TRIBUNALE DI TORINO Sezione dei giudici per le indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, ravvisati profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis decreto legislativo n. 285/1992 in rapporto agli articoli 3 e 25, comma 2 Cost., ritenuta pertanto la necessita' di sollevare ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953 una questione di legittimita' costituzionale, osserva nell'ambito del procedimento n. 24417/2017 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino si contesta a T. B. la contravvenzione di cui all'art. 186 decreto legislativo n. 285/1992. Alle ore 2,55 circa del 17 ottobre 2017 personale della Polizia stradale della sottosezione di Torino sottoponeva a controllo l'autovettura condotta dal predetto imputato, il quale presentava i sintomi tipici dell'ebbrezza. In ragione di cio', il conducente veniva sottoposto a controllo del tasso alcolemico tramite apposita apparecchiatura in dotazione agli operanti. Tale controllo dava esito positivo, essendo riscontrata nelle due campionature eseguite alle ore 2,59 e 3,13 la presenza rispettivamente di 0,92 e 0,87 g/l di alcool nel sangue. In data 28 novembre 2017, ravvisati i presupposti indicati dall'art. 459 c.p.p., la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino ha chiesto emettersi decreto penale di condanna nei confronti del trasgressore per i fatti appena descritti, fondatamente ipotizzando la seguente imputazione: «reato di cui all'art. 186, commi 1 e 2, lettera b) e comma 2-sexies, decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, perche' si poneva alla guida del veicolo targato /// in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche (tasso alcolemico accertato pari a 0,92 g/l alle ore 2,59, 0,87 g/l alle ore 3,13). Con l'aggravante di aver commesso il fatto in orario notturno (dopo le ore 22 e prima delle ore 7). Commesso in Trofarello (Torino) il 17 ottobre 2017». Poste tali premesse in fatto, si ritiene che il procedimento al vaglio di questo giudice non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale che ci si accinge a prospettare. Come noto, i procedimenti per decreto previsti dal titolo V del libro VI del codice di procedura penale si caratterizzano per il fatto che i reati con essi giudicati debbano essere sanzionati unicamente con pena pecuniaria. L'art. 459, comma 1 c.p.p. circoscrive, infatti, i casi di procedimento per decreto alle ipotesi in cui «si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva». Con l'art. 1, comma 53, legge n. 103/2017, in vigore dal 3 agosto 2017 e quindi pacificamente applicabile al caso di specie, si e' introdotto nel codice di rito l'art. 459, comma 1-bis, ai sensi del quale l'individuazione della pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva deve essere determinata in un ammontare compreso fra 75,00 e 225,00 euro per ogni giorno di pena detentiva. L'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 prevede che la pena inflitta «anche con il decreto di condanna» per le violazioni contemplate dal comma 2 del medesimo articolo possa essere sostituita con quella del lavoro di pubblica utilita' ed inoltre che la sanzione sostitutiva abbia «una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250,00 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilita'». Se in passato tale disposizione non presentava profili di criticita', l'entrata in vigore dell'art. 459, comma 1-bis c.p. ha determinato una situazione di notevole incertezza e comporta oggi una ingiustificata disparita' di trattamento in condizioni di totale identita' di premesse. Tale ultima norma, infatti, ha introdotto una deroga al regime generale dettato dall'art. 135 c.p., che in precedenza trovava applicazione anche in sede di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria nei casi di procedimento per decreto penale di condanna. Per effetto di cio', nei casi in cui il giudice provveda contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna ed alla sostituzione di cui all'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992, la durata dei lavori di pubblica utilita' viene ad essere determinata secondo parametri non omogenei rispetto a quelli fissati per la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria. Cio' comporta dunque una irragionevole disparita' di trattamento fra i destinatari della sanzione irrogata con decreto penale di condanna, a seconda che la sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 sia stata disposta ab origine, oppure, a parita' di condizioni, sia stata riconosciuta all'esito del giudizio celebrato ai sensi dell'art. 464 c.p.p. Viene inoltre a determinarsi una situazione di insuperabile incertezza per il destinatario della sanzione