Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione del  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  nei  cui  uffici  domicilia  in   Roma   dei
Portoghesi, 12; 
    Contro la Regione Liguria, in persona del  Presidente  in  carica
per l'impugnazione della legge regionale della  Liguria  10  novembre
2017, n.  26,  pubblicata  sul  Bollettino  ufficiale  della  Regione
Liguria n. 16 del  15  novembre  2017,  rubricata  «Disciplina  delle
concessioni demaniali marittime per finalita' turistico  ricreative»,
in relazione ai suoi articoli 2, comma 2 e 4, comma 1. 
    La legge regionale della Liguria n. 26 del 2017  ha  ad  oggetto,
come indicato nel suo art. 1, comma 1, la disciplina, nel  territorio
ligure, del  «rilascio  delle  concessioni  demaniali  marittime  per
finalita' turistico ricreative  al  fine  di  favorire  le  attivita'
imprenditoriali e il turismo costiero nel rispetto dei principi della
gestione integrata della fascia, della  tutela  della  concorrenza  e
delle liberta' di stabilimento». 
    Cio', sempre a stare a quanto dichiarato nell'art.  1,  comma  1,
«in conformita' con la normativa statale vigente» e «(n)elle more del
procedimento di revisione del  quadro  normativo  di  rilascio  delle
concessioni di  beni  demaniali  marittimi  con  finalita'  turistico
ricreative di competenza dello Stato previsto all'art. 1,  comma  18,
del decreto-legge 30  dicembre  2009,  n.  194  (Proroga  di  termini
previsti da disposizioni legislative) convertito, con  modificazioni,
dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 (1) ». 
    Obiettivo della legge, enunciato nel comma 2 dell'art. 1,  e'  la
previsione di «adeguate garanzie per  la  conservazione  del  diritto
alla continuita' delle concessioni in atto»,  al  fine  di  «tutelare
l'organizzazione  sociale   delle   aree   costiere,   garantire   la
continuita' aziendale delle attivita' che operano sulla  base  di  un
titolo concessorio attualmente  vigente,  assicurare  la  tutela  del
legittimo  affidamento  dei   titolari   di   concessioni   demaniali
attualmente operanti in forza dei rapporti gia' instaurati e pendenti
in  base  all'art.  1,  comma  18,  del  decreto-legge  n.  194/2009,
convertito dalla legge n. 25/2010 e mantenere il livello  attuale  di
presidio delle aree demaniali marittime nelle  more  dell'entrata  in
vigore della nuova disciplina». 
    Nel quadro di tali obiettivi, l'art.  2  della  legge  regionale,
rubricato «Concessioni demaniali vigenti», dopo avere dichiarato,  al
comma 1, che e' «tutelato  il  principio  del  legittimo  affidamento
delle imprese balneari titolari di concessioni  demaniali  marittime,
lacuali e fluviali ad uso  turistico  ricreativo,  in  essere  ovvero
rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009,  con  la  conservazione
del diritto alla continuita' aziendale», al comma 2 stabilisce quanto
segue: 
        «Alle concessioni di beni demaniali marittimi  con  finalita'
turistico  ricreative,  ad  uso  pesca,  acquacoltura   e   attivita'
produttive ad essa connesse, e sportive, nonche' quelle  destinate  a
approdi e  punti  di  ormeggio  dedicati  alla  nautica  da  diporto,
attualmente vigenti, e' riconosciuta l'estensione della durata  della
concessione di trenta anni dalla data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge». 
    Il  successivo  art.  4,  intitolato  «Durata  della  concessione
demaniale marittima», al comma 1, prevede quanto segue: 
        «La durata della nuova concessione  demaniale  marittima  non
deve limitare la libera  concorrenza  oltre  il  tempo  necessario  a
garantire l'ammortamento degli investimenti materiali e  immateriali,
nonche' un'equa remunerazione dei capitali investiti. In ogni caso la
durata della concessione per finalita' turistico ricreative non  puo'
essere inferiore a venti anni e superiore a trenta anni». 
    Nella seduta del 12 gennaio 2018, il Consiglio  dei  ministri  ha
deliberato di impugnare la legge regionale in esame, in relazione  ai
suoi articoli 2, comma 2 e 4, comma 1. 
    Tali disposizioni sono illegittime per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) In  relazione  all'art.  117,  comma  primo,  della  Costituzione,
violazione  dei  vincoli   derivanti   dall'ordinamento   dell'Unione
europea. In relazione all'art. 117, comma secondo, lettera e),  della
Costituzione violazione della potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato nella materia della «tutela della concorrenza». 
