LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE seconda sezione civile composta dagli ill.mi sig.ri magistrati: dott. Stefano Petitti - Presidente; dott. Aldo Carrato - consigliere; dott. Giuseppe Tedesco - consigliere; dott. Rosanna Giannaccari - consigliere; dott. Mauro Criscuolo - rel. consigliere; Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 8562-2017 proposto da Olivieri Catia, domiciliata in Roma presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Caputo e Maddalena Maccarone giusta procura in calce al ricorso - ricorrente, contro il Ministero della giustizia 8018440587, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis - controricorrente, avverso il decreto n. 2198/2016 della Corte d'Appello di Perugia, depositato l'11 ottobre 2016; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19 dicembre 2017 dal consigliere dott. Mauro Criscuolo; lette le memorie depositate dal ricorrente incidentale. ragioni in fatto ed in diritto 1. Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d'appello di Perugia in data 1° marzo 2016, la ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della giustizia all'equa riparazione per l'irragionevole durata del procedimento penale, in relazione al periodo dal 18 luglio 2011, allorquando le era stato notificato l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., sino alla data del 9 settembre 2015 allorquando era divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione del Tribunale di Perugia in relazione al reato di falsa testimonianza per il quale era stata rinviata a giudizio. Con decreto del 2 aprile 2016 il Consigliere delegato della Corte d'appello rigettava la domanda, rilevando che non risultava presentata istanza di accelerazione nel processo penale presupposto. 2. Avverso tale provvedimento proponeva opposizione l'Olivieri e, nella resistenza del Ministero, la Corte di Appello in composizione collegiale, con decreto dell'11 ottobre 2016, confermava la decisione impugnata. A tal fine osservava che non poteva avere seguito la tesi della opponente secondo cui alla fattispecie dovesse trovare applicazione la novella di cui alla legge n. 208 del 2015 atteso il chiaro tenore della norma transitoria di cui all'art. 6, in base alla quale la disciplina di cui all'art. 2, nella parte in cui fa rinvio ai rimedi preventivi di cui all'art. 1-ter, non si applica ai procedimenti che alla data del 31 ottobre 2016 risultino gia' assunti in decisione, ovvero laddove a tale data nei processi presupposti risulti gia' superato il termine di durata ragionevole. Alla luce di tali elementi, la disciplina de qua non era quindi invocatile nella fattispecie, dovendosi quindi ritenere ultrattiva la previgente disciplina di cui alla legge n. 134/2012, e precisamente quella dettata dall'art. 2 comma 2-quinquies lettera e) della legge n. 89/2001, che, attesa anche la ratio comune rispetto alla successiva normativa di cui alla legge n. 208/2015, impone ai fini dell'accoglimento della domanda di equo indennizzo che nel processo penale sia stata avanzata istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole. A tanto non aveva pero' provveduto la ricorrente, la cui domanda andava quindi disattesa. 3. Per la cassazione di questo decreto la ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un motivo. L'intimato Ministero ha resistito con controricorso. 4. Con il ricorso principale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1-ter, 2 e 6 della legge n. 89/2001, come modificati dalla legge n. 208/2015, nonche' dell'art. 6 par. 1 della CEDU e dell'art. 111 comma 2 Cost. Si deduce che non appare giustificabile la decisione gravata nella parte in cui ha assicurato un'applicazione solo parziale della novella del 2015, ritenendo immediatamente applicabili le previsioni in tema di competenza di determinazione del quantum, ed escludendo invece quella relativa all'istanza di accelerazione. Peraltro la disciplina transitoria di cui all'art. 6 comma 2, nel far riferimento all'istanza di accelerazione come condizione di ammissibilita' della domanda indennitaria solo per i processi assunti in decisione in data successiva al 31 ottobre 2016 ovvero che superino il termine di durata ragionevole dopo tale ultima data, va intesa nel senso che per gli altri procedimenti e' stata assicurata una sorta di sanatoria, facendo perdere quindi qualsiasi rilevanza all'omessa presentazione dell'istanza di accelerazione. Peraltro, anche a voler seguire il ragionamento dei giudici dell'opposizione si sottopone l'indennizzo per la violazione del diritto alla durata ragionevole del processo alla presentazione di una richiesta che mira a sollecitare il pieno rispetto di un diritto che non scaturisce dall'istanza, ma risiede nelle stesse garanzie di cui alla Corte costituzionale. Inoltre, solo a seguito della novella del 2015 il legislatore ha riconosciuto al soggetto coinvolto nel processo penale un vero e proprio diritto ad ottenere una definizione rapida del processo. 5. Ai sensi dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, «Non e' riconosciuto alcun indennizzo: (...) e) quando l'imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all'art. 2-bis». La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma 2, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», e postula che l'istanza di accelerazione venga presentata nel procedimento penale allorquando questo abbia appena superato la durata ragionevole stabilita dall'art. 2. Successivamente, con la legge n. 208 del 2015, in vigore dal 1° gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina dell'equa riparazione, introducendo l'istituto dei rimedi preventivi quale condizione per la possibilita' di proporre la domanda di equa riparazione (art. 1-bis, comma 2, della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla citata legge n. 208 del 2015), ha abrogato l'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), prevedendo che «l'imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis» (art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ma deve escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in esame. Ed, invero alla luce di quanto previsto dall'art. 6 comma 2-bis della legge n. 89/2001, sempre come modificato dalla legge n. 208/2015, che prevede che «Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all'art. 