Ricorso per conflitto di attribuzione nell'interesse della Regione Umbria (codice fiscale n. 80000130544), con sede in 06123 Perugia (PG), corso Vannucci, n. 96, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale Catiuscia Marini, giusta procura speciale in calce al presente atto nonche' in forza della delibera della Giunta regionale della Regione Umbria 26 aprile 2017, n. 467, rappresentata e difesa dall'avv. prof. Massimo Luciani (codice fiscale: LCNMSM52L23H501G; fax: 06.90236029; posta elettronica certificata: massimoluciani@ordineavvocatiroma.org) e dell'avv. Paola Manuali (codice fiscale: MNLPLA53H68G478; fax 0755043625; posta elettronica certificata: paola.manuali@avvocatiperugiapec.it) ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma, via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato, a seguito e per l'effetto del silenzio serbato dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, dall'Agenzia per la coesione territoriale, dal Dipartimento per le politiche di coesione e dal Ministero dell'economia e delle finanze sull'istanza trasmessa dalla Regione Umbria con nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, per l'esecuzione della sent. Corte cost., n. 13 del 2017 e, conseguentemente, del mancato accoglimento della medesima istanza e dell'omesso ripristino delle risorse dovute alla regione Umbria nei termini in essa indicati. Fatto 1. - La presente vicenda e' ampiamente nota a codesta Corte costituzionale, che vi si e' pronunciata con la sent. n. 13 del 2017. Come gia' esposto nella narrativa del ricorso introduttivo del ricorso scrutinato con quella sentenza, ne e' elemento essenziale l'istituto del «PAC - Piano di azione e coesione». Si tratta di uno strumento che e' stato istituito al fine di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale per il settennato 2007-2013. Come e' noto, l'Unione europea promuove «il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale» (art. 174 TFUE) anche attraverso «fondi a finalita' strutturale (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione «orientamento», Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca europea per gli investimenti e gli altri strumenti finanziari esistenti» (art. 175 TFUE). In particolare, «il Fondo europeo di sviluppo regionale e' destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonche' alla riconversione delle regioni industriali in declino» (art. 176 TFUE). Cio' detto, al fine di colmare i ritardi nell'attuazione dei programmi di spesa per il settennato 2007-2013 e di rafforzare l'efficacia degli interventi, il Governo italiano, con lettera del Presidente del Consiglio dei ministri al Presidente della Commissione europea e al Presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, ha comunicato l'avvio del procedimento per la revisione dei contributi del FESR all'Italia. Tale revisione, si legge nella lettera, «potra' comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari», generando risorse che, «resesi disponibili a seguito di questa riduzione, saranno programmate attraverso un percorso di concertazione tra il ministro delegato alle politiche di coesione, il commissario europeo competente e le regioni interessate basato su una cooperazione rafforzata con la commissione europea attraverso un apposito gruppo di azione». La proposta del Governo italiano e' stata valutata favorevolmente al Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26 ottobre 2011. Come si legge nelle conclusioni della presidenza e dichiarazione dei Capi di Stato e di governo dell'Eurozona adottate all'esito dei lavori, preso atto che «il Fondo europeo di sviluppo regionale e' destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonche' alla riconversione delle regioni industriali in declino», i paesi dell'Area euro hanno dichiarato di sostenere «intenzione dell'Italia di rivedere i programmi relativi ai fondi strutturali ridefinendo le priorita' dei progetti e concentrando l'attenzione su istruzione, occupazione, agenda digitale e ferrovie/reti allo scopo di migliorare le condizioni per un rafforzamento della crescita e affrontare il divario regionale». 