    Prima di entrare nel merito  delle  censure  che  si  andranno  a
proporre, sembra opportuno,  da  un  lato,  ripercorrere  le  vicende
normative che  hanno  caratterizzato  l'adeguamento  dell'ordinamento
nazionale alle contestazioni che la Commissione europea ha  formulato
nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2008/4908  e,  dall'altro
lato, dare conto delle circostanze che caratterizzano il procedimento
pregiudiziale di cui alle cause  riunite  C-458/14,  Promoimpresa,  e
C-67/15, Melis e a., originate da rinvio disposto  da  due  tribunali
amministrativi regionali italiani, che e' stato recentemente definito
dalla Corte di giustizia dell'Unione europea. 
    Quanto alla procedura di infrazione, essa fu avviata nel febbraio
del 2009 dalla Commissione europea, la quale censurava il  fatto  che
in Italia l'attribuzione delle concessioni  demaniali  marittime  per
finalita' ricreative si basasse su un sistema di  preferenza  per  il
concessionario uscente, se non addirittura di puro e semplice rinnovo
automatico della concessione gia' assentata. 
    La Commissione ha quindi chiesto di  modificare  le  disposizioni
normative nazionali che producevano tale effetto, ossia l'art. 37 del
codice della navigazione e l'art. 01, comma 2,  del  decreto-legge  5
ottobre 1993, n. 400 - le quali prevedevano, rispettivamente, il c.d.
diritto  d'insistenza  del  concessionario  uscente  e   il   rinnovo
automatico delle concessioni sessennali  -  cosi'  da  passare  a  un
sistema basato su concessioni per le quali fosse prevista una  durata
massima, da attribuire mediante procedure di evidenza pubblica. 
    Nella  prima  fase  della  procedura,  le   contestazioni   della
Commissione si sono appuntate sulla contrarieta' del regime nazionale
alle norme  del  diritto  primario  dell'Unione  e,  in  particolare,
all'art. 43 dell'allora Trattato  CE  (ora  art.  49  del  TFUE),  in
materia di  liberta'  di  stabilimento,  in  ragione  della  barriera
all'ingresso che tale regime introduceva nei confronti delle  imprese
(anche)  dell'Unione  europea,  alle  quali  non  era   concessa   la
possibilita', alla scadenza della concessione, di prendere  il  posto
del vecchio gestore. 
    L'interpretazione, come noto, e' stata condivisa da codesta Corte
costituzionale, nella sentenza n. 180 del 2010, che - occupandosi  di
una legge delle Regione Emilia-Romagna che attribuiva ai titolari  di
concessioni demaniali marittime il diritto a una proroga della durata
della concessione fino a un massimo di 20 anni -  ha  dichiarato  che
simili  previsioni  determinano  una   «ingiustificata   compressione
dell'assetto concorrenziale del mercato della  gestione  del  demanio
marittimo, (...), violando il principio  di  parita'  di  trattamento
(detto anche «di non discriminazione»), che si ricava dagli  articoli
49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in  tema
di liberta' di  stabilimento,  favorendo  i  vecchi  concessionari  a
scapito  degli  aspiranti  nuovi».  Tale  indirizzo  e'  stato,  poi,
ribadito in diverse successive della Corte relative  ad  altre  leggi
regionali, come ad esempio la n. 340 del 2010, la n. 213 del  2011  e
la n. 171 del 2013 relative ad altre leggi regionali (l'ultima  delle
quali proprio a una legge della Regione Liguria, che  prefigurava  la
proroga di concessioni demaniali in essere). 
    Per  superare  le  contestazioni  della  Commissione,  e'   stata
inserita, nell'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30  dicembre  2009
n. 194 (c.d. «mille proroghe»),  una  disposizione  che  ha  abrogato
l'art. 37, comma 2, del codice della navigazione (ossia la norma  che
prevedeva  il  diritto  d'insistenza),  nel  contempo  prorogando  le
concessioni in essere al 31 dicembre  2015,  onde  consentire,  nelle
more di tale scadenza, l'adozione di una normativa che  disciplinasse
l'affidamento delle  concessioni  attraverso  procedure  di  evidenza
pubblica (la disposizione e' stata riportata nella  nota  a  pie'  di
pagina 1, sia pure nelle versione successivamente modificata). 
    In fase  di  conversione  del  decreto-legge,  in  questa  stessa
disposizione fu, tuttavia, inserito  dal  Parlamento  un  inciso  che
faceva salva l'applicabilita' del disposto dell'art. 1, comma 2,  del
decreto-legge n. 400 del 1993, il quale prevedeva  un  meccanismo  di
rinnovo automatico delle concessioni sessennali. 
    La  circostanza  ha  impedito   la   chiusura   della   procedura
d'infrazione. 
    La Commissione europea ha infatti comunicato, il 5  maggio  2010,
una lettera di c.d. «messa in mora complementare» con cui,  oltre  ad
agganciare  l'incompatibilita'  della  normativa  dell'Unione   anche
all'art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. «Direttiva  Servizi»  o
«Bolkestein»), entrata nel frattempo in vigore (28 dicembre 2009), ha
chiesto  di  correggere  l'art.  1,  comma  18,  del  decreto  «mille
proroghe», espungendo il rinvio al meccanismo di  rinnovo  automatico
previsto dal citato decreto-legge n. 400/1993. 
