IL TRIBUNALE DI SIRACUSA 
                        Sezione unica penale 
 
    riunito  in  Camera  di  consiglio  e   composto   dai   seguenti
magistrati: 
        dott.ssa Carla A.F. Frau - Presidente (estensore); 
        dott.ssa Concetta Zimmitti - Giudice; 
        dott.ssa Antonella Coniglio - Giudice. 
    Nel processo a carico di: 
        V.P.S., nato a Berlino il - libero,  gia'  contumace,  difeso
dall'avv. Lucia Randazzo di fiducia; 
        S.B., nato ad Augusta il -  libero,  gia'  contumace,  difeso
dall'avv. Maria Spurio; 
        S.G.,  nato  ad  Acicastello  (Catania)  il  -  libero,  gia'
contumace, difeso dall'avv. Valerio Vancheri; 
        S.F., nato a Catania il  -  libero,  gia'  contumace,  difeso
dall'avv. Pasquale Saraceno. 
    Nel quale sono costituite parti civili: 
        R.M., rappresentato dall'avv. Eliana Mirabella; 
        S.M., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; 
        P.F., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; 
        M.G., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; 
        S.G., rappresentato dall'avv. Letizia Catania; 
    Vista la richiesta avanzata dal  pubblico  ministero  all'udienza
del 5 febbraio 2018, finalizzata  al  sollevamento  di  eccezione  di
illegittimita' costituzionale degli articoli 525, comma 2, 526, comma
1 cpp. in relazione all'art. 111 della Costituzione; 
    Sentite le altre parti processuali  che  hanno  interloquito  sul
punto; 
    Ritenuto che la questione sia rilevante nel processo de quo. 
    Con decreto di giudizio immediato del 22 giugno 2007 nel  proced.
n. 10339/06 RGNR e con decreto di rinvio a giudizio dell'11  febbraio
2009 nel  proced.  n.  5919/08  RGNR,  il  giudice  per  le  indagini
preliminari presso il Tribunale di Siracusa  disponeva  il  rinvio  a
giudizio degli imputati perche' rispondessero dei delitti di cui agli
articoli 416, 340  e  629  cp  commessi,  in  qualita'  di  dirigenti
aziendali,  in  danno  dei  lavoratori  dipendenti;  i   procedimenti
venivano riuniti nella fase dibattimentale  cosicche',  alle  udienze
del 6 dicembre 2007 e del 12 giugno 2008  si  costituivano  le  parti
civili e, all'udienza del 17 giugno 2010,  aveva  inizio  l'attivita'
istruttoria con l'audizione del  teste/persona  offesa  R.M.  Seguiva
l'audizione del teste M.G. all'udienza del 18 novembre  2010;  quella
di P.F. in data 26 maggio 2011; di S.G. all'udienza del 29  settembre
2011; S.M. e F.C. in data 26 gennaio 2012. 
    A  questo  punto,  quando  gia'  una  gran  parte  dell'attivita'
istruttoria si era svolta, si verificava  un  primo  mutamento  nella
composizione del collegio giudicante. 
    Si proseguiva dunque con l'audizione dei testi «nuovi»:  in  data
18 marzo 2013 venivano sentiti T.V., D.G.S. e S.S.; poi L.G.  e  M.G.
in data 13 maggio 2013; T.R. e G.G. 27 gennaio 2014. 
    Nel frattempo era nuovamente mutata la composizione del  collegio
giudicante e, di nuovo, le difese non  prestavano  il  consenso  alla
rinnovazione mediante lettura delle  dichiarazioni  rese  davanti  al
precedente collegio. 
    Venivano dunque nuovamente citati i testi gia' escussi. 
    All'udienza del 16 marzo 2015 venivano nuovamente escussi i testi
R.M., M.G. e S.M.;  tutti  e  tre  si  limitavano  a  confermare,  su
richieste del pubblico ministero, le  dichiarazioni  gia'  rese  alla
precedente udienza; i difensori, che pure ne avevano chiesto la nuova
citazione, non facevano alcuna domanda. 
    Dal 2015 ad oggi il collegio  giudicante  mutava  piu'  volte,  i
difensori non prestavano mai il consenso alla rinnovazione,  i  testi
venivano risentiti fino a sei volte ciascuno e  ogni  volta  venivano
escussi solo dal pubblico ministero che chiedeva se confermassero  le
precedenti  dichiarazioni,  mentre  le  difese  non  ponevano  alcuna
domanda. 