sostitutiva, il quale puo' trovarsi soggetto con uguale grado di probabilita' ed in maniera completamente aleatoria a pene di entita' fra loro anche notevolmente differenti. Si osserva al riguardo che la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita' e' sottoposta, nei casi in cui e' ammessa, all'unico vincolo della eventuale opposizione del condannato ed e' espressamente prevista dal legislatore anche la facolta' che essa sia disposta in sede di emissione del decreto penale di condanna. A fronte dell'indifferenza del legislatore rispetto all'una, piuttosto che all'altra soluzione, estremamente rilevanti sono viceversa le ricadute pratiche della scelta di operare o meno la sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna. Ipotizzando a titolo esemplificativo che all'esito del procedimento per decreto venga inflitta la sanzione di dieci giorni di arresto e 250,00 euro di ammenda, il trasgressore si vedrebbe irrogata una pena complessivamente determinata nella somma compresa fra 1.000,00 e 2.500,00 euro, a seconda che si prenda in considerazione il parametro minimo o quello massimo individuato dalla legge per la sostituzione della pena detentiva. Tale sanzione si ottiene applicando alla pena detentiva di dieci giorni il criterio di conversione introdotto dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p., determinando quindi la pena in una somma compresa fra 750,00 e 2.250,00 euro, cui vanno aggiunti 250,00 euro di pena pecuniaria. Ragguagliando 250,00 euro di sanzione ad un giorno di lavoro di pubblica utilita' secondo i criteri indicati dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992, quindi, il trasgressore dovrebbe essere condannato allo svolgimento di lavori di pubblica utilita' per un periodo compreso fra quattro e dieci giorni. Nell'ipotesi in cui, viceversa, contestualmente all'emissione del decreto penale non fosse riconosciuta al condannato la possibilita' di sostituire la pena ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 e costui ne volesse beneficiare, come avviene nella pressoche' totalita' dei casi attese le conseguenze particolarmente favorevoli derivanti dal corretto svolgimento dei lavori, egli si vedrebbe costretto a formulare opposizione al decreto penale di' condanna. Stando alla lettera della legge ed al costante indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimita', in questo secondo caso la durata dei lavori di pubblica utilita' verrebbe determinata in misura diversa, senza che cio' abbia tuttavia la benche' minima giustificazione. Una volta instaurato il giudizio di opposizione, quale che sia la scelta processuale intrapresa dal condannato, la pena irrogata puo' essere unicamente quella congiunta detentiva e pecuniaria. Conforme il costante e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimita', deve infatti escludersi la possibilita' per il giudice di disporre la conversione della pena detentiva con quella pecuniaria e poi sostituire la pena cosi' ottenuta con i lavori di pubblica utilita'. Con la sentenza n. 27519 del 10 maggio 2017 la Corte di cassazione ha infatti avuto modo di affermare che «e' illegittima la decisione del giudice di merito con la quale la pena per il reato di guida in stato di ebbrezza, previa conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, e' sostituita nel suo complesso con lo svolgimento del lavoro di pubblica utilita', in quanto i due regimi sanzionatori costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto ed alle caratteristiche personali dell'imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili istanze afferenti alla relazione della funzione rieducativa della pena, di talche', una volta adottata una strategia sanzionatoria, non e' possibile, per esigenze di coerenza e razionalita' del sistema, sovrapporne altra». Se nei mesi successivi all'entrata in vigore della riforma del codice della strada, con la sentenza n. 71 del 14 novembre 2012, la Sezione quarta della Corte di cassazione aveva affermato il principio opposto, a partire dalla sentenza n. 8005 del 15 novembre 2013, cui sono seguite le n. 27602 del 2 aprile 2014, n. 21238 del 2 ottobre 2014, n. 19183 del 3 marzo 2016 e n. 27519 del 10 maggio 2017, gia' citata, i giudici della medesima Sezione si sono assestati in maniera granitica e pienamente convincente sulle posizioni appena riportate. Il principio in parola non e' evidentemente destinato ad operare nei casi in cui si proceda con decreto penale di condanna, un'opzione in tal senso essendo espressamente prevista dal legislatore all'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992, rispondendo ad esigenze di celerita' ed economia processuale delle quali si avra' modo di meglio argomentare nel