    Nella lettera di messa in mora complementare,  la  Commissione  -
oltre a ribadire  la  contrarieta'  al  Trattato  dei  meccanismi  di
proroga automatica o di preferenza del concessionario  uscente  -  ha
messo in evidenza che l'art. 12 della direttiva Bolkestein  prescrive
che,  qualora  il  numero   di   «autorizzazioni»   disponibili   per
l'esercizio di un'attivita' economica  sia  limitato  per  via  della
scarsita'  delle  risorse  naturali  o   delle   capacita'   tecniche
utilizzabili,  queste  siano  assentite   attraverso   procedure   di
selezione che assicurino  imparzialita'  e  trasparenza  e  prevedano
un'adeguata pubblicita' dell'avvio della  sua  procedura  e  del  suo
svolgimento. Questo articolo vieta inoltre, al secondo paragrafo,  il
rinnovo  automatico  di  tali  autorizzazioni  o  l'attribuzione   di
qualsiasi «vantaggio» al titolare uscente o a persone che si  trovino
in particolari rapporti con esso (2) . 
    Per «autorizzazione»,  secondo  le  definizioni  contenute  nella
direttiva,  deve  intendersi  «qualsiasi  procedura  che  obbliga  un
prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorita'  competente
allo  scopo  di  ottenere  una  decisione  formale  o  una  decisione
implicita relativa all'accesso ad un'attivita' di servizio o  al  suo
esercizio».  La  definizione,  pertanto,  si  attaglia  a   qualsiasi
attivita' economica il cui svolgimento  postuli  l'emissione  di  una
decisione di un'attivita' pubblica. In tale nozione, a giudizio della
Commissione,     doveva     ricomprendersi     anche      l'attivita'
turistico-balneare, considerato che il suo esercizio e'  condizionato
dal  previo  rilascio  di  una  concessione  sui  beni  del   demanio
marittimo. 
    Per superare definitivamente le contestazioni della  Commissione,
e' stato quindi approvato, in seno alla legge 15  dicembre  2011,  n.
217 (legge comunitaria 2010), un art. 11 («Modifiche al decreto-legge
5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4
dicembre 1993, n. 494. Procedura d'infrazione n. 2008/4908. Delega al
Governo in materia  di  concessioni  demaniali  marittime»),  che  ha
eliminato  ogni  rinvio  al  regime  del  rinnovo  automatico   delle
concessioni (3) . 
    Cio' ha consentito l'archiviazione della procedura di infrazione,
avvenuta con decisione della Commissione del 27 febbraio 2012. 
    L'art. 11 della legge comunitaria 2010 conferiva anche una delega
legislativa per la revisione e il riordino della  normativa  relativa
alle concessioni demaniali  marittime,  ma  il  relativo  termine  di
quindici mesi e' spirato senza che la delega fosse esercitata. 
    Cio' si deve essenzialmente al fatto che, con l'art. 34-duodecies
del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (inserito  dalla  legge  di
conversione n. 221 del 17 dicembre 2012), il termine di durata  delle
concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo in  essere
e' stato prorogato al 31 dicembre 2020. 
    La  proroga  ope  legis  ha   costituito   oggetto   dei   rinvii
pregiudiziali disposti da due tribunali amministrativi regionali  (il
Tribunale amministrativo regionale della  Lombardia  e  il  Tribunale
amministrativo regionale della Sardegna) che,  in  sintesi,  si  sono
interrogati sulla compatibilita' della detta proroga con  i  principi
stabiliti nel Trattato e nel  diritto  derivato  dell'Unione  europea
(segnatamente, nell'art. 12 della direttiva Bolkestein). 
    In data 14 luglio 2016 e'  stata  depositata  la  sentenza  della
Corte di giustizia dell'Unione europea (in  prosieguo,  la  «sentenza
Promoimpresa»). 
    Ai fini che qui  rilevano,  la  sentenza  si  segnala  per  avere
confermato che, in linea di principio, le  concessioni  demaniali  in
questione  rientrano  nel  campo  di  applicazione  della   direttiva
2006/123/CE e, in particolare, del suo art. 12 (pur  residuando,  nei
casi di specie, un  apprezzamento  di  fatto  -  rimesso  al  giudice
nazionale  -  circa  la  natura  «scarsa»,  o  meno,  della   risorsa
attribuita in concessione (4) ). 
    In particolare, essa  ha  ritenuto  che  le  concessioni  possono
«essere   qualificate   come   «autorizzazioni»,   ai   sensi   delle
disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto  costituiscono  atti
formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto  nazionale,
che i prestatori devono ottenere dalle autorita' nazionali al fine di
poter esercitare la loro attivita' economica» (cfr.  punto  41  della
sentenza). 
