LA CORTE D'APPELLO DI TRIESTE 
                         Collegio di Lavoro 
 
    Composta  dai  signori   Magistrati   dott.   Mario   Pellegrini,
Presidente dott.  Lucio  Benvegnu'  consigliere  avv.  Andrea  Doardo
giudice ausiliario relatore ha pronunciato la seguente ordinanza  nel
procedimento in grado di appello iscritto  al  n.  di  R.G.  85/2015,
promosso  con  ricorso  depositato  il  19  marzo  2015  da  Istituto
nazionale previdenza sociale - INPS, in  persona  del  Presidente  in
carica, con gli avv.ti Giovanni Maria Maggio e Franco Maria Foramiti,
contro il sig. Luciano Tassetto con l'avv. Marco Marchi. 
    Con ricorso depositato il 4 settembre 2013  Luciano  Tassetto  si
rivolgeva al Tribunale di Pordenone esponendo di essere  titolare  di
pensione di vecchiaia avente  decorso  dal  1°  luglio  2010  (avendo
utilizzato il sig. Tassetto la «finestra»  del  1°  luglio  dell'anno
successivo al compimento del 59 anno di  eta')  e  ottenuta,  con  il
cumulo della contribuzione versata, prima come lavoratore  dipendente
(n. 112 settimane dal 17 gennaio 1970 al 30 settembre  1972)  e  poi,
come lavoratore autonomo - commerciante (n.  1842  settimane  dal  1°
ottobre 1975 al 30  giugno  2010),  il  tutto  per  una  retribuzione
pensionabile di € 1.275,89 mensili. 
    Rilevava e documentava quindi nel corso  del  giudizio  di  primo
grado il sig. Tassetto, come egli tuttavia, gia'  alla  data  del  31
dicembre 2007, in forza del dettato della legge n.  247/2007,  avesse
maturato il requisito contributivo minimo (n. 1824  settimane)  e  in
base ai calcoli effettuati dal Patronato ACLI versati in atti  e  non
contestati, qualora la pensione di vecchiaia gli fosse  stata  allora
liquidata, contestualmente al  raggiungimento  del  requisito  minimo
contributivo, utilizzando pertanto solo i contributi versati sino  ad
allora, egli avrebbe  percepito  un  trattamento  pensionistico  piu'
favorevole (€ 1.618,40 mensili), rispetto a quello che invece gli  e'
stato riconosciuto e pagato a partire dal 1° luglio 2010. 
    Chiedeva  quindi  il  ricorrente  all'INPS  di   ricalcolare   la
pensione, escludendo dal computo la contribuzione versata dopo il  31
dicembre 2007  e  cio'  in  applicazione  del  principio  piu'  volte
affermato dalla  Corte  costituzionale  secondo  il  quale  «dopo  il
perfezionamento  del  requisito  minimo   contributivo,   l'ulteriore
contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad
incrementare il  livello  di  pensione  gia'  consolidato,  non  deve
comunque compromettere la  misura  della  prestazione  potenzialmente
maturata sino a quel momento:  effetto,  quest'ultimo,  che  sarebbe,
infatti, palesemente contrastante con  gli  articoli  3  e  38  della
Costituzione». (1) 
    La domanda di Luciano Tassetto gia' respinta  dall'INPS  in  sede
amministrativa,  stata  avversata   dall'Istituto   anche   in   sede
giudiziale, sulla base di una lettura rigorosa dell'art.  5  comma  1
della legge n. 233/90 e dell'art. 1 comma 18 della legge n. 335/95  e
della ulteriore considerazione  che  non  vi  e'  «alcuna  norma  che
consenta l'invocata  sterilizzazione  del  periodi  contributivi  nei
quali l'odierno ricorrente ha prodotto un  reddito  di  impresa  meno
elevato». (2) 
    La sentenza di primo grado (n.  24/2015  pubblicata  in  data  11
febbraio 2015) del Tribunale  di  Pordenone,  ha  invece  accolto  la
domanda  del   sig.   Luciano   Tassetto   adottando   «una   lettura
costituzionalmente orientata favorevole al ricorrente delle norme  in
esame».  (3) 
