Il Collegio arbitrale composto da: avv. Stefano Bardaro, Presidente; avv. Giuseppe Francesco Paolo Caforio, arbitro; avv. Antonio Leonardo Deramo, arbitro; costituito per giudicare in ordine alla controversia tra societa' Manna DP S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Cosimo Damiano Manna, rappresentata e difesa dall'avv. Emanuele Tornasicchio e Comune di Brindisi, in persona del sindaco e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Trane e Monica Canepa, riveniente dal contratto di appalto stipulato fra le parti in data 12 novembre 2004, rep. 11088, registrato in data 24 novembre 2004 al n. 3794 serie 1, avente ad oggetto «i lavori di riqualificazione e recupero della piazza Vittoria e delle vie Giudea, Sacramento, Pergola e Cesare Battisti in Brindisi nonche' lavori effettuati extra contratto». Fatto Con contratto del 12 novembre 2004 (rep. n. 11088) il Comune di Brindisi affidava alla ditta individuale Manna Cosimo Damiano lavori di riqualificazione e recupero della piazza Vittoria e delle vie Giudea, Sacramento, Pergola e Cesare Battisti per un importo complessivo di euro 610.525,29 oltre euro 8.000,00 per oneri di sicurezza. L'impresa appaltatrice formulava n. 4 riserve per un ammontare complessivo di euro 96.153,24 oltre interessi maturati e maturandi ex lege LL.PP., con espressa richiesta di attivazione del procedimento di cui all'art. 31-bis della legge n. 109/1994 poiche' trattavasi di importi che superavano il 10% dell'importo di contratto. Con apposita istanza, notificata in data 18 luglio 2009, l'impresa Manna richiedeva l'avvio del procedimento ex art. 31-bis, legge n. 109/1994, al fine di esperire il tentativo di accordo bonario in ordine alle riserve de quibus. La stazione appaltante con nota del 30 luglio 2010 concludeva la procedura de qua, comunicando di non ravvisare gli estremi per poter accogliere l'offerta formulata dall'appaltatore. La societa' Manna DP, quindi, con atto di accesso del 5 dicembre 2012, proponeva domanda di arbitrato dichiarando di volersi avvalere della clausola arbitrale prevista dal capo 10, art. 45 del capitolato speciale d'appalto, nella quale le parti avevano convenuto quanto segue: «ove non si proceda all'accordo bonario ai sensi del comma 1 e l'appaltatore confermi le riserve, la definizione delle controversie e' attribuita ad un arbitro ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile». Nella domanda di arbitrato la Manna DP srl formulava i seguenti quesiti: «1) dica il Collegio - previo, ove occorra, accertamento in via istruttoria dell'effettiva avvenuta esecuzione delle opere in questione, della loro natura, ritualita', consistenza ed utilita' - se e/o in che misura spettino all'impresa Manna le seguenti somme: 1a) euro 96.153,24 rivenienti da n. 4 riserve ritualmente sollevate ed iscritte nei registri di contabilita' lavori nonche' ribadite nella rendicontazione dello stato finale dell'8 giugno 2006, il tutto oltre interessi ex lege in materia di lavori pubblici dalla data della domanda sino al soddisfo; 1b) ed in ogni caso, tutte quelle altre somme, pure ritualmente richieste, a titolo di svincolo ritenute di legge, di corrispettivo per opere eseguite extra contratto in ossequio a specifiche disposizioni impartite dalla pubblica amministrazione e/o dalla direzione lavori, ordinate onde correggere errori e/o omissioni, in ogni caso non imputabili all'impresa, il tutto oltre interessi ex lege in materia di lavori pubblici, dalla data della domanda sino al soddisfo; 2) dica il Collegio , in via assolutamente gradata, se tutte e/o parte delle somme di cui ai punti precedenti, nessuna esclusa, spettino, all'impresa quanto meno a titolo di indebito arricchimento, previo, ove occorra, accertamento della loro utilitas; 3) dica il Collegio se ed in quale misura spettino, sulle somme riconosciute, all'impresa, gli interessi ex lege sui lavori pubblici nonche' il diritto al risarcimento del maggior danno subito per l'essere stata costretta a ricorrere al credito bancario per ritardato e/o omesso pagamento delle somme spettanti; 4) pronunci il Collegio, in caso di accoglimento totale e/o parziale della domanda, la consequenziale condanna al pagamento delle relative somme in danno del Comune di Brindisi ed in favore dell'impresa Manna DP Srl; 5) dica, infine ed in ogni caso il Collegio a carico di quale delle parti dovranno essere imputate le spese legali relative al procedimento arbitrale al funzionamento del Collegio e/o della consulenza tecnica, qualora espletata». Nella domanda di arbitrato la Manna DP Srl provvedeva a