Il Collegio arbitrale composto da: 
        avv. Stefano Bardaro, Presidente; 
        avv. Giuseppe Francesco Paolo Caforio, arbitro; 
        avv. Antonio Leonardo Deramo, arbitro; 
    costituito per giudicare in ordine alla controversia tra societa'
Manna DP S.r.l., in persona del  legale  rappresentante  pro  tempore
sig. Cosimo Damiano Manna, rappresentata e difesa dall'avv.  Emanuele
Tornasicchio e Comune di Brindisi, in persona del  sindaco  e  legale
rappresentante pro tempore, rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati
Francesco Trane e Monica Canepa, riveniente dal contratto di  appalto
stipulato fra  le  parti  in  data  12  novembre  2004,  rep.  11088,
registrato in data 24 novembre 2004 al n. 3794  serie  1,  avente  ad
oggetto  «i  lavori  di  riqualificazione  e  recupero  della  piazza
Vittoria e delle vie Giudea, Sacramento, Pergola e Cesare Battisti in
Brindisi nonche' lavori effettuati extra contratto». 
 
                                Fatto 
 
    Con contratto del 12 novembre 2004 (rep. n. 11088) il  Comune  di
Brindisi affidava alla ditta individuale Manna Cosimo Damiano  lavori
di riqualificazione e recupero della  piazza  Vittoria  e  delle  vie
Giudea,  Sacramento,  Pergola  e  Cesare  Battisti  per  un   importo
complessivo di euro 610.525,29  oltre  euro  8.000,00  per  oneri  di
sicurezza. L'impresa appaltatrice  formulava  n.  4  riserve  per  un
ammontare complessivo di euro 96.153,24 oltre  interessi  maturati  e
maturandi ex lege LL.PP., con espressa richiesta di  attivazione  del
procedimento di cui all'art. 31-bis della legge n.  109/1994  poiche'
trattavasi  di  importi  che  superavano  il  10%   dell'importo   di
contratto. Con apposita istanza, notificata in data 18  luglio  2009,
l'impresa Manna richiedeva l'avvio del procedimento ex  art.  31-bis,
legge n. 109/1994, al  fine  di  esperire  il  tentativo  di  accordo
bonario in ordine alle riserve de quibus. La stazione appaltante  con
nota del 30 luglio 2010 concludeva la procedura de  qua,  comunicando
di non ravvisare gli estremi per poter accogliere l'offerta formulata
dall'appaltatore. La societa' Manna DP, quindi, con atto  di  accesso
del 5 dicembre 2012, proponeva domanda di  arbitrato  dichiarando  di
volersi avvalere della clausola arbitrale prevista dal capo 10,  art.
45 del capitolato speciale d'appalto, nella quale  le  parti  avevano
convenuto quanto segue: «ove non si proceda  all'accordo  bonario  ai
sensi del comma 1 e l'appaltatore confermi le riserve, la definizione
delle controversie e' attribuita ad un arbitro ai sensi  delle  norme
del titolo VIII del libro quarto del  codice  di  procedura  civile».