    All'ultima udienza del 5 febbraio 2018, a fronte di un  ulteriore
mutamento della composizione  del  collegio,  il  pubblico  ministero
evidenziava come ormai molte  delle  fattispecie  contestate  fossero
prescritte e come fosse prossima la prescrizione delle restanti. 
    Poiche' anche in tale ultima occasione i difensori  hanno  negato
il consenso  alla  rinnovazione,  l'interpretazione  letterale  della
norma imporrebbe la nuova citazione di tutti i testi che  hanno  gia'
deposto;   tale   adempimento   comporterebbe   inevitabilmente    la
prescrizione definitiva di tutti i reati, con insanabile  pregiudizio
anche delle istanze civilistiche delle parti civili. 
    Se invece si ritenesse che il combinato disposto  degli  articoli
525,  comma  2,  526,  comma  1  e   511   cpp.,   in   una   lettura
costituzionalmente   orientata   in   forza   dell'art.   111   della
Costituzione, consentissero di  «dare  lettura»  delle  dichiarazioni
gia' rese, si potrebbe pervenire ad una pronuncia sul merito. 
    Ritenuto che la questione sia non manifestamente infondata  sulla
base delle seguenti argomentazioni. 
1) Il codice  non  pone  sul  giudice  l'obbligo  di  procedere  alla
rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale 
    La  difesa  chiede  la  rinnovazione  integrale  dell'istruttoria
dibattimentale, fondando la propria richiesta sul combinato  disposto
degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp. 
    Innanzitutto e' obbligatorio sottolineare che la prima delle  due
disposizioni  recita:  «Alla  deliberazione  concorrono,  a  pena  di
nullita' assoluta,  gli  stessi  giudici  che  hanno  partecipato  al
dibattimento», mentre la seconda afferma che  «Il  giudice  non  puo'
utilizzare ai fini  della  deliberazione,  prove  diverse  da  quelle
legittimamente acquisite nel dibattimento».  A  ben  vedere,  allora,
nessuna delle due disposizioni  pone,  in  caso  di  mutamento  della
persona fisica del giudice, alcun obbligo  di  sentire  nuovamente  i
testimoni gia' escussi all'interno del  processo.  Invero,  le  prove
(anche quelle testimoniali) possono essere  legittimamente  acquisite
al dibattimento in molti modi diversi (ad esempio ex articoli 511  ss
cpp, oppure ex articoli 392 ss cpp o, ancora, ex art. 238 cpp) ed  e'
sufficiente che il giudice decidente sia il medesimo che  ha  assunto
legittimamente le prove all'interno  del  dibattimento.  Ne  consegue
che, in caso di mutamento del giudice - persona fisica, e' necessario
che il nuovo decidente assuma, in uno dei diversi modi  previsti  dal
codice, le prove necessarie ai fini della decisione. 
    Per quanto attiene alla prova testimoniale, nello specifico,  una
volta che  e'  stato  rispettato,  nella  sua  prima  assunzione,  il
principio fondamentale del contraddittorio  (sancito  dall'art.  111,
comma 4 Cost. cosi' come attuato dagli articoli  498  ss  cpp),  essa
deve ritenersi legittimamente acquisita, ragion per  cui  i  relativi
verbali, che a pieno titolo si trovano all'interno del fascicolo  del
dibattimento, possono formare oggetto di lettura ex art. 511 ss  cpp.