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell'art. 2», non e' possibile invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei rimedi preventivi. 5.1 Del tutto condivisibile, in quanto fondata proprio sul tenore letterale della previsione di diritto intertemporale, e' l'interpretazione che ne e' stata offerta nel provvedimento impugnato, essendo l'individuazione di una diversa data di efficacia delle previsioni contenute nella legge n. 208/2015 frutto di una precisa scelta del legislatore, finalizzata appunto ad impedire, in relazione al sistema dei rimedi preventivi, una penalizzazione della parte, di fatto impossibilitata a poter ottemperare a quanto previsto dalla legge stessa. La previsione di un termine successivo di entrata in vigore della legge de qua impone poi di ritenere che anche l'effetto abrogante si ricolleghi, quanto alla valenza processuale dei rimedi preventivi, alla disposizione di cui all'art. 6 comma 2, palesandosi del tutto corretta la conclusione per la quale per i processi gia' assunti in decisione alla data del 31 ottobre 2016 ovvero per quelli che a tale data abbiano gia' superato il termine di durata ragionevole, trovi applicazione la disciplina di cui alla legge n. 134 del 2012, e con riferimento al caso in esame, la disposizione di cui all'art. 2 comma 2-quinquies lettera e), che impone, a pena di esclusione del diritto all'indennizzo, di depositare apposita istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine di durata ragionevole, ove intervenuta in data successiva all'entrata in vigore della stessa legge n. 134/2012. 5.2 In tale ottica appare quindi non condivisibile la lettura della ricorrente secondo cui la norma transitoria di cui all'art. 6 comma 2 avrebbe inteso compiere una sanatoria in relazione alle pretese indennitarie avanzate in data anteriore al 31 ottobre 2016, dovendosi comunque escludere che possa soddisfare il requisito di cui al predetto art. 2 comma 2-quinquies la semplice richiesta formulata dal difensore della Olivieri all'udienza dibattimentale penale del 7 gennaio 2015 di rinviare a breve processo, e cio' sia perche' si tratta di richiesta non riconducibile in senso stretto all'istanza di accelerazione, sia perche' comunque, tenuto conto del dies a quo di durata del processo penale (18 luglio 2011) sarebbe intervenuta ben oltre il termine di trenta giorni dal superamento del termine di durata ragionevole. Facendo quindi applicazione della previsione di cui all'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, dovrebbe pervenirsi al rigetto del ricorso, avendone la Corte distrettuale offerto un'interpretazione conforme a quella scaturente in maniera palese dal testo della legge. 6. Tuttavia la ricorrente muove alcune considerazioni in merito all'effettiva utilita' di tale istanza, che sollecitano una riflessione sulla medesima legittimita' del sistema dei rimedi in esame e specificamente dell'istanza di accelerazione, e che impongono di verificare la compatibilita' costituzionale del sistema introdotto dal legislatore, occorrendo altresi' confrontarsi con i principi CEDU. 7. Ritiene il Collegio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012. 7.1 Nel caso di specie - quanto alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale - essendo stata proposta la domanda di equa riparazione nel marzo del 2016, relativamente ad un processo penale che aveva superato il termine di durata ragionevole in epoca successiva all'entrata in vigore della norma in esame, si rinvia a quanto esposto ai punti 5. e 5.1 che precedono, risultando quindi evidente che la domanda proposta e' soggetta all'applicazione della norma in questione, della cui legittimita' costituzionale, nei termini innanzi prospettati, si deve dubitare alla stregua dei piu' recenti approdi della giurisprudenza della Corte EDU. 7.2. Ed, invero, reputa il Collegio che debbano essere in massima parte condivise ed estese alla vicenda qui in esame le riflessioni che hanno di recente portato questa Corte a sollevare analoga questione di legittimita' costituzionale delle previsioni in tema di istanza di prelievo (cfr. ex multis Cass. n. 28403/2017) nella parte in cui la sua mancata presentazione condiziona l'accoglimento della domanda di equa riparazione. La Corte EDU, con la sentenza nel caso Daddi c. Italia (n. 15476/09 del 2 giugno 2009), pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva pero' preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, in tema di istanza di prelievo, che avesse avuto per effetto quello di opporsi all'ammissibilita' dei ricorsi ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008, solo in quanto non fosse stata presentata un'istanza di prelievo, avrebbe potuto essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall'obbligo di esperire il rimedio interno; e che lo stesso sarebbe valso per quanto riguardava i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d'urgenza dell'udienza fosse stata richiesta solo dopo l'entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi, aveva concluso la Corte di Strasburgo, non si sarebbe potuto escludere che la norma, interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Piu' di recente, con la sentenza emessa nel caso Olivieri c/Italia del 22 febbraio 2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi