a sua volta nel titolo I, capo VI (Ausiliari del giudice), che «Nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, puo' nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta. Si applica l'art. 20, comma 2»; b) all'art. 20, comma 2, c.p.a., che «Il consulente, o il verificatore, puo' essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell'art. 51 del codice di procedura civile». Le citate norme costituiscono espressione del principio costituzionale di cui all'art. 108, secondo comma, Cost., a norma del quale «La legge assicura l'indipendenza ... degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia». 2.3. Chiarito cio', ai fini della risoluzione della controversia in esame risulta giocoforza pregiudiziale, ad avviso del collegio, sollevare questione di legittimita' costituzionale della citata disposizione della legge finanziaria per il 2016. Norma questa in ordine alla quale il collegio nutre dubbi di compatibilita', in particolare, con gli articoli 3, 24, 104 e 108 Cost., nei sensi e nei limiti di cui si dira' appresso. 3. Circa la rilevanza della questione da sollevare. Quanto al necessario nesso di strumentalita' tra la soluzione della questione di legittimita' costituzionale e la definizione del presente giudizio, va innanzitutto rilevato come l'istanza di sostituzione presentata dal commissario ad acta a suo tempo nominato con la predetta sentenza di questo Tribunale amministrativo implichi, giocoforza, la applicazione della citata disposizione della legge finanziaria 2016 [art. 1, comma 777, lettera l)], ossia la esclusiva nomina di un dirigente di seconda fascia della amministrazione rivelatasi in questa sede inadempiente. Da una lettura della legge sopravvenuta in corso di giudizio non residuano infatti spazi di discrezionalita' o di diverse opzioni interpretative, finanche sulla base di letture costituzionalmente orientate della norma in questione. Il giudice amministrativo e' vincolato, per siffatti inadempimenti rispetto al dictum giudiziale, a percorrere unicamente questa strada. E cio' anche sulla base di un preciso indirizzo della Corte di legittimita' in base al quale «nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sue entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia piu' rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio» (Cassazione civile, sezione III, 15 febbraio 2011, n. 3688). Di qui la evidente rilevanza della questione, dal momento che in siffatto contesto processuale dovrebbe trovare applicazione l'opzione normativa adottata dal legislatore finanziario per il 2016 la quale, tuttavia, contrasta ad avviso del collegio con le disposizioni costituzionali che, nell'ambito del paragrafo dedicato alla non manifesta infondatezza, verranno partitamente individuate. 4. Circa la non manifesta infondatezza: il thema decidendum e i singoli profili di sospetta incostituzionalita'. 4.0. Ai fini che qui interessano ed in funzione dei parametri costituzionali che si reputano violati (articoli 24, 104 e 108) due sono i principi che, in tema di commissario ad acta nel processo amministrativo in generale, debbono essere tenuti ben presenti: a) il commissario ad acta quale ausiliario del giudice dotato di imparzialita' e terzieta'; b) il potere ampiamente discrezionale di nomina del medesimo commissario in capo al giudice amministrativo. 4.1. Quanto al primo profilo (imparzialita' del commissario ad acta quale ausiliario del giudice) va detto in via preliminare che la giurisprudenza del Consiglio di Stato si e' a piu' riprese espressa sull'esigenza che si debba trattare di organo che offra «completa garanzia di legalita' e di imparzialita' per l'espletamento di un'attivita' che, pur essendo la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall'amministrazione, ne differisce, tuttavia, giuridicamente, perche' si fonda sull'ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo» (Consiglio di Stato, sezione IV, 14 ottobre 2004, n. 6673; Consiglio di Stato, sezione III, 21 novembre 2012, n. 5890). In questa direzione, l'art. 21 c.p.a. annovera espressamente il commissario ad acta tra gli ausiliari del giudice cui quest'ultimo