Nella domanda di arbitrato la  Manna  DP  srl  formulava  i  seguenti
quesiti: «1) dica il Collegio - previo, ove occorra, accertamento  in
via istruttoria dell'effettiva avvenuta  esecuzione  delle  opere  in
questione, della loro natura, ritualita', consistenza ed  utilita'  -
se e/o in che misura spettino all'impresa Manna  le  seguenti  somme:
1a) euro 96.153,24 rivenienti da n. 4 riserve  ritualmente  sollevate
ed iscritte nei registri  di  contabilita'  lavori  nonche'  ribadite
nella rendicontazione dello stato finale dell'8 giugno 2006, il tutto
oltre interessi ex lege in materia  di  lavori  pubblici  dalla  data
della domanda sino al soddisfo; 1b) ed in  ogni  caso,  tutte  quelle
altre  somme,  pure  ritualmente  richieste,  a  titolo  di  svincolo
ritenute  di  legge,  di  corrispettivo  per  opere  eseguite   extra
contratto in  ossequio  a  specifiche  disposizioni  impartite  dalla
pubblica amministrazione e/o dalla direzione  lavori,  ordinate  onde
correggere  errori  e/o  omissioni,  in  ogni  caso  non   imputabili
all'impresa, il tutto oltre interessi ex lege in  materia  di  lavori
pubblici, dalla data della domanda  sino  al  soddisfo;  2)  dica  il
Collegio , in via assolutamente gradata, se  tutte  e/o  parte  delle
somme  di  cui  ai  punti  precedenti,  nessuna  esclusa,   spettino,
all'impresa quanto meno a titolo di indebito  arricchimento,  previo,
ove occorra, accertamento della loro utilitas; 3) dica il Collegio se
ed in quale misura spettino, sulle somme  riconosciute,  all'impresa,
gli interessi ex lege sui  lavori  pubblici  nonche'  il  diritto  al
risarcimento del maggior danno subito per l'essere stata costretta  a
ricorrere al credito bancario  per  ritardato  e/o  omesso  pagamento
delle  somme  spettanti;  4)  pronunci  il  Collegio,  in   caso   di
accoglimento totale e/o parziale  della  domanda,  la  consequenziale
condanna al pagamento delle relative somme in  danno  del  Comune  di
Brindisi ed in favore dell'impresa Manna DP Srl; 5) dica,  infine  ed
in ogni caso il Collegio a  carico  di  quale  delle  parti  dovranno
essere imputate le spese legali relative al procedimento arbitrale al
funzionamento del Collegio  e/o  della  consulenza  tecnica,  qualora
espletata». Nella domanda di arbitrato la Manna DP Srl  provvedeva  a
nominare quale arbitro l'avv. Antonio Leonardo Deramo. Il  Comune  di
Brindisi, con deliberazione di giunta del 20 febbraio 2013, prot.  n.
46, provvedeva a nominare il proprio arbitro nella persona  dell'avv,
Emanuela Guarino. 
    Successivamente, in mancanza di accordo per la nomina  del  terzo
arbitro con funzioni di Presidente, su ricorso della  Manna  DP  Srl,
provvedeva il  Presidente  del  Tribunale  di  Brindisi  alla  nomina
dell'avv. Stefano  Bardaro.  In  data  29  settembre  2014  l'arbitro
nominato dal Comune di Brindisi comunicava  di  non  poter  accettare
l'incarico, ricorrendo una delle ipotesi di cui all'art. 815,  codice
di procedura civile. Il Comune, con delibera di giunta n. 342  del  7
ottobre 2014 nominava, quale nuovo arbitro, l'avv. Giuseppe Francesco
Paolo Caforio. 
    Il Collegio arbitrale, pertanto, si riuniva il giorno 20  ottobre
2014 e concedeva alle parti  i  seguenti  termini:  «termine  per  il
deposito della prima memoria  difensiva  per  la  formulazione  della
domanda e  la  definitiva  articolazione  dei  quesiti  da  porre  al
Collegio,  unitamente  al  deposito  di  atti  e  documenti  posti  a
fondamento della domanda (con particolare riguardo  al  contratto  di
appalto sottoscritto e stipulato fra le parti e  di  cui  sopra),  e'
concesso alla sola parte attrice sino al giorno 21 novembre 2014, ore
20:00; termine per il deposito della prima memoria difensiva  per  la
formulazione della domanda e la definitiva articolazione dei  quesiti
da porre al Collegio, unitamente al  deposito  di  atti  e  documenti
posti  a  fondamento  della  domanda  (con  particolare  riguardo  al
contratto di appalto sottoscritto e stipulato fra le parti e  di  cui
sopra), e' concesso alla sola  parte  convenuta  sino  al  giorno  22
dicembre 2014, ore 20:00;  termine  per  entrambe  le  parti  per  il
deposito di memorie di replica e  per  l'articolazione  di  eventuali
istanze istruttorie ed il deposito di ulteriori documenti e'  fissato
sino al giorno 12 gennaio 2015, ore 20:00; termine  per  entrambe  le
parti per il deposito di memorie di replica  istruttorie  e'  fissato
sino al giorno 2 febbraio  2015,  ore  20:00».  Il  Collegio  fissava
l'udienza di trattazione con comparizione delle parti, anche ai  fini
dell'esperimento del tentativo di conciliazione,  per  il  giorno  27
febbraio 2015, ore 10:00, presso la sede del Collegio. 