    La  Corte  di  giustizia  ha,  peraltro,  anche   affermato   che
l'eventuale inapplicabilita' delle disposizioni della  direttiva  non
esimerebbe le autorita' concedenti dall'affidare le  concessioni  che
abbiano un interesse transfrontaliero certo - che siano, cioe',  tali
da  poter  ragionevolmente  suscitare  l'interesse  economico  di  un
operatore economico situato in un altro Stato  membro  dell'Unione  -
nel rispetto delle regole fondamentali del Trattato sul funzionamento
dell'Unione  europea  e,  in  particolare,  del  principio   di   non
discriminazione (5) . 
    Da  ultimo,  la  sentenza  chiarisce  che   una   disparita'   di
trattamento tra i concessionari esistenti e gli  operatori  economici
che aspirano alla concessione puo', a determinate condizioni, «essere
giustificata  da  motivi  imperativi  di   interesse   generale,   in
particolare  dalla  necessita'  di  rispettare  il  principio   della
certezza del diritto», tuttavia poi escludendo che, nei due  casi  di
specie, potesse farsi questione di tutela del legittimo  affidamento,
giacche' le concessioni controverse erano state affidate in  un'epoca
in cui gli interessati non potevano  legittimamente  confidare  sulla
stabilita' dei rapporti  concessori  in  misura  maggiore  di  quanto
consentito dai principi del diritto dell'Unione. 
    All'indomani del deposito della sentenza della Corte di giustizia
-  la  quale,  nella  sostanza,  chiariva  che   era   passibile   di
disapplicazione la  proroga  al  2020  delle  concessioni  esistenti,
disposta dall'art. 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del  2012  -
il Parlamento,  senza  abrogare  tale  disposizione,  e'  intervenuto
inserendo, in sede di conversione del decreto-legge 24  giugno  2016,
n. 113, un comma 3-septies all'art. 25, del seguente  tenore:  «Nelle
more della revisione e del riordino della materia in  conformita'  ai
principi  di  derivazione  europea,  per  garantire   certezza   alle
situazioni giuridiche  in  atto  e  assicurare  l'interesse  pubblico
all'ordinata gestione del demanio  senza  soluzione  di  continuita',
conservano validita' i rapporti gia' instaurati e  pendenti  in  base
all'art. 1, comma 18, del decreto-legge 30  dicembre  2009,  n.  194,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010,  n.  25»
(6) . 
    Successivamente,  in  data  15  febbraio  2017,  il  Governo   ha
presentato al Parlamento un  disegno  di  legge  recante  «Delega  al
Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa  alle
concessioni  demaniali  marittime,  lacuali   e   fluviali   ad   uso
turistico-ricreativo». 
    Il progetto di legge  e',  pero',  decaduto  con  la  fine  della
legislatura. 
    Merita,  infine,  richiamare  alcune  piu'  recenti  pronunce  di
codesta Corte, le sentenze n. 40 e n. 157 del 2017, nelle quali -  in
linea di  continuita'  con  tutta  la  precedente  giurisprudenza  in
materia (cfr. le citate sentenze nn. 180, 233 e 340 del 2010, n.  213
del 2011 e n. 171 del 2013) - si e' confermato che la disciplina  dei
criteri e delle modalita' di affidamento delle concessioni,  nel  cui
contesto «particolare  rilevanza  (...)  assumono  i  principi  della
libera concorrenza e della liberta' di stabilimento,  previsti  dalla
normativa comunitaria e nazionale», investe un ambito  di  competenze
riservate alla legislazione statale e interviene in  un  settore  nel
quale insistono principi di derivazione europea, che la  legislazione
nazionale deve rispettare. 
    Nel descritto quadro, l'art. 2, comma 2,  della  legge  regionale
impugnata stabilisce, come si e' visto, una proroga  di  trenta  anni
delle concessioni demaniali marittime «attualmente vigenti». 
    Dalla premessa che precede si  colgono,  a  tutta  evidenza,  gli
aspetti di contrarieta' di tale previsione con il diritto dell'Unione
europea e, in particolare, con l'art.  12  della  direttiva  servizi,
nella quale sono declinati i principi della liberta' di  stabilimento
nel settore terziario (7) . 
    Si e' visto, infatti, che il par. 2 di tale articolo impedisce di
attribuire al prestatore uscente qualsiasi vantaggio. E  tale  regola
e' stata riprodotta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con
cui la direttiva e' stata trasposta nell'ordinamento interno.  L'art.
16, comma 4, di tale decreto legislativo  stabilisce,  nell'esercizio
della  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di  tutela  della
concorrenza, che «(n)ei casi di cui al comma 1» - ossia nei  casi  in
cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata
attivita' di servizi sia limitato - «il titolo e' rilasciato per  una
durata limitata e non  puo'  essere  rinnovato  automaticamente,  ne'
possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente  o  ad  altre
persone, ancorche' giustificati da particolari legami con il primo». 
