Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  nell'interesse   della
Regione Umbria (codice fiscale n. 80000130544),  con  sede  in  06123
Perugia (PG), corso Vannucci, n. 96, in persona  del  Presidente  pro
tempore della  Giunta  Regionale  Catiuscia  Marini,  giusta  procura
speciale in calce al presente atto nonche' in  forza  della  delibera
della Giunta regionale della Regione Umbria 26 aprile 2017,  n.  467,
rappresentata  e  difesa  dall'avv.  prof.  Massimo  Luciani  (codice
fiscale:  LCNMSM52L23H501G;  fax:  06.90236029;   posta   elettronica
certificata: massimoluciani@ordineavvocatiroma.org) e dell'avv. Paola
Manuali  (codice  fiscale:  MNLPLA53H68G478;  fax  0755043625;  posta
elettronica  certificata:   paola.manuali@avvocatiperugiapec.it)   ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in  00153  Roma,
Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9, 
 
                               Contro 
 
    il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex  lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in  00186  Roma,
via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato, a seguito e per  l'effetto
del silenzio serbato dal Presidente del Consiglio dei  ministri,  dal
Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno,  dall'Agenzia
per la coesione territoriale, dal Dipartimento per  le  politiche  di
coesione e dal Ministero dell'economia e delle  finanze  sull'istanza
trasmessa dalla Regione Umbria con nota 13 febbraio  2017,  prot.  n.
33358-2017, per l'esecuzione della sent. Corte cost., n. 13 del  2017
e, conseguentemente, del mancato accoglimento della medesima  istanza
e dell'omesso ripristino delle risorse dovute alla regione Umbria nei
termini in essa indicati. 
 
                                Fatto 
 
    1. - La presente vicenda  e'  ampiamente  nota  a  codesta  Corte
costituzionale, che vi si e' pronunciata con la sent. n. 13 del 2017. 
    Come gia' esposto nella narrativa del  ricorso  introduttivo  del
ricorso scrutinato con quella sentenza,  ne  e'  elemento  essenziale
l'istituto del «PAC - Piano di azione e coesione». 
    Si tratta di uno strumento che e'  stato  istituito  al  fine  di
accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dal Fondo  europeo
di sviluppo regionale per il  settennato  2007-2013.  Come  e'  noto,
l'Unione  europea  promuove  «il  rafforzamento  della  sua  coesione
economica, sociale e territoriale» (art. 174 TFUE)  anche  attraverso
«fondi  a  finalita'   strutturale   (Fondo   europeo   agricolo   di
orientamento e di garanzia,  sezione  «orientamento»,  Fondo  sociale
europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca  europea  per
gli investimenti e gli altri strumenti  finanziari  esistenti»  (art.
175 TFUE). In particolare, «il Fondo europeo di sviluppo regionale e'
destinato a contribuire  alla  correzione  dei  principali  squilibri
regionali  esistenti  nell'Unione,  partecipando  allo   sviluppo   e
all'adeguamento strutturale delle  regioni  in  ritardo  di  sviluppo
nonche' alla riconversione  delle  regioni  industriali  in  declino»
(art. 176 TFUE). 
    Cio' detto, al fine di  colmare  i  ritardi  nell'attuazione  dei
programmi di spesa  per  il  settennato  2007-2013  e  di  rafforzare
l'efficacia degli interventi, il Governo italiano,  con  lettera  del
Presidente del Consiglio dei ministri al Presidente della Commissione
europea e al Presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, ha
comunicato l'avvio del procedimento per la revisione  dei  contributi
del FESR all'Italia. Tale revisione, si legge nella lettera,  «potra'
comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento  nazionale  dei
programmi comunitari», generando risorse che, «resesi  disponibili  a
seguito  di  questa  riduzione,  saranno  programmate  attraverso  un
percorso di concertazione tra il ministro delegato alle politiche  di
coesione, il commissario europeo competente e le regioni  interessate
basato su una cooperazione  rafforzata  con  la  commissione  europea
attraverso un apposito gruppo di azione». 
    La proposta del Governo italiano e' stata valutata favorevolmente
al Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26  ottobre  2011.  Come  si
legge nelle conclusioni della presidenza e dichiarazione dei Capi  di
Stato e di governo dell'Eurozona adottate all'esito dei lavori, preso
atto che «il Fondo europeo  di  sviluppo  regionale  e'  destinato  a
contribuire  alla  correzione  dei  principali  squilibri   regionali
esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo  e  all'adeguamento
strutturale  delle  regioni  in  ritardo  di  sviluppo  nonche'  alla
riconversione  delle  regioni  industriali  in  declino»,   i   paesi
dell'Area euro hanno dichiarato di sostenere «intenzione  dell'Italia
di rivedere i programmi relativi ai fondi strutturali ridefinendo  le
priorita' dei progetti e  concentrando  l'attenzione  su  istruzione,
occupazione, agenda digitale e ferrovie/reti allo scopo di migliorare
le condizioni per un rafforzamento della  crescita  e  affrontare  il
divario regionale». 
    2. - In conformita' alle conclusioni sopra riportate, il  Governo
ha definito, in accordo con la Commissione (ai sensi dell'art. 33 del
regolamento CE n. 1083/2006, oggi abrogato, ma  che  disciplinava  il
funzionamento del FESR), una riprogrammazione delle risorse dei fondi
strutturali,   con   una   diversa   percentuale   della   quota   di
cofinanziamento  comunitario.  Il  contributo  comunitario  e'  stato
elevato dall'originario 50 al 75 per cento delle risorse erogate, con
corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale. 