nominare quale arbitro l'avv. Antonio Leonardo Deramo. Il Comune di Brindisi, con deliberazione di giunta del 20 febbraio 2013, prot. n. 46, provvedeva a nominare il proprio arbitro nella persona dell'avv, Emanuela Guarino. Successivamente, in mancanza di accordo per la nomina del terzo arbitro con funzioni di Presidente, su ricorso della Manna DP Srl, provvedeva il Presidente del Tribunale di Brindisi alla nomina dell'avv. Stefano Bardaro. In data 29 settembre 2014 l'arbitro nominato dal Comune di Brindisi comunicava di non poter accettare l'incarico, ricorrendo una delle ipotesi di cui all'art. 815, codice di procedura civile. Il Comune, con delibera di giunta n. 342 del 7 ottobre 2014 nominava, quale nuovo arbitro, l'avv. Giuseppe Francesco Paolo Caforio. Il Collegio arbitrale, pertanto, si riuniva il giorno 20 ottobre 2014 e concedeva alle parti i seguenti termini: «termine per il deposito della prima memoria difensiva per la formulazione della domanda e la definitiva articolazione dei quesiti da porre al Collegio, unitamente al deposito di atti e documenti posti a fondamento della domanda (con particolare riguardo al contratto di appalto sottoscritto e stipulato fra le parti e di cui sopra), e' concesso alla sola parte attrice sino al giorno 21 novembre 2014, ore 20:00; termine per il deposito della prima memoria difensiva per la formulazione della domanda e la definitiva articolazione dei quesiti da porre al Collegio, unitamente al deposito di atti e documenti posti a fondamento della domanda (con particolare riguardo al contratto di appalto sottoscritto e stipulato fra le parti e di cui sopra), e' concesso alla sola parte convenuta sino al giorno 22 dicembre 2014, ore 20:00; termine per entrambe le parti per il deposito di memorie di replica e per l'articolazione di eventuali istanze istruttorie ed il deposito di ulteriori documenti e' fissato sino al giorno 12 gennaio 2015, ore 20:00; termine per entrambe le parti per il deposito di memorie di replica istruttorie e' fissato sino al giorno 2 febbraio 2015, ore 20:00». Il Collegio fissava l'udienza di trattazione con comparizione delle parti, anche ai fini dell'esperimento del tentativo di conciliazione, per il giorno 27 febbraio 2015, ore 10:00, presso la sede del Collegio. Il Comune di Brindisi, con atto di costituzione del 22 dicembre 2014, eccepiva in via preliminare, per quel che in questa sede rileva, la nullita' della clausola arbitrale ai sensi dell'art. 241 del decreto legislativo n. 163/2006, cosi' come modificato dalla legge n. 190/2012, con conseguente inammissibilita' ed improponibilita' della domanda; la mancanza della potestas iudicandi dell'arbitro di nomina giudiziale, con funzioni di Presidente, ai sensi dell'art. 241, comma 5, decreto legislativo n. 163/2006, oltre ad altre questioni in rito e nel merito. La societa' Manna DP contestava, nei termini concessi, quanto eccepito dalla stazione appaltante. L'udienza del 27 febbraio 2015 veniva rinviata d'ufficio al 5 marzo 2015 ed il Collegio si riserva di provvedere su tutte le questioni, preliminari e non, concedendo termine di giorni 10 alle parti per la trasmissione telematica di sole memorie difensive e di ulteriori giorni 10 per la trasmissione telematica di sole memorie di replica. Vista la domanda di arbitrato; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti di causa; Ricevuti ed esaminati gli scritti delle parti il Collegio nella Camera di consiglio del 31 marzo 2015, dopo approfondita valutazione, ritenendo di dover rilevare l'incostituzionalita' sotto molteplici profili dell'art. 241 del decreto legislativo n. 163/2006, come modificato dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione) e dal decreto legislativo n. 53/2010 ha deliberato la seguente ordinanza. Diritto Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 19 e comma 25, della legge n. 190/2012. In proposito occorre ricordare in via preliminare che l'art. 241, comma 1, del decreto legislativo n. 163/2006, nella sua formulazione in vigore dal 28 novembre 2012 (ai sensi dell'art. 1, comma 19, della legge 6 novembre 2012, n. 190, c.d. legge anticorruzione), stabilisce che «Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'art. 