2. - In conformita' alle conclusioni sopra riportate, il Governo ha definito, in accordo con la Commissione (ai sensi dell'art. 33 del regolamento CE n. 1083/2006, oggi abrogato, ma che disciplinava il funzionamento del FESR), una riprogrammazione delle risorse dei fondi strutturali, con una diversa percentuale della quota di cofinanziamento comunitario. Il contributo comunitario e' stato elevato dall'originario 50 al 75 per cento delle risorse erogate, con corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale. Per l'impiego delle risorse cosi' liberate il Governo ha stipulato l'accordo del 3 novembre 2011, denominato «Piano Nazionale per il Sud: Sud 2020» con le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, concernente - appunto - la rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali. In questo accordo, in ossequio all'art. 176 TFUE, all'art. 119 Cost. e all'intesa raggiunta con la Commissione europea, il riutilizzo delle risorse liberate dal FESR e' stato vincolato al principio di territorialita' (cfr. art. 2 dell'accordo: «Le rimodulazioni dei programmi potranno prevedere la revisione del tasso di cofinanziamento comunitario a condizione che le risultanti risorse nazionali siano vincolate al riutilizzo nel rispetto del principio della territorialita'»). In ossequio a tale principio e' stato istituito il Piano di azione e coesione, inteso a investire sul territorio le risorse liberate dagli obiettivi del FESR. 3. - Successivamente, a causa delle difficolta' nella conclusione dei rispettivi programmi di sviluppo regionale, anche altre Regioni hanno aderito al PAC. Una di esse e' la ricorrente Regione Umbria. Il procedimento di adesione al PAC e' stato scandito dai seguenti atti: i) con la proposta del 4 giugno 2014 lo Stato italiano chiedeva la revisione del programma FESR 2007-2013 per la Regione Umbria (tanto risulta dal documento di cui al numero che segue); ii) tale proposta veniva accolta dalla Commissione U.E. con decisione 28 agosto 2014, C(2014) 6163; iii) la giunta regionale, con deliberazione 31 ottobre 2014, n. 1340 (quindi assai sollecitamente), adottava il «programma parallelo» al POR FESR 2007-2013; iv) con nota 5 novembre 2014, prot. n. 145702, la Regione trasmetteva il «programma parallelo» ai competenti uffici «Gruppo di azione e coesione» del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero del tesoro; v) con nota 13 novembre 2014, prot. n. 10707, il presidente del Gruppo di azione e coesione comunicava alla Regione l'adesione al PAC, trasmettendo «il quadro finanziario degli interventi a titolarita'» della Regione; vi) infine, con decreto ministeriale 22 dicembre 2014, n. 61, il Ministero dell'economia e delle finanze destinava le risorse derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR 2007-2013 al PAC, per interventi in favore (tra l'altro) della Regione Umbria (si tratta degli interventi indicati nel c.d. «programma parallelo» al POR FESR 2007-2013). 4. - E' in questo contesto che l'art. 1, comma 122, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilita' per il 2015), ha previsto (nella formulazione originale) che «al finanziamento degli incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede, quanto a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui all'art. 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, gia' destinate agli interventi del Piano di azione coesione, ai sensi dell'art. 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che, dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014». Il legislatore statale, dunque, distraeva alcuni fondi dal PAC per destinarli a interventi di incentivazione fiscale e contributiva (previsti, appunto, dai commi 118 e 121 dell'unico articolo della medesima legge di stabilita'). Va precisato, pero', che «alla data del 30 settembre 2014», l'odierna ricorrente ancora non aveva aderito al PAC, sicche' tale disposizione di legge le risultava inapplicabile (e, dunque, non poteva essere lesiva dei suoi interessi e delle sue attribuzioni costituzionali). 5. - Successivamente, pero', l'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2015, n. 125, sopravvenuto dopo l'adesione della Regione Umbria al PAC, ha novellato il riportato comma 122, sostituendo le parole «alla data del 30 settembre 2014» con le parole «alla data di entrata in vigore della presente legge» (ossia al 1° gennaio 2015). Ne e' conseguita l'applicabilita', anche alla Regione Umbria, del meccanismo di distrazione dei fondi inizialmente destinati a finanziare il «programma parallelo» al POR FESR 2007-2013, nonche' l'impossibilita' di dare attuazione agli interventi di cui alla menzionata deliberazione della giunta regionale 31 ottobre 2014, n. 1340. 