    Per  l'impiego  delle  risorse  cosi'  liberate  il  Governo   ha
stipulato l'accordo del 3 novembre 2011, denominato «Piano  Nazionale
per il Sud: Sud 2020» con le Regioni Abruzzo,  Basilicata,  Calabria,
Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, concernente - appunto -
la rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali. In
questo accordo, in ossequio all'art. 176 TFUE, all'art. 119  Cost.  e
all'intesa raggiunta con la Commissione europea, il riutilizzo  delle
risorse  liberate  dal  FESR  e'  stato  vincolato  al  principio  di
territorialita' (cfr. art.  2  dell'accordo:  «Le  rimodulazioni  dei
programmi   potranno   prevedere   la   revisione   del   tasso    di
cofinanziamento comunitario a condizione che  le  risultanti  risorse
nazionali siano vincolate al riutilizzo nel  rispetto  del  principio
della territorialita'»). 
    In ossequio a tale principio  e'  stato  istituito  il  Piano  di
azione e coesione, inteso  a  investire  sul  territorio  le  risorse
liberate dagli obiettivi del FESR. 
    3. - Successivamente, a causa delle difficolta' nella conclusione
dei rispettivi programmi di sviluppo regionale, anche  altre  Regioni
hanno aderito al PAC. 
    Una di esse e' la ricorrente Regione Umbria. Il  procedimento  di
adesione al PAC e' stato scandito dai seguenti atti: 
    i) con la proposta del 4 giugno 2014 lo Stato  italiano  chiedeva
la revisione del programma  FESR  2007-2013  per  la  Regione  Umbria
(tanto risulta dal documento di cui al numero che segue); 
    ii) tale proposta  veniva  accolta  dalla  Commissione  U.E.  con
decisione 28 agosto 2014, C(2014) 6163; 
    iii) la giunta regionale, con deliberazione 31 ottobre  2014,  n.
1340 (quindi assai sollecitamente), adottava il «programma parallelo»
al POR FESR 2007-2013; 
    iv) con nota  5  novembre  2014,  prot.  n.  145702,  la  Regione
trasmetteva il «programma parallelo» ai competenti uffici «Gruppo  di
azione e coesione» del Dipartimento per lo  sviluppo  e  la  coesione
economica del Ministero del tesoro; 
      v) con nota 13 novembre 2014, prot. n. 10707, il presidente del
Gruppo di azione e coesione comunicava  alla  Regione  l'adesione  al
PAC,  trasmettendo  «il  quadro  finanziario   degli   interventi   a
titolarita'» della Regione; 
      vi) infine, con decreto ministeriale 22 dicembre 2014,  n.  61,
il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  destinava  le  risorse
derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento statale  per
i programmi FESR 2007-2013 al PAC,  per  interventi  in  favore  (tra
l'altro) della Regione Umbria (si tratta  degli  interventi  indicati
nel c.d. «programma parallelo» al POR FESR 2007-2013). 
    4. - E' in questo contesto che l'art. 1, comma 122,  della  legge
23 dicembre 2014, n. 190  (legge  di  stabilita'  per  il  2015),  ha
previsto (nella formulazione originale) che «al  finanziamento  degli
incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede, quanto a 1  miliardo
di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni  di
euro per l'anno 2018, a valere sulla corrispondente  riprogrammazione
delle risorse del Fondo di rotazione di cui all'art. 5 della legge 16
aprile 1987, n. 183, gia' destinate  agli  interventi  del  Piano  di
azione coesione, ai sensi dell'art.  23,  comma  4,  della  legge  12
novembre  2011,  n.  183,  che,  dal  sistema  di  monitoraggio   del
Dipartimento della Ragioneria  generale  dello  Stato  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, risultano non  ancora  impegnate  alla
data del 30 settembre 2014». 
    Il legislatore statale, dunque, distraeva alcuni  fondi  dal  PAC
per destinarli a interventi di incentivazione fiscale e  contributiva
(previsti, appunto, dai commi 118 e  121  dell'unico  articolo  della
medesima legge di stabilita'). 
    Va precisato, pero', che  «alla  data  del  30  settembre  2014»,
l'odierna ricorrente ancora non aveva aderito al  PAC,  sicche'  tale
disposizione di legge le  risultava  inapplicabile  (e,  dunque,  non
poteva essere lesiva dei suoi  interessi  e  delle  sue  attribuzioni
costituzionali). 
    5. -  Successivamente,  pero',  l'art.  7,  comma  9-sexies,  del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
in legge 6 agosto 2015, n. 125, sopravvenuto  dopo  l'adesione  della
Regione  Umbria  al  PAC,  ha  novellato  il  riportato  comma   122,
sostituendo le parole «alla data del 30 settembre 2014» con le parole
«alla data di entrata in vigore della presente legge»  (ossia  al  1°
gennaio 2015). 
    Ne e' conseguita l'applicabilita', anche alla Regione Umbria, del
meccanismo  di  distrazione  dei  fondi  inizialmente   destinati   a
finanziare il «programma parallelo» al POR  FESR  2007-2013,  nonche'
l'impossibilita' di dare  attuazione  agli  interventi  di  cui  alla
menzionata deliberazione della giunta regionale 31 ottobre  2014,  n.
1340. 