    Il Comune di Brindisi, con atto di costituzione del  22  dicembre
2014, eccepiva in via  preliminare,  per  quel  che  in  questa  sede
rileva, la nullita' della clausola arbitrale ai sensi  dell'art.  241
del decreto legislativo n.  163/2006,  cosi'  come  modificato  dalla
legge   n.   190/2012,   con    conseguente    inammissibilita'    ed
improponibilita' della domanda; la mancanza della potestas  iudicandi
dell'arbitro di nomina giudiziale, con  funzioni  di  Presidente,  ai
sensi dell'art. 241, comma 5, decreto legislativo n. 163/2006,  oltre
ad altre questioni in  rito  e  nel  merito.  La  societa'  Manna  DP
contestava, nei termini  concessi,  quanto  eccepito  dalla  stazione
appaltante. 
    L'udienza del 27 febbraio 2015 veniva  rinviata  d'ufficio  al  5
marzo 2015 ed il Collegio  si  riserva  di  provvedere  su  tutte  le
questioni, preliminari e non, concedendo termine di  giorni  10  alle
parti per la trasmissione telematica di sole memorie difensive  e  di
ulteriori giorni 10 per la trasmissione telematica di sole memorie di
replica. 
    Vista la domanda di arbitrato; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti di causa; 
    Ricevuti ed esaminati gli scritti delle parti il  Collegio  nella
Camera di consiglio del 31 marzo 2015, dopo approfondita valutazione,
ritenendo di dover rilevare  l'incostituzionalita'  sotto  molteplici
profili dell'art. 241  del  decreto  legislativo  n.  163/2006,  come
modificato  dalla  legge  6  novembre  2012,  n.  190   (c.d.   legge
anticorruzione) e dal decreto legislativo n. 53/2010 ha deliberato la
seguente ordinanza. 
 
                               Diritto 
 
    Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita' dell'art. 1,  comma  19  e  comma  25,
della legge n.  190/2012.  In  proposito  occorre  ricordare  in  via
preliminare che l'art. 241,  comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
163/2006, nella sua formulazione in vigore dal 28 novembre  2012  (ai
sensi dell'art. 1, comma 19, della legge 6  novembre  2012,  n.  190,
c.d.  legge  anticorruzione),  stabilisce  che  «Le  controversie  su
diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di
idee,  comprese  quelle   conseguenti   al   mancato   raggiungimento
dell'accordo bonario previsto dall'art. 240, possono essere  deferite
ad arbitri, previa autorizzazione motivata da  parte  dell'organo  di
governo    dell'amministrazione.    L'inclusione    della    clausola
compromissoria,  senza  preventiva  autorizzazione,   nel   bando   o
nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza
bando, nell'invito, o  il  ricorso  all'arbitrato,  senza  preventiva
autorizzazione, sono nulli». 
    L'art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 stabilisce,  ai  fini
della disciplina transitoria, che «Le disposizioni di cui ai commi da
19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima
della data di entrata in vigore della presente legge». l'arbitrato in
esame e' stato «conferito» dopo l'entrata in vigore  della  legge  n.