6. - La Regione Umbria ha impugnato la suddetta disposizione con ricorso in via d'azione innanzi l'Ecc.ma Corte costituzionale, lamentandone l'incostituzionalita' per una pluralita' di motivi. Con la sent. n. 13 del 2017 codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuita' dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con specifico riferimento alla Regione Umbria» (cosi' il dispositivo della pronuncia). 6.1. - La sentenza ha ripercorso i fatti di causa, osservando quanto segue: «con la decisione della Commissione europea del 13 luglio 2007 C(2007) 3329, veniva approvato il Quadro di riferimento strategico nazionale (QRSN) per la politica di sviluppo 2007-2013, predisposto dal Dipartimento delle politiche di sviluppo del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con la Commissione stessa, presentato dall'Italia in seguito a consultazioni con i soggetti di cui all'art. 11 del regolamento (CE) 11 luglio 2006, n. 1083/2006, recante «Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n, 1260/1999»; «i programmi operativi regionali (POR) allegati, ai fini del finanziamento sul FESR, erano ritenuti coerenti con gli obiettivi del Piano strategico nazionale»; «con la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) dell'11 gennaio 2011, n. 1 (Obiettivi, criteri e modalita' di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013), al punto 7, si rilevava la necessita' di una riprogrammazione delle risorse estesa ai fondi comunitari»; «nel novembre 2011 interveniva, pertanto, il Piano di azione coesione (PAC), cui devono affluire le risorse liberate dal FESR»; "in data 9 aprile 2014 la Regione Umbria trasmetteva la proposta tecnica di adesione al PAC e si avviava pertanto la relativa procedura, anche in sede europea, che si concludeva con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 22 dicembre 2014, n. 61, recante «Interazione del finanziamento a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183/1987 per l'attuazione degli interventi previsti dal Piano di azione coesione delle regioni Umbria, Abruzzo e del Ministero delle infrastrutture e dei trasposti nonche' rimodulazione del quadro finanziario del Piano di azione coesione della regione Siciliana. (decreto n. 61/2014)», che provvedeva all'assegnazione delle risorse gia' destinate alla Regione Umbria in favore degli interventi previsti dal PAC'; "interveniva quindi l'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014, secondo cui «Al finanziamento degli incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede [...] [con le risorse] gia' destinate agli interventi del Piano di azione e coesione [...] che, dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014»"; «Quest'ultimo termine e' stato poi differito con la norma impugnata (art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 125 del 2015), alla «data di entrata in vigore della presente legge» (1° gennaio 2015)». 6.2. - Cio' premesso, l'Ecc.ma Corte ha ritenuto fondata la censura «prospettata con riguardo alla violazione del principio di ragionevolezza; e cio' comporta l'assorbimento di tutte le altre doglianze volte a contestare in via generale la distrazione delle risorse dal PAC». Tale irragionevolezza «attiene in particolare alla tempistica delineata dalla disposizione impugnata», in quanto «lo spostamento in avanti del termine, da una parte, ha permesso l'inclusione fra le risorse del PAC dei fondi di spettanza della Regione Umbria, dall'altra, ha di fatto reso impossibile alla Regione di evitare la perdita del finanziamento mediante l'impegno delle risorse stesse». Ne consegue che «il differimento, pertanto, non solo ha comportato la sopravvenienza di un interesse a ricorrere prima inesistente (alla data originaria del 30 settembre i fondi di competenza della Regione Umbria non erano ancora confluiti nel PAC e quindi non potevano essere sottratti), ma anche la ingiustificata lesione di tale interesse». Osserva infatti la sentenza che, «essendo intervenuta l'acquisizione al PAC dei fondi in questione solo il 22 dicembre 2014 (data - come si e' visto - del decreto ministeriale n. 61), e' stato materialmente impossibile adottare atti di impegno entro il vicinissimo 1° gennaio 2015». Per tale ragione, la Corte ha ritenuto che, «con riferimento alla specifica posizione della Regione ricorrente, l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 125 del 2015, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.». 