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli». L'art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 stabilisce, ai fini della disciplina transitoria, che «Le disposizioni di cui ai commi da 19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge». l'arbitrato in esame e' stato «conferito» dopo l'entrata in vigore della legge n. 190/2012, atteso che gli arbitri sono stati nominati successivamente al 28 novembre 2012 e che non e' intervenuta nessuna autorizzazione da parte del Comune di Brindisi prima dell'entrata in vigore della predetta legge, ne' poteva ragionevolmente intervenire, essendo tale istituto previsto dalla stessa legge n. 190/2012. Tuttavia, tale conferimento e' avvenuto per effetto di una clausola arbitrale pattuita nell'art. 45 del capitolato speciale d'appalto. Ebbene l'art. 1, comma 19 e 25 della legge n. 190/2012, determinando la confluenza dell'arbitrato de qua nel campo di applicazione della nuova disciplina e, dunque, rendendo inefficaci con effetto retroattivo pattuizioni assunte prima dell'entrata in vigore della legge stessa, ovvero rimettendo alla parte pubblica il potere di decidere in ordine all'azionabilita' della clausola arbitrale, suscita dubbi di legittimita' costituzionale. La questione di costituzionalita' e' dunque rilevante assumendo rilievo pregiudiziale rispetto alla definizione nel merito della lite insorta tra le parti, in quanto riguarda l'ammissibilita' del ricorso all'arbitrato. In realta', il Comune di Brindisi tacitamente accetta l'avvio della procedura arbitrale e poi eccepisce l'improponibilita'/improcedibilita' della stessa. Non si condivide pero', all'uopo, l'opinione espressa dal Tribunale amministrativo regionale Lazio, Sez. III, del 10 febbraio 2015, n. 2423, relativamente all'interpretazione resa concernente il concetto di «arbitrato autorizzato» e, pertanto, non si ritiene possibile una lettura costituzionalmente orientata che permetta di superare le questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalla stazione appaltante. 2. Per effetto della disposizione di cui all'art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato previsto dall'art. 241, comma 1, decreto legislativo n. 163/2006 trova applicazione anche in relazione a clausole compromissorie antecedenti all'entrata in vigore della richiamata legge n. 190/2012, come nel caso di specie. In tal modo pero' la normativa di cui sopra produce effetti retroattivi lesivi dei diritti e delle liberta' garantite dagli articoli 24, 41 e 108 Cost. e comunque dagli articoli 3, 25 e 111 Cost. Ai sensi della novellata disciplina, ed in particolare ai sensi dell'art. 1, comma 25, nell'ambito di una controversia si consente alla parte pubblica di porre nel nulla una clausola compromissoria per effetto di una disposizione sopravvenuta, che travolge l'efficacia e la vincolativita' di un patto spontaneamente stipulato tra le parti o a cui, comunque, la parte privata ha dato adesione. Il legislatore ha quindi disatteso il principio della certezza e stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico, che impone di non introdurre disposizioni che operino retroattivamente su clausole contrattuali esistenti, ledendo principi e diritti di rango costituzionale (in particolare la liberta' di iniziativa economica e l'autonomia negoziale e di impresa ex art. 41 Cost). Il principio di irretroattivita' non consente alla legge nuova di produrre effetti, tanto in ordine ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore quanto in relazione a quelli sorti anteriormente ed ancora pendenti, se l'effetto prodotto dalla nuova legge pone nel nulla o rende inefficaci atti giuridici legittimamente adottati in precedenza. A tal riguardo va subito chiarito che, come precisato ripetutamente dalla Corte costituzionale, il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi - non e' stato tuttavia elevato a rango di dignita' costituzionale (salvo l'art. 25 Cost. in materia penale). Il legislatore ordinario, pertanto, nel rispetto del suddetto limite, puo' emanare norme con efficacia retroattiva, interpretative o innovative che esse siano, a condizione pero' che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (ex multis Corte costituzionale 11 giugno 1999, n. 229; 7 luglio 2006, n. 274 e 23 luglio 2002, n. 374) ovvero che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. (Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2062). L'applicazione retroattiva della norma, che restringa diritti costituzionalmente tutelati, puo' essere giustificata solo in ipotesi eccezionali, in quei casi in cui sussistano interessi aventi parimenti rilevanza costituzionale ed a condizione che vi sia un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (cfr. ex multis Corte costituzionale 11 giugno 1999, n. 229). Nel caso di specie non si riscontrano esigenze che possano ragionevolmente giustificare, nell'ottica del bilanciamento, la decisione del