190/2012, atteso che gli arbitri sono stati nominati  successivamente
al 28 novembre 2012 e che non e' intervenuta  nessuna  autorizzazione
da parte del Comune di Brindisi prima dell'entrata  in  vigore  della
predetta legge, ne' poteva ragionevolmente intervenire, essendo  tale
istituto previsto dalla stessa  legge  n.  190/2012.  Tuttavia,  tale
conferimento e'  avvenuto  per  effetto  di  una  clausola  arbitrale
pattuita nell'art.  45  del  capitolato  speciale  d'appalto.  Ebbene
l'art. 1, comma 19 e 25 della  legge  n.  190/2012,  determinando  la
confluenza dell'arbitrato de qua  nel  campo  di  applicazione  della
nuova  disciplina  e,  dunque,  rendendo   inefficaci   con   effetto
retroattivo pattuizioni assunte prima dell'entrata  in  vigore  della
legge stessa, ovvero rimettendo alla  parte  pubblica  il  potere  di
decidere  in  ordine  all'azionabilita'  della  clausola   arbitrale,
suscita  dubbi  di  legittimita'  costituzionale.  La  questione   di
costituzionalita' e' dunque rilevante assumendo rilievo pregiudiziale
rispetto alla definizione nel merito della lite insorta tra le parti,
in quanto riguarda l'ammissibilita'  del  ricorso  all'arbitrato.  In
realta', il Comune di  Brindisi  tacitamente  accetta  l'avvio  della
procedura         arbitrale         e          poi          eccepisce
l'improponibilita'/improcedibilita' della stessa.  Non  si  condivide
pero', all'uopo, l'opinione  espressa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  Lazio,  Sez.  III,  del  10  febbraio   2015,   n.   2423,
relativamente all'interpretazione resa  concernente  il  concetto  di
«arbitrato autorizzato» e, pertanto, non  si  ritiene  possibile  una
lettura costituzionalmente orientata  che  permetta  di  superare  le
questioni  pregiudiziali  e  preliminari  sollevate  dalla   stazione
appaltante. 
    2. Per effetto della disposizione di cui all'art.  1,  comma  25,
della  legge  n.  190/2012  l'obbligo  di   autorizzazione   motivata
all'arbitrato previsto dall'art. 241, comma 1, decreto legislativo n.
163/2006  trova  applicazione   anche   in   relazione   a   clausole
compromissorie antecedenti all'entrata  in  vigore  della  richiamata
legge n. 190/2012, come nel caso di specie.  In  tal  modo  pero'  la
normativa di cui sopra produce effetti retroattivi lesivi dei diritti
e delle liberta' garantite dagli  articoli  24,  41  e  108  Cost.  e
comunque dagli articoli 3, 25 e 111 Cost. Ai  sensi  della  novellata
disciplina, ed  in  particolare  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  25,
nell'ambito di una controversia si consente alla  parte  pubblica  di
porre nel nulla  una  clausola  compromissoria  per  effetto  di  una
disposizione   sopravvenuta,   che   travolge   l'efficacia   e    la
vincolativita' di un patto spontaneamente stipulato tra le parti o  a
cui, comunque, la parte privata ha dato adesione. Il  legislatore  ha
quindi disatteso il principio della certezza e stabilita' del diritto
e  dell'ordinamento  giuridico,  che   impone   di   non   introdurre
disposizioni che operino retroattivamente  su  clausole  contrattuali
esistenti, ledendo principi e diritti  di  rango  costituzionale  (in
particolare  la  liberta'  di  iniziativa  economica  e   l'autonomia
negoziale  e  di  impresa  ex  art.  41  Cost).   Il   principio   di
irretroattivita' non consente alla legge nuova di  produrre  effetti,
tanto in ordine  ai  rapporti  giuridici  esauriti  prima  della  sua
entrata in vigore quanto in relazione a quelli sorti anteriormente ed
ancora pendenti, se l'effetto prodotto dalla  nuova  legge  pone  nel
nulla o rende inefficaci atti giuridici  legittimamente  adottati  in
precedenza. 
    A  tal  riguardo  va  subito   chiarito   che,   come   precisato
ripetutamente   dalla   Corte   costituzionale,   il    divieto    di
retroattivita' della legge - pur costituendo fondamentale  valore  di
civilta' giuridica e  principio  generale  dell'ordinamento,  cui  il
legislatore deve in linea di  principio  attenersi  -  non  e'  stato
tuttavia elevato a rango di dignita' costituzionale (salvo l'art.  25
Cost. in materia penale). Il  legislatore  ordinario,  pertanto,  nel
rispetto del  suddetto  limite,  puo'  emanare  norme  con  efficacia
retroattiva, interpretative o innovative che esse siano, a condizione
pero' che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul  piano
della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori  ed
interessi costituzionalmente protetti (ex multis Corte costituzionale
11 giugno 1999, n. 229; 7 luglio 2006, n. 274 e 23  luglio  2002,  n.