7. - Con la nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, avente ad oggetto «Programma Parallelo della Regione Umbria - Sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 2017, (Gazzetta Ufficiale n. 4 del 25 gennaio 2017). Azioni conseguenti», la Regione Umbria significava all'Agenzia per la coesione territoriale, al Ministero dell'economia e delle finanze e al Dipartimento per le politiche di coesione quanto segue: i) «la Corte Costituzionale, con sentenza n. 13, depositata il 19 gennaio 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - I^ Serie speciale Corte costituzionale n. 4 del 25 gennaio 2017, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78»; ii) «L'indicata sentenza ha fatto venir meno, con riferimento alla Regione Umbria, la disposizione normativa (art. 1 comma 122 della legge n. 190/2014 - Legge di stabilita' 2015 nel testo modificato dal decreto-legge n. 78/2015, convertito in legge 125/2015) che stabiliva la riprogrammazione delle risorse nazionali (Fondo di rotazione per il cofinanziamento nazionale della programmazione europea, legge n. 183/1987) gia' destinate agli interventi del Piano di azione coesione (Programma parallelo al POR FESR 2007-2013) non ancora impegnate alla data del 1° gennaio 2015»; iii) "Ne consegue che alla Regione Umbria spetta l'intera somma di € 47.562.904,00 gia' ad Essa assegnata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 22 dicembre 2014; n. 98884/2014 - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato I.G.R.U.E. - Ufficio V, registrato alla Corte dei conti al n. 48 del 12 gennaio 2015, a seguito dell'approvazione del «Programma Parallelo» di questa Regione, avvenuta con nota del Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica del 13 novembre 2014 n. 10717, senza alcuna decurtazione"; iv) "Si chiede pertanto di voler procedere all'immediato ripristino delle disponibilita' economico finanziarie per il «Programma Parallelo» della Regione Umbria per l'importo di € 18.148.556,00"; v) la Nota specificava che la Regione attendeva un «riscontro entro quindici giorni dalla ricezione della presente nota, facendo presente che in mancanza si dara' seguito a tutte le azioni, anche giudiziarie, volte ad ottenere il richiesto ripristino finanziario». Il termine indicato nella Nota sopra indicata e' (ampiamente) spirato senza che lo Stato abbia ripristinato la menzionata provvista a favore della Regione Umbria e, addirittura, senza che sia stata formulata alcuna risposta, nemmeno interlocutoria, da parte degli uffici competenti. La Regione Umbria, dunque, si vede costretta a proporre il presente ricorso per sentir dichiarare che non spettava allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, all'Agenzia per la coesione territoriale, al Dipartimento per le politiche di coesione e al Ministero dell'economia e delle finanze, serbare il silenzio e conseguentemente non accogliere l'istanza trasmessa dalla Regione Umbria con nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, per l'esecuzione della sent. Corte cost., n. 13 del 2017, per i seguenti motivi di Diritto I. - Violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 117, 118, 119 e 136 Cost., anche in riferimento agli artt. 175 e 176 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163), all'accordo Stato - Regioni 3 novembre 2011, nonche' agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU. Violazione del principio di leale collaborazione. Violazione del principio del legittimo affidamento, anche in relazione all'art. 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76. Nella sent. n. 13 del 2017 1'Ecc.ma Corte costituzionale ha puntualmente affermato che solo con l'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015 la decurtazione delle risorse prevista dall'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014 ha avuto effetto anche nei confronti della Regione Umbria. Prima dell'entrata in vigore di quella disposizione, infatti, «alla data originaria del 30 settembre 2014 le risorse gia' destinate alla Regione non erano state ancora acquisite al Piano di azione coesione», con l'ovvia conseguenza che non potevano certamente essere decurtate da tale destinazione. A seguito dell'espunzione dall'ordinamento del predetto comma 9-sexies, nessuna disposizione di legge statale stabilisce e consente la decurtazione delle risorse stanziate con il decreto ministeriale 22 dicembre 2014, n. 61, a favore della Regione Umbria. Tutto cio' considerato, appare evidente che il silenzio serbato dallo Stato sull'istanza di procedere all'immediato ripristino delle disponibilita' economico finanziarie per il «Programma Parallelo» della Regione Umbria per l'importo di € 18.148.556,00 e' illegittimo, per una pluralita' di motivi. 