ricorre nelle ipotesi in cui «deve sostituirsi all'amministrazione». Viene in tal modo definitivamente superata l'antica disputa tra la tesi che vedeva il commissario alla stregua di organo (ausiliario) del giudice e quella che lo vedeva invece come organo straordinario della pubblica amministrazione. Disputa definitasi come evidente a vantaggio della prima tesi. L'imparzialita' e la terzieta' degli ausiliari del giudice e' in questi termini riconducibile a quella costituzionalmente imposta al giudice. Cio' significa che il consulente non deve essere legato a nessuna delle parti del processo, analogamente a quanto e' prescritto per il giudice. Tale imparzialita' e' garantita dalla legge sotto un duplice profilo: innanzitutto con il demandarne la nomina al giudice, organo per il quale l'imparzialita' e' autonomamente e preliminarmente prescritta [di qui anche la sussistenza di un potere ampiamente discrezionale in capo a quest'ultimo (Cass. civile, sezione lavoro, 17 novembre 1997, n. 11412)]; in secondo luogo con la previsione, anche per il consulente tecnico, degli istituti propri dell'astensione e della ricusazione (Cass. civile, sezione I, 22 luglio 2004, n. 13667). Questa la scelta netta operata dal codice del processo amministrativo del 2010, rispettivamente mediante le citate disposizioni di cui agli articoli 21 e 20, comma 2. A tale figura commissariale si applica pertanto l'art. 51 c.p.c. in materia di obblighi di astensione e, dietro espressa previsione di cui all'art. 20, comma 2, c.p.a. (cui rinvia lo stesso art. 21 c.p.a.), per le medesime ragioni ivi contemplate puo' anche essere chiesta la ricusazione dalle parti del giudizio (e dunque in estrema sintesi, per quanto di interesse nella presente fattispecie: interesse nella causa, frequentazione delle parti, collaborazione professionale intensa o abituale). In proposito si ritiene tra l'altro che la ricusazione scatti non solo per le cause obbligatorie di cui al citato art. 51 c.p.c. ma anche per quelle facoltative e, tra queste, per tutte le gravi ragioni di convenienza. Siffatte esigenze di imparzialita' nascono altresi' dal fatto che il commissario ad acta adotta provvedimenti che hanno natura giudiziaria la cui verifica - in termini di coerenza con l'ordine contenuto nella sentenza passata in giudicato - spetta al giudice che l'ha nominato: ed infatti i suoi atti non possono essere unilateralmente modificati dalla pubblica amministrazione ma soltanto impugnati davanti allo stesso GA mediante apposito incidente di esecuzione (Corte costituzionale, 12 maggio 1977, n. 77; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 14 luglio 1978, n. 23). Si tratta in sostanza di un organo paragiurisdizionale, come anche affermato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. n. 1433 del 1995 e n. 605 del 2006). In questa stessa direzione l'attivita' del commissario ad acta si mostra anzi piu' pregante ed incisiva rispetto ad altri ausiliari del giudice. Essa non si limita infatti ad eseguire atti meramente istruttori o propulsivi ma direttamente sostitutori rispetto alle prerogative della pubblica amministrazione. In questi termini e' un quid pluris rispetto ad altri ausiliari, data la natura sostanzialmente giurisdizionale del proprio operato. 4.2. Sotto il secondo profilo (ampia discrezionalita' del giudice nella scelta del commissario) sulla base della impostazione codicistica - e prima ancora del diritto vivente - rimane in capo al GA un largo margine di scelta sui requisiti per la nomina del commissario ad acta e sulla sua identita', atteso il suo elevato carattere fiduciario. Cio' risulta particolarmente evidente nella parte in cui, all'art. 21 che si occupa proprio di nomina di questa particolare figura del processo amministrativo, non sono ribaditi gli stessi vincoli cui e' invece subordinata la nomina dei consulenti tecnici di ufficio (cfr. art. 19, ove si rinvia a soggetti iscritti in specifici albi o comunque dotati di particolare competenza tecnica). Sul potere ampiamente discrezionale del giudice amministrativo si e' soffermata la stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza 12 maggio 1977, n. 75) nella parte in cui si e' affermato che «al giudice amministrativo non sarebbe possibile disconoscere, nell'esercizio dei poteri giurisdizionali attribuitigli dall'art. 27, n. 4, del testo unico n. 1054 del 1924, una prudente discrezionalita', sia nel determinarsi per l'uno o per l'altro mezzo di esecuzione del giudicato, sia nella scelta (eventuale) del commissario ovvero dell'organo al quale demandarla». Ancora sull'ampio potere discrezionale di nomina degli ausiliari del giudice piu' in generale si e' peraltro espressa la giurisprudenza della Cassazione con riguardo alla scelta dei consulenti tecnici di ufficio (cfr. Cass. sezione lavoro, 17 novembre 1997, n. 11412). Seguendo questa stessa impostazione, parte della dottrina non ha del resto esitato ad affermare come siffatta nomina sia nella disponibilita' del giudice. 4.3. Ora, volendo ancorare i suddetti principi a parametri costituzionali certi e' possibile affermare che: a) la necessita' di scegliere un commissario indipendente deriva sia dall'art. 24 Cost. (principio di effettivita' della tutela che si estrinseca anche attraverso il diritto ad un giudice terzo ed imparziale, dunque equidistante) sia dall'art. 108 Cost. (secondo cui «La legge assicura l'indipendenza ... degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia»); b) l'ampia discrezionalita' del GA nel potere di scelta del commissario piu' idoneo e imparziale scaturisce a sua volta dall'art. 104 Cost. (secondo cui «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere») e, piu' in particolare, dall'art. 108, secondo comma, Cost. («La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali»). 4.4. Nel contesto sopra descritto si e' venuta dunque a collocare la scelta del legislatore finanziario per il 2016; scelta che si pone in termini di netta rottura - pur se limitatamente al sistema della cosiddetta legge Pinto - rispetto ai principi sopra delineati. E tanto sia nella parte in cui viene stabilito che il commissario dovra' essere un soggetto interno alla pubblica amministrazione inadempiente (commissario intra moenia), con cio' mettendo in dubbio la sussistenza della necessaria terzieta' del medesimo (e per le ragioni che piu' avanti saranno illustrate); sia nella parte in cui si individua ex lege la categoria da cui attingere (dirigenti seconda fascia amministrazione inadempiente), con cio' elidendo in sostanza il potere discrezionale di scelta ad opera del giudice dell'ottemperanza. La finanziaria per il 2016 - almeno per quanto riguarda la materia dell'equa riparazione del danno da ritardo giudiziario, si ripete - costituisce pertanto deroga netta alle suddette regole di carattere generale: il GA non ha piu' discrezionalita' ma e' chiaramente vincolato a tale scelta, dovendo necessariamente ricorrere ad un dirigente della stessa amministrazione inadempiente. 4.5. In termini di ragionevolezza di siffatta opzione legislativa occorre indagare, una volta appurata la radicale differenza tra le due situazioni (ossia: tra scelta discrezionale del GA di soggetti anche esterni alla pubblica amministrazione in via generale e scelta vincolata dello stesso GA di dirigenti di seconda fascia della stessa amministrazione inadempiente per quanto attiene al sistema della legge Pinto), se una tale distinzione o meglio deroga rispetto ai criteri generali possa trovare una valida giustificazione. E cio' sulla base dei consueti schemi del giudizio ternario. 4.6. Il punto di partenza e' allora quello di chiedersi, innanzitutto, quale possa essere la funzione e lo scopo cui la legge derogatoria e' preordinata. 4.7. E' chiaro, in questa direzione, come siffatti obiettivi siano intimamente legati ad esigenze di equilibrio di bilancio ai sensi dell'art. 81 Cost.: nominare un commissario intra moenia implicherebbe infatti l'azzeramento dei compensi da corrispondere a tali soggetti. 