legislatore di privare di efficacia, in via retroattiva, le clausole compromissorie gia' convenute. Infatti, se da un lato la facolta' delle parti di stipulare un patto negoziale per adire il giudice arbitrale per le future controversie e' riconosciuta e tutelata dagli articoli 24, 41 e 108 Cost., dall'altro lato la decisione del legislatore di estendere l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato ai rapporti scaturiti da clausole compromissorie antecedenti alla legge n. 190/2012 non risulta giustificata da un contrapposto interesse di rilevanza costituzionale di pari peso. Ed invero, quand'anche la ratio legis della richiamata normativa anticorruzione e' da ravvisarsi nell'esigenza di prevenire forme di corruzione nella pubblica amministrazione, di certo la subordinazione dell'arbitrato - attivato sulla base di una clausola compromissoria stipulata ante legge n. 190/2012 - ad un meccanismo di autorizzazione rimesso alla parte pubblica, non sembra coerente con le predette finalita'. Una tale assunzione in termini di disvalore non risulta peraltro costituzionalmente corretta proprio alla luce delle disposizioni di cui all'art. 24, 41, 108 e 111 Cost. In aggiunta, si deve considerare che la prevenzione della corruzione della pubblica amministrazione rappresenta l'interesse di una sola delle parti del rapporto controverso e, come tale, non e' idonea ad incidere sul principio di parita' di cui all'art. 111 Cost e sul principio di autonomia negoziale ex art. 41 Cost. non si puo' dunque riconoscere in capo alla pubblica amministrazione un diritto potestativo idoneo a produrre, in via retroattiva, limiti all'accesso alla giustizia arbitrale. 2.1. Il Collegio dubita che la norma di cui all'art. 1, comma 25, legge n. 190/2012 sia conforme agli articoli 3, 24, 25, 41 e 111 Cost. anche sotto altro profilo. Nello specifico la norma, nella misura in cui ricollega effetti giuridici sfavorevoli (in termini di condizioni piu' rigorose per l'accesso alla giustizia arbitrale, subordinate all'esercizio di un diritto potestativo della pubblica amministrazione, sub specie di autorizzazione motivata) a clausole compromissorie stipulate e/o accettate nel periodo antecedente all'entrata in vigore della legge anticorruzione, lede l'affidamento di quanti abbiano volontariamente e consapevolmente stipulato le suddette clausole contrattuali, senza poter prevedere che sarebbero scaturite conseguenze negative sul piano dell'accesso alla giustizia, con cio' affievolendo irragionevolmente la certezza nella stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico. Infatti, in detti casi, il giudice naturale ex art. 25 Cost. risulta gia' individuato, seppur in via negoziale, con la clausola compromissoria, per effetto dell'esercizio dell'autonomia privata delle parti' ex art. 41 Cost. In siffatto contesto, l'applicazione in via retroattiva della norma sull'autorizzazione all'arbitrato, in relazione a clausole arbitrali gia' previste (e quindi con un giudice «naturale» gia' individuato,) pone un'ulteriore limitazione all'esercizio del diritto, distogliendo quindi le parti dal giudice precostituito in via negoziale e/o rendendo comunque piu' difficoltoso l'accesso alla giurisdizione arbitrale, con la conseguente violazione degli arti 24, 25 e 111 Cost. 2.2. A sua volta l'art. 241, comma 1, decreto legislativo n. 163/2006 (come modificato dall'art. 1, comma 19, legge n. 190/2012) risulta in contrasto con gli articoli 3, 24„ 25, 41, 102, 111 Cost. sotto ulteriori profili. 2.2.1. Li norma censurata appare infatti di dubbia costituzionalita', in quanto determina un assetto in contrasto con gli articoli 3 e 111 della Cost. nella parte in cui sanciscono i principi di parita' delle parti nel processo. La disciplina dell'autorizzazione all'arbitrato ha determinato un sistema che, anziche' garantire la parita' delle armi e l'indipendenza degli arbitri, riconosce un privilegio processuale per la pubblica amministrazione, che assume un vero e proprio diritto potestativo in merito alla instaurazione o meno del giudizio arbitrale. In questo modo all'arbitrato in materia di contratti pubblici viene dato un assetto tendente a favorire solo una parte della controversia, realizzando uno sbilanciamento a favore del soggetto pubblico, in senso analogo a quello sbilanciamento gia' censurato dalla Consulta nella sentenza n. 186/2013 (con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220). Riconoscere, pertanto, ad una sola delle parti il potere di autorizzazione postuma all'arbitrato, significherebbe in concreto attribuire un diritto