1. - In primo luogo sono violati gli artt. 117, comma 3, e 119, commi 1 e 2, Cost., perche' lo Stato sottrae delle (notevoli) risorse economiche alla Regione Umbria sine causa e senza alcuna base normativa, con conseguente lesione della competenza legislativa concorrente della Regione nella materia «coordinamento della finanza pubblica» e dell'autonomia economico-finanziaria regionale. Per costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, infatti, le attribuzioni delle Regioni nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» comportano la potesta' di disciplinare (e conseguentemente amministrare) le risorse economico-finanziarie regionali, ovverosia il «potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di detta autonomia finanziaria, funzionale all'assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere» (sent. Corte cost., n. 189 del 2015). Tali attribuzioni possono essere compresse solo nella misura in cui lo Stato eserciti le proprie competenze nella fissazione dei principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica». Nel caso di specie, pero', a seguito dell'annullamento dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, e' venuto meno l'unico titolo giustificativo che lo Stato poteva vantare per disporre delle risorse gia' attribuite al «programma parallelo» al PAC della Regione Umbria. Ne consegue che il mancato accoglimento dell'istanza formulata dalla Regione «determina una indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali [...] con conseguente violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.» (sent. Corte cost., n. 63 del 2013). 2. - In secondo luogo sono violati gli artt. 3, 117, comma 3; 119, commi 1 e 2; e 136 Cost. Come si e' visto supra, il mancato accoglimento della richiesta della Regione Umbria di ripristinare le disponibilita' economico-finanziarie per il «programma parallelo» comprime e lede l'autonomia economico-finanziaria dell'odierna ricorrente. Lo Stato produce tale lesione delle attribuzioni regionali attraverso il disconoscimento degli effetti della sent. Corte cost., n. 13 del 2017 e la proroga di fatto dell'efficacia di una disposizione di legge statale dichiarata incostituzionale. Per consolidata giurisprudenza costituzionale, si verifica l'inosservanza del giudicato costituzionale e la violazione dell'art. 136 Cost. ogniqualvolta lo Stato "intenda «mantenere in piedi o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimita' costituzionale» (sentenza n. 72 del 2013), ovvero che «ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale» (sentenza n. 350 del 2010)" (sent. Corte cost., n. 5 del 2017). Si tratta esattamente di quanto qui accade, con la conseguenza che la lesione dell'autonomia regionale e' illegittima perche' costituisce l'effetto della violazione del «giudicato costituzionale». 3.- Risulta parimenti violato il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost., anche in riferimento all'art. 4 del decreto-legge n. 76 del 2013, a tenor del quale, «al fine di assicurare il pieno e tempestivo utilizzo delle risorse allocate sul Piano di azione e coesione secondo i cronoprogrammi approvati, il [...] Gruppo di azione procede periodicamente, in partenariato con le amministrazioni interessate, alla verifica dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti rimodulazioni del Piano di azione coesione che si rendessero necessarie anche a seguito dell'attivita' di monitoraggio anche al fine di eventuali riprogrammazioni». La lesione del principio della leale collaborazione si determina per diversi profili. In primo luogo, e' del tutto evidente, infatti, che lo Stato, mantenendo un illegittimo silenzio, omettendo di attribuire alla Regione Umbria le risorse dovute e disconoscendo gli effetti della sent. Corte cost., n. 13 del 2017, si sottrae senza alcuna ragione giustificatrice agli obblighi contratti nei confronti delle Regioni che hanno sottoscritto l'accordo 3 novembre 2011 (o che vi hanno aderito successivamente, attraverso la partecipazione al PAC, come ha fatto la Regione Umbria attraverso il «programma parallelo»), relativi allo stanziamento delle risorse derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR 2007-2013 secondo il c.d. «principio di territorialita'». A tal proposito, va ricordato che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, e' costituzionalmente illegittima la violazione di un'intesa gia' stipulata tra Stato e Regioni, «senza l'attivazione di ulteriori meccanismi di