    Tali  principi  sono  manifestamente  violati   dall'attribuzione
indiscriminata ai concessionari esistenti di una  proroga  di  trenta
anni. 
    L'intervento regionale determina, insomma, una  ingiustificata  e
insuperabile barriera all'ingresso dei nuovi entranti nel mercato, in
conclamata violazione della giurisprudenza della Corte di giustizia -
la quale, come si e' visto, ha reputato illegittima anche una proroga
limitata  al  2020  -   peraltro   ripetutamente   anticipata   dalla
giurisprudenza di  codesta  Ecc.ma  Corte,  a  partire  dalla  citata
sentenza n. 180 del 2010 (nella quale era stata reputata  illegittima
una proroga sino a un massimo di venti anni). 
    Ne' tale giurisprudenza  puo'  essere  aggirata  con  l'argomento
della situazione di legittimo affidamento nel  quale  verserebbero  i
concessionari esistenti, alla quale allude l'art. 2, comma  1,  della
legge regionale. 
    La citata sentenza Promoimpresa - che, come si e' visto, contiene
alcune, ben delimitate, aperture in tal senso - ha  chiarito  che  la
circostanza che nell'ordinamento interno, fino al 31  dicembre  2009,
fosse previsto il diritto di insistenza  e/o  il  rinnovo  automatico
della concessione ogni sei anni, non e' sufficiente a  costituire  un
legittimo affidamento in capo a tutti i concessionari esistenti. 
    Secondo  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea   l'unico
affidamento tutelabile e' quello che si e' costituito sulla  base  di
una situazione  conforme  al  diritto  dell'Unione:  altro  e'  avere
ottenuto una concessione priva di interesse transfrontaliero certo in
un periodo  antecedente  alla  scadenza  della  direttiva  Bolkestein
(situazione che, come si e' visto, non ha rilievo  per  l'ordinamento
dell'Unione), altro e' avere ottenuto una  concessione  che,  invece,
aveva tale portata o averla ottenuta dopo l'armonizzazione realizzata
dalla direttiva. 
    Ne consegue che il  titolare  di  una  concessione  di  interesse
transfrontaliero certo, sia  pure  assentita  prima  dell'entrata  in
vigore della direttiva servizi, non poteva  legittimamente  confidare
sui vantaggi conferiti, in violazione  dei  Trattati  europei,  dalla
norma nazionale;  d'altra  parte,  il  titolare  di  una  concessione
assentita dopo la scadenza della direttiva  Bolkestein  (28  dicembre
2009) non potrebbe  invocare  il  legittimo  affidamento  neanche  in
assenza   di   tale   interesse   transfrontaliero   certo,   perche'
l'armonizzazione realizzata  dalla  direttiva  rende  irrilevante  la
verifica in concreto di tale interesse. 
    Si  vede,  quindi,  come  la  questione  dell'esistenza  di   una
situazione di legittimo  affidamento  andrebbe  verificata  caso  per
caso. 
    La legge regionale, per converso, ancora  la  sussistenza  di  un
legittimo affidamento alla mera attuale esistenza di una  concessione
(l'art. 2, comma 1, la estende a tutte le  concessioni  «in  essere»,
l'art. 2,  comma  2,  concede  la  proroga  a  tutte  le  concessioni
«attualmente vigenti»), finendo per riconoscere tale  condizione,  in
maniera indiscriminata, in capo a tutti i  concessionari  attualmente
operanti. 
    Ma, al di la' dei profili di contenuto dell'intervento regionale,
e' chiaro  come  esso  contrasti  innanzi  tutto  con  l'esigenza  di
garantire la parita' di trattamento e l'uniformita' delle  condizioni
del mercato sull'intero territorio nazionale: esigenza  che  solo  la
legge  statale  puo'  assicurare,  nell'esercizio  della   competenza
esclusiva in materia di tutela  della  concorrenza  (competenza  che,
pertanto, risulta manifestamente violata dalla legge regionale). 
    E questa stessa esigenza impone che sia sempre la legge statale a
stabilire se tutelare il legittimo affidamento dei concessionari,  in
quale casi farlo, in quale misura e con quali forme. 
    Sul punto sembra sufficiente rinviare alla radicata e gia' citata
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte. 
    Per   concludere,   appare   evidente   che   andra'   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2,  della  legge
regionale impugnata, oltre che - considerata  la  intima  connessione
con tale disposizione - del comma  1  del  medesimo  articolo,  nella
parte in cui dispone che e' tutelato  il  legittimo  affidamento  del
concessionario «con la conservazione  del  diritto  alla  continuita'
aziendale» e del successivo comma 3, nella parte in  cui  demanda  ai
comuni  di  comunicare  ai  titolari  delle   concessioni   demaniali
«l'estensione della durata della  concessione  demaniale  per  trenta
anni». 