4.8. A tale specifico riguardo il collegio osserva tuttavia che: A) come emerge anche dalle sentenze n. 70 del 2015 e n. 178 del 2015 della Corte costituzionale, l'esigenza di risparmio delle risorse pubbliche e di contenimento della spesa non costituisce un supervalore destinato a prevalere in modo assoluto su altri principi comunque permeati da una certa tutela di carattere costituzionale. In altre parole, valori di rango costituzionale quali quelli appena enunziati (indipendenza del giudice e imparzialita' dei suoi ausiliari) non potrebbero in alcun modo risultare suscettivi di automatica degradazione e di indiscriminata compressione in virtu' di un implicito richiamo alla «contingente situazione finanziaria» di cui non e' stata fornita - almeno a quanto consta a questo collegio - alcuna documentazione o puntualizzazione tecnica circa l'idoneita' a garantire minori uscite per il bilancio dello Stato. E cio' anche sulla base di una disposizione costituzionale ove si parla di equilibrio e non necessariamente di pareggio di bilancio. Occorre dunque operare - alla luce delle citate pronunzie della Corte costituzionale - un determinato bilanciamento tra valori costituzionalmente rilevanti e protetti. Con la precisazione che un siffatto bilanciamento dovrebbe operare non solo e non tanto per i diritti sociali ma, piu' in generale, per tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce al massimo rango: tra questi il diritto di difesa e l'indipendenza degli organi giurisdizionali e dei soggetti estranei all'amministrazione della giustizia; B) per definizione, il commissario ad acta e' chiamato a rimediare ad eventuali patologie di carattere organizzativo o funzionale della pubblica amministrazione. Esso rimuove conflitti di interessi, rivestendo in sostanza i connotati principali che sono propri della funzione amministrativa giustiziale: di qui l'esigenza che si tratti di un soggetto terzo rispetto agli interessi in conflitto. Sotto questa particolare angolazione e' pacifico che il commissario ad acta, allorche' l'oggetto del giudicato sia costituito dal pagamento di somme (come del resto nel caso di specie), dovra' procedere non solo ad emettere atti di liquidazione e relativi mandati ma anche a stanziare se del caso le relative somme di bilancio, superando qualsiasi difficolta' dovuta alla situazione finanziaria dell'ente. L'esaurimento dei fondi in bilancio o la mancata disponibilita' di cassa non costituiscono, infatti, legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato, e cio' in quanto l'amministrazione e' tenuta a porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento procedendo, in questa stessa direzione, anche allo stanziamento di somme in bilancio, ove questo manifesti talune carenze. Non ha dunque pieno valore, entro questi termini, l'argomentazione di solito svolta circa la sostanziale assenza di discrezionalita', in capo al commissario ad acta, allorche' si tratti di portare ad esecuzione sentenze di condanna nei confronti della pubblica amministrazione. Argomento questo che, nell'ottica del medesimo legislatore finanziario del 2016, porterebbe ad escludere che il commissario intra moenia, proprio per l'assenza di margini di apprezzamento circa l'obbligo di conformarsi all'ordine giudiziale, possa reputarsi come non idoneo allo svolgimento di un siffatto compito (meramente esecutivo, secondo alcuni). Ad avviso di questo collegio potrebbe invece concretamente emergere, proprio nel momento in cui i fondi non siano reperibili oppure i capitoli risultino incapienti, l'esigenza di ricorrere a determinati strumenti «forti» - e tra questi il prelievo di determinate «somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione» (cfr. citata sentenza di questo T.A.R.) - che un commissario intra moenia potrebbe tuttavia avere qualche seria difficolta' ad utilizzare. In altre parole, nel momento in cui non si dovessero trovare risorse nei pertinenti capitoli - fattore questo costantemente invocato come «limitante» da parte delle amministrazioni inadempienti in relazione agli obblighi di eseguire siffatte sentenze di condanna - scatterebbero una serie di meccanismi alternativi (pagamento in conto sospeso, ricorso ad altri capitoli del ministero, ecc.) che al contrario denotano ampi margini di discrezionalita' se non in ordine al quantum da corrispondere sicuramente nel quomodo circa l'individuazione delle