374) ovvero che  la  retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti  motivi  imperativi  di
interesse generale, ai sensi della Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. (Cons. Stato,  Sez.  IV,  27
aprile 2015, n. 2062). L'applicazione retroattiva  della  norma,  che
restringa   diritti   costituzionalmente   tutelati,   puo'    essere
giustificata solo  in  ipotesi  eccezionali,  in  quei  casi  in  cui
sussistano interessi aventi parimenti rilevanza costituzionale  ed  a
condizione che vi sia un'adeguata  giustificazione  sul  piano  della
ragionevolezza (cfr. ex multis Corte costituzionale 11  giugno  1999,
n. 229). Nel caso di specie non si riscontrano esigenze  che  possano
ragionevolmente  giustificare,  nell'ottica  del  bilanciamento,   la
decisione  del  legislatore  di  privare   di   efficacia,   in   via
retroattiva, le clausole compromissorie gia' convenute.  Infatti,  se
da un lato la facolta' delle parti di stipulare  un  patto  negoziale
per  adire  il  giudice  arbitrale  per  le  future  controversie  e'
riconosciuta e tutelata dagli articoli 24, 41 e 108 Cost., dall'altro
lato  la  decisione  del  legislatore  di  estendere   l'obbligo   di
autorizzazione  motivata  all'arbitrato  ai  rapporti  scaturiti   da
clausole  compromissorie  antecedenti  alla  legge  n.  190/2012  non
risulta  giustificata  da  un  contrapposto  interesse  di  rilevanza
costituzionale di pari peso. 
    Ed invero, quand'anche la ratio legis della richiamata  normativa
anticorruzione e' da ravvisarsi nell'esigenza di prevenire  forme  di
corruzione nella pubblica amministrazione, di certo la subordinazione
dell'arbitrato - attivato sulla base di una  clausola  compromissoria
stipulata ante legge n. 190/2012 - ad un meccanismo di autorizzazione
rimesso alla parte pubblica, non  sembra  coerente  con  le  predette
finalita'. 
    Una tale assunzione in termini di disvalore non risulta  peraltro
costituzionalmente corretta proprio alla luce delle  disposizioni  di
cui all'art. 24, 41, 108 e 111 Cost. In aggiunta, si deve considerare
che la prevenzione della corruzione  della  pubblica  amministrazione
rappresenta  l'interesse  di  una  sola  delle  parti  del   rapporto
controverso e, come tale, non e' idonea ad incidere sul principio  di
parita' di cui  all'art.  111  Cost  e  sul  principio  di  autonomia
negoziale ex art. 41 Cost. non si puo'  dunque  riconoscere  in  capo
alla  pubblica  amministrazione  un  diritto  potestativo  idoneo   a
produrre, in  via  retroattiva,  limiti  all'accesso  alla  giustizia
arbitrale. 
    2.1. Il Collegio dubita che la norma di cui all'art. 1, comma 25,
legge n. 190/2012 sia conforme agli articoli 3,  24,  25,  41  e  111
Cost. anche sotto altro profilo.  Nello  specifico  la  norma,  nella
misura in cui ricollega effetti giuridici sfavorevoli (in termini  di
condizioni piu' rigorose  per  l'accesso  alla  giustizia  arbitrale,
subordinate all'esercizio di un diritto  potestativo  della  pubblica
amministrazione, sub specie di autorizzazione  motivata)  a  clausole
compromissorie  stipulate  e/o  accettate  nel  periodo   antecedente
all'entrata in vigore della legge anticorruzione, lede  l'affidamento
di quanti abbiano  volontariamente  e  consapevolmente  stipulato  le
suddette clausole contrattuali, senza poter prevedere  che  sarebbero
scaturite conseguenze negative sul piano dell'accesso alla giustizia,
con cio' affievolendo irragionevolmente la certezza nella  stabilita'
del diritto e dell'ordinamento giuridico. Infatti, in detti casi,  il
giudice naturale ex art. 25 Cost. risulta gia' individuato, seppur in
via  negoziale,  con  la   clausola   compromissoria,   per   effetto
dell'esercizio dell'autonomia privata delle parti' ex art.  41  Cost.