2) In relazione  all'art.  117,  comma  secondo,  lettera  e),  della
Costituzione violazione della potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato nella materia della «tutela della concorrenza». 
    L'art. 4, comma  1,  della  legge  regionale  impugnata  riguarda
l'affidamento di nuove concessioni demaniali marittime  e  stabilisce
che, quando queste abbiano finalita' turistico ricreative,  esse  non
potranno avere durata inferiore a venti anni, ne' superiore a trenta. 
    La disciplina concernente il rilascio delle concessioni  su  beni
demaniali marittimi interseca una pluralita'  di  settori  materiali,
attribuiti alla competenza sia statale che regionale  (si  confronti,
per tutte, la sentenza n. 40 del 2017). 
    Alle regioni sono attribuite, dall'art. 105, comma 2, lettera  l)
del decreto legislativo n. 112 del  1998,  competenze  amministrative
inerenti al rilascio delle concessioni in uso  di  beni  del  demanio
marittimo. Le relative  funzioni  sono  esercitate,  di  regola,  dai
comuni, ai sensi dell'art. 42 del decreto legislativo n. 96 del 1999,
rispetto ai quali le regioni mantengono  poteri  di  indirizzo  (cfr.
art. 11, comma 6, della legge n. 217 del  2011  -  legge  comunitaria
2010 - come modificato dall'art. 34-quater, comma 1, lettera  a,  del
decreto-legge n. 179 del 2012). 
    La titolarita' dei relativi beni demaniali permane in  capo  allo
Stato, non avendo avuto ancora attuazione, attraverso  gli  specifici
decreti   del   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   volti
all'individuazione dei singoli beni, l'art. 3, comma  1,  lettera  a)
della legge n. 42 del 2009, che ha prefigurato il trasferimento  alle
regioni di tali beni. 
    Secondo la costante giurisprudenza della Corte, «i criteri  e  le
modalita' di affidamento delle concessioni demaniali marittime devono
essere  stabiliti  nell'osservanza   dei   «principi   della   libera
concorrenza  e  della  liberta'  di  stabilimento,   previsti   dalla
normativa comunitaria e nazionale» (sentenza  n.  213  del  2011,  da
ultimo ribadita dalla citata sentenza n.  40  del  2017);  ambiti  da
ritenersi  estranei,  in  via  di  principio,  alle  possibilita'  di
intervento  legislativo  delle  Regioni»  (cosi'  la   piu'   recente
pronuncia della Corte che si e' occupata della materia,  la  sentenza
n. 157 del 2017, da cui si e' tratta la ricostruzione  normativa  che
precede). 
    Tra i criteri di  affidamento  delle  concessioni  rientra  anche
l'elemento della durata, che dunque non spetta alla  legge  regionale
determinare nei suoi limiti minimi o massimi. 
    Alle  regioni  e  agli  enti  locali  puo',  semmai,  spettare  -
nell'esercizio   delle    predette    funzioni    amministrative    -
l'individuazione in concreto della durata della singola  concessione,
in  ragione  delle  caratteristiche  del  singolo  lotto  oggetto  di
selezione. 
    Questa, in effetti, era stata anche  la  scelta  del  legislatore
nazionale, nella richiamata delega - poi non esercitata  -  conferita
dall'art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (ivi  si  demandava
al legislatore delegato, al comma 2 lettera a, di  «stabilire  limiti
minimi e massimi di  durata  delle  concessioni,  entro  i  quali  le
regioni fissano la durata delle stesse in modo da assicurare  un  uso
rispondente all'interesse pubblico nonche' proporzionato  all'entita'
degli investimenti»). 
    E' chiaro, infatti, che l'elemento della durata minima o  massima
delle concessioni e' aspetto in grado di incidere sulla concorrenza e
sulle condizioni del  mercato,  che  spetta  al  legislatore  statale
definire in  maniera  uniforme  su  tutto  il  territorio  nazionale,
nell'esercizio dell'invocato titolo di competenza esclusiva. 
    Per tali ragioni, e indipendentemente  dal  merito  della  scelta
operata dal legislatore regionale, anche l'art.  4,  comma  1,  della
legge regionale si dimostra costituzionalmente illegittimo. 

