TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA PRIMA SEZIONE CIVILE Il giudice, Elisabetta Sampaolesi, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 9964/15, promossa da Enel Sole srl, con gli avv.ti C. Bonora, M. Bondioni e M. Ladogana attrice contro Comune di Orzinuovi, con gli avv.ti F. Bertuzzi, S. Venturi e G. Sina convenuto con atto di citazione regolarmente notificato, Enel Sole srl, gestrice del servizio di illuminazione pubblica in ragione del subentro nella proprieta' degli impianti gia' appartenenti ad Enel spa, conveniva in giudizio il Comune di Orzinuovi al fine di sentirlo condannare al pagamento dell'equo indennizzo ad essa spettante a seguito del riscatto degli impianti di illuminazione pubblica da parte del Comune, ai sensi dell'art. 24 regio decreto n. 2578/1925 e degli articoli 13 e 14 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1986. Il Comune, costituitosi in giudizio, eccepiva preliminarmente «il difetto di giurisdizione o competenza» del Tribunale di Brescia, essendo la questione devoluta agli arbitri ex art. 24 regio decreto n. 2578/1925 e chiedeva, nel merito, la determinazione dei rapporti debito-credito tra le parti con conseguente condanna dell'attrice al pagamento del dovuto. Alla prima udienza di comparizione, l'attrice insisteva nelle sue istanze e sollevava, altresi', questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24 sopra citato in riferimento agli articoli 24, comma 1, 25, comma 1 e 2, e 102, comma 1, della Costituzione. Il g.i. fissava udienza, ex art. 281-sexies codice di procedura civile, per discussione sulle questioni preliminari con termine per note conclusive. Va senz'altro, preliminarmente, affrontata la questione di costituzionalita' sollevata da parte attrice in relazione alla disposizione di cui all'art. 24 del regio decreto n. 2578/1925 per effetto del contrasto con gli articoli 24, comma 1, 25, comma 1 e 2, e 102, comma 1, della Costituzione. Detto articolo, ai commi 7 e 8, in caso di esercizio del riscatto degli impianti utilizzati per l'erogazione del servizio di illuminazione pubblica da parte dell'Ente pubblico, per la determinazione dell'equa indennita' di cui al comma 4, prevede che «in mancanza dell'accordo decide in primo grado, con decisione motivata, un collegio arbitrale composto di tre arbitri, di cui uno e' nominato dal consiglio comunale, uno dal concessionario ed uno dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione e' posto il comune» e che, «avverso la decisione di tale collegio, cosi' il comune come il concessionario possono appellarsi ad un altro collegio di tre arbitri, i quali saranno nominati dal primo presidente della Corte d'appello e decideranno come amichevoli compositori». Trovando l'arbitrato la sua fonte di legittimazione nell'autonomia dei privati, l'imposizione eteronoma, come in questo caso, di una risoluzione in via arbitrale delle controversie pare violare precetti fondamentali della Costituzione. In piu' pronunce, la Corte di cassazione ha affermato che «i collegi previsti dall'art. 24 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, ai quali e' demandata, per il caso di mancato accordo tra le parti, la liquidazione dell'indennita' dovuta agli ex concessionari di pubblici servizi, in ipotesi di assunzione diretta di questi da parte del comune, hanno natura di collegi arbitrali rituali» (Cassazione n. 2874/1974; S.U. n. 3178/1972; Cassazione n. 3026/2002). Anche aderendo a tale orientamento della Cassazione e collocando l'arbitrato rituale sul piano della giurisdizione, comunque non puo' non evidenziarsi come la predisposizione dell'arbitrato da parte della legge mal si concili con il divieto di istituzione di giudici speciali di cui all'art. 102, comma 2, Costituzione, con il principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 Costituzione e con quello del libero accesso alla tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi. In particolare, l'applicazione dell'art. 24 del regio decreto n. 2578/ sembra in contrasto con i citati articoli della Carta costituzionale, laddove questi, al fine di consentire