    6. - La Regione Umbria ha impugnato la suddetta disposizione  con
ricorso  in  via  d'azione  innanzi  l'Ecc.ma  Corte  costituzionale,
lamentandone l'incostituzionalita' per una pluralita' di motivi. 
    Con la sent. n. 13 del 2017 codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale
ha dichiarato «l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma
9-sexies, del decreto-legge  19  giugno  2015,  n.  78  (Disposizioni
urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni  per  garantire
la continuita' dei  dispositivi  di  sicurezza  e  di  controllo  del
territorio. Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario
nazionale  nonche'  norme  in  materia  di  rifiuti  e  di  emissioni
industriali), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 6 agosto 2015, n. 125, nei sensi e nei limiti di  cui  in
motivazione, con specifico riferimento alla Regione Umbria» (cosi' il
dispositivo della pronuncia). 
    6.1. - La sentenza ha ripercorso i  fatti  di  causa,  osservando
quanto segue: 
      «con la decisione della Commissione europea del 13 luglio  2007
C(2007) 3329, veniva approvato il Quadro  di  riferimento  strategico
nazionale (QRSN) per la politica di sviluppo  2007-2013,  predisposto
dal  Dipartimento  delle  politiche   di   sviluppo   del   Ministero
dell'economia e delle finanze, di concerto con la Commissione stessa,
presentato dall'Italia in seguito a consultazioni con i  soggetti  di
cui all'art. 11 del regolamento (CE) 11 luglio  2006,  n.  1083/2006,
recante «Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali  sul
Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e  sul
Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n, 1260/1999»; 
      «i programmi operativi regionali (POR) allegati,  ai  fini  del
finanziamento sul FESR, erano ritenuti coerenti con gli obiettivi del
Piano strategico nazionale»; 
      «con  la  delibera  del  Comitato  interministeriale   per   la
programmazione  economica  (CIPE)  dell'11   gennaio   2011,   n.   1
(Obiettivi, criteri e modalita' di programmazione delle  risorse  per
le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli  investimenti
per i periodi 2000-2006 e 2007-2013), al  punto  7,  si  rilevava  la
necessita' di una riprogrammazione  delle  risorse  estesa  ai  fondi
comunitari»; 
      «nel novembre 2011 interveniva, pertanto, il  Piano  di  azione
coesione (PAC), cui devono affluire le risorse liberate dal FESR»; 
      "in data  9  aprile  2014  la  Regione  Umbria  trasmetteva  la
proposta tecnica di adesione al PAC e si avviava pertanto la relativa
procedura, anche in sede europea, che si concludeva  con  il  decreto
del Ministro dell'economia e delle finanze del 22 dicembre  2014,  n.
61, recante «Interazione del finanziamento  a  carico  del  Fondo  di
rotazione di cui  alla  legge  n.  183/1987  per  l'attuazione  degli
interventi previsti  dal  Piano  di  azione  coesione  delle  regioni
Umbria, Abruzzo e del Ministero delle infrastrutture e dei  trasposti
nonche' rimodulazione del quadro  finanziario  del  Piano  di  azione
coesione  della  regione  Siciliana.  (decreto  n.   61/2014)»,   che
provvedeva all'assegnazione delle risorse gia' destinate alla Regione
Umbria in favore degli interventi previsti dal PAC'; 
      "interveniva quindi l'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del
2014, secondo cui «Al finanziamento degli incentivi di cui  ai  commi
118 e 121 si provvede [...] [con  le  risorse]  gia'  destinate  agli
interventi del Piano di azione e coesione [...] che, dal  sistema  di
monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale  dello  Stato
del Ministero dell'economia e delle  finanze,  risultano  non  ancora
impegnate alla data del 30 settembre 2014»"; 
      «Quest'ultimo termine e'  stato  poi  differito  con  la  norma
impugnata (art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n. 78 del  2015,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
125 del 2015), alla «data di entrata in vigore della presente  legge»
(1° gennaio 2015)». 
    6.2. - Cio' premesso,  l'Ecc.ma  Corte  ha  ritenuto  fondata  la
censura «prospettata con riguardo alla violazione  del  principio  di
ragionevolezza; e cio' comporta  l'assorbimento  di  tutte  le  altre
doglianze volte a contestare in via  generale  la  distrazione  delle
risorse dal PAC». 
    Tale irragionevolezza «attiene  in  particolare  alla  tempistica
delineata dalla disposizione impugnata», in quanto «lo spostamento in
avanti del termine, da una parte, ha  permesso  l'inclusione  fra  le
risorse  del  PAC  dei  fondi  di  spettanza  della  Regione  Umbria,
dall'altra, ha di fatto reso impossibile alla Regione di  evitare  la
perdita del finanziamento mediante l'impegno delle risorse stesse». 
    Ne  consegue  che  «il  differimento,  pertanto,  non   solo   ha
comportato la  sopravvenienza  di  un  interesse  a  ricorrere  prima
inesistente (alla  data  originaria  del  30  settembre  i  fondi  di
competenza della Regione Umbria non erano ancora confluiti nel PAC  e
quindi non potevano essere sottratti),  ma  anche  la  ingiustificata
lesione di tale interesse». 
    Osserva   infatti   la   sentenza   che,   «essendo   intervenuta
l'acquisizione al PAC dei fondi in questione solo il 22 dicembre 2014
(data - come si e' visto - del decreto ministeriale n. 61), e'  stato
materialmente  impossibile  adottare  atti  di   impegno   entro   il
vicinissimo 1° gennaio 2015». 