(1) Questo comma, come modificato dall'art.  34-duodecies,  comma  1,
    del decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179,  convertito,  con
    modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, dall'art. 1,
    comma 547, della legge  24  dicembre  2012,  n.  228  e,  infine,
    dall'art. 1, comma 291, della legge 27  dicembre  2013,  n.  147,
    stabilisce quanto segue: «Ferma restando la  disciplina  relativa
    all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali  in  base  alla
    legge 5 maggio 2009, n. 42,  nonche'  alle  rispettive  norme  di
    attuazione, nelle more del procedimento di revisione  del  quadro
    normativo in  materia  di  rilascio  delle  concessioni  di  beni
    demaniali   marittimi   lacuali   e   fluviali   con    finalita'
    turistico-ricreative, ad uso  pesca,  acquacoltura  ed  attivita'
    produttive ad essa connesse, e sportive, nonche' quelli destinati
    a porti turistici, approdi e  punti  di  ormeggio  dedicati  alla
    nautica da diporto, da realizzarsi,  quanto  ai  criteri  e  alle
    modalita' di affidamento  di  tali  concessioni,  sulla  base  di
    intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'art.  8,
    comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che e'  conclusa  nel
    rispetto  dei   principi   di   concorrenza,   di   liberta'   di
    stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello  sviluppo,  della
    valorizzazione delle attivita' imprenditoriali e di tutela  degli
    investimenti, nonche' in funzione del superamento del diritto  di
    insistenza di cui all'art. 37, secondo cometa,  secondo  periodo,
    del  codice  della  navigazione,  il  termine  di  durata   delle
    concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente
    decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 e' prorogato fino
    al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui  all'art.
    03, comma 4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494. All'art. 37, secondo comma, del codice della navigazione, il
    secondo periodo e' soppresso». 

(2) Si riporta, per maggior  comodita'  di  lettura  dei  Giudicanti,
    anche il testo dell'art. 12 della  direttiva  servizi,  rubricato
    «Selezione tra diversi  candidati»:  «1.  Qualora  il  numero  di
    autorizzazioni disponibili  per  una  determinata  attivita'  sia
    limitato per via della scarsita' delle risorse naturali  o  delle
    capacita' tecniche utilizzabili, gli Stati membri  applicano  una
    procedura di selezione tra i candidati potenziali,  che  presenti
    garanzie  di  imparzialita'  e  di  trasparenza  e  preveda,   in
    particolare, un'adeguata pubblicita' dell'avvio della procedura e
    del suo svolgimento e  completamento.  2.  Nei  casi  di  cui  al
    paragrafo  1  l'autorizzazione  e'  rilasciata  per  una   durata
    limitata adeguata e non puo' prevedere la  procedura  di  rinnovo
    automatico ne' accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a
    persone che con tale prestatore abbiano  particolari  legami.  3.
    Fatti salvi il paragrafo 1 e gli  articoli  9  e  10,  gli  Stati
    membri possono tener  conto,  nello  stabilire  le  regole  della
    procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica,  di
    obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei
    lavoratori   dipendenti    ed    autonomi,    della    protezione
    dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale  e  di
    altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al  diritto
    comunitario». La disposizione e' stata recepita  nell'ordinamento
    nazionale dall'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010,  n.
    59, il quale dispone quanto segue: «1. Nelle ipotesi  in  cui  il
    numero di titoli autorizzatori disponibili  per  una  determinata
    attivita' di servizi sia  limitato  per  ragioni  correlate  alla
    scarsita' delle  risorse  naturali  o  delle  capacita'  tecniche
    disponibili, le autorita' competenti applicano una  procedura  di
    selezione  tra  i   candidati   potenziali   ed   assicurano   la
    predeterminazione e la pubblicazione, nelle  forme  previste  dai
    propri  ordinamenti,  dei  criteri  e  delle  modalita'  atti  ad
    assicurarne l'imparzialita', cui le stesse devono  attenersi.  2.
    Nel fissare le regole della procedura di selezione  le  autorita'
    competenti possono  tenere  conto  di  considerazioni  di  salute
    pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e  della
    sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione
    dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale  e  di
    altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al  diritto
    comunitario.  3.  L'effettiva  osservanza  dei  criteri  e  delle
    modalita'  di  cui  al  comma  1  deve  risultare   dai   singoli
    provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio.  4.
    Nei casi di cui al comma 1 il titolo e rilasciato per una  durata
    limitata e non puo' essere rinnovato automaticamente, ne' possono
    essere accordati  vantaggi  al  prestatore  uscente  o  ad  altre
    persone, ancorche' giustificati  da  particolari  legami  con  il
    primo». 

(3) Si riporta, di seguito, il testo originario  dell'art.  11  della
    legge comunitaria 2010: «1. Al fine di chiudere la  procedura  di
    infrazione n.  2008/4908  avviata  ai  sensi  dell'art.  258  del
    Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonche'  al  fine
    di  rispondere  all'esigenza  degli  operatori  del  mercato   di
    usufruire di un quadro normativo stabile  che,  conformemente  ai
    principi  comunitari,  consenta  lo  sviluppo   e   l'innovazione
    dell'impresa  turistico-balneare-ricreativa:  a)   il   comma   2
    dell'art.  01  del  decreto-legge  5  ottobre   1993,   n.   400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494, e successive modificazioni, e' abrogato; b) al  comma  2-bis
    dell'art.  01  del  decreto-legge  5  ottobre   1993,   n.   400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494, e successive modificazioni, le parole: «di cui al  comma  2»
    sono sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 1»; c)  all'art.