In siffatto contesto, l'applicazione in via retroattiva  della  norma
sull'autorizzazione all'arbitrato, in relazione a clausole  arbitrali
gia' previste (e quindi con un giudice «naturale» gia'  individuato,)
pone un'ulteriore limitazione all'esercizio del diritto, distogliendo
quindi le parti  dal  giudice  precostituito  in  via  negoziale  e/o
rendendo comunque  piu'  difficoltoso  l'accesso  alla  giurisdizione
arbitrale, con la conseguente violazione degli  arti  24,  25  e  111
Cost. 
    2.2. A sua volta l'art. 241,  comma  1,  decreto  legislativo  n.
163/2006 (come modificato dall'art. 1, comma 19, legge  n.  190/2012)
risulta in contrasto con gli articoli 3, 24„ 25, 41, 102,  111  Cost.
sotto ulteriori profili. 
    2.2.1.   Li   norma   censurata   appare   infatti   di    dubbia
costituzionalita', in quanto determina un assetto  in  contrasto  con
gli articoli 3 e 111 della Cost. nella  parte  in  cui  sanciscono  i
principi di parita' delle parti nel processo. 
    La disciplina dell'autorizzazione all'arbitrato ha determinato un
sistema  che,  anziche'   garantire   la   parita'   delle   armi   e
l'indipendenza degli arbitri, riconosce un privilegio processuale per
la pubblica amministrazione, che assume un  vero  e  proprio  diritto
potestativo  in  merito  alla  instaurazione  o  meno  del   giudizio
arbitrale. 
    In questo modo all'arbitrato in  materia  di  contratti  pubblici
viene dato un assetto  tendente  a  favorire  solo  una  parte  della
controversia, realizzando uno sbilanciamento a  favore  del  soggetto
pubblico, in senso analogo a  quello  sbilanciamento  gia'  censurato
dalla Consulta nella sentenza n. 186/2013  (con  la  quale  e'  stata
dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  51,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220). 
    Riconoscere, pertanto, ad una  sola  delle  parti  il  potere  di
autorizzazione postuma  all'arbitrato,  significherebbe  in  concreto
attribuire  un  diritto  potestativo  unilaterale  di  accesso   alla
giustizia, con degradamento in  posizione  di  soggezione  dell'altra
parte del rapporto  e  conseguente  «asimmetria  giurisdizionale»  in
contrasto con i parametri costituzionali degli articoli 3 e 111 Cost. 
    2.2.2 Il Collegio rileva inoltre il contrasto con l'art. 3  della
Costituzione, anche  in  ragione  dell'ingiustificata  disparita'  di
trattamento rispetto alla disciplina degli arbitrati  risultante  dal
codice di procedura civile. Non sembra,  infatti,  potersi  enucleare
alcuna  differenza  sostanziale  tra  gli  arbitrati  in  materia  di
contratti pubblici e gli arbitrati regolati dal codice  di  procedura
civile; sicche' la scelta del legislatore di differenziare nettamente
la  rispettiva  disciplina,  prevedendo  una   condizione   d'accesso
all'arbitrato in materia di contratti pubblici, peraltro rimessa alla
decisione di una sola delle parti del contratto pubblico, e'  di  per
se' ingiustificata e irrazionale. 
    Da  un  lato,  infatti,  non  si  riscontrano  nella  legge  c.d.
anticorruzione ragioni per giustificare la disparita' di  trattamento
tra gli arbitrati nelle controversie regolate dall'art. 241,  decreto
legislativo  n.   163/2006,   rispetto   agli   arbitrati   ordinari,
considerate l'equiparazione dei giudizi arbitrali in materia di opere
pubbliche ai giudizi civili (cfr. ex multis Corte  costituzionale  28
novembre 2001, n. 376; Corte costituzionale 19 luglio 2013, n.  223),
l'identita' dei poteri esercitabili e le  sanzioni  tipiche  previste
dall'ordinamento per combattere la corruzione. 