    Per tale ragione, la Corte ha ritenuto che, «con riferimento alla
specifica posizione della Regione  ricorrente,  l'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-sexies,
del decreto-legge n. 78  del  2015,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 125 del 2015, per violazione del
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.». 
    7. - Con la nota 13 febbraio 2017, prot. n. 33358-2017, avente ad
oggetto «Programma Parallelo della Regione Umbria  -  Sentenza  della
Corte costituzionale n. 13 del 2017, (Gazzetta Ufficiale n. 4 del  25
gennaio 2017). Azioni conseguenti»,  la  Regione  Umbria  significava
all'Agenzia per la coesione territoriale, al Ministero  dell'economia
e delle finanze e al Dipartimento per le politiche di coesione quanto
segue: 
      i) «la Corte Costituzionale, con sentenza n. 13, depositata  il
19  gennaio  2017  e  pubblicata  nella  Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica italiana - I^ Serie speciale Corte costituzionale n. 4 del
25  gennaio  2017,  ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge  19  giugno  2015,  n.
78»; 
      ii) «L'indicata sentenza ha fatto venir meno,  con  riferimento
alla Regione Umbria, la disposizione  normativa  (art.  1  comma  122
della legge  n.  190/2014  -  Legge  di  stabilita'  2015  nel  testo
modificato  dal  decreto-legge  n.  78/2015,  convertito   in   legge
125/2015) che stabiliva la riprogrammazione delle  risorse  nazionali
(Fondo  di  rotazione  per   il   cofinanziamento   nazionale   della
programmazione  europea,  legge  n.  183/1987)  gia'  destinate  agli
interventi del Piano di azione coesione (Programma parallelo  al  POR
FESR 2007-2013) non ancora impegnate alla data del 1° gennaio 2015»; 
      iii) "Ne consegue che alla Regione Umbria spetta l'intera somma
di € 47.562.904,00 gia' ad Essa assegnata con decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze del 22 dicembre 2014; n.  98884/2014  -
Dipartimento della  Ragioneria  generale  dello  Stato  I.G.R.U.E.  -
Ufficio V, registrato alla Corte dei conti al n. 48  del  12  gennaio
2015, a seguito dell'approvazione del «Programma Parallelo» di questa
Regione, avvenuta con nota del Dipartimento  per  lo  Sviluppo  e  la
coesione economica del  13  novembre  2014  n.  10717,  senza  alcuna
decurtazione"; 
      iv)  "Si  chiede  pertanto  di  voler  procedere  all'immediato
ripristino  delle  disponibilita'  economico   finanziarie   per   il
«Programma  Parallelo»  della  Regione  Umbria  per  l'importo  di  €
18.148.556,00"; 
      v) la Nota specificava che la Regione attendeva  un  «riscontro
entro quindici giorni dalla ricezione della  presente  nota,  facendo
presente che in mancanza si dara' seguito a tutte  le  azioni,  anche
giudiziarie, volte ad ottenere il richiesto ripristino finanziario». 
    Il termine indicato nella Nota  sopra  indicata  e'  (ampiamente)
spirato senza che lo Stato abbia ripristinato la menzionata provvista
a favore della Regione Umbria e, addirittura,  senza  che  sia  stata
formulata alcuna risposta, nemmeno  interlocutoria,  da  parte  degli
uffici competenti. 
    La Regione Umbria,  dunque,  si  vede  costretta  a  proporre  il
presente ricorso per sentir dichiarare che non spettava allo Stato, e
per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la
coesione territoriale e il Mezzogiorno, all'Agenzia per  la  coesione
territoriale, al Dipartimento per  le  politiche  di  coesione  e  al
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  serbare  il  silenzio  e
conseguentemente non accogliere  l'istanza  trasmessa  dalla  Regione
Umbria  con  nota  13  febbraio  2017,  prot.  n.   33358-2017,   per
l'esecuzione della sent. Corte cost., n. 13 del 2017, per i  seguenti
motivi di 
 
                               Diritto 
 
    I. - Violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 117,  118,  119  e  136
Cost., anche in riferimento agli artt. 175 e  176  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea, alla decisione  della  Commissione
europea 28 agosto  2014,  C(6163),  all'accordo  Stato  -  Regioni  3
novembre 2011, nonche' agli artt.  6  e  13  della  Convenzione  EDU.
Violazione del principio  di  leale  collaborazione.  Violazione  del
principio del legittimo affidamento, anche in  relazione  all'art.  4
del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76. 
    Nella sent. n. 13  del  2017  1'Ecc.ma  Corte  costituzionale  ha
puntualmente affermato che solo con l'art.  7,  comma  9-sexies,  del
decreto-legge n. 78 del 2015 la decurtazione delle  risorse  prevista
dall'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014 ha avuto  effetto
anche nei confronti  della  Regione  Umbria.  Prima  dell'entrata  in
vigore di quella disposizione, infatti, «alla data originaria del  30
settembre 2014 le risorse gia' destinate alla Regione non erano state
ancora  acquisite  al  Piano  di  azione   coesione»,   con   l'ovvia
conseguenza che non potevano  certamente  essere  decurtate  da  tale
destinazione. 