    03, comma 4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993,  n.
    494, le parole: «Ferme restando le disposizioni di  cui  all'art.
    01, comma 2,» sono soppresse ed e' aggiunto, in fine, il seguente
    periodo: «Le disposizioni del presente  comma  non  si  applicano
    alle  concessioni   rilasciate   nell'ambito   delle   rispettive
    circoscrizioni territoriali dalle autorita' portuali di cui  alla
    legge 28 gennaio 1994, n. 84».  2.  Il  Governo  e'  delegato  ad
    adottare, entro quindici mesi dalla data  di  entrata  in  vigore
    della presente legge, su proposta del Ministro per i rapporti con
    le regioni e per la coesione  territoriale,  di  concerto  con  i
    Ministri delle infrastrutture e dei  trasporti,  dell'economia  e
    delle finanze, dello sviluppo economico, per  la  semplificazione
    normativa, per le politiche europee  e  per  il  turismo,  previa
    intesa da sancire in sede di Conferenza unificata di cui all'art.
    8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281,  e  successive
    modificazioni,  un  decreto  legislativo  avente  ad  oggetto  la
    revisione  e  il  riordino  della  legislazione   relativa   alle
    concessioni demaniali marittime secondo  i  seguenti  principi  e
    criteri direttivi: (...). 3. - 6. (...)» 

(4) Cfr., in particolare, il punto 43 della  decisione:  «Per  quanto
    riguarda, piu' specificamente, la questione se dette  concessioni
    debbano essere oggetto di un numero  limitato  di  autorizzazioni
    per via della scarsita' delle risorse naturali, spetta al giudice
    nazionale verificare se tale requisito sia  soddisfatto.  A  tale
    riguardo, il fatto che le  concessioni  di  cui  ai  procedimenti
    principali  siano  rilasciate  a  livello  non  nazionale  bensi'
    comunale deve, in particolare, essere preso in considerazione  al
    fine di determinare se tali aree che possono  essere  oggetto  di
    uno sfruttamento economico siano in numero limitato». 

(5) Cfr.  il  punto  65  della  sentenza:  «(...)  qualora   siffatta
    concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la  sua
    assegnazione in totale assenza di trasparenza ad  un'impresa  con
    sede  nello  Stato  membro  dell'amministrazione   aggiudicatrice
    costituisce una disparita' di trattamento a danno di imprese  con
    sede in un altro Stato membro che potrebbero  essere  interessate
    alla suddetta concessione. Una siffatta disparita' di trattamento
    e', in linea di principio, vietata dall'art. 49 TFUE». 

(6) Si deve qui segnalare che alcune prime decisioni di merito  hanno
    ritenuto passibile di disapplieazione anche tale disposizione, in
    quanto, in buona sostanza, essa riprodurrebbe l'effetto censurato
    dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa e a.,  ossia
    quello  della  proroga  automatica  dei  titoli,  in  assenza  di
    qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali  candidati:  in
    questo senso si  sono  pronunciati  il  Tribunale  amministrativo
    regionale del Lazio, nella  sentenza  n.  5573  del  2017,  e  il
    Tribunale  amministrativo  regionale   della   Lombardia,   nelle
    sentenze nn. 153 e 959 del 2017. Di contrario avviso il Tribunale
    amministrativo regionale della Campania (sent. n. 911 del  2017).
    Si  veda  anche  la  sentenza  n.  608  del  2017  del  Tribunale
    amministrativo regionale della Toscana, che valorizza la  proroga
    «ponte» disposta dall'art. 24, comma 3-septies, del decreto-legge
    n. 113 del 2016. 

(7) L'art. 2, comma  2,  della  legge  regionale  non  si  riferisce,
    invero, al solo settore dei servizi: vi  rientrano,  in  effetti,
    anche concessioni del settore produttivo, rispetto alle quali  e'
    dubbia   l'applicabilita'   della   direttiva   Bolkestein    (le
    concessioni a  «uso  pesca,  acquacoltura  e  attivita'  ad  esse
    connesse»). Valgono, per tale settore, i principi sulla  liberta'
    di stabilimento di cui all'art.  49  Trattato  sul  funzionamento
    dell'Unione europea, di cui l'art. 12 della direttiva  Bolkestein
    costituisce, in buona sostanza, mera  codificazione  nel  settore
    dei servizi: le considerazioni svolte,  nel  testo,  a  proposito
    delle disposizioni della direttiva possono, quindi, intendersi  -
    mutatis mutandis - al diritto primario dell'Unione, anche perche'
    la  disposizione  regionale  non  consente  di   discernere   tra
    situazioni di interesse  transfrontaliero  e  situazioni  che  ne
    siano prive.