prosieguo. Muovendo da tale premessa, dunque, la durata dei lavori di pubblica utilita' inflitti in sostituzione della pena irrogata all'esito del giudizio di opposizione a decreto penale di condanna non potra' che essere determinata nella «durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250,00 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilita'». Tornando al precedente esempio, anche volendo considerare per ipotesi che all'esito del giudizio di opposizione venga inflitta la medesima sanzione di dieci giorni di arresto e 250,00 euro di ammenda, in applicazione dei criteri appena indicati il condannato si troverebbe infatti a dover svolgere i lavori di pubblica utilita' per complessivi undici giorni. E' appena il caso di osservare che, in ogni caso, l'eventuale conversione della pena detentiva irrogata all'esito del giudizio di opposizione dovrebbe comunque essere effettuata sulla scorta del parametro di cui all'art. 135 c.p. e non certo secondo le indicazioni fornite dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p. Non si ritiene, infatti, possibile che tali criteri, espressamente riferiti al procedimento speciale di cui al libro VI, titolo V del codice di rito, trovino applicazione analogica al di fuori di questo ambito, derogando in maniera implicita ad una norma di portata generale. Una volta emesso il decreto penale di condanna senza che venga disposta la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilita', l'unica possibilita' che si offre all'interprete e' dunque quella di determinarne la durata nei termini di cui all'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 facendo riferimento alla pena detentiva ed a quella pecuniaria inflitta all'esito del giudizio di opposizione. Appare dunque evidente anche alla luce dell'esempio pratico sopra esposto che, in maniera del tutto ingiustificata, la sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilita' viene ad essere determinata in misura differente a seconda che si proceda o meno contestualmente alla conversione della pena detentiva nei termini oggi previsti dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p. ed alla sostituzione di questa secondo i parametri dettati dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992. A fronte di condotte sanzionate in termini esattamente identici, il destinatario di un decreto penale emesso gia' prevedendo la sostituzione della pena con lo svolgimento dei lavori di pubblica utilita' si troverebbe in una situazione differente rispetto a colui il quale viceversa non si vedesse riconosciuta tale opportunita'. Questa disparita' di trattamento in presenza di situazioni perfettamente sovrapponibili fra loro pare a questo giudice esorbitare dai criteri di ragionevolezza alla stregua dei quali l'interprete e' chiamato a valutare l'effettiva violazione del principio di uguaglianza secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale venutosi a consolidare sul punto. Il differente trattamento sanzionatorio applicato a soggetti condannati alla medesima pena con decreto penale, la cui posizione varierebbe unicamente per il fatto che la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita' venisse disposta o meno contestualmente all'emissione del decreto, non presenta il benche' minimo fondamento. Non si ravvisano, infatti, situazioni che giustifichino una scelta premiale da parte del legislatore, ne' peraltro una opzione di questo tipo trova riscontro nella lettera della legge o nei lavori preparatori della legge n. 103/2017. Se e' vero che con la novella del 2017 si e' evidentemente inteso incentivare il ricorso al decreto penale di condanna, non puo' altrettanto fondatamente sostenersi che cosi' disponendo il legislatore abbia voluto incidere in maniera tanto dirompente su una materia, quella della sicurezza stradale, che viceversa si caratterizza per interventi improntati ad una sempre maggiore severita' (si vedano in tal senso le nuove fattispecie di reato introdotte nel codice penale dalla legge n. 41/2016). Oltre ad essere incoerente rispetto alle scelte normative di piu' recente introduzione, la natura premiale dell'istituto della sostituzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna non risulterebbe ancorata a criteri di ragionevolezza e proporzionalita' per come in concreto si troverebbe ad operare. Come si e' visto, infatti, dall'applicazione del combinato disposto degli art. 459, comma 1-bis c.p.p. e 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 potrebbe derivare la determinazione di una pena sostitutiva in misura pari circa ad un terzo rispetto a quella che sarebbe irrogata qualora non si operasse la sostituzione in sede di emissione del decreto penale di condanna. Anche da