    A seguito dell'espunzione  dall'ordinamento  del  predetto  comma
9-sexies, nessuna disposizione di legge statale stabilisce e consente
la decurtazione delle risorse stanziate con il  decreto  ministeriale
22 dicembre 2014, n. 61, a favore della Regione  Umbria.  Tutto  cio'
considerato, appare evidente che  il  silenzio  serbato  dallo  Stato
sull'istanza   di   procedere    all'immediato    ripristino    delle
disponibilita' economico finanziarie  per  il  «Programma  Parallelo»
della Regione Umbria per l'importo di € 18.148.556,00 e' illegittimo,
per una pluralita' di motivi. 
    1. - In primo luogo sono violati gli artt. 117, comma 3,  e  119,
commi 1 e 2, Cost., perche' lo Stato sottrae delle (notevoli) risorse
economiche alla  Regione  Umbria  sine  causa  e  senza  alcuna  base
normativa,  con  conseguente  lesione  della  competenza  legislativa
concorrente della Regione nella materia «coordinamento della  finanza
pubblica» e dell'autonomia economico-finanziaria regionale. 
    Per   costante   giurisprudenza   di   codesta    Ecc.ma    Corte
costituzionale, infatti, le attribuzioni delle Regioni nella  materia
del «coordinamento della finanza pubblica» comportano la potesta'  di
disciplinare   (e   conseguentemente   amministrare)    le    risorse
economico-finanziarie   regionali,   ovverosia    il    «potere    di
utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di
detta autonomia finanziaria, funzionale all'assolvimento dei  compiti
istituzionali che gli enti territoriali  sono  chiamati  a  svolgere»
(sent. Corte cost., n.  189  del  2015).  Tali  attribuzioni  possono
essere compresse solo nella  misura  in  cui  lo  Stato  eserciti  le
proprie competenze nella fissazione dei principi  fondamentali  nella
materia del «coordinamento  della  finanza  pubblica».  Nel  caso  di
specie,  pero',  a  seguito  dell'annullamento  dell'art.  7,   comma
9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, e'  venuto  meno  l'unico
titolo giustificativo che lo Stato poteva vantare per disporre  delle
risorse gia' attribuite al «programma parallelo» al PAC della Regione
Umbria.  Ne  consegue  che  il  mancato   accoglimento   dell'istanza
formulata dalla Regione «determina  una  indebita  appropriazione  da
parte dello Stato di  risorse  appartenenti  agli  enti  territoriali
[...] con conseguente violazione degli articoli 117, terzo  comma,  e
119 Cost.» (sent. Corte cost., n. 63 del 2013). 
    2. - In secondo luogo sono violati gli artt.  3,  117,  comma  3;
119, commi 1 e 2; e 136 Cost. Come si  e'  visto  supra,  il  mancato
accoglimento della richiesta della Regione Umbria di ripristinare  le
disponibilita' economico-finanziarie  per  il  «programma  parallelo»
comprime  e  lede  l'autonomia   economico-finanziaria   dell'odierna
ricorrente.  Lo  Stato  produce  tale  lesione   delle   attribuzioni
regionali attraverso il disconoscimento  degli  effetti  della  sent.
Corte cost., n. 13 del 2017 e la proroga di fatto  dell'efficacia  di
una disposizione di legge statale dichiarata incostituzionale. 
    Per  consolidata  giurisprudenza  costituzionale,   si   verifica
l'inosservanza del giudicato costituzionale e la violazione dell'art.
136 Cost. ogniqualvolta lo  Stato  "intenda  «mantenere  in  piedi  o
ripristinare,  sia  pure  indirettamente,  gli  effetti   di   quella
struttura normativa che aveva  formato  oggetto  della  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale» (sentenza n. 72 del 2013), ovvero  che
«ripristini o preservi  l'efficacia  di  una  norma  gia'  dichiarata
incostituzionale» (sentenza n. 350 del 2010)" (sent. Corte cost.,  n.
5 del 2017). 
    Si tratta esattamente di quanto qui accade,  con  la  conseguenza
che  la  lesione  dell'autonomia  regionale  e'  illegittima  perche'
costituisce    l'effetto    della    violazione    del     «giudicato
costituzionale». 
    3.-   Risulta   parimenti   violato   il   principio   di   leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost., anche in  riferimento
all'art. 4 del decreto-legge n. 76 del 2013, a tenor del  quale,  «al
fine di assicurare il  pieno  e  tempestivo  utilizzo  delle  risorse
allocate sul Piano di azione  e  coesione  secondo  i  cronoprogrammi
approvati, il [...]  Gruppo  di  azione  procede  periodicamente,  in
partenariato con le amministrazioni interessate, alla verifica  dello
stato di  avanzamento  dei  singoli  interventi  e  alle  conseguenti
rimodulazioni  del  Piano  di  azione  coesione  che  si   rendessero
necessarie anche a seguito dell'attivita' di  monitoraggio  anche  al
fine di eventuali riprogrammazioni». 
    La lesione del principio della leale collaborazione si  determina
per diversi profili. 
    In primo luogo, e' del tutto evidente,  infatti,  che  lo  Stato,
mantenendo un illegittimo  silenzio,  omettendo  di  attribuire  alla
Regione Umbria le risorse dovute e disconoscendo  gli  effetti  della
sent. Corte cost., n. 13 del 2017, si sottrae  senza  alcuna  ragione
giustificatrice agli obblighi contratti nei confronti  delle  Regioni
che hanno sottoscritto l'accordo 3 novembre  2011  (o  che  vi  hanno
aderito successivamente, attraverso la partecipazione al PAC, come ha
fatto  la  Regione  Umbria  attraverso  il  «programma   parallelo»),
relativi allo stanziamento delle risorse  derivanti  dalla  riduzione
della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR 2007-2013
secondo il c.d. «principio di territorialita'». 