potestativo unilaterale di accesso alla giustizia, con degradamento in posizione di soggezione dell'altra parte del rapporto e conseguente «asimmetria giurisdizionale» in contrasto con i parametri costituzionali degli articoli 3 e 111 Cost. 2.2.2 Il Collegio rileva inoltre il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, anche in ragione dell'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina degli arbitrati risultante dal codice di procedura civile. Non sembra, infatti, potersi enucleare alcuna differenza sostanziale tra gli arbitrati in materia di contratti pubblici e gli arbitrati regolati dal codice di procedura civile; sicche' la scelta del legislatore di differenziare nettamente la rispettiva disciplina, prevedendo una condizione d'accesso all'arbitrato in materia di contratti pubblici, peraltro rimessa alla decisione di una sola delle parti del contratto pubblico, e' di per se' ingiustificata e irrazionale. Da un lato, infatti, non si riscontrano nella legge c.d. anticorruzione ragioni per giustificare la disparita' di trattamento tra gli arbitrati nelle controversie regolate dall'art. 241, decreto legislativo n. 163/2006, rispetto agli arbitrati ordinari, considerate l'equiparazione dei giudizi arbitrali in materia di opere pubbliche ai giudizi civili (cfr. ex multis Corte costituzionale 28 novembre 2001, n. 376; Corte costituzionale 19 luglio 2013, n. 223), l'identita' dei poteri esercitabili e le sanzioni tipiche previste dall'ordinamento per combattere la corruzione. Ebbene, nella norma in esame non si riscontra alcun principio costituzionale da tutelare e la disciplina introdotta, laddove subordina il ricorso all'arbitrato all'autorizzazione motivata degli organi di Governo della P.A., non puo' giustificare ne' la limitazione dei privati all'accesso alla giustizia secondo modalita' determinate da clausole negoziali precedentemente e consapevolmente stipulate da ambo le parti, ne' tantomeno la frustrazione di altri principi costituzionalmente tutelati, quali quelli previsti dagli articoli 24 e 111 Cost. Di conseguenza, la norma de qua, nel regolare in termini radicalmente divergenti situazioni di accesso alla giustizia nel settore dei contratti pubblici rispetto agli altri settori dell'ordinamento, determina una evidente disparita' di trattamento che si pone in aperto contrasto con l'art. 3 Cost. D'altro canto, tale disparita' di trattamento e' immediatamente percepibile anche riguardo alla differenza tra la disciplina speciale in materia di contratti pubblici e la disciplina ordinaria sull'accesso alla giustizia arbitrale. Mentre, infatti, nella disciplina prevista dal codice di procedura civile l'eventuale rifiuto di una delle parti' di aderire all'arbitrato (in violazione di una specifica clausola compromissoria) non determina la nullita' del lodo ex art. 829 codice di procedura civile (anzi, un eventuale rifiuto od anche il mero silenzio consente all'altra parte di ricorrere al Tribunale civile per la nomina dell'arbitro di parte), negli arbitrati di cui all'art. 241 del codice dei contratti il rifiuto o la mancata autorizzazione della parte pubblica all'arbitrato comporta, per cio' solo, la nullita' insanabile del lodo eventualmente pronunciato. Nel contempo, lo stesso art. 241, comma 1, prevede che la pubblica amministrazione debba autorizzare l'arbitrato con apposita motivazione. In tal modo l'accesso alla giustizia arbitrale, oltre ad essere assoggettato alla potesta' di una delle parti, e' altresi' connotato da ampi spazi di discrezionalita' della parte contrattuale pubblica, che puo' rifiutare l'arbitrato senza motivazione e puo' autorizzarlo solo con apposita motivazione. Una simile facolta', nel contesto dell'apparato sanzionatorio previsto dall'ari 241 del codice dei contratti, potrebbe condurre alla nullita' del lodo anche in ragione della opinabilita' della motivazione all'autorizzazione (od anche in ragione dell'eventuale incompetenza dell'organo che rilascia l'autorizzazione) con ulteriore incisione degli articoli 3 e l11 Cost. 3. In conclusione, si ritiene non possibile individuare un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme citate che consenta di superare eventuali dubbi di compatibilita' delle disposizioni di cui trattasi con la Carta fondamentale. Ricorrono, quindi, tutti i presupposti considerati dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale sopra descritte, e segnatamente la rilevanza e l'impossibilita' di definire il giudizio indipendentemente dalla soluzione delle questioni e la non manifesta infondatezza delle stesse.