un punto di vista meramente quantitativo, dunque, deve escludersi che il legislatore abbia inteso implicitamente introdurre nell'ordinamento un istituto premiale di cosi' vasta portata da non avere eguali negli altri casi contemplati dal sesto libro del codice di rito: le pene irrogate all'esito del giudizio abbreviato sono ridotte di un terzo, quelle applicate su accordo delle parti possono essere ridotte fino ad un terzo, l'art. 459 c.p.p. facoltizza una riduzione fino alla meta' del minimo edittale della norma violata, mai e' prevista una riduzione della pena di circa i due terzi. Si deve piuttosto rilevare che l'applicazione di una sanzione determinata in termini differenti a seconda che essa venga o meno disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna prescinde completamente dalle scelte processuali del trasgressore ed e' in ultima analisi rimessa esclusivamente all'arbitrio del giudicante, quando non addirittura affidata all'adozione di modelli organizzativi da parte dei singoli uffici procedenti. Il complesso delle considerazioni che precedono porta dunque ad affermare che la differente condizione in cui verrebbe a trovarsi il trasgressore cui fosse riconosciuta la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita' contestualmente all'emissione del decreto penale rispetto a quello che, per ottenere il medesimo beneficio, fosse costretto a proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p., non ha giustificazione alcuna ed integra la violazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge di cui all'art. 3 Cost. Il sistema venutosi a delineare a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 459, comma 1-bis c.p.p. si pone inoltre in contrasto con l'art. 25, comma 2 Cost. in quanto costituisce una violazione del principio di determinatezza della pena, incidendo in particolare sulla esatta individuazione della durata della sanzione sostitutiva. Con la sentenza n. 327 del 2008, la Corte costituzionale ha avuto modo di evidenziare come tale principio, corollario del principio di legalita' di cui all'art. 25 Cost., risponda a due «obiettivi fondamentali». Si tratta, infatti, di evitare, per un verso, che il giudice assuma un «ruolo creativo» di individuazione dei confini fra lecito ed illecito e, sotto altro profilo, di assicurare ai destinatari della norma incriminatrice la possibilita' di autodeterminarsi liberamente, mettendoli in grado di «apprezzare a priori le conseguenze giuridico - penali della propria condotta». Proprio con riferimento a tale secondo profilo, gia' oggetto delle pronunce n. 185 del 1992 e n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, si rileva nel caso di specie un contrasto fra la disposizione contenuta nell'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 e l'art. 25, comma 2 Cost. La sentenza n. 364 del 1988 merita in particolare di essere richiamata anche in questa sede anche perche' con essa si afferma che il principio di determinatezza e' destinato ad operare rispetto al precetto penale globalmente inteso, quindi anche investendo l'ambito della sanzione. Anche la sentenza n. 185 del 1992, che pure riguarda il principio di determinatezza, pare rilevante nel caso concreto dal momento che stabilisce inoltre un principio applicabile nei medesimi termini alla fattispecie in esame. Si legga in tale provvedimento che «la Corte costituzionale puo' sindacare il vizio consistente nell'errore materiale di redazione legislativa ove questo infici il testo della disposizione, pregiudicando la riconoscibilita' e l'intellegibilita' del precetto penale che essa contiene, e, in adempimento della sua funzione di conformazione dell'ordinamento legislativo al dettato costituzionale, deve dichiarare l'illegittimita' costituzionale della parte di disposizione viziata dalla quale deriva il difetto di riconoscibilita' e di intellegibilita' del precetto; ne' cosi' operando viene a prodursi, ad opera della pronuncia della Corte, un precetto penale nuovo rispetto a quello dettato dal legislatore ma si restituisce semplicemente alla norma quella intellegibilita' che i principi costituzionali richiedono per i precetti penali». La pronuncia appena richiamata si ritiene fornisca spunti utilissimi per la valutazione del caso concreto, che per l'appunto e' caratterizzato da una situazione di insuperabile incertezza in merito al regime sanzionatorio applicabile nei casi in cui l'istituto della sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita' operi contemporaneamente alla conversione della pena di cui all'art. 459, comma 1-bis c.p.p. E' appena il caso di osservare che il principio di determinatezza e' destinato a trovare applicazione anche qualora si abbia riguardo alle pene sostitutive