D'altronde, la circostanza che il giudice decidente sia  una  persona
diversa da quella  che  ha  condotto  l'esame  testimoniale,  e'  una
situazione che l'ordinamento ammette pacificamente, purche', appunto,
sia rispettato il fondamentale principio  del  contraddittorio  nella
assunzione della prova testimoniale. In tal senso, infatti, depongono
sia le disposizioni di cui agli articoli 392 ss cpp  sia  l'art.  238
cpp. Con riferimento a tale seconda ipotesi, in  particolare,  appare
del  tutto  irragionevole   ritenere   che,   se   sono   addirittura
utilizzabili i verbali delle prove testimoniali assunte in  un  altro
procedimento,  non  possano  essere  utilizzati  quelli  delle  prove
assunte  nel  medesimo  procedimento,  nei  confronti  dello   stesso
imputato ed alla presenza dello stesso difensore. Ne deriva,  allora,
che,  una  volta  che  e'  stata  legittimamente  assunta  la   prova
testimoniale, essa resta patrimonio del fascicolo del dibattimento ed
il giudice ex articoli 525 - 526 cpp  non  ha  l'obbligo  di  sentire
nuovamente il testimone, potendosi limitare  (ma  dovendolo  fare)  a
procedere alla sua nuova assunzione, o ex articoli  498  ss  cpp  (se
ritiene di voler sentire il testimone), oppure,  legittimamente,  con
le formalita' di cui agli articoli 511 ss cpp. 
    Cio' e' vieppiu' confermato dal fatto che,  come  spesso  accade,
una volta richiamato il testimone gia' sentito, la parte  che  ne  ha
richiesto l'audizione, ben potrebbe limitarsi a  porre  solamente  la
domanda «lei conferma le dichiarazioni gia' rese?»,  senza  svolgere,
quindi, nei fatti, alcun esame testimoniale. Questo conferma che  non
vi e' alcun obbligo, per il decidente,  di  sentire  direttamente  le
risposte alle domande poste al testimone sui fatti per cui si procede
ed, in definitiva, di assistere alla deposizione testimoniale,  posto
che, in presenza di  una  situazione  del  genere,  le  dichiarazioni
precedentemente  rese  dal  testimone,  comunque,  divengono  proprio
grazie all'art. 511 cpp. 
2) La lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525,  comma
2, 526, comma 1 cpp 
    L'impostazione sopra richiamata,  peraltro,  appare  quella  piu'
conforme al dettato della Costituzione. 
    Al riguardo, infatti, si evidenzia che gli articoli 525, comma 2,
526,  comma  1  cpp  sono   convenzionalmente   intesi   come   fonti
dell'obbligo di sentire nuovamente i testimoni gia' assunti,  perche'
letti alla luce  dei  principi  di  oralita'  ed  immediatezza.  Tali
principi, infatti, pur non espressamente menzionati in  Costituzione,
ispirano chiaramente il  processo  penale,  in  quanto  indicati  nei
lavori preparatori del Codice e pacificamente ricavabili dalla  legge
fondamentale. Cosi' interpretate, allora, le espressioni «gli  stessi
giudici che hanno partecipato al dibattimento»  (art.  525,  comma  2
cpp)  e  «prove  diverse  da  quelle  legittimamente  acquisite   nel
dibattimento» (art. 526, comma 1 cpp) vengono riferite  ai  testimoni
direttamente sentiti dai giudicanti. 
    I principi di oralita' ed immediatezza, pero', non sono gli unici
su  cui  si  fonda  il  diritto  processualpenalistico  e,  pertanto,
talvolta  possono  entrare   in   conflitto   con   altri   interessi
fondamentali dell'ordinamento. Quando  cio'  si  verifica,  in  linea
generale,   l'ordinamento   impone   che   sia   compiuto   il   c.d.
«bilanciamento», in virtu' del quale la  portata  applicativa  di  un
principio puo' essere temperata dall'esigenza di rispettare un  altro
interesse confliggente, purche' dotato di pari grado. 
    Calando  tale  fondamentale  meccanismo   dell'ordinamento   alla
presente questione, appare evidente che gli articoli  525,  comma  2,
526, comma 1 cpp,  letti  alla  luce  dei  principi  di  oralita'  ed
immediatezza (non indicati espressamente  in  Costituzione),  possono
entrare in netto contrasto con l'art. 111, comma 2 Cost., ovvero  con
il principio della ragionevole durata del processo. In altri termini,
l'attuale interpretazione delle citate  disposizioni  del  codice  di
procedura penale, pur ossequiosa della volonta' del  legislatore  del
1989 e rispettosa di alcuni principi fondamentali desumibili  in  via
interpretativa, permette che, a seguito dei  potenzialmente  infiniti
mutamenti del giudice - persona fisica, il processo  debba  ripartire
dall'apertura  del  dibattimento  un  infinito  numero  di  volte  e,
pertanto, che esso abbia una durata infinita, in pieno contrasto  con
l'art. 111, comma 2 della  Costituzione.  E'  evidente,  infatti,  il
conflitto tra un processo (potenzialmente) infinito e la  ragionevole
durata del processo. L'ordinamento, allora,  non  puo'  tollerare  la
presenza di un processo penale astrattamente infinito, in primo luogo
perche' esso  sarebbe  confliggente  con  il  dettato  costituzionale
dell'art. 111, comma 2 Cost. ed in secondo luogo perche',  alla  luce
della disciplina della prescrizione, un tale processo  determinerebbe
lo svilimento assoluto del processo penale. La tutela dell'art.  111,
comma 2 Cost. peraltro, appare rafforzata dalla legge Pinto che fissa
in 3 gli anni ritenuti ragionevoli per lo svolgimento del giudizio di
primo grado. 