    A tal proposito, va ricordato che, per consolidata giurisprudenza
costituzionale, e' costituzionalmente illegittima  la  violazione  di
un'intesa gia' stipulata tra Stato e Regioni, «senza l'attivazione di
ulteriori meccanismi di cooperazione necessari per superare  l'intesa
gia' raggiunta», in quanto tale circostanza  «determina  una  lesione
del principio di leale collaborazione» (sent. n.  58  del  2007).  In
altri termini, dato che le intese «rappresentano la via  maestra  per
conciliare esigenze unitarie e governo autonomo del  territorio»,  ne
consegue che «il principio di leale collaborazione  che  si  realizza
mediante tali accordi, anche in una accezione minimale,  impone  alle
parti  che  sottoscrivono  un   accordo   ufficiale   in   una   sede
istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (sentt. nn. 31 del
2006 e 58 del 2007). 
    Tale principio, si badi, e'  stato  sancito  in  casi  nei  quali
l'intesa era intervenuta in un ambito materiale riconducibile (in via
diretta  oppure  a  seguito  del  «giudizio  di   prevalenza»)   alla
competenza legislativa  esclusiva  statale  (disciplina  del  demanio
dello Stato per la sent. n. 31  del  2006,  disciplina  del  servizio
civile  nazionale  per  la  sent.  n.  58  del  2007),  sicche'  deve
pianamente applicarsi, a piu' forte ragione, anche al caso di specie. 
    Nella vicenda qui in esame, infatti, lo Stato si e' sottratto  al
dialogo con la Regione  e  si  e'  dunque  rifiutato  di  adottare  i
provvedimenti  idonei  a  superare  la  «rottura»  dell'intesa  e   a
ricomporre l'armonica collaborazione tra Stato e Regioni,  nonostante
le chiarissime statuizioni della sent. Corte cost., n. 13 del 2017. 
    In secondo luogo, il principio di leale collaborazione e' violato
perche' lo Stato, non accogliendo l'istanza regionale (ne', per vero,
riscontrandola in  alcun  modo)  si  e'  sostanzialmente  opposto  al
perseguimento degli  obiettivi  e  delle  finalita'  del  PAC  e  del
Programma parallelo. 
    A tal proposito, come si e' gia' osservato, lo stesso legislatore
statale  ha  previsto  l'obbligo  per  lo  Stato  e  le  Regioni   di
collaborare onde provvedere «alle conseguenti rimodulazioni del Piano
di azione coesione che si rendessero necessarie», anche «al  fine  di
assicurare il pieno e tempestivo utilizzo delle risorse allocate  sul
Piano di azione e coesione» (cosi' il gia' citato art.  4,  comma  3,
del decreto-legge n. 76 del 2013). 
    Quello in esame costituisce un tipico esempio di procedimento nel
quale vengono in rilievo tanto le attribuzioni  costituzionali  dello
Stato, quanto quelle delle Regioni.  In  assenza  del  coinvolgimento
delle amministrazioni regionali, infatti, il PAC e,  per  la  Regione
Umbria, il programma parallelo si tramuterebbero  in  «uno  strumento
indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio  delle
funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di  politiche  e  di
indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle
Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 16
del 2004; nonche', conformemente, sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del
2004)» (sent. Corte cost., n. 189 del 2015). 
    Nondimeno,   lo   Stato    si    e'    evidentemente    sottratto
all'interlocuzione  con  la  Regione,  condotta  che  contraddice  il
principio di leale collaborazione. Sul punto, codesta Ecc.ma Corte ha
gia' avuto modo di dichiarare l'illegittimita' dell'adozione «di  una
condotta meramente passiva, che si traduca nell'assenza di ogni forma
di collaborazione, si risolve in una inerzia idonea a creare un  vero
e proprio blocco  procedimentale  con  indubbio  pregiudizio  per  il
principio di leale collaborazione e per il buon andamento dell'azione
amministrativa» (sent. Corte cost., n. 219 del 2013). 
    Ne consegue che il principio di leale collaborazione  e'  violato
anche perche' lo  Stato,  non  accogliendo  l'istanza  della  Regione
Umbria, si rifiuta di prestare alla Regione la dovuta  collaborazione
nell'impiego delle risorse gia' stanziate a suo favore con il decreto
ministeriale 22 dicembre 2014, n.  61,  e,  anzi,  le  distrae  dalla
destinazione gia' prestabilita, senza nemmeno coinvolgere la  Regione
nell'individuazione delle nuove modalita' del loro  impiego,  secondo
il necessario strumento dell'intesa. 
    4. - Il principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5  e
117  Cost.  risulta  violato  anche  per  un  diverso   profilo,   in
riferimento  agli  artt.  175  e  176  TFUE,  alla  decisione   della
Commissione europea 28 agosto 2014, C(6163). 
    Il mancato accoglimento dell'istanza della Regione  di  procedere
all'immediato ripristino delle  disponibilita'  economico-finanziarie
per il  «Programma  Parallelo»  della  Regione  Umbria  e',  infatti,
illegittimo anche per i motivi che seguono. 