risorse da cui attingere. Nella direzione appena indicata sussiste pertanto, ad avviso del collegio, un potere altamente discrezionale e dunque la necessita' che, in determinati casi, non sia un commissario «domestico» a svolgere tale funzione ma, piuttosto, un commissario «estraneo» alla sfera organizzativa oggetto di intervento. E cio' nella preminente considerazione circa la probabile posizione di vulnerabilita' in cui si verrebbe a trovare un commissario domestico - che in base alla disposizione in esame puo' unicamente essere un dirigente di seconda fascia - dinanzi a talune decisioni (prima fra tutte quella di reperire risorse da altri capitoli di bilancio ministeriali) che possono significativamente incidere su aree dell'amministrazione che sono pur sempre appannaggio di quei superiori livelli di ordine gerarchico (dirigenti di prima fascia o capi di dipartimento) da cui tali capitoli dipendono. Con questo si vuole dire che le dinamiche organizzative interne ai singoli Ministeri - soprattutto quelli ove un dirigente di seconda fascia coltiva legittime prospettive di carriera - potrebbero in concreto rivelarsi tali da rendere piu' impervio e difficoltoso il procedimento destinato a garantire la piena ed integrale esecuzione delle sentenze di condanna di cui in questa sede si discute. Il tutto con inevitabile allungamento dei tempi del relativo pagamento e dunque con maturazione di ulteriori interessi legali [se non addirittura incidenti di esecuzione e ulteriori spese di giudizio, oltre agli interessi di mora ormai sempre piu' diffusamente riconosciuti ai sensi dell'art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a.] che nel tempo potrebbero azzerare i benefici derivanti dalla mancata corresponsione di un compenso che risulta, pur sempre, maggiormente contenuto rispetto ad altre ipotesi. Del resto, gia' il Consiglio di Stato si era a suo tempo espresso con atteggiamento di sfiducia nei riguardi di un commissario intra moenia (Consiglio di Stato, sezione IV, 14 ottobre 2004, n. 6673, cit.; Consiglio di Stato, sezione III, 21 novembre 2012, n. 5890, cit.). Si trattava, in questi casi, di ipotesi in cui era stato nominato commissario ad acta il vertice politico o dirigenziale del medesimo ente che si era dimostrato inottemperante alla sentenza (dunque le stesse amministrazioni che ancor prima erano state parti dell'originario giudizio di cognizione). Di qui l'assenza, ad avviso del Supremo consesso, della «necessaria terzieta' occorrente all'espletamento di dell'attivita' del commissario quale ausiliario del giudice». 4.9. Nei termini sopra indicati la scelta del legislatore della finanziaria per il 2016 si potrebbe in conclusione rivelare, ad avviso del collegio, ingiustificatamente derogatoria. E cio' sia per avere ritenuto automaticamente recessivi taluni diritti fondamentali (indipendenza del giudice e dei suoi ausiliari) rispetto a (tanto implicite quanto generiche) esigenze di contenimento della spesa pubblica; sia perche' il presunto risparmio dato dalla mancata corresponsione di compensi ad un commissario extra moenia si potrebbe tradurre, per le difficolta' di natura funzionale ed organizzativa sopra partitamente illustrate, in un inevitabile allungamento dei tempi di pagamento e dunque in un aumento dei costi legati ai maggiori interessi - tanto legali quanto moratori - da corrispondere alla parte ricorrente. 5. Conclusioni. Alla luce delle considerazioni sopra svolte si chiede pertanto che codesta Corte voglia pronunziare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 777, lettera l), della legge n. 208 del 28 dicembre 2015, nella parte in cui impone al GA di dover nominare, quale commissario ad acta, unicamente un dirigente di seconda fascia della stessa amministrazione inadempiente. E cio' per violazione degli articoli 3, 24, 104 e 108 della Costituzione. Il giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di costituzionale dell'art. 5-quinquies, comma 8, della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera l), della legge n. 208 del 2015, impone la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di costituzionalita'.