    Scrive infatti il Tribunale che la Corte  costituzionale  con  le
numerose sentenze che si  sono  occupate  del  tema,  ha  fissato  un
principio, cosiddetto della «sterilizzazione» dei contributi dannosi,
fondando il proprio decisum, non certo sulla «gestione» in  cui  tali
contributi sono stati versati, ma piuttosto sulla consapevolezza  che
sarebbe irrazionale e contrario alla Costituzione, che un  numero  di
contributi superiore al minimo occorrente a far  sorgere  il  diritto
alla pensione, possa  dare  origine  ad  una  prestazione  di  misura
inferiore  a  quella  ricollegabile  al  solo  minimo  «il  vizio  di
costituzionalita'  deriva  dall'effetto  paradossale  che  contributi
ulteriori  possano  ridurre,  invece  di  aumentare,  il  trattamento
pensionistico e non dalla gestione in cui tali contributi sono  stati
versati». (4) 
    La  sentenza  di  primo  grado  e  la  adottata   interpretazione
costituzionalmente   orientata,   e'   stata   criticata    dall'Ente
Previdenziale con l'atto di appello, sulla base di  due  rilievi.  Il
primo, attinente alla specificita' del principio fatto emergere dalle
sentenze  richiamate  della  Corte  costituzionale  e  invocate   dal
ricorrente,   singole    pronunce    di    parziale    illegittimita'
costituzionale che avrebbero  potuto  trovare  applicazione  solo  in
relazione  alle  specifiche  ipotesi  che  avevano  data  luogo  alla
rispettiva  declaratoria  di  incostituzionalita',  non  suscettibili
quindi, di disciplinare ipotesi  diverse.  Il  secondo  rilievo  pone
invece l'attenzione al sistema  pensionistico  del  lavoro  autonomo,
cosi' come organizzato e disciplinato  nel  nostro  ordinamento,  per
ricavarne la  sua  piena  costituzionalita',  anche  in  presenza  di
diversita'  rispetto   a   quello   dell'assicurazione   obbligatoria
ordinaria e cio' principalmente in  ragione  di  diverse  esigenze  e
della presenza comunque di «forme di contemperamento  che  concorrono
nel mettere in qualche  modo  al  riparo  la  pensione  (o  quota  di
pensione) liquidabile nelle gestione degli autonomi dalle  oscillanti
tendenze di mercato alle quali  e'  inevitabilmente  assoggettato  il
reddito di siffatta categoria di lavoratori autonomi.».  (5) 
    Si e' costituito in grado di appello anche Luciano  Tassetto  per
ribadire le proprie posizioni e chiedere la reiezione del gravame. 
    All'udienza del 9 febbraio 2017 all'esito  della  discussione  la
Corte d'Appello, ritenuta la necessita' di sottoporre la questione di
legittimita' costituzionale in merito  alle  norme  che  regolano  la
fattispecie, ha rimesso le parti per  la  lettura  dell'ordinanza  di
rinvio, prima all'udienza dell'11 maggio 2015  e  quindi  all'udienza
del 13 lugilo 2017. 
    Viene sollevata questione di  legittimita'  in  riferimento  alle
norme di cui all'art 5 legge n. 233/90 e art. 1 comma  18,  legge  n.
335/95 con riguardo agli articoli 3, I e II comma, 35 I comma e 38, I
e II comma, della Costituzione, nella parte in cui esse non prevedono
che nel caso di  esercizio  da  parte  del  lavoratore  di  attivita'
autonoma,  successivamente  al  momento  in  cui  egli   abbia   gia'
conseguito  la  prescritta  anzianita'  contributiva,   la   pensione
liquidata, non possa essere comunque inferiore a quella  che  sarebbe
spettata al raggiungimento dell'eta' pensionabile,  calcolata  con  i
contributi minimi gia' versati, escludendo  quindi  dal  computo,  ad
ogni effetto, i periodi successivi e la relativa  contribuzione  meno
favorevole e financo dannosa. 