cooperazione necessari per superare l'intesa gia' raggiunta», in quanto tale circostanza «determina una lesione del principio di leale collaborazione» (sent. n. 58 del 2007). In altri termini, dato che le intese «rappresentano la via maestra per conciliare esigenze unitarie e governo autonomo del territorio», ne consegue che «il principio di leale collaborazione che si realizza mediante tali accordi, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (sentt. nn. 31 del 2006 e 58 del 2007). Tale principio, si badi, e' stato sancito in casi nei quali l'intesa era intervenuta in un ambito materiale riconducibile (in via diretta oppure a seguito del «giudizio di prevalenza») alla competenza legislativa esclusiva statale (disciplina del demanio dello Stato per la sent. n. 31 del 2006, disciplina del servizio civile nazionale per la sent. n. 58 del 2007), sicche' deve pianamente applicarsi, a piu' forte ragione, anche al caso di specie. Nella vicenda qui in esame, infatti, lo Stato si e' sottratto al dialogo con la Regione e si e' dunque rifiutato di adottare i provvedimenti idonei a superare la «rottura» dell'intesa e a ricomporre l'armonica collaborazione tra Stato e Regioni, nonostante le chiarissime statuizioni della sent. Corte cost., n. 13 del 2017. In secondo luogo, il principio di leale collaborazione e' violato perche' lo Stato, non accogliendo l'istanza regionale (ne', per vero, riscontrandola in alcun modo) si e' sostanzialmente opposto al perseguimento degli obiettivi e delle finalita' del PAC e del Programma parallelo. A tal proposito, come si e' gia' osservato, lo stesso legislatore statale ha previsto l'obbligo per lo Stato e le Regioni di collaborare onde provvedere «alle conseguenti rimodulazioni del Piano di azione coesione che si rendessero necessarie», anche «al fine di assicurare il pieno e tempestivo utilizzo delle risorse allocate sul Piano di azione e coesione» (cosi' il gia' citato art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 76 del 2013). Quello in esame costituisce un tipico esempio di procedimento nel quale vengono in rilievo tanto le attribuzioni costituzionali dello Stato, quanto quelle delle Regioni. In assenza del coinvolgimento delle amministrazioni regionali, infatti, il PAC e, per la Regione Umbria, il programma parallelo si tramuterebbero in «uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 16 del 2004; nonche', conformemente, sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del 2004)» (sent. Corte cost., n. 189 del 2015). Nondimeno, lo Stato si e' evidentemente sottratto all'interlocuzione con la Regione, condotta che contraddice il principio di leale collaborazione. Sul punto, codesta Ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di dichiarare l'illegittimita' dell'adozione «di una condotta meramente passiva, che si traduca nell'assenza di ogni forma di collaborazione, si risolve in una inerzia idonea a creare un vero e proprio blocco procedimentale con indubbio pregiudizio per il principio di leale collaborazione e per il buon andamento dell'azione amministrativa» (sent. Corte cost., n. 219 del 2013). Ne consegue che il principio di leale collaborazione e' violato anche perche' lo Stato, non accogliendo l'istanza della Regione Umbria, si rifiuta di prestare alla Regione la dovuta collaborazione nell'impiego delle risorse gia' stanziate a suo favore con il decreto ministeriale 22 dicembre 2014, n. 61, e, anzi, le distrae dalla destinazione gia' prestabilita, senza nemmeno coinvolgere la Regione nell'individuazione delle nuove modalita' del loro impiego, secondo il necessario strumento dell'intesa. 4. - Il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost. risulta violato anche per un diverso profilo, in riferimento agli artt. 175 e 176 TFUE, alla decisione della Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163). Il mancato accoglimento dell'istanza della Regione di procedere all'immediato ripristino delle disponibilita' economico-finanziarie per il «Programma Parallelo» della Regione Umbria e', infatti, illegittimo anche per i motivi che seguono. Come si e' illustrato in narrativa (parr. 2 e 3), il PAC (e, per la Regione Umbria, il «programma parallelo») e' lo strumento con cui lo Stato italiano collabora con l'Unione europea per lo sviluppo regionale, cofinanziando interventi di coesione territoriale e di sostegno alle economie territoriali. Questa finalita', gia' manifestata con la citata lettera del Presidente del Consiglio dei ministri alle istituzioni europee