    Come si e' illustrato in narrativa (parr. 2 e 3), il PAC (e,  per
la Regione Umbria, il «programma parallelo») e' lo strumento con  cui
lo Stato italiano collabora con  l'Unione  europea  per  lo  sviluppo
regionale, cofinanziando interventi di  coesione  territoriale  e  di
sostegno  alle  economie   territoriali.   Questa   finalita',   gia'
manifestata con la citata lettera del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri alle  istituzioni  europee  del  26  ottobre  2011  (in  cui
l'Italia si impegnava a impiegare le  risorse  resesi  disponibili  a
seguito  della  riduzione  della  partecipazione  ai  programmi  FESR
«attraverso un percorso di concertazione  tra  il  Ministro  delegato
alle politiche di coesione, il commissario europeo  competente  e  le
regioni  interessate»),  ha  trovato  espresso   riconoscimento   nel
menzionato accordo del 3 novembre 2011,  in  cui,  come  si  e'  gia'
osservato, il riutilizzo delle risorse liberate  dal  FESR  e'  stato
vincolato al principio di territorialita' (cfr. art. 2  dell'accordo:
«Le rimodulazioni dei programmi potranno prevedere la  revisione  del
tasso di cofinanziamento comunitario a condizione che  le  risultanti
risorse nazionali siano vincolate  al  riutilizzo  nel  rispetto  del
principio della territorialita'»). 
    Orbene:  la   circostanza   che   lo   Stato,   pur   a   seguito
dell'annullamento dell'art. 7, comma 9-sexies, del  decreto-legge  n.
78 del 2015, non abbia accolto l'istanza della Regione  Umbria  volta
all'impiego di quelle risorse per interventi specifici di sviluppo  e
coesione del territorio regionale comporta la  violazione  dell'artt.
117, comma 1, Cost., in relazione  ai  citati  parametri  di  diritto
europeo, dato che lo Stato continua a  sottrarsi  senza  alcuna  base
normativa agli obblighi assunti nei  confronti  dell'Unione,  con  la
quale aveva  negoziato  la  diversa  quota  di  compartecipazione  ai
programmi FESR, impegnandosi alla concertazione con le Regioni. 
    5.  -  Il  (silenzio,  con  conseguente)   mancato   accoglimento
dell'istanza della  Regione  di  procedere  all'immediato  ripristino
delle  disponibilita'   economico-finanziarie   per   il   «Programma
Parallelo» viola anche i commi 3 e 5 dell'art. 119 Cost. 
    Dette disposizioni, infatti, consentono allo Stato  di  assegnare
ulteriori risorse «per i territori con minore capacita'  fiscale  per
abitante» oppure «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e
la solidarieta' sociale, per  rimuovere  gli  squilibri  economici  e
sociali,  per  favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti   della
persona, o per provvedere a  scopi  diversi  dal  normale  esercizio»
delle  funzioni  degli  enti  territoriali.  Entrambi   i   tipi   di
intervento,  pero',  possono  essere  disposti  solo  da  parte   del
legislatore o, almeno,  secondo  criteri  d'intervento  espressamente
previsti dal legislatore. Ancorche' esplicitamente prevista solo  per
l'istituzione del «Fondo perequativo senza vincoli di  destinazione»,
la riserva di legge di cui all'art. 119, comma 3,  Cost.  si  applica
anche  per  lo  svolgimento  degli   «interventi   speciali»   e   lo
«stanziamento di risorse aggiuntive» ai sensi del  successivo  quinto
comma, con la conseguenza che lo Stato  non  puo'  sottrarre  risorse
gia' stanziate a favore  delle  Regioni  senza  una  specifica  norma
attributiva del potere. A tal proposito, codesta Ecc.ma Corte ha gia'
avuto modo di affermare il principio che impone  che  gli  interventi
solidaristici  e  perequativi  possono  essere   disciplinati   «solo
attraverso quei moduli legislativi e  procedimentali  non  collidenti
con il dettato dell'art. 119 Cost.», atteso  che  detta  disposizione
postula «l'implicito riconoscimento del principio di tipicita'  delle
ipotesi e dei procedimenti attinenti alla perequazione regionale, che
caratterizza  la  scelta  legislativa  di  perequazione   «verticale»
effettuata in sede di riforma del titolo V della Costituzione» (Corte
cost., sent. n. 176 del 2012). 
    Nel caso di specie, essendo venuta meno la disposizione di  legge
che  autorizzava  la  decurtazione  dei  finanziamenti  destinati  al
Programma parallelo della Regione Umbria, tale sottrazione di risorse
e' violativa anche dell'art. 119 Cost. 
    6. - Violati sono anche gli artt. 3 e  97  Cost.  in  riferimento
agli artt. 117, comma 3, 118, 119, commi 1 e 2, e 136 Cost. 
    E' del tutto evidente, infatti, che lo Stato,  sottraendosi  agli
effetti della sent. Corte cost., n. 13  del  2017,  distrae  notevoli
risorse dalla destinazione gia' predeterminata a favore del Programma
parallelo  della  Regione  Umbria.  In  questo  modo,  dunque,   alla
segnalata compressione dell'autonomia economico-finanziaria regionale
si lega l'inevitabile compromissione dell'efficacia degli  interventi
di  coesione  gia'  approvati  per  il  territorio   regionale,   con
irragionevole  pregiudizio  per  il  buon  andamento  delle  funzioni
pubbliche di sviluppo  economico,  coesione  e  solidarieta'  sociale
attribuite alla Regione e allo Stato. In altri  termini,  il  mancato
accoglimento dell'istanza della Regione pregiudica  irragionevolmente
la realizzazione dei progetti contenuti nel «programma  parallelo»  e
deliberati con la menzionata deliberazione della giunta regionale  n.