    In punto rilevanza, essa  si  presenta  all'evidenza  concreta  e
attuale. Si osserva infatti, come risulti documentale la  prospettata
differenza di retribuzione pensionistica, sfavorevole  al  lavoratore
in ipotesi di stretta e puntuale applicazione delle  norme  impugnate
l'art. 5 legge n. 233/90 infatti  impone  di  calcolare  la  pensione
sulla  media  del  reddito  percepito  negli  ultimi  dieci  anni  di
attivita' e quindi, nel caso di Luciano Tassetto, tenendo  conto  dei
redditi relativi agli anni dal 2000 al 2010 (I° semestre). Media  che
risulta significativamente piu'  bassa,  di  quella  che  si  ottiene
prendendo come riferimento i redditi prodotti negli  anni  1998/2007,
data ultima questa in  cui,  come  gia'  specificato,  il  ricorrente
Luciano Tassetto aveva conseguito il requisito minimo contributivo. 
    In punto «non manifesta infondatezza» occorre considerare come: 
        1) nella gestione Assicurazione Generale Obbligatoria e' oggi
vigente, senza dubbio alcuno, il  principio  della  «sterilizzazione»
dei contributi dannosi maturati successivamente al raggiungimento del
requisito minimo contributivo. 
        2)  il  Tribunale  di  Pordenone  nella  sentenza  impugnata,
consapevole della impossibilita' di trattare diversamente  situazioni
uguali, senza con cio' violare in primis l'art. 3 della Costituzione,
ha scelto di applicare il principio della sterilizzazione,  elaborato
dalla Corte costituzionale in  riferimento  esplicito  al  lavoratore
subordinato e normativamente all'art. 3, comma 8, legge n.  297/1982,
anche al lavoratore autonomo e quindi attraverso una  interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 5 legge n. 233/90, accogliendo
il ricorso del lavoratore. 
        3) la soluzione accolta dal Tribunale,  si  presta  tuttavia,
come del resto puntualmente rilevato dall'INPS nell'atto di  appello,
ad una severa critica atteso che, da  un  lato  la  norma  dichiarata
incostituzionale nella sentenza piu'  volte  richiamata  dalla  Corte
costituzionale, 6 altra (art. 3 comma 8 legge n. 297/1982),  rispetto
a quella qui impugnata e che disciplina ii caso concreto sottoposto a
giudizio (art. 5 legge n. 233/90 e art. 1 comma 18, legge n.  335/95)
e dall'altro lato, proprio nella sentenza della Corte  costituzionale
(cfr. sentenza n. 264/1994), si sottolinea come palesemente contrario
al principio di razionalita' di cui l'art. 3 della Costituzione - che
implica  l'esigenza  di  conformita'  dell'ordinamento  a  valori  di
giustizia e di equita' (sentenza n. 421 del 1991) che all'inserimento
di un periodo di contribuzione obbligatoria  nella  base  di  calcolo
della pensione consegua in un sistema che  prende  in  considerazione
per la determinazione della retribuzione pensionabile  solo  l'ultimo
periodo lavorativo (in quanto  si  presume  piu'  favorevole  per  il
lavoratore), come unico effetto, un  depauperamento  del  trattamento
pensionistico di vecchiaia rispetto a quello gia' ottenibile  ove  in
tale periodo non vi fosse stata contribuzione alcuna  ed  il  periodo
stesso non fosse stato quindi computabile a nessun effetto  (neppure,
quindi, ai fini della determinazione dell'anzianita' contributiva)». 
    Laddove dunque, non puo' sfuggire il richiamo operato dalla Corte
al «sistema» (leggi AGO), che prende in considerazione per il calcolo
della retribuzione pensionabile «solo l'ultimo periodo lavorativo (in
quanto si presume piu' favorevole per il lavoratore)»,  sistema,  che
risulta quindi differente e diverso da  quello  utilizzabile  per  il
calcolo della pensione nel lavoro autonomo, in cui il  periodo  preso
in considerazione e'  quello  relativo  agli  ultimi  dieci  anni  di
attivita' e ove di certo, non si puo' «presumere» ma  anzi,  che  gli
ultimi anni di attivita' siano piu' favorevoli per il lavoratore. 