amministrativi iniziati nel 1990, e per i quali era stata presentata la nuova istanza di fissazione dell'udienza ai sensi della legge n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, ma non anche l'istanza di prelievo, il che aveva determinato l'inammissibilita' del ricorso per equa riparazione, la Corte EDU ha affrontato in maniera diretta il problema dell'effettivita' dell'istanza nazionale ex lege n. 89 del 2001 soggetta alla condizione di proponibilita' del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al suo ultimo testo scaturito dalle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 104 del 2010, ha convertito in critica espressa e consapevole la riserva formulata con la sentenza resa nel caso Daddi. La Corte Europea ha cosi' affermato: a) che ne' dal contenuto della norma ne' dalla relativa prassi giudiziaria si evince che l'istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all'esame del tribunale; b) che la condizione di ammissibilita' di un ricorso «Pinto» previsto dalla legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 risulta essere una condizione formale che produce l'effetto di ostacolare l'accesso alla procedura interna; c) che l'inammissibilita' automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non abbiano presentato l'istanza di prelievo, priva questi ultimi della possibilita' di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. E, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, nel senso che e' effettivo il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia' verificate, ha concluso nel senso che «la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in combinato disposto con la legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della Convenzione». 7.3 Ancorche' riferito alla disciplina dell'istanza di prelievo, reputa il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla necessita' che il rimedio interno possa essere ritenuto «effettivo» solo se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia' verificate, si estendano anche all'istanza di accelerazione che qui viene in discussione. Va, infatti, rilevato che l'indirizzo espresso dalla citata sentenza Olivieri c/Italia, in punto di valutazione dell'effettivita' dei rimedio interno, pur non avendo ricevuto l'avallo della Grand Chambre, puo' ritenersi ormai adeguatamente consolidato, in quanto costituisce il logico e preannunciato sviluppo del principio gia' espresso nella sentenza sul caso Daddi; e' stato adottato all'unanimita'; non presenta alcuna attitudine innovativa rispetto alla tecnica dell'interpretazione convenzionale fin qui seguita. Inoltre, pur concernendo, come detto, una fattispecie diversa da quella in esame nella presente controversia, si connota per la generalita' delle affermazioni rese, come idoneo ad orientare l'interpretazione delle diverse norme in tema di rimedi interni, collocandosi coerente nel solco della giurisprudenza di detta Corte Europea sul principio di effettivita'. 7.4 Con specifico riferimento all'istanza di accelerazione del processo penale di cui all'art. 2 comma 2-quinquies lettera e) della legge n. 89/2001, risulta evidente che la previsione di un siffatto strumento sollecitatorio non sospende ne' differisce il dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo l'esercizio dell'azione penale, al processo, in caso di omesso esercizio dello stesso, ne' implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilita' per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento della entita' del lamentato pregiudizio (cosi', e per tutte, S.U. n. 28507/05). Risulta quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che correlino alla proposizione dell'istanza di accelerazione de qua, una differente considerazione della vicenda processuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la previsione normativa in esame si risolva nell'imporre al ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per l'irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non ha ancora assunto un'entita' tale da legittimare la richiesta indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dall'art. 2-bis comma 1 della stessa legge n. 89/2001, che prevede che il ritardo per essere indennizzato debba eccedere una frazione dell'anno superiore a sei mesi). 7.5 Se per la giurisprudenza della Corte EDU il rimedio interno deve garantire o la durata ragionevole del giudizio o l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale, sicche' ogni ostacolo che vi si frapponga rende non effettivo il rimedio stesso, essendo quindi necessario che sia efficacemente sollecitatorio, l'istanza di accelerazione non garantisce alcun effetto siffatto, ma risulta puramente dichiarativa di un interesse altrimenti gia' presente nel processo ed avente copertura costituzionale. 8. In assenza della possibilita' di un'interpretazione convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca nella sua sostanziale e intera disapplicazione, essendo contraddittoria la stessa configurazione dell'istanza di accelerazione quale condizione d'accesso all'istanza indennitaria, cosi' come configurata dal legislatore, ne discende la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionalita' dell'art. 2 comma 2-quinquies lettera e) della legge n. 89/2001, come introdotto dall'art. 55 comma 1 lettera a) n. 2 del decreto-legge n. 22 giugno 2012 n. 83, convertito modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, per contrasto con l'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata ragionevole di cui all'art. 2-bis della legge n. 89/2001 sia superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la loro intera durata, subordina la proponibilita' della domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata dei processi penali alla presentazione dell'istanza di accelerazione.