l'effettiva operativita' dei diritti di liberta' e uguaglianza dei soggetti, prevedono, in ossequio al principio di uguaglianza, il diritto di accesso alla giustizia a tutti, la garanzia dell'individuazione del giudice naturale in base a criteri predeterminati che ne assicurino l'imparzialita' rispetto alla questione portata in giudizio, l'unitarieta' della giurisdizione ed il divieto di istituzione di giudici straordinari, che rappresentano una pericolosa deviazione dalla regola del giudice naturale. La norma in commento, imponendo il ricorso all'arbitrato quale strumento necessario ed indefettibile per la risoluzione delle controversie, non consente neppure un'interpretazione costituzionalmente orientata, volta che in essa non e' previsto che la competenza arbitrale possa essere derogata per volonta', anche unilaterale, di una delle parti. Il richiamo, formulato dall'attrice per sostenere la comune volonta' contraria delle parti all'arbitrato, alla convenzione stipulata il 30 aprile 1973 (nella quale era stata convenuta la competenza del Foro di Brescia per qualsiasi controversia) e' del tutto inconferente, volta che la clausola in questione non poteva che fare riferimento alle liti che fossero insorte tra le parti con riferimento all'interpretazione ed all'esecuzione, per l'appunto, della convenzione in seno alla quale la previsione in questione era contenuta. Diversa e', invece, l'ipotesi in esame, nella quale ad essere in discussione e' l'indennizzo, di cui all'art. 24 regio decreto n. 2578/25, spettante all'attrice in conseguenza dell'esercizio del riscatto da parte del Comune. Si ritiene, poi, che la questione sia rilevante, in quanto e' evidente che l'applicazione della norma sopra richiamata precluderebbe qualsiasi pronuncia in rito e in merito da parte di questo Tribunale. Quanto alla non manifesta infondatezza, va rilevato come la giurisprudenza costituzionale abbia sempre affermato che i principi contenuti nella Carta costituzionale si applichino anche alle norme emanate prima dell'entrata in vigore della Carta (Corte costituzionale n. 1/1956) e come, in piu' occasioni, la Corte costituzionale abbia ritenuto costituzionalmente illegittime disposizioni normative che contenevano la previsione di forme di arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie (cfr. Corte costituzionale 14 luglio 1977 n. 127; 27 dicembre 1991 n. 488; 23 febbraio 1994 n. 49; 11 dicembre 1997 n. 381; 24 luglio 1998 n. 325; 8 giugno 2005 n. 221). In particolare, in alcune di queste pronunce, la Corte costituzionale ha affermato che, «poiche' la Costituzione garantisce ad ogni soggetto il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, il fondamento di qualsiasi arbitrato e' da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perche' solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, comma primo Costituzione) puo' derogare al precetto contenuto nell'art. 102, comma primo Costituzione [...], sicche' la "fonte" dell'arbitrato non puo' piu' ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, piu' generalmente, in una volonta' autoritativa» (sent. Corte costituzionale 8 giugno 2005 n. 221); ed ancora che «l'arbitrato trova il proprio legittimo fondamento nella volonta' concorde delle parti, sicche' l'obbligatorieta' del medesimo si traduce in un'illegittima compressione del diritto di difesa ed in una violazione del principio generale della tutela giurisdizionale. Detta illegittimita' si incentra non nella previsione legislativa di un arbitrato per la risoluzione di certe controversie, ma nel suo carattere obbligatorio imposto ex lege e risultante inequivocabilmente dalla norma» (Sent. Corte costituzionale 21 aprile 2000 n. 115). E' evidente, pertanto, come il giudizio non possa essere definito prescindendo dalla risoluzione della suddetta questione. Per tutti i profili sin qui esposti, questo giudice giudica necessario sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24 regio decreto n. 2578/1925, nella parte in cui prevede un'ipotesi di arbitrato obbligatorio e predisposto dalla legge per contrasto con gli articoli 24, 25 e 102 Costituzione.