1340/2013. Infatti: i) il piano degli interventi e' ipso  facto  reso
impossibile dal  taglio  lineare  delle  risorse;  ii)  proprio  tale
sottrazione di  risorse  in  modo  proporzionale  non  consente  alla
Regione di rimodulare efficacemente la propria azione. 
    7. - Infine, gli artt. 3, 117 e 136 Cost. risultano violati anche
per un ulteriore profilo, in  relazione  agli  artt.  6  e  13  della
Convenzione EDU nonche' al principio del legittimo affidamento. 
    7.1. - Come si e' gia' detto, dal (silenzio  e  dal  conseguente)
mancato accoglimento dell'istanza della Regione si evince la volonta'
dello Stato di sottrarsi agli effetti della sent. Corte cost., n.  13
del 2017, prorogando l'efficacia di una disposizione  di  legge  gia'
dichiarata  incostituzionale.  In  questo  modo,  pero',   lo   Stato
determina anche la lesione dell'affidamento legittimo  della  Regione
Umbria. 
    Il  principio  della  tutela   del   legittimo   affidamento   e'
riconosciuto  e  tutelato  sia  dalla  Costituzione  italiana   (come
espressione del principio di ragionevolezza e certezza  del  diritto,
ex  art.  3  Cost.),  che  dalla  Convenzione  europea  dei   Diritti
dell'uomo,  con  la  conseguenza  che  la  sua  lesione  comporta  la
violazione non solamente dell'art. 3 Cost., ma anche  dell'art.  117,
comma 1, Cost., per violazione degli artt. 6 e 13  della  Convenzione
europea dei Diritti dell'uomo. 
    Nel caso di specie,  la  lesione  del  legittimo  affidamento  si
determina per diversi profili. In primo luogo, va ribadito in  questa
sede quanto gia' osservato dalla Regione ricorrente  nel  ricorso  in
via principale avverso l'art. 7, comma 9-sexies, del decreto-legge n.
78 del 2015. Come si e' osservato in narrativa, ai parr. 2  e  3,  il
procedimento di approvazione del «programma parallelo» della  Regione
Umbria al POR FESR 2007-2013 e'  transitato  per  numerosi  passaggi:
dalla    preliminare    interlocuzione    con    l'Unione     europea
all'approvazione da parte  della  Giunta  regionale  alla  successiva
ratifica da parte del Dipartimento per la coesione e  lo  sviluppo  e
del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del  Ministero
dell'economia e delle finanze (cfr. la nota del Presidente del Gruppo
di azione e  coesione  presso  Dipartimento  per  la  coesione  e  lo
sviluppo del 13 novembre 2014, prot. n.  10717,  nonche'  il  decreto
ministeriale dell'economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 61). 
    Nessun dubbio, dunque, che la Regione abbia maturato un legittimo
affidamento circa la disponibilita' delle risorse  allora  stanziate,
stante «l'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenza
n. 24 del 1999)» (cosi' Corte cost., sent. n.  124  del  2010).  Tale
affidamento, dopo essere stato determinato  dallo  stesso  Stato  (il
che, come e' noto, e' ulteriore  indice  d'illegittimita')  e'  stato
irragionevolmente pregiudicato dalla disposizione  allora  impugnata.
Oggi, nonostante l'intervento dell'Ecc.ma  Corte  costituzionale,  il
mancato accoglimento della  richiesta  della  Regione  di  ripristino
delle  risorse  del  Programma  parallelo  proroga  ulteriormente  la
lesione dell'affidamento della Regione. 
    7.2. - Non basta. Per costante giurisprudenza della Corte EDU uno
degli elementi sintomatici della lesione del legittimo affidamento e'
la  rottura  di  una  pronuncia  giurisdizionale  avente   forza   di
giudicato. Nessun affidamento di un soggetto  dell'ordinamento  nella
certezza del diritto, infatti,  puo'  essere  piu'  saldo  di  quello
determinato dalla pronuncia definitiva del giudice. Ebbene: nel  caso
di  specie,   pur   considerata   la   specificita'   del   giudicato
costituzionale, e' del tutto evidente che codesta Ecc.ma Corte, nello
statuire  sull'illegittimita'  costituzionale  dell'art.   7,   comma
9-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2015, ha deliberato  anche  sul
concreto atteggiarsi dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e
la Regione, affermando l'irragionevolezza di una  forma  di  prelievo
finanziario  che  interviene  in  un  arco  di  tempo  immediatamente
prossimo alla stessa dazione del fondo poi decurtato. La sent. n.  13
del   2017,   infatti,   ha    precisato    che    l'irragionevolezza
dell'intervento legislativo allora censurato «attiene in  particolare
alla tempistica delineata dalla disposizione impugnata»,  in  quanto,
«con riferimento alla specifica posizione della Regione  ricorrente»,
e' stato «materialmente impossibile» per  la  ricorrente  beneficiare
delle somme poi sottratte dallo Stato. 
    Tutto cio' premesso, e' evidente che gli orientamenti della Corte
EDU relativi alla tutela del legittimo affidamento possono applicarsi
anche al particolare  caso  che  ne  occupa,  in  quanto  il  mancato
accoglimento dell'istanza regionale  determina  la  lesione  di  tale
principio, nella forma dell'irragionevole  interferenza  dello  Stato
sull'esito di una controversia gia' scrutinata nella competente  sede
giurisdizionale.