    La lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525, comma
2,  526,  comma  1  cpp  ed  il  conseguente  bilanciamento,  allora,
impongono di salvaguardare i principi di  oralita'  ed  immediatezza,
nel rispetto della ragionevole durata del processo penale. 
    Cio' significa che a seguito del mutamento del giudice -  persona
fisica,  e'  possibile  (ed  anzi  doveroso)  sentire  nuovamente   i
testimoni gia' sentiti dinanzi al precedente giudicante, purche'  sia
salvaguardata la ragionevole  durata  del  processo  e,  dunque,  sia
rispettato il limite massimo dei tre anni  del  processo.  Una  volta
superato tale limite, la prova testimoniale (gia' validamente assunta
nel contraddittorio delle  parti  dinanzi  ad  un  giudice  terzo  ed
imparziale) non potra' essere ripetuta e di essa dovra'  essere  data
lettura ex art. 511 cpp (articolo che  disciplina  uno  dei  modi  di
legittima formazione della prova). 
    Peraltro,  appare  evidente  che  il  rispetto  dell'oralita'   e
dell'immediatezza e' solo formale, secondo  la  attuale  impostazione
ermeneutica e tutt'altro che effettivo. Considerando,  infatti,  che,
il testimone viene nuovamente convocato per essere sentito a distanza
di piu' di tre anni dall'inizio del processo (e, dunque, di un  lasso
di tempo molto superiore dal verificarsi dei  fatti)  non  vi  potra'
essere alcuna effettiva oralita' ed immediatezza, specie se si  tiene
conto della circostanza che spesso l'audizione del  testimone  e'  un
mero confermare integralmente quanto gia' in precedenza dichiarato. 
    Anche considerando, allora,  che  il  rispetto  dei  principi  di
oralita' ed immediatezza e' solo formale e tutt'altro che  effettivo,
non si puo' pregiudicare un principio  fondamentale  (quantomeno)  di
pari grado come quello della ragionevole durata del processo. 
3) Uso strumentale della richiesta e abuso del diritto 
    Proprio l'ultima  riflessione  di  cui  al  punto  1),  induce  a
interrogarsi  sulla  legittimita'  della  richiesta   difensiva.   Va
sottolineato, infatti, che la richiesta rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale nel caso di specie (ed in  molti  altri  casi)  si  e'
risolta nella nuova citazione (fino a 5-6 volte) dei testimoni  (gia'
sentiti)  i  quali,  a  seguito  dell'esame  da  parte  del  pubblico
ministero si limitavano a confermare quanto gia'  dichiarato,  mentre
la difesa non ha posto alcuna altra domanda. 
    La richiesta della difesa di procedere alla nuova  audizione  dei
testi davanti al collegio giudicante per rispetto del principio della
oralita', si e'  risolta  dunque  nell'espletamento  di  una  sterile
formalita'  che  ha  avuto  l'unico  effetto  di  allungare  i  tempi
processuali fino alla prescrizione dei reati. 
    E' d'obbligo osservare che, pero', sia nell'ordinamento nazionale
che in quello comunitario, vige, da sempre, il principio generale  di
divieto dell'abuso del diritto. 
    Strettamente  legato  all'abuso  del  diritto  e'   l'abuso   del
processo, cosi' definito dalla Suprema Corte di cassazione:  «L'abuso
del processo consiste in un vizio,  per  sviamento,  della  funzione,
ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorche' un diritto
o una facolta' processuali  sono  esercitati  per  scopi  diversi  da
quelli  per  i  quali  l'ordinamento  processuale  astrattamente   li
riconosce all'imputato, il quale non puo' in tale  caso  invocare  la
tutela di interessi che non sono  stati  lesi  e  che  non  erano  in
realta' effettivamente perseguiti» (Cass. SSUU 155/2011). 