della sanzione penale, in tal senso deponendo il disposto dell'art. 1 c.p., che per l'appunto costituisce diretta emanazione concreta del disposto dell'art. 25, comma 2 Cost. La situazione fin qui descritta impone conclusivamente di rilevare come, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 459, comma 1-bis c.p.p., l'applicazione dei criteri alla cui stregua determinare la durata dei lavori di pubblica utilita' nei casi disciplinati dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 comporti un'evidente violazione di principi di rango costituzionale che solo l'intervento della Corte costituzionale puo' rimuovere. Si intende dunque in questa sede denunciare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilita' sia disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna, i parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione. La questione appena prospettata si ritiene presenti profili di assoluta rilevanza nel caso sottoposto all'attenzione di questo giudice, sopra tratteggiato nei suoi elementi essenziali, ricorrendo dunque il presupposto indicato dall'art. 23, comma 2, prima parte, legge n. 87/1953. Lo scrivente e', infatti, chiamato a valutare una richiesta di emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui all'art. 186, decreto legislativo n. 285/1992, in una situazione in cui non sussistono le condizioni indicate dall'art. 459, comma 3 c.p.p. e ricorrono i presupposti della sostituzione della pena ai sensi del comma 9-bis di tale norma. Sotto quest'ultimo profilo merita in particolare evidenziare come nel corpo della richiesta del pubblico ministero si sia dato esplicitamente atto dell'assenza di cause ostative al riconoscimento del beneficio, ne' fino ad oggi risulta sia mai stata formalizzata alcuna opposizione da parte del trasgressore, unico soggetto legittimato in tal senso. Poste tali premesse, questo giudice si trova nelle condizioni di disporre la sostituzione della pena irrogata con il decreto penale di condanna, ma di non poter operare in questi termini se non applicando parametri che contrastano con le norme della Costituzione, come appena si e' avuto modo di dimostrare. La sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna costituisce prassi ormai consolidata della sezione dei giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, che a questo scopo ha anche attivato sportelli di cancelleria dedicati. Non si profilano peraltro nella presente fattispecie ragioni tali da giustificare uno scostamento da questa prassi virtuosa, pienamente condivisa dallo scrivente. Anche a prescindere da tale pur assorbente profilo pratico, e' appena il caso di sottolineare che la scelta di effettuare la sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica utilita' contestualmente al decreto penale di condanna risponde a condivisibili criteri di economia processuale. L'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 in questo momento comporta, infatti, evidenti vantaggi rispetto all'unica alternativa che l'ordinamento riconosce all'imputato che voglia accedere al beneficio della sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita', vale a dire quella di proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p. L'opzione in esame e' foriera di una significativa contrazione dei tempi di definizione del procedimento e di un ingente risparmio di costi, non solo economici, costituenti migliore espressione dei principi di ragionevole durata del processo e di buon andamento della giustizia. La scelta di operare la sostituzione della pena inflitta con decreto penale di condanna contestualmente all'emissione di questo provvedimento, peraltro, presenta evidenti vantaggi che non sono limitati al singolo procedimento, ma coinvolgono a cascata l'intera organizzazione di un ufficio giudiziario. Se dunque la sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna risponde ad esigenze meritevoli del piu' ampio riconoscimento, cio' nondimeno essa comporta allo stato attuale una situazione di incertezza e disparita' di trattamento nella determinazione della durata della sanzione sostitutiva. L'unico strumento in grado di contemperare le esigenze appena indicate con il dettato della Costituzione e' soltanto quello della declaratoria di illegittimita' costituzionale. Come gia' si e' avuto modo di evidenziare, infatti, l'attuale sistema normativo da' luogo alla violazione dei principi costituzionali di determinatezza e legalita' della sanzione penale (art. 25 Cost.), nonche' di ragionevolezza e parita' di trattamento (art. 3 Cost.). Sussistono in conclusione le condizioni per sollevare ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953 la questione di legittimita' costituzionale prospettata.