    In altre parole, l'interpretazione  costituzionalmente  orientata
adottata nella  sentenza  de  quo  dal  Tribunale  di  Pordenone  che
permette, sempre secondo lo stesso Tribunale di evitare «una evidente
disparita'  di  trattamento»  in  contrasto  con   l'art.   3   della
Costituzione, risulta invero inammissibile se si presta attenzione ai
casi e  ai  principi  richiamati  dalla  Corte  costituzionale  nelle
sentenze con cui e' stato elaborato  e  fissato  il  principio  della
«sterilizzazione» dei contributi dannosi. 
    Per contro tuttavia, e  pur  vero  che  il  richiamato  principio
appare corretto e aderente al dettato  costituzionale  laddove  evita
una  palese  e  irragionevole  differenza  di   trattamento,   valido
certamente  nel  sistema  di  lavoro  subordinato,   ma   altrettanto
necessario ed urgente  anche  nel  sistema  del  lavoro  autonomo.  E
parimenti, sul versante della tutela del lavoro in ogni sua forma  ed
applicazione (art. 35, I comma Cost.), la su riferita  diversita'  di
trattamento,  come  oggi  delineata  sulla  base   di   una   stretta
applicazione delta norma  impugnata,  tra  lavoratore  subordinato  e
lavoratore autonomo,  risulta  difficilmente  giustificabile  essendo
evidente che ogni prestazione di lavoro merita considerazione  uguale
pure sul versante contributivo,  come  qui  occorso.  La  tutela  del
lavoro in tutte le sue forme impone che l'assegno  pensionistico  non
venga falcidiato in caso di lavoratore autonomo e comunque, la tutela
di rango  costituzionale  sopra  richiamata,  mira  anche  a  rendere
appetibile ogni forma  (autonoma  o  meno)  di  lavoro,  sicche'  una
legislazione che penalizza la futura pensione rende meno interessante
e dunque tutela di  meno  il  lavoro  non  subordinato.  Infine,  con
riferimento  all'art.   38,   I   e   II   comma   Costituzione,   la
differenziazione posta in risalto e il depauperamento che ne  deriva,
incidendo sulla proporzionalita' tra il trattamento  pensionistico  e
la quantita' e la qualita' del lavoro prestato, contrasta palesemente
con il  canone  della  adeguatezza  richiamato  dalla  norma  che  fa
intendere come non si possano  trattare  in  modo  diverso,  ai  fini
previdenziali, situazioni consimili. 
    Non  pertinenti  infine  sul  punto,  paiono  le  critiche   alla
sussistenza  del  requisito  della   «non   manifesta   infondatezza»
sollevate da INPS nell'atto di appello,  poiche'  l'applicazione  del
principio di sterilizzazione dei contributi  dannosi  non  tocca,  ne
mette in discussione il sistema previdenziale del lavoro  autonomo  e
nello specifico quello delineato dall'art. 5 legge n. 233/90, laddove
si prevede che la contribuzione sia proporzionale di anno in anno  al
reddito prodotto con una stretta interdipendenza dunque  tra  reddito
imponibile in un determinato anno e reddito utile alla  pensione  per
lo stesso anno, ma al contrario evita effetti che si  appaleserebbero
come  irragionevoli   siccome   non   rispondenti   all'esigenza   di
conformita' dell'ordinamento ai valori  di  giustizia  e  di  equita'
connaturati al principio  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione,
oltre ad essere in contrasto con le  garanzie  poste  dal  successivo
art. 38. 
    Dunque, inammissibile per  quanto  scritto,  una  interpretazione
costituzionalmente  orientata  delle  norme   in   discussione,   per
risolvere La controversia in esame, senza violare gli articoli 3,  35
e  38  della  Costituzione,  e'  necessario  che  la   Corte,   unica
legittimata, chiarisca ed interpreti  gli  articoli  impugnati,  cosi
come e stato fatto per le norme relative al trattamento pensionistico
nel rapporto di lavoro subordinato, in  modo  coerente  e  rispettoso
della Costituzione. 

(1) Cfr. tra le tante Cort. Cost. n. 201 del 1999. 

(2) Cfr. Memoria di costituzione e risposta di primo grado INPS, pag.
    3. 

(3) Cfr. sentenza tribunale Pordenone n. 24/2015, pag. 6. 

(4) Cfr. Sent. Trib. Pordenone n. 24/2015, pag. 7. 

(5) Cfr. Atto di appello, pag. 7.