    Ebbene, nella norma in esame non  si  riscontra  alcun  principio
costituzionale  da  tutelare  e  la  disciplina  introdotta,  laddove
subordina il ricorso all'arbitrato all'autorizzazione motivata  degli
organi  di  Governo  della  P.A.,  non  puo'  giustificare   ne'   la
limitazione dei privati all'accesso alla giustizia secondo  modalita'
determinate da clausole negoziali precedentemente  e  consapevolmente
stipulate da ambo le parti, ne' tantomeno la  frustrazione  di  altri
principi costituzionalmente tutelati,  quali  quelli  previsti  dagli
articoli 24 e 111 Cost. 
    Di  conseguenza,  la  norma  de  qua,  nel  regolare  in  termini
radicalmente divergenti situazioni  di  accesso  alla  giustizia  nel
settore  dei  contratti  pubblici   rispetto   agli   altri   settori
dell'ordinamento, determina una evidente  disparita'  di  trattamento
che si pone in aperto contrasto con l'art.  3  Cost.  D'altro  canto,
tale disparita' di trattamento e'  immediatamente  percepibile  anche
riguardo alla differenza tra la disciplina  speciale  in  materia  di
contratti  pubblici  e  la  disciplina  ordinaria  sull'accesso  alla
giustizia arbitrale. 
    Mentre,  infatti,  nella  disciplina  prevista  dal   codice   di
procedura civile l'eventuale rifiuto di una delle parti'  di  aderire
all'arbitrato   (in   violazione   di    una    specifica    clausola
compromissoria) non determina la nullita' del lodo ex art. 829 codice
di procedura civile (anzi, un eventuale  rifiuto  od  anche  il  mero
silenzio consente all'altra parte di ricorrere  al  Tribunale  civile
per la nomina dell'arbitro di parte), negli arbitrati di cui all'art.
241 del codice dei contratti il rifiuto o la  mancata  autorizzazione
della parte  pubblica  all'arbitrato  comporta,  per  cio'  solo,  la
nullita' insanabile del lodo eventualmente pronunciato. Nel contempo,
lo stesso art. 241, comma 1, prevede che la pubblica  amministrazione
debba autorizzare l'arbitrato con apposita motivazione. In  tal  modo
l'accesso alla giustizia arbitrale, oltre ad essere assoggettato alla
potesta' di una delle parti, e' altresi' connotato da ampi  spazi  di
discrezionalita'  della  parte  contrattuale   pubblica,   che   puo'
rifiutare l'arbitrato senza motivazione e puo' autorizzarlo solo  con
apposita motivazione. 
    Una simile facolta',  nel  contesto  dell'apparato  sanzionatorio
previsto dall'ari 241 del codice  dei  contratti,  potrebbe  condurre
alla nullita' del lodo anche  in  ragione  della  opinabilita'  della
motivazione all'autorizzazione (od anche  in  ragione  dell'eventuale
incompetenza dell'organo che rilascia l'autorizzazione) con ulteriore
incisione degli articoli 3 e l11 Cost. 
    3.  In  conclusione,  si  ritiene   non   possibile   individuare
un'interpretazione costituzionalmente orientata  delle  norme  citate
che consenta di superare  eventuali  dubbi  di  compatibilita'  delle
disposizioni di cui trattasi con la  Carta  fondamentale.  Ricorrono,
quindi, tutti i presupposti considerati dall'art. 23 della  legge  11
marzo 1953, n. 87, per la rimessione delle questioni di  legittimita'
costituzionale  sopra  descritte,  e  segnatamente  la  rilevanza   e
l'impossibilita' di  definire  il  giudizio  indipendentemente  dalla
soluzione delle questioni  e  la  non  manifesta  infondatezza  delle
stesse.