    Appare, allora, necessario verificare se la  nuova  citazione  di
tutti i testimoni gia' sentiti, sia un diritto esercitato,  nel  caso
di specie, in maniera conforme agli scopi per  cui  lo  stesso  viene
concesso, oppure conduca ad uno sviamento della funzione processuale. 
4) Fonti normative e realta' di fatto 
    L'asserito  diritto  di  sentire  nuovamente  i  testimoni   gia'
sentiti, deve conciliarsi con altri principi  e  diritti  di  portata
costituzionale, non solo quello della ragionevole durata del processo
ma anche  quello  della  effettivita'  del  medesimo.  Sul  punto  e'
doveroso ricordare che la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n.
353 del  1996,  afferma  che  «Nella  disciplina  del  codice,  (...)
l'equilibrio fra i principi di economia processuale  e  di  terzieta'
del  giudice  e'  solo  apparente,  dato  che  il   possibile   abuso
processuale  determina  la  paralisi  del  procedimento,   tanto   da
compromettere il bene costituzionale dell'efficienza del  processo  e
il canone fondamentale della razionalita'  delle  norme  processuali.
Invero il legislatore, pur essendo  libero  nella  costruzione  delle
scansioni processuali, non puo' tuttavia scegliere  un  percorso  che
possa  comportare,  sia   pure   in   casi   estremi,   la   paralisi
dell'attivita' processuale». 
    Orbene nelle realta' periferiche del Paese come la  presente,  la
persona fisica del giudice  cambia  continuamente  specie  se  si  fa
riferimento alla composizione del collegio; il fatto  che  i  giudici
siano solitamente di prima nomina e,  maturato  il  termine,  vengano
trasferiti altrove, la circostanza che vi siano  continuamente  vuoti
da coprire e dunque spostamenti interni per fare fronte alle  diverse
emergenze , le maternita' che giocano  un  ruolo  determinante  nelle
piccole sedi con giudici di prima nomina; sono tutte circostanze  che
fanno  si'  che  sia  sostanzialmente  impossibile  che  un  processo
complesso possa essere iniziato e  portato  a  termine  dagli  stessi
giudici; il rispetto formale e categorico del principio dell'oralita'
in queste  realta'  determina  la  oggettiva  impossibilita'  che  il
processo venga portato a termine, con inevitabile  pregiudizio  delle
ragioni delle persone  offese  e  con  inutile  enorme  dispendio  di
attivita' processuali. 
    Alla luce di tale oggettiva  compromissione  della  funzione  del
giudizio,  il  principio  codicistico  dell'oralita'  deve  ritenersi
subvalente  non  solo  rispetto  al  principio  costituzionale  della
ragionevole durata posto al  comma  2  dell'art.  111,  ma  anche  al
principio della effettivita' del giudizio, implicito nel comma 1  che
recita «la giurisdizione si attua»; in una situazione  di  fatto  che
non consente la permanenza dello stesso giudice  persona  fisica  per
piu' di qualche anno, il  rispetto  rigoroso  dell'oralita'  comporta
matematicamente che «la giurisdizione non si attua». 
    D'altra parte quello dell'oralita'  e'  principio  di  rango  non
costituzionale, che gia' conosce numerose deroghe nell'ordinamento ad
esempio tutte le volte in cui vi sia pericolo  di  dispersione  della
prova (incidente probatorio), per le dichiarazioni del coimputato che
non intenda sottoporsi ad esame e comunque nella fase di appello (che
prevale sul primo grado anche se svolta senza escussione diretta  dei
testi). 
    Ritenuta dunque la non manifesta infondatezza delle questione, in
quanto sussiste il ragionevole dubbio  in  ordine  alla  legittimita'
costituzionale delle norme di riferimento; 
    Ritenuto che la medesima sia rilevante nel processo,  atteso  che
una   lettura    non    costituzionalmente    orientata    porterebbe
inevitabilmente alla prescrizione delle fattispecie contestate; 
    Visti gli articoli 111 e 137 della Costituzione; 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;