del 26 ottobre 2011 (in cui l'Italia si impegnava a impiegare le risorse resesi disponibili a seguito della riduzione della partecipazione ai programmi FESR «attraverso un percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il commissario europeo competente e le regioni interessate»), ha trovato espresso riconoscimento nel menzionato accordo del 3 novembre 2011, in cui, come si e' gia' osservato, il riutilizzo delle risorse liberate dal FESR e' stato vincolato al principio di territorialita' (cfr. art. 2 dell'accordo: «Le rimodulazioni dei programmi potranno prevedere la revisione del tasso di cofinanziamento comunitario a condizione che le risultanti risorse nazionali siano vincolate al riutilizzo nel rispetto del principio della territorialita'»). Orbene: la circostanza che lo Stato, pur a seguito dell'annullamento dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, non abbia accolto l'istanza della Regione Umbria volta all'impiego di quelle risorse per interventi specifici di sviluppo e coesione del territorio regionale comporta la violazione dell'artt. 117, comma 1, Cost., in relazione ai citati parametri di diritto europeo, dato che lo Stato continua a sottrarsi senza alcuna base normativa agli obblighi assunti nei confronti dell'Unione, con la quale aveva negoziato la diversa quota di compartecipazione ai programmi FESR, impegnandosi alla concertazione con le Regioni. 5. - Il (silenzio, con conseguente) mancato accoglimento dell'istanza della Regione di procedere all'immediato ripristino delle disponibilita' economico-finanziarie per il «Programma Parallelo» viola anche i commi 3 e 5 dell'art. 119 Cost. Dette disposizioni, infatti, consentono allo Stato di assegnare ulteriori risorse «per i territori con minore capacita' fiscale per abitante» oppure «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio» delle funzioni degli enti territoriali. Entrambi i tipi di intervento, pero', possono essere disposti solo da parte del legislatore o, almeno, secondo criteri d'intervento espressamente previsti dal legislatore. Ancorche' esplicitamente prevista solo per l'istituzione del «Fondo perequativo senza vincoli di destinazione», la riserva di legge di cui all'art. 119, comma 3, Cost. si applica anche per lo svolgimento degli «interventi speciali» e lo «stanziamento di risorse aggiuntive» ai sensi del successivo quinto comma, con la conseguenza che lo Stato non puo' sottrarre risorse gia' stanziate a favore delle Regioni senza una specifica norma attributiva del potere. A tal proposito, codesta Ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di affermare il principio che impone che gli interventi solidaristici e perequativi possono essere disciplinati «solo attraverso quei moduli legislativi e procedimentali non collidenti con il dettato dell'art. 119 Cost.», atteso che detta disposizione postula «l'implicito riconoscimento del principio di tipicita' delle ipotesi e dei procedimenti attinenti alla perequazione regionale, che caratterizza la scelta legislativa di perequazione «verticale» effettuata in sede di riforma del titolo V della Costituzione» (Corte cost., sent. n. 176 del 2012). Nel caso di specie, essendo venuta meno la disposizione di legge che autorizzava la decurtazione dei finanziamenti destinati al Programma parallelo della Regione Umbria, tale sottrazione di risorse e' violativa anche dell'art. 119 Cost. 6. - Violati sono anche gli artt. 3 e 97 Cost. in riferimento agli artt. 117, comma 3, 118, 119, commi 1 e 2, e 136 Cost. E' del tutto evidente, infatti, che lo Stato, sottraendosi agli effetti della sent. Corte cost., n. 13 del 2017, distrae notevoli risorse dalla destinazione gia' predeterminata a favore del Programma parallelo della Regione Umbria. In questo modo, dunque, alla segnalata compressione dell'autonomia economico-finanziaria regionale si lega l'inevitabile compromissione dell'efficacia degli interventi di coesione gia' approvati per il territorio regionale, con irragionevole pregiudizio per il buon andamento delle funzioni pubbliche di sviluppo economico, coesione e solidarieta' sociale attribuite alla Regione e allo Stato. In altri termini, il mancato accoglimento dell'istanza della Regione pregiudica irragionevolmente la realizzazione dei progetti contenuti nel «programma parallelo» e deliberati con la menzionata deliberazione della giunta regionale n. 1340/2013. Infatti: i) il piano degli interventi e' ipso facto reso impossibile dal taglio lineare delle risorse; ii) proprio tale sottrazione di risorse in modo proporzionale non consente alla Regione di rimodulare efficacemente la propria azione. 7. - Infine, gli artt. 3, 117 e 136 Cost. risultano violati anche per un ulteriore profilo, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU nonche' al principio del legittimo affidamento. 7.1. - Come si e' gia' detto, dal (silenzio e dal conseguente) mancato accoglimento dell'istanza della Regione si evince la volonta' dello Stato di sottrarsi agli effetti della sent. Corte cost., n. 13 del 2017, prorogando l'efficacia di una disposizione di legge gia' dichiarata incostituzionale. In questo modo, pero', lo Stato determina anche la lesione dell'affidamento legittimo della Regione Umbria. Il principio della tutela del legittimo affidamento e' riconosciuto e tutelato sia dalla Costituzione italiana (come espressione del principio di ragionevolezza e certezza del diritto, ex art. 3 Cost.), che dalla Convenzione europea dei Diritti dell'uomo, con la conseguenza che la sua lesione comporta la violazione non solamente dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 117, comma 1, Cost., per violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo. Nel caso di specie, la lesione del legittimo affidamento si determina per diversi profili. In primo luogo, va ribadito in questa sede quanto gia' osservato dalla Regione ricorrente nel ricorso in via principale avverso l'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015. Come si e' osservato in narrativa, ai parr. 2 e 3, il procedimento di approvazione del «programma parallelo» della Regione Umbria al POR FESR 2007-2013 e' transitato per numerosi passaggi: dalla preliminare interlocuzione con l'Unione europea all'approvazione da parte della Giunta regionale alla successiva ratifica da parte del Dipartimento per la coesione e lo sviluppo e del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze (cfr. la nota del Presidente del Gruppo di azione e coesione presso Dipartimento per la coesione e lo sviluppo del 13 novembre 2014, prot. n. 10717, nonche' il decreto ministeriale dell'economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 61). Nessun dubbio, dunque, che la Regione abbia maturato un legittimo affidamento circa la disponibilita' delle risorse allora stanziate, stante «l'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenza n. 24 del 1999)» (cosi' Corte cost., sent. n. 124 del 2010). Tale affidamento, dopo essere stato determinato dallo stesso Stato (il che, come e' noto, e' ulteriore indice d'illegittimita') e' stato irragionevolmente pregiudicato dalla disposizione allora impugnata. Oggi, nonostante l'intervento dell'Ecc.ma Corte costituzionale, il mancato accoglimento della richiesta della Regione di ripristino delle risorse del Programma parallelo proroga ulteriormente la lesione dell'affidamento della Regione. 7.2. - Non basta. Per costante giurisprudenza della Corte EDU uno degli elementi sintomatici della lesione del legittimo affidamento e' la rottura di una pronuncia giurisdizionale avente forza di giudicato. Nessun affidamento di un soggetto dell'ordinamento nella certezza del diritto, infatti, puo' essere piu' saldo di quello determinato dalla pronuncia definitiva del giudice. Ebbene: nel caso di specie, pur considerata la specificita' del giudicato costituzionale, e' del tutto evidente che codesta Ecc.ma Corte, nello statuire sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, ha deliberato anche sul concreto atteggiarsi dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e la Regione, affermando l'irragionevolezza di una forma di prelievo finanziario che interviene in un arco di tempo immediatamente prossimo alla stessa dazione del fondo poi decurtato. La sent. n. 13 del 2017, infatti, ha precisato che l'irragionevolezza dell'intervento legislativo allora censurato «attiene in particolare alla tempistica delineata dalla disposizione impugnata», in quanto, «con riferimento alla specifica posizione della Regione ricorrente», e' stato «materialmente impossibile» per la ricorrente beneficiare delle somme poi sottratte dallo Stato. Tutto cio' premesso, e' evidente che gli orientamenti della Corte EDU relativi alla tutela del legittimo affidamento possono applicarsi anche al particolare caso che ne occupa, in quanto il mancato accoglimento dell'istanza regionale determina la lesione di tale principio, nella forma dell'irragionevole interferenza dello Stato sull'esito di una controversia gia' scrutinata nella competente sede giurisdizionale.